Sound of Silence
La sua era una vita che considerava misera e triste. Sappiamo tutti come si trascorre quel periodo dalla seconda media fino circa a metà della terza.
Quel periodo dove non si sente la vicinanza con i propri amici.
Quel periodo in cui, nonostante si sia circondati di persone a cui si tiene, quel numero non sembra fare differenza.
Si arriva in una "semi-depressione", o quella che a me piace chiamare "crisi della seconda media" che tuttavia in realtà depressione non è.
La fase ribelle causa questi rapidi cambiamenti emotivi che ti confondono la mente con sbalzi di umore, tristezza ingiustificata e voglia di dormire in un letto caldo senza svegliarsi mai più.
Quel periodo buio che solitamente ha questa durata, ma alle volte può persino protrarsi fino all'età adulta.
Lui, si ripeteva, di non avere mai l'attenzione di nessuno.
Alle medie, era il più alto e grande della scuola. Quello più forte fisicamente.
Tant'è che da allora non crebbe quasi più, ma questa è un'altra storia.
Era intelligente lui, ma anche incredibilmente fragile e ingenuo.
Allora più che mai.
Non vedeva la differenza tra amici e conoscenti, tra utilità e sfruttamento, tra ammirazione e invidia e, più di ogni altra cosa, tra bugie e realtà.
Non capiva che le sue continue attenzioni rivolte verso i professori erano viste come un atteggiamento riuffiano dagli altri alunni, o che il suo intervenire di continuo mostrava antipatia, invece di ispirare gli altri a fare di meglio.
Mentre gli altri si divertivano a giocare a calcio, lui a cui non piaceva quello sport era visto come diverso.
Quando si avvicinava alle ragazze per provare a iniziare anche un semplice discorso o, per semplicemente chiedere di giocare a pallavolo con loro, era visto come molesto.
Così, lentamente, lui venne isolato dall'intero gruppo. Dall'intera classe.
I suoi genitori erano giustamente preoccupati, visto che, anche mostrandogli incredibile premura e facendo numerose visite mediche lui appariva sempre stanco.
Ma lui negava ogni cosa, ogni male, nascondendo tutto sotto un sorriso.
Era già grande oramai, non serviva più piangere per un nonnulla.
Tuttavia, in solitudine a lui saliva questo desiderio di sfogarsi.
Una voce dentro di lui però lo tratteneva, poiché sapeva in qualche modo che non voleva sentirsi nuovamente patetico.
Non sapeva come fare a rilasciare quelle emozioni. Questo finché una fioca luce non comparve davanti ai suoi occhi, facendogli liberare in silenzio tutto il dolore che provava da tempo.
Lui amava i videogiochi, erano uno dei suoi passatempi preferiti oltre alla lettura e guardare i video su Youtube.
Fu allora che nei suoi consigliati apparve uno dei tanti AMV che giravano allora.
Era un video di Five Nights at Freddy's con sotto una canzone che lui non aveva mai sentito.
Musica? Cos'era la musica per lui?
Non ci aveva mai riflettuto, né gli si era mai parso davanti il desiderio di ascoltare una canzone.
Una vita senza suoni. Ecco cosa aveva vissuto finora.
Fece partire il video ed ecco che le note di Faded di Alan Walker illuminarono la vita di quello che alla fine era ancora un bimbo.
Osservò tutto il video, prima solamente per vedere il video fan made del gioco, per poi ascoltarlo una seconda volta e una terza. Poi di nuovo.
E di nuovo.
Di nuovo.
Quel bambino, che mai prima d'ora aveva avuto alcun gusto musicale, si era attaccato talmente tanto a quella canzone che gli sarebbe bastato vivere solo con quella.
A quel punto a forza di ascoltare quel disco rotto in loop per ore, i suoi genitori ne avevano, giustamente, abbastanza.
Lo mandarono ad una scuola di chitarra per fargli imparare si, a suonare quella canzone, tuttavia per indirizzarlo verso altri titoli. E ci riuscirono alla grande.
Da allora i generi musicali del ragazzo divennero i più disparati. Passava in quarta da una canzone rock a un concerto di musica classica.
Nonostante non uscisse molto, se non per gli allenamenti di basket, infatti, questo si era fatto un nuovo amico.
Il suo mp3.
Nessuno infatti a parte lui sapeva quanto questo fosse insostituibile.
Questo era un vecchio mp3, ora in disuso, preso precedentemente da sua madre, del quale lui ora si era appropriato.
Lo portava letteralmente dappertutto e, anche ora, tutte le canzoni da lui precedentemente scaricate sono nel proprio telefono, occupando circa un terzo della memoria disponibile (Spotify permette l'ascolto di musica solo online e in modo inefficiente date le playlist a dir poco randomiche).
Passarono gli anni e quel bimbo mingherlino ora sta per arrivare alla maggiore età.
Il problema sta nel fatto che quel ragazzo non era in grado di stare in un gruppo di suoi pari.
Non fumava, non beveva per ubriacarsi, non stava tutto il giorno a pensare alle tipe, non era in grado di fare serata e necessitava di 10 ore di sonno al giorno.
A lui ora bastava che il suo telefono e i suoi auricolari fossero un po carichi e parte con la terapia.
Si esatto. La musica ora era una parte irremovibile di lui.
Appena ne aveva qualsiasi occasione, rendeva il sottofondo necessario.
Non era in grado di uscire la sera e andare in discoteca, perché la musica usata in discoteca per lui risulta più soporifera di una lezione di matematica. Non capisce i concetti della Trap italiana e per lui è semplicemente dare aria alla bocca e uso di Autotune.
Non conosce i testi dei giovani d'oggi e quando in giro parla di band degli anni 90, i suoi pari lo guardano come se stesse parlando una lingua aliena.
Non è in grado di adattarsi neanche ai social. Forse è nato in un'epoca diversa da quel che sarebbe dovuto essere.
E così, alla fine, è nuovamente rimasto solo.
Ora però le voci nella sua testa si sono fatte più forti, e l'unico modo per sopportare i loro continui sussurri era quello di mettere musica ad un volume ancora maggiore.
Però, il vero problema era già arrivato lungo addietro, molto prima che lui se ne accorgesse.
Era per caso lui quello inadatto?
Perché non riusciva a divertirsi anche con gli altri?
Perché non riusciva a fare altro che starsene su un letto a fare nulla?
Senza rendersene neanche conto, ad ogni domanda che gli annebbiava la mente, lui alzava il volume.
Ad ogni quesito che lo faceva sentire sempre più solo premeva quel dannato pulsante.
Era diverso dagli altri?
E se lo era, cosa lo rendeva tale?
Ben presto, senza neanche riuscire a separare pe voci dalla musica, lui imperterrito, continuava ad aumentare il supplizio per il suo corpo e la sua mente.
Le chitarre, provviste di acuti sempre maggiori, iniziarono a toccargli i timpani dal profondo.
Continuava lui, ad usurarsi il dito in quella azione ripetuta, mentre le orecchie invocavano pietà.
Il danno era oramai fatto, ma lui continuava a non voler ascoltare, quel volume, sempre più alto.
Quel suo amore, che lo stava conducendo al baratro.
Il sangue iniziò a riempire gli incavi degli auricolari, sotto un dolore che lui non vedeva, nascosto dai suoi irrefrenabili pensieri.
La vista, che nonostante gli occhiali si faceva appannata e il cuore, che a ritmo battuto faceva pompare il sangue fuori dagli orifizi non erano nulla per lui.
Non erano altro che suoni da aggiungere a quella rovinosa melodia.
Fu così che iniziò il crescendo delle precedenti chitarre, in un assolo sempre più acuto, rimuoveva quel poco che a lui rimaneva.
Gli prendeva tutto quel che aveva.
Sentendosi ovattato, lui però non faceva altro che provare ad alzare ancora maggiormente il volume.
La testa cadde di lato, sulla parete spoglia che affiancava il suo cuscino oramai di un rossastro innaturale.
Con l'urto, le cuffie, rovinate dalla continua usura, come catene si spezzarono. Tuttavia era troppo tardi, mentre nello sguardo vuoto del giovane si riversava lo stesso fischio incolore, che nei timpani oramai assenti si stava ancora facendo eco attraverso il vuoto.
Un doloroso silenzio ora emetteva il suo rumore in quella cameretta spoglia e senza pareti insonorizzate.
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