Capitolo XX: Ladra di vestiti
Riassunto del capitolo precedente: Diana e Xavier riescono ad avere la loro prima lezione di lotta, dove Xavier ne approfitta per appioppare un nuovo soprannome a Diana, iniziando a chiamarla Didi, lei per ripicca inizia ad apostrofarlo Mr. X. Isabel continua ad essere triste e Francine continua a non voler parlare con Diana e la festa per il Plenilunio è sempre più vicina.
Buona lettura!
Capitolo XX: Ladra di vestiti
Sbattei le palpebre un paio di volte, mentre osservavo con occhio critico il modo in cui il vestito rosso, che avevo trovato nell'armadio di mamma, mi cadeva addosso.
Se non fossi stata in punizione, probabilmente avrei chiesto a Sab di accompagnarmi per negozi, così da comprare un abito che mi stesse bene per la fatidica festa del Plenilunio. Dato che però ero effettivamente in punizione, e lo sarei stata ancora per qualche ora, mi ero dovuta arrangiare diversamente.
Erano due i vestiti che avevo recuperato in gran segreto.
Il primo era quello che stavo indossando in quel momento, un abito rosso smanicato che scendeva fino a coprirmi le ginocchia; semplice e privo di qualsiasi tipo di fronzoli.
Era innegabile però che, malgrado sembrasse perfetto, nella realtà dei fatti mi stava talmente male da farmi sentire a disagio.
Non ero mai stata particolarmente interessata al mio aspetto fisico, cosa che si poteva evincere aprendo il mio armadio e dall'assenza di trucchi e prodotti per la bellezza. Malgrado ciò ero in grado di capire quando un capo di abbigliamento non era adatto al mio fisico.
Mia mamma, per quanto avesse un copro asciutto e allenato, era dotata di curve femminili che il mio acerbo corpo da adolescente non possedeva, per questo il vestito risultava essere particolarmente abbondante in alcune zone.
Considerando il fatto che le mie scelte erano comunque limitate, decisi di non essere troppo dura con me stessa e il vestito, stabilendo che tutto sommato avrei potuto provare a rendergli giustizia; magari con i giusti accessori sarei riuscita a nascondere i difetti dell'abito e a non sembrare una bambina di cinque anni con indosso l'abito di sua madre.
Abbassai la zip che si trovava sulla schiena, contorcendomi nell'impresa, e una volta in biancheria intima afferrai l'abito blu scuro, che avevo recuperato invece dall'armadio di nonna.
Il vestito era a maniche lunghe, aveva uno scollo a barca e una semplice gonna a ruota che arrivava poco sotto il ginocchio. L'unico elemento che mi faceva storcere un po' il naso erano gli orli decorati da quelle che sembrano costellazioni di brillantini.
Malgrado il brillio, mi resi ben presto conto che quello sarebbe stato l'abito che avrei indossato.
Guardandomi allo specchio, non notavo difetti evidenti o parti troppo larghe; ciò mi fece pensare che nonna da giovane dovesse aver avuto un fisico molto simile al mio.
Senza perdere ulteriore tempo, dato che ero fin troppo consapevole che mancava meno di un'ora alla festa del Plenilunio, mi sfilai l'abito e corsi ad occupare il bagno per farmi una doccia veloce.
Più si avvicinava l'ora dell'evento, più sentivo l'ansia concentrarsi all'altezza del mio stomaco, dove sembrava esserci in corso un attorcigliamento di budella considerevole.
Non riuscivo a capire quale fosse la principale causa di tutta quella tensione.
In un primo momento, avevo pensato che fosse dettata dal fatto di indossare un abito e del trucco ad una festa a cui di solito partecipavo in maglietta e jeans.
Mi ero dovuta ricredere però.
Il vero motivo per cui ero così nervosa non era uno solo, ma erano fin troppi.
Quella sera avrei rivisto Michel.
Dopo il nostro ultimo incontro di lunedì pomeriggio, ogni tanto mi capitava di pensare a quanto fossi stata sciocca e maligna; avevo illuso inutilmente un ragazzo che, in fondo, non mi aveva fatto nulla di male, oltre a invitarmi a uscire. Non avevo scusanti, nemmeno il comportamento di Michel dell'ultimo periodo e il fastidio che mi aveva provocato potevano giustificare il mio comportamento.
Quella sera avrei visto anche Sab.
Speravo vivamente di riuscire, in qualche modo, a parlarle in privato, così da provare a farmi dire, una volta per tutte, cosa la facesse stare tanto male. La messinscena di Isabel e la felicità che indossava come una maschera potevano fregare gli altri, ma non me; io vedevo la tristezza nel suo sguardo, quando pensava che nessuno la stesse guardando.
Quella sera avrei visto Francine.
Dopo la nostra ultima conversazione di qualche giorno prima non avevamo più avuto occasione di parlare, anche se, per i corridoi a scuola, l'avevo vista più volte lanciarmi occhiate che, stranamente, non contenevano l'odio che solitamente mi riservava. Forse quel poco che le avevo detto e il mio desiderio di riallacciare i rapporti avevano iniziato a far desiderare anche a lei che le cose tornassero come quelle di un tempo.
Quella sera avrei rivisto molti volti che, per un motivo o per un altro, non facevano parte della mia quotidianità, come le gemelle Dartmoor e i signori Evans, che vivevano dall'altra parte della città, il padre di Michel e Francine, e i genitori di Isabel e Ann.
Forse però, la cosa che più mi innervosiva era l'idea di passare l'intera serata con Xavier, il mio Mr. X.
«Diana, sei ancora nella doccia? Guarda che tra poco dobbiamo andare!», esclamò mamma oltre la porta del bagno, bussando con foga contro il legno: «Muoviti!»
Mi avvolsi un asciugamano in testa e uscii, ancora in accappatoio, in corridoio.
Mamma mi accolse con un'espressione contrariata, mentre Kyle, alle sue spalle, mi guardava scuotendo la testa: «Sempre la solita», borbottò con tono rassegnato, sorridendo sotto i baffi.
«Corri a vestirti», disse mamma, indicandomi la porta della mia camera: «E tu perché sei ancora in mutande?», aggiunse, fulminando mio fratello con uno sguardo esasperato.
Kyle sorrise apertamente e si sporse per abbracciare mamma: «Sei troppo nervosa, hai bisogno di un po' di affetto», disse, costringendo la mamma in un abbraccio da cui lei cercava inutilmente di liberarsi.
«Kyle non ho bisogno di affetto, ma di...», provò a dire mamma, interrotta da papà che, spuntato in corridoio chiese: «Abbraccio di gruppo?»
L'istante successivo mamma si trovò circondata anche dalle braccia di papà, mentre Edith accorreva dal salotto, con addosso un abito con la gonna a ruota e molti braccialetti colorati ai polsi: «Sì, abbraccio!»
Cercai di allontanarmi, ma venni avvolta a tradimento da un braccio di papà, che mi costrinse ad aggiungermi a quel momento di affetto di cui non avevo bisogno.
«Devo andare a vestirmi», mi lamentai, ma non venni ascoltata e la tortura proseguì per qualche secondo, fino a quando nonna non comparve dalla cucina con in mano una tazza di tè e un'espressione divertita: «Mi aggiungerei, ma non mi piace l'idea di morire soffocata».
«Fuggi finché sei in tempo», disse mamma, al centro dell'abbraccio, facendo ridere sguaiatamente papà, mentre io riuscivo a districarmi e fuggire in camera.
«Dove scappi?», mi urlò dietro Kyle.
«A vestirmi, cosa che dovresti fare anche tu», gli dissi, prima di chiudermi la porta della mia camera alle spalle.
I successivi minuti li passai a vestirmi, scegliendo con meticolosa precisione anche l'intimo, decisa a voler essere impeccabile.
Solo dopo qualche secondo, quando ormai avevo messo il vestito e mi apprestavo a cercare il rossetto che mi aveva regalato Sab per Natale, mi resi conto del perché avessi impiegato tanto tempo e scegliere che mutande e reggiseno indossare e il pensiero mi fece diventare le guance bollenti.
Malgrado non fossi sicura di voler perdere la mia verginità quella sera, anche perché era un argomento che non avevo ancora mai discusso con Xavier e non sapevo cosa pensasse lui al riguardo di un possibile "approfondimento" della nostra relazione, volevo essere pronta.
Trovai il rossetto in un cassetto della scrivania e lo sfilai dalla confezione in cartone che lo conteneva. Era un rossetto rosso, niente di speciale o particolare, ma abbastanza appariscente da farmi sentire leggermente a disagio all'idea di indossarlo.
Mi ritrovai a chiedermi se a Xavier sarebbe piaciuto il mio vestito e il rossetto che ero sul punto di indossare.
Guardai il mio riflesso nello specchio e, facendo attenzione, iniziai a colorare le mie labbra, con la mano che mi tremava appena.
Fu in quel momento che la porta si aprì ed entrò mamma.
«Diana, sei... ?»
Mi voltai, fissando mamma con le guance bollenti.
L'espressione stupita sul volto di mamma mi fece arrossire ancora di più.
«Sei bellissima tesoro», disse lei, sorridendomi: «Aspettami, torno subito», aggiunse, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Rimasi ferma, col rossetto in mano e parte del mio labbro inferiore colorato ad analizzare la sensazione di orgoglio che provavo in quel momento.
Non era strano sentirsi dire da mia madre che ero bella. Certo, si lamentava spesso dei miei vestiti e di come mi curavo poco, ma questo non le aveva mai impedito di farmi complimenti e aumentare la mia autostima. Mi aveva sempre permesso di essere me stessa, se si lamentava dei miei vestiti lo faceva perché a lei non piacevano, non perché pensasse che non avrei dovuto indossarli.
Mamma tornò con in mano quella che mi sembrava una matita e un enorme sorriso in volto, si richiuse la porta alle spalle con aria cospiratoria e mi si avvicinò.
«Ti aiuto», mi disse, facendomi sedere alla scrivania: «È un attimo sbavare e rovinare tutto, meglio fare prima il contorno con una matita».
Non mi opposi e lasciai che mamma mi desse una mano.
Vidi chiaramente il suo sguardo posarsi sul mio letto per qualche secondo, poi i suoi occhi tornarono su di me: «Allora sei stata tu a prendere il mio vestito, pensavo di averlo perso chissà dove!»
«Sab mi ha costretta», spiegai, facendo una smorfia.
Mamma scoppiò a ridere, prima di alzarmi il viso, in modo da poter disegnare il contorno delle mie labbra.
«Quindi è tutta colpa di Isabel? Pensavo c'entrasse qualcun altro», disse, sul volto aveva un'espressione furbesca che mi fece capire subito a chi si riferisse.
Ero sul punto di ribattere, ma mamma mi dissuase con poche semplici parole: «Non muoverti, altrimenti rovini tutto il mio lavoro».
Quando finì con la matita, mamma mi prese dalle mani il rossetto che mi aveva regalato Sab e iniziò a distendere il colore sull'intera superficie delle mie labbra. La sue espressione concentrata mi fece capire che non avevo nulla da temere, né sbavature né imperfezioni.
«Ecco fatto», disse, facendomi segno di guardarmi allo specchio: «Sei bellissima».
Diversamente dal solito, quando trovai il mio riflesso, non puntai l'attenzione sul mio occhio grigio o quello nocciola, ma solo ed esclusivamente sul colore acceso della mia bocca.
Non avevo mai pensato che un semplice rossetto potesse farmi sembrare e sentire più grande, come una della mia età e non come la ragazzina immatura che, a volte, temevo di essere.
«Penso che a Xavier piacerà molto il tuo aspetto questa sera», disse mamma, sulle labbra aveva nuovamente quel sorriso furbesco.
Le mie guance divennero più rosse del rossetto e spostai subito lo sguardo dallo specchio, per guardare mamma negli occhi: «Non lo sto facendo per Xavier!», dissi, alzandomi in piedi per cercare le ballerine bianche che mi erano state regalate per il mio sedicesimo compleanno e che non avevo mai usato. Con qualche anno di ritardo, ma finalmente mi sarebbero tornate utili.
«Certo che no, ma questo non cambia il fatto che apprezzerà di sicuro», disse mamma, facendomi l'occhiolino: «Vado a vedere se tuo fratello si è messo i pantaloni».
«Mamma?», la chiamai, prima che potesse chiudersi la porta alle spalle: «Pensi davvero che io sia bella anche così? Non sembro ridicola?»
«Con il turbante un pochino», disse, indicando l'asciugamano in cui erano ancora avvolti i miei capelli: «Ma sono certa che senza, nessuno penserà che tu sia ridicola».
Sorrisi, rincuorata: «Grazie».
«Figurati».
Quando mamma abbandonò la stanza tornai alla ricerca delle ballerine bianche, che trovai nella loro scatola di cartone sotto al letto. Le indossai, constatando che mi andavano a pennello.
Mi dedicai poi ai capelli, frizionandoli con l'asciugamano che ancora li avvolgeva, constatando ben presto che erano ormai quasi completamente asciutti.
Mi guardai un'ultima volta allo specchio, studiando il mio riflesso con orgoglio misto a nervosismo, poi uscii dalla camera.
In corridoi trovai Kyle, vestito con un paio di pantaloni color cachi e una camicia bianca col colletto alla coreana, che si stava legando i capelli in uno chignon: «Sorellina, chi ti ha costretta a vestirti così?»
«Isabel», ammisi, facendo spallucce, mentre portavo lo sguardo alle scale che portavano alla mansarda. Dai rumori che percepivo al piano di sopra, ero abbastanza certa che Xavier non fosse ancora sceso.
«Stai bene», disse, studiandomi con occhio critico: «Le scarpe però non mi convincono».
«O queste o gli scarponi», dissi, iniziando a salire le scale, impaziente di vedere la reazione di Xavier alla vista del mio vestito.
«Mi rimangio quanto appena detto, scarpe perfette», disse Kyle, dirigendosi verso il salotto: «Non metterci troppo di sopra, mamma è nervosa».
Stavo per rispondergli che ero fin troppo consapevole dello stato dei nervi di mamma, ma decisi che non ne valeva la pena e continuai la scalata.
Bussai, poi aprii la porta della mansarda, asciugandomi le mani sudaticci contro il tessuto del vestito che indossavo.
Xavier mi stava dando le spalle e sembrava intento a cercare qualcosa tra i suoi vestiti; immaginai fosse alla ricerca di una camicia o di una maglietta, dato che era ancora a torso nudo.
«Hey, dobbiamo andare», gli dissi, rimanendo sulla soglia, in attesa che i suoi occhi si posassero su di me.
«Sono quasi pronto», mi rassicurò, prima di spostare la sua attenzione all'armadio aperto di fronte a sé e cercare tra i pochi abiti appesi: «Eccola!»
Estrasse una camicia azzurra e la infilò velocemente, coprendo le sua schiena e petto tonici alla mia vista. Ne fui in un primo momento dispiaciuta, poi i suoi occhi verdi si posarono su di me e mi dimenticai il dispiacere, troppo concentrata a capire dalla sua espressione se gli piacesse o meno come ero vestita.
Bloccò i suoi movimenti, rimanendo con solo due bottoni allacciati a coprirgli il petto e le sue mani intente a far entrare il terzo nell'asola, mentre i suoi occhi si sbarravano leggermente e la sua bocca si socchiudeva.
Quando i suoi occhi si posarono sulle mie labbra, per poi raggiungere i miei occhi, sentii un caldo languore nel basso ventre e mi ritrovai a deglutire a vuoto.
«Pensavo che non ti "agghindassi"».
Sorrisi appena e cancellai la distanza tra di noi, così da aiutarlo ad abbottonare la camicia: «Sono vittima di un ricatto», ammisi con una smorfia: «Sab mi ha costretta».
Riuscii ad inserire nell'asola un solo bottone, prima che le sue mani si chiudessero intorno ai miei polsi e mi spostassero, in modo da farmi fare un passo indietro.
I suoi occhi scesero ad osservare il mio vestito.
«Ti sta bene», disse, posando poi gli occhi sulla mia bocca: «Questo rossetto mi fa venire voglia di baciarti».
«Niente baci, altrimenti rischi di rovinarmi il trucco», gli dissi, sorridendo.
«Neanche un bacio a stampo?», chiese in un sussurro, avvicinando il volto al mio.
Scossi la testa e mi liberai facilmente dalla sua presa, riprendendo ad abbottonargli la camicia: «Ora no, dopo però possiamo riparlarne».
«Dopo quando?», chiese con una smorfia delusa in volto: «E se dopo non avessi più voglia di baciarti?»
«Ce ne faremo una ragione», dissi, facendo spallucce.
Xavier rise sommessamente e si sistemò i polsini della camicia: «Sono un po' nervoso».
«Andrà tutto bene, tutto quello che devi fare è sorridere e giurare fedeltà al nostro branco, sempre che tu sia ancora convinto di voler entrare a farne parte».
«Certo che lo sono», disse, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Finii di abbottonargli la camicia e sollevai lo sguardo: «Allora non hai motivo di essere nervoso».
Le sue labbra si posarono sulle mie per un bacio che durò meno di un secondo, quando si allontanò la sua bocca aveva rimasugli rossi.
«Ora non lo sono più», disse, sorridendomi con le sue fossette in bella mostra.
Sollevai gli occhi al cielo e allungai la mano per pulirgli le labbra, poi intrecciai le mie dita alle sue e mi diressi verso le scale.
Una volta arrivati in salotto nonna mi guardò con sguardo stranito per qualche secondo, poi sorrise: «Ti sta molto bene».
«Grazie», le dissi, stringendo maggiormente la presa intorno alle dita di Xavier.
Una volta pronti tutti quanti ci dirigemmo verso la porta sul retro e ci dirigemmo verso il bosco.
Era tradizione trascorrere la festa del plenilunio in una radura distante da ogni abitazione o strada, dove già il pomeriggio avevamo aiutato a trasportare sedie e tavoli. L'usanza stabiliva che ogni famiglia facente parte del branco si presentasse alla festa con qualcosa da mangiare o da bere, così da permettere l'allestimento del buffet.
Per questo motivo nonna aveva passato gran parte della giornata a preparare i suoi famosi biscotti all'uvetta, mentre mamma aveva deciso di ordinare della pizza e papà aveva tra le mani una scatola, al cui interno si trovavano alcune bottiglie di vino.
Appena arrivammo a destinazione, notai con piacere che, come ogni anno, la radura era illuminata da candele e lumini che pendevano dai rami più bassi degli alberi e facevano sembrare quel luogo semplicemente magico.
«Wow», sussurrò Xavier, il volto illuminato dalla luce calda delle candele e gli occhi che sembrano brillargli: «Sembra di essere in un sogno».
Sorrisi e strinsi maggiormente la presa delle mie dita intorno alla sua mano.
Nella radura c'erano già la famiglia Picard e Drake al completo.
«Torno subito», dissi a Xavier, prima di abbandonarlo e correre verso la mia migliore amica che sembrava essere in una fitta conversazione con sua madre.
Quando Sab notò il mio vestito e il rossetto, un sorriso radioso le illuminò il volto: «Te ne sei ricordata!», disse, gettandomi le braccia al collo.
Rimanemmo abbracciate per un po' e in quel momento, strette e vicine, ne approfittai per chiederle a mezza voce se stesse bene.
Isabel s'irrigidì leggermente, poi annuì contro la mia spalla: «Non preoccuparti, sto bene».
«Sei la mia migliore amica, è ovvio che mi preoccupo per te», le feci notare, sciogliendo abbastanza l'abbraccio da poterla guardare negli occhi.
Erano lucidi.
«Ho solo avuto un momento di tristezza», mi disse in un sussurro, mentre ci allontanavamo leggermente dal tavolo del buffet e quindi dal resto del branco e da eventuali orecchie tese: «Non volevo farti preoccupare, sto meglio e starò bene».
«Sei sicura? Non devi aver paura di chiedere aiuto», le dissi, mordendomi il labbro inferiore.
Non sapevo nello specifico quanto male stesse Sab, in parte perché era fin troppo brava a fingere di stare bene anche quando non era così, in parte perché non riuscivo a capire cosa avesse causato quell'enorme tristezza che si portava dietro come un peso.
«Sono sicura e sì, lo so», disse, pizzicandomi il naso tre le dita, prima di spostare lo sguardo verso la festa: «Dovremmo tornare a socializzare».
Annuii, anche se non ero del tutto convinta che mi avesse raccontato tutta la verità, e pensai che trovarsi in mezzo al resto del branco avrebbe potuto aiutarla a sentirsi meglio, per questo la trascinai al tavolo del buffet.
«Oh, tua nonna ha fatto i suoi famosi biscotti con l'uvetta!», disse con un sorriso in volto, liberandomi dalla mia stretta intorno al suo braccio per fidarsi su di essi.
Inizia a cercare tra la folla la figura di Xavier, ma prima che potessi individuarlo notai la massa di capelli biondi di Michel e, senza pensarci, lo raggiunsi.
«Ciao», gli dissi, semplicemente, vedendolo voltarsi con sguardo stupito verso di me.
«Ciao», mi salutò a sua volta, studiando il mio aspetto: «Sei molto carina questa sera».
Arrossii appena e sorrisi: «Ho rubato il vestito a nonna, tutta colpa di Sab», spiegai, con un gesto vago della mano, a lasciar intendere che la storia non era poi così interessante.
«Fammi indovinare: ti ha ricattata?»
«Sì, avrei perso per sempre la sua amicizia se non avessi indossato un vestito questa sera», ammisi, facendo spallucce.
«Isabel non cambierà mai», disse, ridacchiando.
«Stai bene?», gli chiesi, osservando attentamente il suo volto, che si fece per qualche secondo serio.
«Sì, Di, sto bene».
«Quindi siamo ancora amici, è tutto ok?», chiesi, rassicurata in parte dal fatto che avesse usato un soprannome per apostrofarmi e non il mio nome completo.
«Non abbiamo mai smesso di essere amici», disse, mettendomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio, così facendo sentii più forte l'odore familiare della sua pelle e parte del nervosismo che provavo si dissipò: «Non volevo rovinare tutto, Diana, pensavo di essere innamorato di te, e tutt'ora mi capita di pensarlo, ma non vale la pena di rovinare la nostra amicizia per qualcosa che non provi anche tu».
Annuii lentamente, studiando la sua espressione seria: «Mi dispiace tanto, Michel».
«D'ora in poi tornerò a chiamarti Di e tu tornerai a chiamarmi Mitch, questi nomi interi sono troppo formali», disse lui, sorridendo: «Ora però dovresti raggiungere il tuo ragazzo, tra poco tuo papà dovrebbe iniziare il suo discorso... Vorrà averti accanto».
Senza pensarci strinsi Michel in un abbraccio, affondando il volto contro la sua spalla: «Grazie, Mitch».
«E per cosa?»
«Per essere ancora mio amico, anche se mi sono comportata malissimo», dissi, sciogliendo l'abbraccio.
Michel rise, scuotendo la testa: «Non ti sei comportata malissimo, Di, e non ti preoccupare, non è così facile liberarsi di me, ti toccherà sopportarmi per ancora molto tempo».
«Che fortuna», dissi con tono fintamente sarcastico.
«Puoi dirlo forte», ribatté lui, prima di sospingermi verso il lato della radura dove a quanto pareva si trovava Xavier.
Solo in quel momento mi resi conto che tutto il branco si era riunito, tranne il signor Montgomery e che mio papà era effettivamente pronto ad attirare l'attenzione di tutti i presenti su di sé.
Riuscii a raggiungere Xavier e a stringergli la mano.
«Sei tornata», mi disse, premendo un bacio contro la mia fronte.
«Scusami, ho parlato con...», lasciai il discorso in sospeso quando mio papà si schiarì la voce, intimando il silenzio.
«Buonasera a tutti e grazie per essere qui», disse, sorridendo calorosamente: «Questa notte, due nuovi membri entreranno a far parte del branco. Come molti di voi, se non tutti, sanno qualche settimana fa abbiamo accolto per un periodo di prova Xavier O'Bryne. Xavier, vieni qui, ragazzo».
Lasciai la presa intorno alla sua mano e lo sospinsi verso mio padre, accompagnandolo con un sorriso d'incoraggiamento.
«Ho conosciuto Frank, il padre di Xavier, molti anni fa e serbo di lui un bel ricordo. Averti nel mio branco sarebbe per me un onore, ragazzo, ma la decisione spetta a te. Giuri fedeltà a me e al mio branco?»
Gli occhi di Xavier, a pochi passi di distanza, si puntarono nei miei: «Lo giuro».
«Giuri di proteggerne i membri da pericoli esterni e di essere pronto a dare la vita per assicurarne l'incolumità?», proseguì mio padre.
«Lo giuro», rispose Xavier, la sue spalle mi sembravano meno tese e le mani avevano smesso di stringersi in modo convulso.
«Giuri di rispettare il mio giudizio e il mio volere, sapendo che il mio obiettivo principale è e sarà sempre quello di valutare e decidere ciò che è meglio per il branco?», chiese papà, lo sguardo serio tradiva una fierezza che non riusciva a celare.
«Lo giuro».
Il mio sguardo scandagliò per qualche istante la radura, tutti gli occhi erano puntati su Xavier e mio padre. Un moto crescente di orgoglio mi scaldò il petto.
Puntai i miei occhi in quelli di Xavier e presi un profondo respiro, per sciogliere la leggera tensione, che mi aveva tormentata fino a quel momento.
«Benvenuto nel branco, Xavier O'Bryne».
***
Buon pomeriggio popolo di Wattpad!
Eccoci giunti alla fine del ventesimo capitolo.
Non ci credo di aver già scritto venti capitoli di questa storia, come vola il tempo...
Mi sembra ieri che Xavier è arrivato nel territorio del branco a portare scompiglio nel cuore e nella mente di Diana e guardate ora!
Ovviamente il racconto della festa del Plenilunio continuerà nel prossimo capitolo, che cercherò di pubblicarvi il prossimo giovedì.
Per il momento cosa ve ne pare della festa? Ve l'eravate immaginata in modo diverso?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensate!
Come sempre ricordo, per chi volesse, che ho un account su Instagram, il cui nome è lazysoul_efp.
Un bacio,
LazySoul_EFP
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