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CAPITOLO VIII.

- Allora Akashi! Come ti senti oggi?- chiese Koutaro, sedendosi di fronte al ragazzo.

- Bene- rispose Keiji, quasi d'istinto.

- E la risposta successiva?- ridacchiò Koutaro.

Akashi rimase in silenzio per un attimo.

- Mi sto abituando- mormorò.

- Ti stai accorgendo di cose nuove?- chiese Koutaro; il minore annuì.

- Mi tengono separato dagli altri detenuti, ma quando li incontro mi guardano sempre con aria di curiosità, alcuni sogghignano, altri dicono cose... Penso che tutti loro credano che sono nuovo, visto che in pochi mi hanno visto prima- dichiarò Keiji.

- E questo come ti fa sentire?-.

Akashi ci pensò per un attimo.

- In realtà, la cosa in sé non mi dispiace: non sono mai stato particolarmente socievole, quindi anche avere i miei orari per fare tutto e non dover incontrare gli altri detenuti non è un problema... Anche se dovessi fare tutto da solo senza che le guardie vengano a scortarmi non sarebbe un problema non vedere proprio nessuno- dichiarò.

- Però, c'è qualcosa che ti disturba vero?- chiese Koutaro.

Akashi annuì.

- Per qualche motivo, in un certo senso mi dà fastidio. Però io non sono uno che cerca attenzioni o conoscenze, anche nella mia squadra o nella mia classe non avevo amici, ci sono abituato e per me non è mai stato un problema- affermò.

Era un tipo solitario, ma comunque era disposto a fare amicizia, se accadeva: semplicemente, con quasi tutte le persone che aveva incontrato aveva capito che non avrebbe funzionato, non erano le persone che desiderava al suo fianco come amiche.

- Non hai nessuna teoria?- chiese Koutaro con un sorriso.

Ormai, aveva iniziato a conoscere piuttosto bene quel ragazzo: si vedevano un giorno, parlavano di come si sentisse, delle novità, pian piano lo stava aiutando a riconnettersi con le sue emozioni correnti.

E nel giorno in cui non si vedevano, Akashi ci pensava, ragionava sulle sue emozioni, su ciò che sentiva intorno, su tutto quello a cui comportava.

Grazie al suo lato razionale, in un paio di settimane avevano fatto passi avanti incredibili: Akashi ormai parlava tranquillamente con Bokuto, la sua ansia con quel ragazzo era quasi totalmente svanita, aveva iniziato a concentrarsi solo sul compito che il maggiore gli aveva affidato, invece di tutto ciò a cui avrebbe portato o che ne sarebbe potuto scaturire.

E il fatto che Bokuto sembrasse sempre più felice a ogni suo progresso lo aiutava parecchio.

- Probabilmente, non mi manca la sensazione di avere amici o di essere in mezzo alle persone ma... Di essere considerato umano- mormorò Keiji.

L'aveva detto Aristotele: l'uomo è animale politico.

L'uomo ha bisogno di stare con altri uomini, e per quanto Akashi stesse bene anche da solo, riconosceva che anche solo per cose banali come uscire a fare la spesa o essere in classe era necessario interagire con le altre persone.

Anche se non aveva grandi amici, comunque era abituato a stare in mezzo ai suoi compagni di classe, e spesso e volentieri li aiutava con gli esercizi; era abituato a stare con i ragazzi della pallavolo, allenarsi e parlare insieme a loro; era abituato a prendere i mezzi di trasporto, alzarsi per fare sedere gli anziani o i bambini o anche solo parlare per chiedere "permesso" e riuscire a passare; era abituato ad andare al bar, a fare la spesa, a fare commissioni per i suoi genitori...

In un modo o nell'altro, anche se spesso si trattava di sconosciuti, comunque era abituato a interagire con le altre persone.

Da quando era arrivato lì, era stato il primo a non volerlo: temeva di rifare ciò che aveva già fatto, di fare del nuovo del male a qualcuno, ed era l'ultima cosa che voleva.

Ma il fatto che le guardie lo trattassero come un animale e gli altri detenuti come un giocattolo... Di sicuro, non lo faceva sentire come se fosse ancora umano.

- Qui in prigione purtroppo è dura incontrare qualcuno che ti tratti come tale... Anche se ci sono sicuramente in giro guardie e persone buone!- esclamò Koutaro con un sorriso.

Per qualche motivo, il pensiero di Akashi corse a un ragazzo dai capelli mori che conosceva: sapeva che il suo desiderio era sempre stato entrare nelle forze dell'ordine... Chissà se alla fine ce l'aveva fatta...

- Stai pensando a qualcuno di specifico?- chiese Koutaro.

- Si, un vecchio amico... Il suo desiderio era diventare poliziotto. È un ragazzo serio e diligente, ma è anche gentile e sa come fare sentire le persone a casa, per cui sono sicuro che sia perfetto per questo ruolo- mormorò Keiji.

Bokuto cercò di non cambiare troppo espressione, ma era palese che stesse parlando di Daichi...

- Come ti fa sentire pensare a lui?- chiese Koutaro.

Akashi rimase per un attimo in silenzio.

- Da un lato... Bene, perché è sempre stato un bravo ragazzo, mi ha accolto nel suo gruppo fin da subito, trattandomi con parità e rispetto senza farsi alcun problema. In effetti, tutta la sua squadra lo ha fatto, anche se alcuni in modo meno tranquillo rispetto a lui... Ma si vedeva che erano una squadra unita, facevano stare bene-.

Bokuto non poté fare a meno di notare il timido sorriso comparso sul volto di Akashi mentre ne parlava, e anche che il suo volto si era illuminato appena.

- Però, dopo ciò che è successo... Immagino di averli distrutti- sussurró Keiji, abbassando appena lo sguardo.

- Distrutti in che senso?- chiese Koutaro.

- Anche se la mia parte razionale mi dice che sicuramente sono riusciti ad andare avanti, e che probabilmente alcuni di loro hanno cercato anche di capirmi... Comunque, il mio gesto ha portato loro parecchio dolore- mormorò il corvino.

Aveva perso il conto delle persone che avevano sofferto a causa sua, ma sapeva che erano tante ed era un altro motivo per cui era deciso a pagare per ciò che aveva fatto.

- Hai ragione, ma ne hai sofferto anche tu, giusto?- chiese Koutaro.

Akashi serrò le labbra.

- Prima che tu lo possa dire... Il fatto che tu sia parte di quella sofferenza, non significa che non possa soffrirne. Tutti hanno il diritto di soffrire, anche per i propri errori, anche quando fanno stare gli altri- dichiarò il maggiore - anche tu, Agahshi-.

Il moro non rispose.

Lo sapeva, logicamente aveva senso, ma con ciò che aveva fatto sarebbe stato molto più normale se loro semplicemente lo avessero odiato.

Lui... Per molto tempo, aveva sentito di non avere diritto di soffrire.

- Ti mancano quei tuoi amici?- chiese Koutaro.

Akashi alzò lo sguardo su di lui. Gli mancavano? Non ci aveva mai pensato... Pensava di non avere il diritto di sentire la loro mancanza, di stare male per loro.

Eppure...

- Non li vedevo tanto spesso, però... Sapevo che erano sempre lì- sussurró; anche se erano in squadre diverse, anche se si vedevano poco, si sentiva sempre bene quando era insieme a loro.

E soprattutto... Insieme a lui.

- Lui mi manca- sussurró, deglutendo appena.

Rimase per un attimo in silenzio, come sa lo avesse appena realizzato; Bokuto lo lasciò fare, lasciò che quella consapevolezza si facesse largo nel ragazzo, che lui lo comprendesse com'era giusto che fosse.

- Lui... Mi manca- ripetè nuovamente Keiji, a voce leggermente più alta.

Non l'aveva mai detto, non l'aveva mai realizzato, era successo tutto troppo in fretta perché potesse farlo: ma quel ragazzo... Gli mancava.

- Mi manca... Lui... Riusciva a capirmi- sussurró - eravamo simili, sotto certi punti di vista. Ci capivamo, stavamo bene insieme; lui non mi giudicava, capiva il mio bisogno di solitudine, non mi forzava a niente. È stato il mio primo vero amico- mormorò.

Bokuto continuò a rimanere in silenzio; non si stupiva affatto che la pensasse così... Quei due in fondo avevano davvero molto in comune.

- Le persone dicevano che la nostra amicizia era strana, i nostri messaggi parevano freddi e ci vedevamo poco ma... Era il nostro modo di essere amici, in pochi lo capivano... Lui lo capiva, loro lo capivano- sussurró Keiji, mentre varie immagini iniziavano a comparire nella sua mente.

Quando quel ragazzo era andato a parlargli, facendogli i complimenti con una freddezza tale che Akashi per un attimo non era riuscito a capire se stesse scherzando o meno; ma poi avevano iniziato a parlare di pallavolo e aveva capito che non scherzava affatto, era semplicemente fatto così.

Si erano scambiati i contatti per darsi consigli da alzatori, e con naturalezza avevano finito per diventare amici; era stato grazie a lui se aveva conosciuto tutti gli altri, se aveva avuto degli amici, se non aveva più passato i compleanni da solo, se nel suo bisogno di solitudine aveva trovato spazio per qualcun altro.

Era stato tutto grazie a lui... E quel ragazzo gli mancava da morire, lui e tutto ciò che gli aveva donato; e che lui stesso aveva gettato via.

- Ti posso abbracciare?-.

La domanda di Bokuto gli sembrò talmente strana che per un attimo non la capí; poi si rese conto di aver smesso di parlare, e di aver iniziato a piangere.

Per un attimo ne rimase confuso, quasi spaventato; non era più abituato a piangere, anzi aveva pianto molte poche volte nella sua vita, non aveva idea di come affrontarlo.

Annuì appena e in un attimo Bokuto fu di fianco a lui, le braccia muscolose del maggiore che circondavano il suo corpo, cercando di tenerlo più stretto a sé possibile, per quanto le manette e il fatto che fosse obbligato a stare seduto glielo consentissero.

Bokuto ringraziò che ci fosse Daichi di guardia, altrimenti l'avrebbero già obbligato a staccarsi da lui... Ma non l'avrebbe mai fatto, era la prima volta in cui Akashi si sfogava in quel modo, non voleva interromperlo per alcun motivo.

Lasciò che il corvino singhiozzasse per un po' tra le sue braccia, che si sfogasse, che accettasse, per la prima volta da forse più tempo di quanto lui stesso pensasse, di fare affidamento su qualcun altro e lasciare andare i suoi sentimenti.

Akashi avvertì un dolore dilaniante farsi largo nel suo petto, impossessarsi di lui, cercare di prendere il sopravvento, quasi fino a impedirgli di respirare.

Ma le braccia rassicuranti di Bokuto, il suo profumo, il modo in cui gli sussurrava di lasciare andare tutto ciò che sentiva gli stavano ridando il respiro, impedendogli di soffocare nel suo stesso dolore.

Pianse per un tempo che non riuscì a calcolare, tutte le lacrime per la perdita del suo migliore amico che non aveva versato in quegli anni vennero all'improvviso a galla, trascinando con loro tutti i sentimenti che aveva sempre trattenuto.

- Se solo... Se solo non...-.

Bokuto lo strinse leggermente più forte, cercando di mantenere la calma: era sempre riuscito, nonostante la sua sensibilità, a non farsi trascinare dalle emozioni dei pazienti, ma sapendo a cosa si riferisse quel ragazzo stava facendo fatica a non crollare.

Ma era lì per lui in quel momento, non per sé stesso: doveva occuparsi prima di quel ragazzo.

- Anche se avessi agito in modo diverso, comunque, almeno per lui... Non c'era più speranza- sussurró Koutaro, ben sapendo che, anche se Akashi avesse preso un'altra decisione, per quel ragazzo sarebbe stata comunque la fine.

Akashi serrò appena le labbra.

- Io... Voglio parlarne- sussurró.

Bokuto si staccò appena da lui e lo guardò negli occhi.

- Ne sei sicuro? È qualcosa di molto pesante da raccontare, soprattutto visto che non ci hai pensato per tutto questo tempo. Possiamo aspettare la prossima volta- disse, ma Akashi scosse la testa.

- Ho bisogno di farlo adesso, adesso posso ricordare tutto meglio rispetto a quando provo a non pensarci. Ho bisogno... Che tu sappia tutto-.

Bokuto lo fissò per un attimo: Akashi non aveva solo bisogno di parlarne, aveva bisogno di riuscire finalmente a dire a qualcuno come si fosse sentito lui, cosa fosse successo, perché fosse finito in quel modo.

Neanche lui stesso aveva voluto ascoltare le sue giustificazioni, per questo aveva così bisogno che qualcuno lo facesse; e aveva bisogno che quel qualcuno rimanesse comunque al suo fianco, che potesse perdonarlo almeno lui.

- Va bene; ci faccio portare un po' d'acqua, così intanto riordini le idee, va bene?- disse, e Akashi annuì.

Bokuto gli diede un'ultima stretta prima di uscire dalla stanza, dirigendosi in quella di fianco.

- Hai rischiato, sei fortunato che il mio collega si sia addormentato- mormoró Daichi, mentre Bokuto si avvicinava alla macchinetta; anche se il moro non aveva potuto sentire niente, aveva intuito qualcosa e Bokuto capì dal suo tono che si stava sforzando di mantenere i nervi saldi.

- Lo so- rispose Koutaro, mentre selezionava l'acqua tra le possibili bevande della macchinetta - ma... Ne vuole parlare. Non posso mollare ora-.

Daichi si voltò di scatto verso di lui.

- Pensi sia pronto?- mormorò.

Bokuto fece un piccolo sorriso.

- Si è mai veramente pronti per cose simili?- commentò, prima di uscire dalla stanza per tornare in quella di fianco.

- Eccomi qui!- esclamò, mentre apriva la bottiglietta e la posava davanti ad Akashi.

Il minore ne bevve una lunga sorsata mentre Bokuto si sedeva nuovamente di fronte a lui.

Akashi riappoggiò la bottiglietta e alzò lo sguardo sul maggiore, che lo osservava con un sorriso rassicurante in volto.

Deglutì appena e fece un respiro profondo; non aveva mai raccontato quella storia, ma l'aveva vissuta... Ed era giunto il momento che qualcuno la ascoltasse.

- Tutto è iniziato con quell'incidente- iniziò; l'incidente che aveva cambiato per sempre entrambe le loro vite.

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