Il Festival della Scienza
Senza un apparente motivo mi trovai a camminare per le vie di quello strano paesino. Camminavo e camminavo, osservando con nostalgia ciò che mi circondava: uno dei pochi paesi rimasti a non essere industrializzati, o almeno, qui nella Provenza. Quella sera era il festival della scienza. La scienza aveva fatto passi da gigante, da quando ero un ragazzino io. Tutta colpa mia e dei miei genitori incompetenti che mi avevano permesso di farmi iniettare quella schifosa sostanza che mi avrebbe dato il dono dell' immortalità. Più che dono una perenne maledizione che non concede ripensamenti. E adesso invece avevo così tanti anni che nemmeno riuscivo a contarli, ero un vecchio ormai decrepito che s'aggirava per le città confuso. Avevo vissuto così tanto tempo che ormai volevo andarmene in pace e salutare la Terra.
Ciò che caratterizzava la Provenza una volta adesso si era volatilizzato nel vento e nelle nuvole nere che ricoprivano il cielo. Le lavande non si vedevano più ed anzi adesso quel posto era conosciuto unicamente per i suoi imponenti grattacieli. Il mare? Ormai nessuno più sognava di trovarci una bottiglia con messaggio da parte di qualche pirata, intrappolato su un'isola deserta, quanto un poco d'acqua cristallina.
Mi aggirai ancora a lungo finché non notai, con la coda dell' occhio, una donna. Faceva vedere ai bambini ciò che, negli altri paesi, era la vita quotidiana e non una speciale apparizione annuale. I miei occhi si soffermarono sul suo viso per più di un attimo, per più di quel secondo che dedicavo a tutti gli altri. Sembrava aver centinaia d'anni, eppure era così impostata e curata. Occhi felici e sorridenti, occhi azzurri che dal tempo probabilmente non vennero spenti improvvisamente mi abbracciarono l'anima. La guardai e la osservai, doveva aver preso la mia stessa, orrida decisione eppure forse lei viveva come poteva invece di crogiolarsi nella rassegnazione. Sorrideva e rideva coi bambini con una dolcezza inaudita, un cuore di vastità indefinita che faceva battere anche il mio. Forse a trecento anni non ci si può più innamorare eppure io lo avevo appena fatto, così, a prima vista. La osservai, fermo in piedi tenendo stretto il mio bastone. Avevo un'età così alta che ormai faticavo a camminare, ero un miserabile. Non me ne accorsi finché non vidi il buio della notte, finché non vidi ogni bancarella venir trascinata via, ma ero rimasto lì ore. Mi guardai i piedi, i miei pantaloni sgualciti, riflettei e un'attimo dopo alzai lo sguardo. Ma s'era volatilizzata.
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