21: I gatti non fanno le foto
"Ragazzi! Fate piano, cercate di non farvi male stavolta" urlava una donna a due ragazzini di appena dodici anni.
Aveva i capelli corti e castani e sembrava avere più o meno una sessantina di anni.
Era seduta su una panchina e teneva sul grembo un bambino biondo e con due enormi occhi azzurri di all'incirca dieci anni.
La tata di Mike e Ethan White, che ormai doveva badare solo al secondo fratello, visto che il primo era abbastanza grande da cavarsela da solo, era seduta su una panchina di un parco vicino al centro, come quasi tutti i giorni.
I genitori dei due bambini non avevano mai tempo per portarli a giocare, ma la donna non li giudicava perché era grazie al loro scarso affetto genitoriale se lei aveva un tetto sulla testa e il cibo in tavola.
Accanto a lei c'era un'altra donna più giovane, con i capelli lisci e scuri.
Indossava dei pantaloni neri lunghi e una maglietta semplice, e si guardava intorno con aria costantemente spaesata.
Si vedeva che non era abituata a stare in una grande città.
Era la signora Collins, e anche lei teneva in grembo una bambina della stessa età dell'altro, che le somigliava tremendamente tanto.
"Sembrano proprio due pesti, vero?" chiese quest'ultima.
"Già, ma almeno vanno d'accordo" rispose l'altra.
"Rosy, voglio andare anche io a giocare con loro" piagnucolava il bambino, indicando i due che erano appena corsi via.
"Ethan, lo sai che tuo fratello si lamenta se vai a giocare con lui" le diceva la babysitter.
"Tra poco arrivano le nuove amichette di Lana, perché non vai a giocare con loro dopo?" gli disse dolcemente l'altra donna.
"Nooo, io non voglio giocare con le femmine, non mi piacciono" si lamentò il piccolo Ethan.
Le due si scambiarono uno sguardo divertito, prima di rivolgersi di nuovo al bambino.
"Vedrai come cambierai idea tra qualche anno".
Nel frattempo gli altri due ragazzini, anche se ormai non volevano più farsi chiamare così, erano corsi fino all'altro lato del parco e si erano impossessati di uno spazio di prato per poter giocare.
Uno dei due sembrava conoscere bene il posto, perché si muoveva con disinvoltura all'interno di quel parco enorme. Aveva gli occhi scuri e i capelli leggermente mossi, e teneva in mano una palla da football.
L'altro invece, come la madre, era piuttosto spaesato in quel posto sconosciuto e non sapeva bene come comportarsi.
Però era con il suo nuovo amico Mike, perciò si sentiva al sicuro.
Si misero uno difronte all'altro, a pochi metri di distanza, e iniziarono a passarsi la palla.
Nonostante Mike fosse già piuttosto bravo, per quanto potesse esserlo un bambino di dodici anni, Nate era nettamente migliore. Quando lanciava la palla, la faceva arrivare precisamente nelle mani dell'amico e riusciva a prendere anche i tiri peggiori.
Però ogni tanto Nate fingeve di sbagliare, di non arrivare abbastanza in alto per afferrarla o di mandarla troppo lontano da Mike, solo per non farlo rimanere male, allo stesso modo in cui un genitore fa vincere il figlio per vederlo sorridere.
A Nate piaceva il suo sorriso, era sincero e metteva in mostra i denti bianchi. Quando lo faceva gli occhi gli si illuminavano e sembravano ancora più belli del normale. Ne era affascinato.
Ma Mike non era certo tanto stupido da non riconoscere un talento quando lo vedeva. "Sei bravissimo!" esclamò a un certo punto, facendo arrossire l'altro.
"Un giorno giocheremo insieme in una squadra vera, saremo fortissimi!"
Nate annuì, guardandolo con un sorriso smagliante. "Vinceremo tutti i campionati del mondo!"
Mike ricambiò il sorriso. "Per vincere dobbiamo fare gioco di squadra, okay? Dobbiamo essere uniti. Uno per tutti e tutti per uno, come i tre moschettieri".
"Ma noi siamo solo in due" gli fece notare l'altro.
Il ragazzino si portò una mano sul mento, come per pensare a una possibile soluzione a quel problema. "Dobbiamo trovare un'altra frase allora".
Anche l'altro si mise in posizione da pensatore, ma in realtà tutto ciò che fece fu osservare l'altro ragazzino mentre era perso nei suoi pensieri.
"Okay, niente frase. Però dobbiamo fare una promessa" disse alla fine Mike.
"Tipo un giuramento di sangue?" chiese l'altro.
"Sì, ma senza sangue, sennò mia mamma mi ammazza".
Poi alzò la mano destra davanti a sé, porgendo il mignolo a Nate, e, con aria solenne, pronunciò: "Promettiamo qui e ora che saremo sempre una squadra, giocheremo insieme e ci guarderemo le spalle a vicenda per sempre".
Nate allungò la mano e incrociò il mignolo con il suo, senza pensarci nemmeno un secondo.
"Promesso" dissero in coro.
***
Nate si svegliò di soprassalto. Non dormiva da due giorni, perché aveva passato le ultime due notti a pensare e ripensare all'espressione delusa del suo migliore amico.
Si era girato e rigirato nel letto continuamente, come a voler trovare una posizione che gli permettesse di far sparire quel vuoto che si sentiva nello stomaco, ma non ci era mai riuscito.
Oltretutto quella notte aveva sognato il giorno in cui erano diventati effettivamente migliori amici, e, svegliandosi, non aveva potuto fare ameno di farsi scappare qualche lacrima.
Durante il weekend aveva cercato in tutti i modi di parlare con Mike, lo aveva chiamato decine di volte e gli aveva mandato un centinaio di messaggi, ma niente. Il ragazzo continuava a ignorarlo.
Non era passato a casa sua perché Ethan, che aveva cercato di parlare con il fratello, purtroppo invano, gli aveva detto che non era il caso e che magari doveva far passare qualche giorno.
Quando si alzò dal letto era stanchissimo, aveva gli occhi lucidi e contornati da enormi occhiaie scure e il cuore a pezzi.
Scese in cucina, cercando di mangiare qualcosa per colazione, ma aveva lo stomaco in subbuglio e pensò che avrebbe sicuramente vomitato se avesse ingerito del cibo, quindi, per quella mattina, lasciò perdere.
Quando arrivò a scuola incontrò, davanti all'entrata, Logan e Josh, che gli rivolgevano occhiate dispiaciute. Anche loro avevano cercato di capire quale fosse il problema di Mike, e avevano detto le stesse cose che aveva detto Ethan.
"Ancora niente?" gli chiesero subito.
Nate scosse la testa. "Continua a ignorarmi" rispose con voce roca.
I due sbuffarono. "Dio, non capisco. Non può essersela presa così tanto perché sei gay. Insomma quando mai ha avuto problemi con questo genere di cose? Anche suo fratello è gay, dannazione!" gli disse Josh.
Logan annuì. "Sono d'accordo. Se solo ne parlasse almeno con noi! Ma sembra che non sia contento nemmeno di vedere noi due adesso" sbuffò.
"Vorrei solo che tutto tornasse come prima" sospirò Nate. Gli mancava il suo migliore amico.
Si rese conto che non gli mancava solo da due giorni, gli mancava da quando aveva iniziato a nascondergli tutto e aveva iniziato a passare più tempo con altri piuttosto che con lui.
Aveva pensato che una volta saputa la verità avrebbero potuto tornare a essere come prima, sarebbero stati di nuovo gli amici che si confidavano tutto, ogni dettaglio della loro vita, e che parlavano delle cavolate più inimmaginabili.
Voleva fare tornei alla Play, uscire il sabato sera e andare alle feste con lui.
Ma cosa più importante, voleva poter condividere questa nuova e fantastica parte della sua vita con lui.
Voleva poter essere libero di parlare del suo ragazzo, di come lo rendesse felice e lo facesse sentire bene con sé stesso. Raccontargli come era iniziata la loro storia, chiedergli consigli e fargli capire quanto veramente ci tenesse a suo fratello e che non gli avrebbe mai fatto del male.
Quella mattina, ogni volta che incontrò Mike nei corridoio, lo vide girarsi dalla parte opposta, in classe si sedette il più lontano possibile da lui e a pranzo mangiò con altri membri della squadra in un altro tavolino, lontano da quello di Nate, Josh e Logan.
Era ormai quasi completamente demoralizzato da quella situazione quando, mentre camminava per il corridoio, si sentì tirare per un braccio.
Chiunque lo stesse tirando lo trascinò fuori dall'edificio, attraverso la porta antincendio, e si fermò sulle scale esterne.
Si affacciavano su un cortile vuoto, dove a volte gli studenti uscivano per fumare o semplicemente per chiacchierare indisturbati.
Dalla parte opposta vi era una stradina secondaria che portava al campo di football, ma non la usava più nessuno.
"Ethan?" chiese, subito prima di girarsi e ritrovarsi il biondo davanti a sé.
Questo sorrise dolcemente e gli accarezzò una guancia.
"Ehi, come va?" gli chiese, con fare un po' incerto.
Nate sbuffò. Non voleva nemmeno provare a mentire, perché sapeva che non ci sarebbe riuscito, ma soprattutto perché non voleva farlo. Ethan era il suo ragazzo e voleva condividere le sue emozioni con lui, sempre.
"Uno schifo" rispose quindi. "E tu?"
Il ragazzo storse le labbra. "Insomma" rispose. "Mike cerca di evitare anche me".
Nate sbuffò. "Possiamo non parlare di questo adesso?" chiese infastidito. Ethan era la cosa più bella che avesse visto in tutta la mattina, e non voleva rovinare il momento parlando di quella situazione.
"Okay, di cosa vuoi parlare?"
"Non voglio parlare" sussurrò, avvicinandosi a lui. Il biondo sorrise intenerito e gli circondò il collo con le braccia, per poi di baciarlo.
Baciare Ethan aveva sempre un effetto terapeutico su Nate, e in quel momento non era diverso, perché sembrava riuscire a fargli smettere di pensare a Mike e a tutti i suoi problemi.
"Mi sei mancato stamattina" gli fece sapere, semplicemente perché voleva che lo sapesse.
Ethan si morse un sorriso. "Anche tu" gli sussurrò, baciandolo ancora sulle labbra.
I loro baci producevano dei leggeri schiocchi, ma non erano abbastanza rumorosi da coprire il suono indistinto che li fece separare.
Era un rumore secco e veloce, che gli ricordava terribilmente quello di uno scatto fotografico.
"Che cos'era?" chiese Nate, guardandosi intorno con aria preoccupata.
"Non lo so, forse era solo un gatto" cercò di tranquillizzarlo Ethan.
Nate annuì, ma non era del tutto convinto. La prima cosa che gli venne da pensare fu una risposta tanto sensata quanto folle: i gatti non fanno le foto.
Ma poi, ripensandoci, si chiese: chi avrebbe dovuto fargli una foto? Insomma, Nate era una delle persone più ansiose sulla faccia della terra, ma anche a lui sembrava troppo pensare a qualcuno che si mettesse a fare delle foto a due ragazzi che si baciano.
Era una cliché tipico di un film adolescenziale, mentre lui viveva nella vita reale, doveva darsi una calmata. E poi, chi mai sarebbe stato così crudele da mettersi a fare una foto di lui e Ethan che si baciavano e farla vedere in giro?
Inoltre, se lui avesse dovuto scattare una foto di nascosto a qualcuno, di sicuro si sarebbe ricordato di abbassare il volume, per non rischiare di far sentire il rumore dello scatto. Nessuno al mondo poteva essere così stupido da non pensarci.
"Sei solo paranoico, rilassati" gli ripeté il biondo.
Dopotutto poteva benissimo essere un animale che rovistava nella spazzatura, non era così vicino da poter dire con certezza che si trattasse del rumore di una foto.
Ci rimuginò per tutta l'ora successiva, cercando di darsi una calmata, ma la risposta arrivò solo quel pomeriggio, agli allenamenti di football, dove scoprì di aver avuto ragione: non si trattava affatto di un gatto.
Note
Ehilà, che ve ne pare del capitolo? Secondo voi chi è stato a fare quel rumore? Se siete curiosi ci rileggiamo lunedì, baci! 💫
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