Capitolo III: There's a new wolf in town
[Dalla foto qua sopra potete vedere come m'immagino Michel]
Capitolo III: There's a new wolf in town
«Non ce la faccio, sono troppo stanca», mormorai, rivolta alla sveglia alla mia destra, quasi nella speranza che si spegnasse da sola e mi lasciasse dormire in pace.
Mi avvolsi ancora di più nelle coperte, nel vano tentativo di riprendere il sogno da dove l'avevo interrotto. Mi sfuggì un lamento quando mi resi conto che già non ricordavo più cosa stessi sognando.
Allungai un braccio fuori dal calore del mio letto e cercai la sveglia con gli occhi ancora chiusi, nella speranza di riuscire a spegnerla e poter tornare a dormire.
Stavo provando in tutti i modi a tenere lontana dalla mia mente la consapevolezza che fosse Lunedì, convincendomi che fosse ancora Domenica e che avessi davanti a me ancora ore e ore di sonno.
Quando raggiunsi con le dita la sveglia la colpii sul dorso, sperando di spegnerla al primo colpo, ma sbagliai leggermente la mira e invece di zittirla la feci cadere a terra.
«No», mormorai, affondando ancora di più il volto contro il cuscino, mentre mi sporgevo col braccio oltre la sponda del letto per cercare di raggiungere quello stupido oggetto inanimato che mi stava martellando il cervello col suo continuo bip-bip.
Sfiorai con le dita il pavimento freddo, continuando a muovere la mano alla ricerca della sveglia, che non riuscivo proprio a capire dove fosse finita.
Ad un tratto, quando ormai avevo l'arto completamento abituato alla fredda temperatura della camera, decisi che non potevo continuare a fingere, così feci uno sforzo disumano e aprii prima un occhio e poi l'altro, salutando il nuovo giorno con un grugnito che aveva ben poco di femminile.
Sbadigliai e mi stiracchiai per pochi brevi secondi, prima di sporgermi ed afferrare quella stupida sveglia, spegnendola una volta per tutte ed appoggiandola - forse con troppa forza - sul comodino.
«Buongiorno, Diana», mi dissi, passandomi stancamente una mano sul viso: «Pronta per un nuovo entusiasmante giorno di scuola?», mi chiesi con la voce roca e quindi orribile che mi ritrovavo la mattina presto.
In quel momento Kyle entrò in camera mia con addosso solo delle mutande e uno smagliante sorriso sulle labbra.
Quanto odiavo il suo esibizionismo e i suoi addominali scolpiti.
«Mamma dice che ti devi sbrigare, l'autobus passa tra venti minuti», mi informò, prima di rubarmi un codino dalla scrivania per legarsi i capelli, che gli arrivavano alle spalle, in una semplice coda di cavallo.
E ancora di più odiavo i suoi capelli lunghi.
"Perché cavolo ho tagliato i miei?", mi chiesi, mettendomi a sedere e guardando il mio riflesso nello specchio a parete, fissando prima il mio occhio grigio, poi quello color nocciola e infine il livido che Xavier mi aveva lasciato sullo zigomo destro.
"Ah, già", ricordai, provando a portarmi le ciocche che avevo sugli occhi dietro alle orecchie: 'Michel aveva detto - in non ricordo quale occasione, forse Natale - che gli piacevano molto i miei capelli lunghi e io per dispetto li ho tagliati'. In effetti non era stato un comportamento molto maturo da parte mia, ragionai, prima di sospirare ed alzarmi in piedi.
Come prima cosa mi fiondai in bagno per sciacquarmi la faccia e fare la pipì poi, una volta tornata in camera, sollevai la tapparella e lasciai che i timidi raggi del sole illuminassero la stanza, così da poter spegnere la lampadina sulla scrivania.
Afferrai nell'armadio un paio di jeans scuri, una felpa degli Avenged Sevenfold che mi stava leggermente piccola - dato che l'avevo comprata già da tre anni - e gli anfibi neri. Nel giro di cinque minuti ero completamente vestita e mi congratulai con me stessa per il nuovo record personale.
Tornai davanti allo specchio a parete e osservai con una smorfia i miei capelli schiacciati su un lato e sparati dall'altro. Ringhiai contro il mio riflesso poi decisi di appiattirli nell'unico modo che conoscevo: indossando il mio fedele cappellino di lana.
Afferrai lo zaino di scuola e lo issai su una spalla, accesi il cellulare e me lo ficcai in tasca, dopo aver appurato che nessuno mi aveva cercato durante la notte.
«Buongiorno, tesoro», mi accolse in cucina papà, sollevando la sua tazza rosa confetto fumante di caffè e dedicandomi un caloroso sorriso. In momenti simili faticavo a vederlo come l'Alpha forte e temerario che guidava il branco.
«'Giorno», dissi con la voce roca a causa della gola secca, mentre gettavo a terra lo zaino e mi accasciavo poco aggraziatamente sulla sedia che solitamente utilizzavo durante i pasti.
Mamma stava preparando il pranzo per papà, o meglio; stava mettendo della pasta con polpette congelate in un contenitore in vetro che papà, una volta al lavoro, avrebbe scaldato nel microonde durante la pausa pranzo.
Mi guardai intorno alla ricerca della caraffa del caffè e non trovandola da nessuna parte cominciai ad entrare nel panico tipico delle persone in astinenza: «Caffè?», riuscii a mormorare, ancora mezza assonnata, guardando disperata la schiena di mamma, che ancora si stava occupando del "pranzo", per poi spostare lo sguardo negli occhi azzurri e sorridenti di papà.
«Kyle l'ha finito».
Non avrei saputo neanche dire chi dei due mi avesse risposto, tutto quello che riuscii a fare in quel momento fu guardarmi intorno smarrita: «Cosa?!», esclamai, sperando che fosse tutto un brutto, anzi bruttissimo incubo dal quale mi sarei svegliata.
Lanciai una veloce occhiata al mio orologio da polso e sentii il mondo cadermi addosso: nel giro di sette minuti sarebbe passato l'autobus.
«Non può essere vero!», mi lamentai, prima di lanciare uno sguardo di fuoco a mio fratello che, proprio in quel momento, fece la sua entrata trionfale da re della foresta.
"Quanto odio essere nata seconda, se solo fossi la primogenita mi mostrerebbe un po' di rispetto e..."
Ma chi volevo prendere in giro? Lui era fatto così: sconsideratamente arrogante un momento e il secondo dopo sommessamente docile e gentile, fosse nato secondo non sarebbe cambiato nulla.
«Hai finito il caffè!», lo accusai, puntandogli un dito contro.
«Forse la prossima volta ti sveglierai puntuale invece di rimanere a poltrire fino a tardi», disse, sorridendomi sornione.
«Mi vendicherò», lo minacciai sollevandomi in piedi e riafferrando con rabbia lo zaino, prima di rubare la tazza di papà per bere un misero sorso di caffè, anche se non mi piaceva senza zucchero e con il latte.
«Hey!», si lamentò lui, pizzicandomi il fianco, facendomi sussultare e rovesciare alcune gocce di caffè sulla felpa.
«Papà!», esclamai, lasciando la sua tazza per asciugarmi rabbiosamente con un tovagliolo il petto.
Kyle rise di gusto, seguito a ruota da mamma e papà che mi fissavano come se fossi un clown e non vedessero l'ora di assistere allo sketch successivo.
Ringhiai di frustrazione e rabbia, prima di correre in bagno per lavarmi i denti e controllare l'entità del danno. Per fortuna la felpa era scura, quindi il caffè non si notava molto, anche perché non avevo tempo di andare in camera a cambiarmi, dato che avevo tre minuti per trovare la giacca, salutare mamma e papà ed arrivare alla fermata del pulmino scolastico in tempo.
Trovai la giacca sulla sedia della scrivania in camera mia, proprio dove l'avevo lanciata la sera prima, dopo esser tornata a casa furiosa col mondo intero.
Era stato davvero disgustoso trovare Kyle con Francine accoccolata accanto, che guardava un film sdolcinato, mentre Edith disegnava e la nonna leggeva il futuro nelle foglie del tè. Almeno, quando avevo fulminato la coppietta abbarbicata sul sofà, Francine aveva avuto la decenza di rimanere zitta e staccarsi dagli addominali di mio fratello all'istante. Il momento peggiore però era stato convincere Edith ad andare a dormire, mentre nonna mi passava una tazza di tè e mi diceva di bere tutto d'un fiato così avrebbe potuto predirmi eventi futuri.
La buona notizia era che Edith si era lasciata convincere abbastanza in fretta e, dopo aver lavato i denti e messo il pigiama, si fece dare il bacio della buona notte e poi scomparve in camera sua da brava. La cattiva notizia era che non riuscii a sfuggire in camera abbastanza in fretta e la nonna mi disse, con gli occhi che le brillavano dall'eccitazione, che presto qualcosa sarebbe cambiato radicalmente nella mia vita e che - a meno che non l'avessi già incontrata - avrei conosciuto una persona speciale.
Quando mi ero ritrovata nel letto, dopo aver dato la buona notte a nonna Diana, mi ero ritrovata a sperare con tutta me stessa che la persona speciale non fosse Xavier. Non che non fosse carino, insomma, avevo un occhio grigio e uno nocciola, ma questo non significava che fossi cieca, anzi, grazie alla mia natura di ragazza lupo avevo una vista particolarmente sviluppata, e sarebbe stato impossibile, anche per un maschiaccio come me, non accorgersi di quanto il nuovo arrivato fosse attraente. Semplicemente non ero pronta ad avere una relazione, sia che fosse con il viscido Michel o con il misterioso Xavier; avrei preferito mantenere ancora un po' la mia indipendenza...
Mentre uscivo dalla camera, persa nei ricordi della sera prima, mi scontrai con Kyle, che pensò bene di rubarmi il cappello e correre fuori casa.
«Ma cos... Kyle!», esclamai, prima di salutare mamma e papà con un sbrigativo: «Ciao, buona giornata», per poi partire all'inseguimento di mio fratello, addentrandomi nel freddo pungente di Febbraio, mitigato dai pochi e fiochi raggi di sole che penetravano attraverso la spessa coltre di nubi.
Appena raggiunsi Kyle, lo colpii alla spalla con un pugno: «Ridammi il cappello! Subito!»
Rise di gusto, sollevando in aria l'oggetto incriminato, tenendolo fuori dalla mia portata e ridendo di gusto alla vista dei miei miseri tentativi iniziali di afferrarlo.
«L'hai voluto tu», dissi, prima di colpirlo allo stinco destro con un calcio che lo fece piegare in avanti per il dolore, così da permettermi facilmente di recuperare il mio povero cappello.
Odiavo quando sfruttava il suo metro e ottanta abbondante di altezza per farmi sentire piccola.
Rise di gusto per tutto il minuto e mezzo in cui rimanemmo ad aspettare l'autobus, mentre mi pizzicava i fianchi o provava a farmi il solletico.
«Ma cos'hai?», gli chiesi, mentre provavo a sfuggirgli, tra una risata e l'altra: «Ti ha morso una tarantola?»
Scosse la testa e mi sorrise in un modo così dolce e spensierato che mi fece sentire una strana fitta al petto: «Sono solo felice», mi disse, facendomi l'occhiolino.
«E quale sarebbe il motivo della tua invadente allegria?», gli chiesi, mentre paravo un suo pizzicotto.
"Ti prego, non dire Francine. Tutto, ma non Francine e le coccole a cui ho assistito ieri sera..."
«Lo vedrai», disse - facendomi tirare un sospiro di sollievo. Con gli occhi che gli luccicavano in modo inquietante, aggiunse: «Hai ginnastica oggi a scuola?»
La sua domanda mi insospettì: di solito non si interessava mai ai miei orari.
«Forse», dissi, assottigliando lo sguardo: «La professoressa Rushkin è andata in pensione giovedì scorso e da quello che so non hanno ancora trovato una sostituta».
Lo vidi annuire distrattamente, sempre con quello spensierato e - per me snervante - sorriso sulle labbra.
«Ieri sera ho chiacchierato un po' col tipo nuovo... come si chiama? Xander?»
«Xavier», lo corressi subito, vedendolo sogghignare in un modo strano; dalla sua espressione capii di aver commesso una gaffe, anche se non avrei saputo dire quale.
«Sì, lui», annuì, mentre guardava il pulmino di scuola che si avvicinava alla nostra fermata: «Mi ha detto che lo hai attaccato come una furia e che gli piace il tuo carattere ribelle».
Senza volerlo sentii le mie guance andare in fiamme, mentre tenevo lo sguardo fisso di fronte a me: «Deve essere masochista, allora», risposi, chiedendomi perché tutto ad un tratto avevo voglia di abbracciare mio fratello e ringraziarlo. Ringraziarlo di cosa poi? Del solletico? Della pessima informazione?
«È quello che gli ho detto pure io», rise Kyle, prendendomi giocosamente a braccetto mentre salivamo sul pulmino: «Comunque sembra che a Michel non stia molto simpatico».
Un sorriso amaro mi comparì sulle labbra: «Davvero? Penso sia la prima volta che io e Michel siamo d'accordo su qualcosa. È un evento da segnare sul calendario».
Ci sedemmo nei primi posti liberi, io dalla parte del finestrino, lui verso il corridoio: «Perché detesti tanto Michel? E pensare che lui è completamente innamo... Ahi!»
Lo zittii con un pizzicotto sul braccio: «Michel è solo un lupo che non sa prendere da solo delle decisioni e si fa comandare a bacchetta dal padre. Non è affatto innamorato di me, credimi».
Kyle alzò gli occhi al cielo: «Come vuoi, sorellina».
Rimanemmo in silenzio per i successivi cinque minuti: lui cercava in tutti i modi di darmi fastidio, facendomi innervosire sempre di più, mentre io lo colpivo con pugni poco delicati sul braccio.
Per fortuna arrivò la sua fermata, che distava pochi metri dall'Università. Così dopo un sbrigativo: «Ci vediamo a casa, fai la brava a scuola» e un bacio sulla guancia - che pulii fingendomi disgustata - scomparve dalla mia vista.
Notai con fastidio che la maggior parte delle ragazze sul pulmino seguirono la sua uscita di scena con occhi a cuoricino e sospiri innamorati. Patetiche.
Una volta sceso mio fratello salì un'imbronciata Francine, seguita da Isabel e il suo sorriso smagliante.
«Hey, D», mi salutò, mentre occupava il posto vuoto a sedere accanto a me.
«Ciao, Sab», dissi, facendole segno di avvicinarsi: «Ho delle novità», le dissi, sottovoce: «There's a new wolf in town», canticchiai prendendo come base la canzone 'New Kid in Town' degli Eagles.
Isabel sbarrò gli occhi: «Cosa?! Intendi quello di cui mi parlavi ieri sera?»
Scossi la testa: «Un altro».
Il ricordo degli occhi di Xavier su di me mi fece stringere maggiormente la presa delle dita sul mio zaino. Cosa mi aveva trattenuta dall'ucciderlo subito? Il suo profumo? Il suo sguardo? La sua voce?
«Si chiama Xavier ed è nei paraggi perché ha seguito l'assassino di suo padre fino a qui e, guarda caso, l'assassino di suo padre è il lupo di cui ho sentito l'odore ieri, prima di venire da te. Ha chiesto il permesso a mio padre di rimanere nel territorio per un periodo di prova e poi entrare a far parte del branco, una volta che avremo appurato che non ha cattive intenzioni», le raccontai, tenendo un tono di voce abbastanza basso da impedire agli umani seduti intorno a noi di sentirci.
«Ma...», iniziò, venendo però interrotta da Francine - quella ficcanaso - che, guarda caso, aveva trovato libero il posto a sedere dietro di noi e aveva udito la nostra conversazione: «Michel mi ha detto che quando vi hanno trovato lo straniero era sopra di te... Prima ci provi con mio fratello e poi, appena sai di avere il suo cuore servito su un piatto d'argento, passi alla preda successiva?»
Fulminai con uno sguardo colpo di fastidio Francine, lasciandole intendere che il suo intervento non era stato gradito: «Stavamo lottando», chiarii, prima di accennare un ghigno: «Ma non penso che tu possa capire cosa voglia dire preoccuparsi di difendere il territorio, dato che passi tutto il tuo tempo libero a farti la manicure».
La ragazza, colpita nell'orgoglio, nascose le mani nelle tasche della sua giacchetta di pelle rossa e distolse lo sguardo. La presi come una dichiarazione di resa e tornai a voltarmi verso Sab: «Comunque te lo farò vedere in giro, così poi potremmo odiarlo insieme», le dissi, facendole l'occhiolino.
«E perché lo dovremmo odiare?», chiese ridacchiando.
«Semplice: perché Diana si sente minacciata da lui», disse Francine dietro di noi, facendomi voltare nuovamente verso di lei.
«Come hai detto, scusa?», le ringhiai contro, trattenendo a stento la rabbia che mi ribolliva nelle vene. Sentivo forte l'impulso di trasformarmi in lupa e sbranarla, ignorando le regole e la quarantina di occhi fissi su di noi.
«Vuoi forse negare? L'unico motivo per cui fai la stronza con me è perché hai paura che io seduca tuo fratello, portandotelo via. News flash: prima o poi accadrà - con me o con qualcun'altra - devi imparare a convivere con l'idea che tuo fratello un giorno sceglierà una compagna per la vita e quella donna - ovviamente - non sarai tu. Ecco quindi spiegato il tuo odio nei miei confronti; quello che non mi spiego è perché vedi Xavier come una minaccia...»
Rimasi con gli occhi sbarrati per qualche istante, prima di ridere in faccia a Francine, facendola sussultare per la sorpresa: «Io ti odio perché sei una stronza arrogante e Xavier lo odio perché è uno stronzo arrogante, punto.»
Stavo sorridendo, mostrando i miei denti bianchi, ma in realtà dentro di me sapevo perfettamente che lei aveva dannatamente ragione; semplicemente non ero ancora pronta ad ammetterlo.
Francine aggrottò le sopracciglia, poi fece una smorfia divertita che non mi aspettavo: «Magari siamo fatti l'uno per l'altra allora, non mi resta che provarci con lui», disse, prima di alzarsi e scendere dal pulmino - che non avevo nemmeno sentito fermarsi - con passo spedito.
Il sorriso scomparve dal mio viso e provai una forte stretta al petto: "Non penso proprio: provaci, e io ti uccido".
I miei lieti pensieri vennero interrotti dalla mano di Isabel che iniziò a muoversi davanti al mio viso: «D? Ci sei? Dobbiamo scendere. A cosa pensi?»
Seguii la mia amica giù dall'autobus senza rispondere alla sua domanda. Nella mia testa si accavallavo pensieri e domande; non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui le ultime parole di Francine mi avessero fatta ingelosire. Fino a prova contraria non ero interessata a Xavier, anche se era molto carino e... Ok, forse ero attratta da lui, ma questo non significava assolutamente nulla. Ero stata attratta da altri ragazzi prima, Michel per esempio, e me li ero lasciati tutti alle spalle, senza rimpianti, quindi non vedevo perché con Xavier la faccenda dovesse essere diversa o più complicata.
«Spero che non abbiano ancora trovato una nuova professoressa di ginnastica, ho proprio bisogno di un'ora e mezza buca per iniziare al meglio la giornata», disse Sab, arrendendosi all'idea che non avrei risposto alla sua precedente domanda, mentre si massaggiava le tempie.
«Diana!», mi chiamò la voce fin troppo familiare e indesiderata di Michel.
Mi voltai, con la fronte aggrottata dal disappunto e me lo ritrovai a pochi metri di distanza, appoggiato all'auto di suo padre, con un mazzo di fiori in mano.
Sbiancai all'istante e, prendendo bruscamente Sab per un braccio, iniziai ad avviarmi, con passo di marcia, verso scuola, sperando dentro di me che Michel afferrasse l'implicito messaggio che gli volevo lanciare e non mi costringesse a fare una scenata davanti a mezza scuola.
Probabilmente il giovane Picard aveva la mente più bacata di quanto mi aspettassi, dato che non feci in tempo a percorrere mezzo metro che mi ritrovai la sua mano sulla spalla e il suo viso troppo vicino. Usare la velocità dei lupi per raggiungermi era stato un colpo basso.
«Ciao, ti ho chiamato, non mi hai sentito?»
Fulminai con odio la sua mano, che continuava a stare appesa in modo fastidioso al mio giubbotto di jeans preferito: «Non ho una forchetta a disposizione al momento», dissi, per ricordargli l'episodio della sera prima: «Ma posso sempre improvvisare e sbranartela», aggiunsi con un tono di voce dolce che mal si accompagnava alla mia occhiata assassina.
Michel, sfruttando i suoi pochi neuroni, tolse la mano dalla mia spalla e sorrise in modo imbarazzato, prima di salutare Isabel che, accanto a me, cercava di guardare da un'altra parte, ignorandoci.
«Cosa vuoi? Non dovresti essere all'Università?», chiesi, con un tono di voce acido e scontroso; odiavo veder soffrire la mia migliore amica, soprattutto se la causa era la testa vuota che mi trovavo di fronte.
«Sono venuto a portarti questi», disse, porgendomi il mazzo di fiori che aveva tra le mani.
L'odore di margherite, fiori di campo e rose mi invase le narici, facendomi involontariamente sorridere: «Grazie.»
Afferrai il bouquet con una mano, mentre con l'altra riprendevo il braccio della mia amica, e tornai a camminare con passo spedito verso l'ingresso della scuola: «Addio», lo liquidai, senza degnarlo di ulteriori attenzioni.
Inizialmente avevo pensato di accettare il mazzo per poi buttarlo nel cestino più vicino, ma mi dispiaceva per quei poveri fiori innocenti, così decisi che li avrei regalati a mia sorella una volta tornata a casa; Edith adorava ricevere doni inaspettati.
Senza parlare, ci dirigemmo verso la palestra, dove speravamo di non doverci cambiare e di poter rimanere e fissare il vuoto con i nostri compagni di corso fino al suono della campanella.
«Sai, una piccola parte di me sperava che scherzassi a proposito di Michel», sussurrò Sab, sospirando: «Fa male vederlo provarci con te, anche se sono sollevata all'idea che tu non sia minimamente attratta da lui», aggiunse, sorridendomi appena.
«Troveremo una soluzione a questa terribile situazione, te lo prometto», le dissi, stringendo maggiormente la presa sul suo braccio, per farla fermare: «Non ho intenzione di perdere la mia migliore amica», l'abbracciai per pochi brevi secondi, inebriandomi del suo odore di tè verde e limone, prima di sorriderle: «Andiamo, dai».
Una volta arrivate davanti alla palestra della scuola mi bloccai, sentendo un caldo brivido attraversarmi interamente, mentre lo stomaco mi si chiudeva in un fastidioso nodo.
Annusai ancora una volta l'aria, nella vana speranza di essermi sbagliata, ma quel gesto non fece altro che confermare i miei sospetti: Xavier era nei paraggi. Vidi Isabel, accanto a me, annusare a sua volta l'aria: «Ma quest'odore da dove cavolo...?»
La porta della palestra si aprì di colpo e ne uscì proprio lui, Xavier, che con una tuta da ginnastica grigia - che gli fasciava in modo incantevole il corpo, ma non l'avrei mai e poi mai ammesso ad alta voce - e un fischietto intorno al collo, mi sorrise.
Dietro di lui una massa sospirante di ragazze e indignati ragazzi in tenuta da ginnastica lo seguivano come se fossero stati un branco di pecore.
«Signorine, stavamo proprio venendo a cercarvi. Sono il nuovo professore di Ginnastica, Xavier O'Bryne e oggi faremo una staffetta nel campo di atletica, dato che la temperatura è piuttosto mite. Andate a cambiarvi e raggiungeteci lì al più presto.»
Rimasi con la bocca spalancata per la durata dell'intero discorso, intontita com'ero dal suo odore, che sembrava ancora più inebriante rispetto alla sera prima, ma soprattutto sconvolta dalle sue parole. Lui? Il nuovo professore di ginnastica? Scherzava?
In quel momento mi spiegai le risate di Kyle e le sue domande a proposito del corso di ginnastica.
«Certo», disse Sab, trascinandomi verso gli spogliatoi, mentre io continuavo a fissarlo, sconvolta.
«È uno scherzo?», domandai con un filo di voce, una volta che mi ritrovai con Isabel negli spogliatoi femminili della palestra.
«È lui il nuovo lupo, vero? Chissà perché pensavo fosse più vecchio... invece è giovane e attraente... Giusto per sapere: lo dobbiamo odiare perché ti piace e non vuoi ammetterlo? Com'era successo con quel tipo... com'è che si chiamava? Donovan?»
Mi sfilai con rabbia il cappello e il giubbotto, prima di voltarmi verso di lei: «Uno: si chiamava Dylan e lo abbiamo odiato perché mi ha baciata alla festa di Halloween, rendendola l'esperienza peggiore della mia vita. Due...»
«Sì, ma prima che ti baciasse avevi detto che ti piaceva», sussurrò Sab, sorridendomi in un modo che mi fece solo innervosire ancora di più.
«Aveva dei begli occhi, punto. Per il resto era insopportabile e...»
La porta dello spogliatoio si aprì di colpo, mostrando la chioma bionda di Francine e il suo ghigno peggiore: «Xavier mi ha mandato a chiamarvi. Dice che avendo l'agilità dei lupi dovreste essere più veloci degli umani e quindi essere già al campo di atletica».
«Sì, ma se vogliamo rimanere sotto copertura dobbiamo fingere di essere umane, o sbaglio?», dissi con un tono di voce pieno di astio e di veleno. Se solo fossi stata in grado di uccidere con lo sguardo, Francine sarebbe deceduta già da anni.
«A Xavier non piace aspettare», aggiunse, come se non avesse sentito le mie parole, prima di richiudersi la porta alle spalle e andarsene.
«A Xavier non piace aspettare!», la scimmiottai, mentre mi toglievo la felpa e sostituivo il normale reggiseno con uno sportivo: «E invece direi di sì, dato che ancora non ha ucciso il lupo che ha fatto fuori suo padre», dissi, mentre cercavo nella mia sacca da ginnastica i pantaloni: «Quanto li odio, lei e i suoi capelli tinti come una Barbie, lui e i suoi modi arroganti. Per non parlare...»
«Diana», disse Sab, appoggiandomi le mani sulle spalle ancora nude: «Potresti smetterla di inveire contro di loro? Tanto non cambia nulla. E poi non è carino quello che hai detto a proposito della sua vendetta, dubito che ancora non abbia ucciso l'assassino di suo padre per scelta».
Mi morsicai con forza l'interno guancia e abbassai il capo, sentendomi - malgrado tutto - in colpa per ciò che avevo detto: «Hai ragione», sussurrai, infilandomi i pantaloni della tuta: «Non so cosa mi sia preso», mentii, mentre finivo di vestirmi.
Isabel tornò a cambiarsi con un sorriso stampato sulle labbra - probabilmente era fiera di esser riuscita a farmi ragionare.
La aspettai, seduta sulla panchina che si trovava in mezzo alle due file di armadietti dello spogliatoio, cominciando a giocare coi due orecchini a cerchio che avevo al lobo dell'orecchio sinistro ed analizzando a fondo il mio comportamento.
L'unico motivo per cui mi ero sentita in dovere di colpirlo con le mie parole - anche se lui non era propriamente nei paraggi per sentire - era stata la fastidiosa stretta allo stomaco che avevo sentito quando Francine aveva pronunciato il suo nome come se fosse stata la sua migliore amica da tutta una vita.
"Sai come si chiama quest'emozione, vero? Inizia con la G e finisce con elosia", m'informò con poco tatto il mio subconscio, facendomi aggrottare le sopracciglia per il disappunto. Perfetto, ora avrei anche dovuto fare del mio meglio perché la gente non si accorgesse della crescente attrazione che provavo per il mio "professore di ginnastica".
«Magnifico», sussurrai con ironia, passandomi una mano tra i capelli, facendo voltare Sab verso di me con uno sguardo pieno di curiosità.
«Ho dimenticato a casa la felpa della tuta da ginnastica», mi lamentai con un broncio, anche se in realtà non era quella la mia preoccupazione maggiore.
***
Ciao popolo di Wattpad!
Eccoci alla fine del terzo capitolo!
Più andiamo avanti più verranno svelate cose nuove, diciamo che sto cercando di bilanciare i momenti d'introspezione con i vari colpi di scena e avvenimenti per non annoiarvi troppo durante la lettura.
Che dite, ce la sto facendo?
Se avete tempo, gradirei mi faceste sapere con un commento cosa pensate della storia (critiche e domande sono sempre ben accette), e ovviamente se ritenete che la storia lo meriti, fate brillare la famosa stellina e aggiungete questa storia ai vostri elenchi di lettura!
Un bacio,
LazySoul_EFP
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