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CAPITOLO XXI.

Akashi si guardò intorno: quella stanza era così bianca da risultare quasi accecante... E soprattutto, non sembrava per niente solitaria, triste e isolata come quella della prigione.

Certo, non gli dava comunque l'aria di essere a casa, ma decisamente le si avvicinava molto di più: il letto era morbido, c'era una scrivania con alcuni fogli e matite, aveva anche un armadio con vari vestiti forniti direttamente dal luogo, e la finestra, nonostante avesse le sbarre, era comunque più grande di quella della sua cella e faceva entrare molta più luce.

Ormai viveva lì da una settimana, e si stava abituando: ogni giorno parlava con i dottori e faceva degli esami; aveva dovuto parlare del suo trauma passato, avevano indagato se altri fattori di quando era più piccolo avessero agito in quei momenti, e come stesse adesso.

Per il momento, avevano giudicato che stava riuscendo a riprendersi, e stavano evitando di dargli dei farmaci per vedere come avrebbe reagito.

Lo tenevano d'occhio, ma gli avevano dato l'occasione, quando era sotto il controllo dei dottori, di usare un computer per iniziare a scrivere, e in camera aveva dei libri che poteva leggere.

Gli mancava parecchio; sia leggere, ma soprattutto scrivere.

Poteva finalmente riprendere a buttare giù le sue idee, a esprimersi, a pensare, stare solo con dei pensieri che fossero diversi dalle sue colpe, che gli tenessero compagnia, e che lo potessero aiutare a riprendere in mano tutto ciò che aveva fino a qualche anno prima.

Aveva iniziato a informarsi sulle università, aveva letto le notizie più importanti di ciò che era accaduto negli ultimi anni in Giappone e nel mondo, e aveva iniziato a fare uno schema di ciò che avrebbe fatto una volta uscito da lì.

Sapeva che i suoi genitori avrebbero voluto averlo vicino per un po', per cui sarebbe stato a casa loro il tempo degli anni di università che intendeva svolgere, e intanto avrebbe continuato a scrivere.

Una volta conclusi quelli, si sarebbe trovato un suo appartamento e avrebbe cercato qualche giornale da cui farsi assumere, mandando intanto avanti la sua attività da scrittore in privato.

Si era sentito bene, a poter tornare a stimare ciò che doveva fare, organizzarsi, avere qualche certezza in più, invece che trovarsi nell'oblio più totale.

Avrebbe avviato tutto quello una volta che fosse uscito da lì; e intanto... aveva solo un'altra incognita nel suo futuro.

Ma non era qualcosa di cui doveva occuparsi in quel momento: sapeva che sarebbe sicuramente accaduto, aveva tutto il tempo del mondo per pensarci.

Adesso, doveva riprendere in mano la sua vita e pensare a come ringraziare i suoi amici per ciò che avevano fatto.

- Akashi, hai visite- dichiarò uno dei dottori, entrando nella stanza comune.

- Arrivo- il ragazzo salvò velocemente ciò che stava scrivendo e si alzò dal tavolo, avvicinandosi alla porta della stanza.

Il dottore controllò che non stesse portando fuori nulla e che non avesse addosso niente di strano, prima di dargli il permesso di uscire.

Ad Akashi faceva strano poter camminare per quei corridoi da solo: sapeva che ai pazienti che si comportavano bene ed erano più stabili era permesso, ma visto che aveva passato anni a venire scortato ovunque, era qualcosa a cui non era più abituato.

Eppure, con calma doveva pian piano rincominciare a vivere come faceva prima: riabituarsi a cucinare da solo, vestirsi con i vestiti che sceglieva lui, andare dove desiderava, poter fare certe cose senza chiedere il permesso, maneggiare oggetti che per anni si era solo potuto immaginare...

Era una libertà così grande, e per molti così scontata, che quasi gli faceva strano pensare di averla ottenuta indietro.

Eppure era successo, e lui aveva ancora tante persone da ringraziare, per cui non poteva perdere tempo a compatirsi.

Arrivato in sala visite, sorrise nel vedere il gruppetto che era andato a trovarlo: Suga andava spesso, accompagnato da Daichi quando non lavorava, ma quel giorno con loro c'erano anche Yaku, Lev, Oikawa e Iwaizumi.

- Eccoti qui!- esclamò Koushi con un sorriso.

- Ciao ragazzi- salutò Keiji, andando a sedersi al tavolo di fronte a loro.

- Hai seguito il mio consiglio e ti sei tagliato i capelli eh? Bravo ragazzo, sempre seguite i miei consigli- dichiarò Toru.

- Veramente, li porto come li portavo un tempo- fece notare Keiji.

- I tuoi consigli metà delle volte fanno schifo- dichiarò Hajime.

- Cattivo Iwa-chan! I miei allievi non la pensano per niente così! E dimentichi che abbiamo vinto grazie all'incredibile abito che ho fatto portare ad Akashi?- ribattè Toru, con aria offesa.

- Certo, abbiamo vinto per quello, mica perché un gruppo di ragazzi che avrebbe potuto odiarlo è andato in massa a testimoniare per lui e perché Tsukishima ha trovato tutte le prove della sua momentanea instabilità mentale. È stato sicuramente per il vestito che gli hai fatto indossare- sbuffò Hajime.

- Visto che lo riconosci anche tu?- affermò Toru con un sorriso; Iwaizumi si voltò verso i suoi amici.

- Se lo uccido mi tirate fuori voi?- chiese.

- Ci puoi contare!- esclamò Lev.

- Per parlare di cose serie... Come te la stai cavando Akashi?- chiede Yaku, ignorando il fatto che il suo ragazzo stava iniziando a discutere con la più grande diva di tutti i tempi.

- Bene: sto cercando pian piano di informarmi su cos'è successo mentre ero in prigione, e sulle mie strade per il futuro. Sto iniziando a riabituarmi a una certa libertà- affermò Keiji.

- Dopo tanta tranquillità, immagino che per te sarà un trauma tornare in mezzo al caos della città- commentò Daichi.

- Non nego che l'idea un po' mi spaventa: non sono più abituato al traffico, a tanta gente intorno a me, e a dover conversare anche se per poco con degli sconosciuti. Però... Lo preferisco alla solitudine totale di quando ero in cella. Qui si respira già un'aria più allegra, ma anche un tempo ero abituato a stare nei bar a studiare o scrivere quando capitava, per cui per me non è un problema. E poi, so che mi riabituerò in fretta- dichiarò Keiji.

- Facci sapere se possiamo fare qualcosa per te, anche una volta che sarai fuori: vogliamo che tu sia in grado di riprendere la tua vita al massimo- dichiarò Yaku.

- Vi ringrazio davvero, ma per il momento non mi serve nulla: i miei genitori mi hanno già detto di stare un po' a casa con loro, l'università in cui volevo provare a entrate è lì vicina e al momento mi dicono tutti che è meglio che pensi a riposarmi, per cui non ho molti altri progetti. Anzi, vorrei che foste voi a dirmi se posso fare qualcosa per sdebitarmi per tutto ciò che avete fatto per me- dichiaró Keiji.

- Pensa a riprenderti e riposare, sarà più che sufficiente- borbottó Koushi, e il ragazzo sorrise leggermente.

- Lo farò- dichiarò con un sorriso.

- Ti serviranno anche amici con cui uscire no? Noi siamo i migliori che potrai trovare- affermò Toru.

- Giuro, se la città potesse essere alimentata grazie alla tua vanità, avremmo energia sufficiente a vita- borbottó Hajime.

- Diventerei ancora più indispensabile!- dichiarò Toru con un sorriso.

- Ragazzi, saremmo qui per Akashi- fece notare Daichi.

- Appunto: ha bisogno di un po' di magnificenza, e anche di un po' di libertà! E io posso dargli entrambe- affermò Toru, continuando a sorridere.

- Però è vero, se usciamo tutti insieme di sicuro non puoi non divertirti!- esclamò Lev con un sorriso.

- Valuterò l'opzione, vi ringrazio- dichiarò Keiji.

Sicuramente, quei ragazzi erano molto più sociali di lui, anche se avrebbe impiegato un po' ad arrendersi all'idea che forse doveva aumentare le sue abilità sociali.

Doveva riprendere in mano la sua vita al massimo in fondo, almeno doveva provarci.

Osservò per un attimo i ragazzi di fronte a lui; ogni volta in cui li aveva visti era stato tentato di chiedere loro di Bokuto, ma sapeva bene che non sarebbe stato giusto.

Quel ragazzo aveva specificato il suo ruolo, e cosa dovesse fare se voleva davvero rincontrarlo; come Bokuto ce l'aveva messa tutta per tirarlo fuori da lì, lui ce l'avrebbe messa tutta per mantenere intatta la possibilità che gli aveva dato.

- Akashi-. Il ragazzo alzò lo sguardo, sorpreso di sentire una voce femminile chiamarlo.

Sbarró gli occhi: quella... Era Natsu, la sorellina di Hinata.

L'aveva vista solo un paio di volte nelle foto che Kenma gli faceva vedere di Hinata, tanto che quando l'aveva intravista al processo a malapena l'aveva riconosciuta, e di sicuro non si aspettava di trovarsela lì.

Daichi si alzò.

- Ciao Natsu; ti vuoi sedere?- le chiese.

- Ti ringrazio- la ragazza gli rivolse un sorriso e si accomodò di fronte ad Akashi.

Il moro stava cercando qualcosa da dire, ancora colto alla sprovvista da quella visita, ma la ragazza, in perfetto stile Hinata, non gliene diede il tempo e parlò prima di lui.

- Sono qui per... Rappresentare le famiglie di tutti, diciamo. I miei genitori, così come quelli di Kageyama, di Kenma e Kuroo... Ci tenevano che sapessi che odiano ciò che è successo loro, ma non abbiamo mai pensato di incolparti, anzi, immaginiamo quanto debba essere stato diffiicile per te e sappiamo che devi avere fatto tutto ciò che potevi in quel momento. I signori Kozume hanno detto che ti ringraziano per essere sempre rimasto vicino a loro figlio... Hanno detto che essere tuo amico lo rendeva felice-.

Akashi rimase per un attimo immobile, avvertendo i suoi occhi pizzicare leggermente nel sentire quel discorso: aveva sentito le loro parole all'udienza, ma quasi non riusciva a crederci che lo avessero compreso e non lo odiassero per essere sopravvissuto al posto dei loro bambini.

Deglutì appena.

- Ti ringrazio molto per avermelo detto... E per aver capito. Al momento non posso ancora fare molto, ma se c'è qualcosa di cui avete bisogno, farò il possibile per aiutarvi- affermò, e la ragazza sorrise.

- L'orario di visite è finito- annunciò uno dei medici.

- Noi andiamo; torniamo a trovarti appena possiamo- affermò Koushi, mentre tutti si alzavano.

- Vi ringrazio per la visita- disse Keiji.

- Quando vuoi, la mia magnificenza è sempre a tua... Ahia, Iwa-chan!- sbuffò Toru.

- Lo porto via- dichiarò Hajime, afferrando la mano del ragazzo e trascinandolo via.

- A presto Akashi- salutò Yaku.

- Ciao ciao!- esclamò Lev.

- Facci sapere se hai bisogno di qualcosa- gli disse Daichi.

- Certo. Grazie ragazzi, a presto- disse Keiji, facendo a tutti loro un ultimo cenno con la mano, prima di voltarsi e tornare indietro.

Come prima controllarono che non avesse niente addosso, lasciandolo poi entrare tranquillamente.

Visto che era ancora presto per la cena, Akashi decise di tornare nella sua stanza; chiuse la porta alle sue spalle e si diresse verso la finestra, osservando fuori da essa.

- Mi dispiace- sussurró - mi dispiace, Kenma, che io non abbia saputo fare niente per salvarti. So che sei stato felice di morire tra le sue braccia, ma egoisticamente mi sarebbe piaciuto averti ancora al mio fianco. Sei sempre stato... Un amico importante per me.

- Hinata, Kageyama, mi dispiace anche di non essere riuscito ad arrivare subito da voi; di aver perso tempo, di non essere riuscito a bloccare quell'emorragia, o ad accorgermi prima del vostro stato. Spero siate ancora uno tra le braccia dell'altro.

- Kuroo, mi dispiace di non essere riuscito a proteggere Kenma e di non essermi accorto prima che non stavi bene, di non aver potuto aiutare in alcun modo- si zittí per un attimo, prima di riprendere a parlare.

- Se potessi tornare indietro, farei tutto in modo diverso: cercherei di accorgermene prima, di trovare un modo per aiutarvi, per tenervi qui con tutti noi. Ma purtroppo... Non posso tornare indietro, posso solo andare avanti.

- Non ho modo per accertarmi di avere il vostro perdono, posso solo pensare, visto quanto siete sempre stati buoni con me, che non ce l'abbiate con me... E che anche voi vogliate che io vada avanti. Farò di tutto per riuscirci, per non gettare la vita che ho ancora, e cercherò di farlo anche per voi.

- Spero che siate riusciti a ritrovarvi tutti insieme, che siate felici, e che farete il tifo per me: perché ormai... È questo ciò che ho deciso di fare- affermò.

Aveva deciso di vivere, e l'avrebbe fatto con tutte le sue forze.

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