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CAPITOLO I.

Chiunque avesse visto quella stanza, avrebbe pensato che dentro ci vivesse un pazzo: la scrivania era completamente in disordine, c'erano delle merendine sparse un po' ovunque, fascicoli che fuoriuscivano dai cassetti, foto appese al muro; e anche il proprietario non era messo meglio: aveva sempre qualche vestito fuori posto, i suoi capelli sembravano avere una vita tutta loro e il suo comportamento era imprevedibile.

Eppure, nonostante la giovane età, era anche il miglior psichiatra di tutta Tokyo, a detta dei suoi pazienti.

- Aveva ragione su quelle medicine dottore! Alla fine non mi servivano; ora sto molto meglio!- esclamò il ragazzo dai capelli rossi, accomodato sul divano destinato ai pazienti.

Davanti a lui c'era un tavolino, che lo divideva dalla poltrona sulla quale era seduto il dottore.

- Hey Hey Hey Tendou! Te l'avevo detto: non ti servono le medicine, devi solo volerti tanto bene!- esclamò allargando le braccia.

Tendou scoppió a ridere.

- Sei veramente unico dottore! Penso che presto sarò pronto per quella foto- dichiaró, facendo l'occhiolino.

Il sorriso del dottore si allargò.

- Dici davvero?! Ne sono super felice! Sappi che organizzerò un'immensa festa, devi essere vestito al meglio per la nostra fotografia!- dichiaró, facendo ridere nuovamente il rosso.

- Non vedo l'ora che arrivi il giorno della festa!- esclamò.

- Così mi piaci. Ci vediamo la prossima settimana va bene? Mi raccomando, continua così- disse il dottore, mentre entrambi si alzavano.

Ormai la seduta era conclusa, per cui si diressero verso la porta.

- Ci può contare! A presto dottore- Satori diede un abbraccio al ragazzo, che ricambió volentieri, prima di aprire la porta per farlo uscire dallo studio.

Il dottore osservò un ragazzo dai capelli verde scuro, quasi marroni, e il fisico imponente alzarsi dalla sedia su cui si era accomodato in sala d'attesa; Tendou gli corse incontro e i due si allontanarono, ma non prima che il più alto avesse lanciato uno sguardo carico di ringraziamenti al dottore.

Il bicolore non potè fare a meno di sorridere mentre richiudeva la porta.

Lo sguardo gli cadde sulla targhetta attaccata al legno: dottor Bokuto.

- E dire che, fino a poco tempo fa, non avrei mai pensato di fare lo psichiatra- rise, voltandosi.

Osservó le foto che aveva appese al muro: erano le foto di tutti i suoi pazienti che erano riusciti a guarire.

Le faceva per ricordo: per ricordare a loro tutto il percorso che avevano affrontato insieme, tutto ciò che avevano passato, e che finalmente adesso erano liberi di vivere anche senza il suo costante aiuto; e anche per lui, per ricordarsi tutto il bene che faceva, quanto era felice nel vedere quelle persone tornare alla loro vita, nel sapere di aver fatto la differenza.

Ogni volta che scattava una foto era felice, perché significava che adesso c'era una persona in più che stava tornando a vivere grazie a lui.

Però, una parte di lui era anche un pochino triste: era un ragazzo molto socievole, amava circondarsi di persone e caos, per cui gli dispiaceva un po' doversi separare da gente con cui aveva condiviso molte ore.

Ma quello era il suo lavoro in fondo; e farlo gli piaceva. Nonostante fosse psichiatra da circa un anno e mezzo, si era accorto di essere davvero bravo, tutti i suoi pazienti lo ringraziavano sempre di cuore e lui era sempre più felice di aver scelto quella strada.

Anche se il motivo che l'aveva spinto a sceglierla non era altrettanto felice.

Sentì bussare alla porta e gettò uno sguardo all'orario: era certo di aver finito i pazienti per quel giorno, ma data la sua scarsa memoria e attenzione per i suoi impegni non ne era poi così sicuro.

Si voltò e aprì la porta, trovandosi di fronte la sua assistente: una ragazza bionda, con un paio d'anni meno di lui, l'aria sempre nervosa, ma che in realtà era davvero affidabile e una grande lavoratrice.

- Ciao Yachi! Qualche notizia per me?- le chiese allegramente Koutaro.

La ragazza sorrise: come sempre, quel dottore riusciva a mettere tutti di buon'umore.

Quando, un paio di mesi prima, aveva fatto il colloquio come assistente di un grande psichiatra aveva temuto di non esserne all'altezza, ma in realtà quel ragazzo era riuscito subito a metterla a suo agio, si era quasi dimenticata di essere a un colloquio di lavoro... Anche perché già lo conosceva per vie traverse, quindi Bokuto più che altro le aveva fatto domande sulla sua vita.

A furia di lavorare per lui aveva scoperto che quel ragazzo era disorganizzato, smemorato e il suo umore era davvero difficile da gestire, come le avevano raccontato; però, la sua allegria le faceva sempre venire voglia di sorridere.

- Dottore, hanno risposto finalmente- dichiaró.

Gli occhi del ragazzo si illuminarono.

- Dici davvero?! E cos'hanno detto?!- chiese.

- Hanno accettato. Hanno anche detto che, se vuole, può andare là già domani- affermò la ragazza.

- Ma è fantastico! Allora andrò subito domani! Hanno dato altre indicazioni?- chiese Koutaro.

- Hanno detto che dovrai fare dei controlli una volta arrivato, e prima ti faranno parlare con la dottoressa del luogo- spiegò Yachi.

Bokuto fece un sorriso furbo.

- Intendi la tua ragazza?-.

La bionda arrossí leggermente.

- Si... Ha detto che, per quanto riguarda medicine e simili, poi dovrai riferire sempre a lei- mormorò.

- Nessun problema. Ci pensi tu a fargli sapere a che ora arrivo?- chiese Koutaro.

- Certo- rispose Yachi.

- Perfetto! Allora vado a casa a prepararmi; domani sarà una giornata impegnativa- Koutaro le rivolse un sorriso e un saluto con la mano, che Yachi ricambiò volentieri, prima di superarla.

Attraversò la sala d'attesa e il corridoio che conduceva verso la porta, passando di fianco alla postazione da receptionist di Yachi, prima di uscire dalla porta dello studio.

Da un lato gli dispiaceva lasciare la ragazza a sistemare le ultime cose... Dall'altro, quando aveva provato a mettersi a sistemare avevano impiegato una settimana a capire dove avesse messo le cose, per cui Yachi gli aveva impedito di compiere nuovamente qualunque azione implicasse il mettere in ordine.

E in quel momento, aveva comunque troppi pensieri per la testa per riuscire a concentrarsi.

Girò il cartellino che indicava che lo studio ora era chiuso, dopodiché si diresse verso gli ascensori, dall'altro lato del corridoio.

Aveva avuto la fortuna di trovare uno studio che si stava liberando in contemporanea all'appartamento al piano di sopra; i suoi genitori gli avevano pagato l'università e lui aveva lavorato per tutto il tempo degli studi, per cui aveva potuto permetterseli senza troppi problemi, e risparmiando sui trasporti aveva potuto permettersi anche praticamente subito un'assistente che si occupasse di.... bè, un bel po' di cose, tra gestire gli appuntamenti e tenere sistemato quel posto aveva molto da fare.

Doveva ringraziare i suoi amici che li avevano messi in contatto, perché probabilmente un'altra persona non sarebbe stata così tanto paziente con lui e tutto il casino che lasciava in giro.

O la sua pessima memoria. O i suoi sbalzi d'umore.

Però, almeno nel suo lavoro era impeccabile.

Arrivò al piano di sopra ed entrò nel suo appartamento. Non era molto grande, ma in fondo ci doveva vivere da solo e passava la maggior parte del tempo nel suo studio, per cui non era un problema per lui.

- Bene, vediamo di preparare le cose per domani!- esclamò, chiudendo la porta alle sue spalle e dirigendosi verso la camera da letto.

Tirò fuori il telefono per mettersi un po' di musica a fargli compagnia e si fermò di fronte all'armadio.

Come prima cosa, scelse i vestiti; probabilmente lì avrebbe dovuto indossare un camice, e Yachi gli aveva consigliato di non indossare niente con troppe tasche perché avrebbero voluto controllarle tutte.

Così, scelse un paio di normali pantaloni e una maglietta con sopra un gufo; era la sua maglietta fortunata, l'aveva indossata praticamente a ogni esame e in qualche modo era sempre passato, per cui sicuramente avrebbe funzionato anche quella volta.

Bè... Anche se avrebbe dovuto fare qualcosa di leggermente più difficile che passare un esame.

Scelti i vestiti, si diresse verso la sua scrivania. Di solito teneva tutte le informazioni sui pazienti in studio, ma quel ragazzo ancora non era suo paziente, e tre l'altro aveva voluto studiare molto bene il caso, per cui teneva il fascicolo nella sua stanza.

Lo tirò fuori e lo poggiò sul legno, decidendo di rimanere in piedi a leggerlo per scaricare un po' di tensione.

Ripassò le informazioni principali: un ragazzo di ventitré anni, in prigione da ormai quasi sei anni. Accusa: quadruplice omicidio; non aveva voluto un processo, si era subito dichiarato colpevole.

Era stato portato in un istituto che aveva sia il riformatorio che la prigione, era stato trasferito nella seconda appena maggiorenne, e in entrambi era rimasto nel reparto dedicato ai malati mentali.

Non aveva voluto un esame psichiatrico o simili, ma era stato obbligato a prendere alcune medicine. Era in stato praticamente di isolamento, e una delle sue fonti gli aveva detto che da quando era in prigione non aveva mai parlato con nessuno.

Bokuto rabbrividí appena: sei anni senza parlare con nessuno, senza nessuno vicino, senza amici, uno sfogo, qualsiasi cosa, non aveva neanche voluto vedere amici o genitori... Era un miracolo se era ancora mentalmente sano; sempre che lo fosse.

Chiuse il fascicolo. Aveva già deciso come si sarebbe mosso: l'avrebbe trattato come uno dei suoi normali pazienti, e poi avrebbe deciso cosa fare.

- Ci riuscirò- affermò con convinzione, ritirando il fascicolo.

In fondo, tutta la sua carriera di basava su quello, e lui avrebbe fatto di tutto per riuscire nell'impresa che si era prefissato.

- Bene: doccia, cena e a letto!- esclamò, quasi fiondandosi in bagno.

Non era uno che si preoccupava troppo di cose come "cosa succederà domani", aveva sempre vissuto abbastanza al momento, senza mai preoccuparsi delle conseguenze; i suoi amici lo conoscevano bene e lo accettavano per quel comportamento, aveva trascorso molti anni della sua vita in maniera parecchio spensierata e ne era felice.

Però... Tutto cambiava, e lui ne era diventato consapevole all'improvviso. Era stato come se un'esplosione avesse improvvisamente scosso la sua vita, e lui per un attimo aveva temuto di morire nell'impatto del colpo.

Ma era ancora vivo... Lui era ancora vivo, e non poteva non fare niente. La vita era qualcosa di importante: l'aveva realizzato troppo tardi, ma lui l'aveva ancora. E voleva che le persone intorno a lui si rendessero conto di quanto vivere davvero fosse importante.

Per quello era così felice di essere riuscito a ottenere la possibilità di incontrare quel ragazzo; ci lavorava da tempo, non era stato per niente semplice, ma adesso avrebbe potuto davvero fare qualcosa.

Allo stesso tempo, non poteva fare a meno di essere in ansia: neanche quando aveva dovuto accogliere il suo primo paziente si era sentito così nervoso.

Quella volta non si trattava "solo" di una vita... Si trattava di molto di più, e dipendeva tutto da lui.

Quel pensiero lo tenne sveglio per qualche ora e il ragazzo riuscì ad addormentarsi solo dopo le tre; per fortuna, era sempre stato quello che i suoi amici definivano un animale notturno, visto che spesso e volentieri rimaneva sveglio fino a tardi a fare feste o anche al telefono con gli amici, per cui era abituato a non dormire troppo.

Quando la mattina dopo Yachi lo chiamò per svegliarlo, si sentiva riposato e pronto per la sua missione.

Si preparò una porzione molto abbondante di latte e cereali per colazione, dopodiché decise di farsi una doccia fredda, giusto per svegliarsi completamente, e si vestí.

Si sistemò come al solito i capelli mettendovi sopra chili di gel in modo che rimanessero su, poi afferrò una valigetta che i suoi amici gli avevano comprato per l'occasione, vi mise dentro il fascicolo e tutto ciò che poteva servirgli e uscì di casa.

Per fortuna, era una bella giornata: c'era il sole, ma non faceva esageratamente caldo, anzi c'era un venticello davvero piacevole che trasmetteva una certa calma.

Non che Bokuto fosse una persona calma di natura, ma prese come un incoraggiamento il fatto che fosse tutto così tranquillo.

Sentì il suo telefono vibrare e lo tirò fuori dalla tasca, sorridendo quando vide i messaggi di augurio dei suoi amici a cui aveva detto dove si stesse dirigendo: in fondo, era anche grazie a loro se adesso si trovava lì.

Rispose a tutti quanti, prima di dirigersi verso la sua auto.

Salí e appoggiò la valigetta sul sedile del passeggero, prima di allacciare la cintura, mettere la musica a tutto volume e partire verso la tappa più importante del viaggio che aveva intrapreso anni prima, e per cui sperava di riuscire a mettere un punto conclusivo alla prigione di Tokyo.

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