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5. I giorni da cane sono finiti

Biscottini. Era circondato da sublimi, magnifici biscottini. Biscottini ovunque. Erano atterrati su un pianeta in cui non erano mai stati, in occasione della libera uscita. Blue si era voltata contro di lui e gli aveva rivolto il sorriso che gli dedicava ogni volta che non le mordeva le pantofole o non faceva la pipì di fronte alla letto di Ren. "Questo è il nostro regalo per te, Jules Verne."

Quando aveva visto la montagna di biscottini alla carne di Pajac, una sorta di topolino autoctono della Galassia di Andromeda, vi si gettò sopra, la coda scodinzolava tra la valanga di deliziose prelibatezze che scivolavano, investendolo con il loro profumo succulento.

Boom.

I contorni del sogno svanirono e intorno a lui calò il buio opprimente della realtà. Uggiolò, colto alla sprovvista, le zampette rivolte verso l'alto afferrarono l'aria. Intorno a lui, l'oscurità lo scrutava attraverso i suoi mille occhi. Drizzò le orecchie, allungò il naso fuori dalla sua cuccetta e lo mosse nell'aria, a scatti, prima a destra, poi a sinistra.

Il rimbombo cupo e cavernoso che lo aveva svegliato aveva fatto tremare tutte le pareti.

Le vie olfattive erano intrise di un odore diverso dal solito. Due esseri viventi che non facevano parte dell'equipaggio erano a bordo della nave. Un sudore acre e stagnante, unito a un profumo più leggero, di un qualcosa che non aveva mai odorato. Fiori, forse. Ma quali? Lo spazio non era un posto brulicante di fiori.

E c'era dell'altro.

Alcuni tonfi sordi picchiarono proprio sopra la sua testa, più attutiti rispetto al suono secco di qualche secondo prima. Piegò la testa di lato, per fare in modo che il padiglione auricolare fosse rivolto verso l'alto.

Erano passi, indubbiamente, ma suonavano troppo leggeri per appartenere a dei bipedi: non erano membri dell'equipaggio. Ma non avevano lo stesso odore degli Umani che aveva captato prima. Il numero di passi aumentò: quattro, cinque, dieci... Trentadue?

Il pelo si drizzò verso l'alto. Chiuse gli occhietti neri. Distinse una puzza vaga, ancora molto lontana, che sapeva di marcio, di stantio. Di qualcosa rimasto ammollo sotto al sole per troppo tempo.

Pesce. Poliptidi. Ma certo! Ecco spiegato il motivo del picchiettio insistente dei passi: i Poliptidi avevano otto arti in tutto e ondeggiavano come potevano sulla superficie asciutta. Da lontano sembrava molleggiassero, goffi e affaticati. Jules Verne, quando si trovava ancora sulla terraferma, si divertiva a rincorrerli solo per il puro divertimento di vederli fuggire con la loro andatura buffa e i tentacoli che rischiavano di attorcigliarsi tra loro.

Latrò, ma interruppe il verso a metà. Doveva farsi coraggio. La prima zampetta sfiorò appena il pavimento.

Udì delle voci passare accanto alla stanza. Tese l'orecchio verso la porta scorrevole, appena socchiusa.

Guaì con una punta di sollievo non appena captò suoni di voci a lui familiari: uno di loro era Cher, una sorta di rettile grigio e bipede che piagnucolava qualcosa a proposito di una certa Madonna. Distinse anche la voce stizzita e nasale di Ren, un orrendo gatto squamato. Jules Verne odiava i gatti. Li detestava. Degli stronzi classisti. E poi, Ren non aveva neanche il pelo.

Il suo corpo, teso e lungo come un tubo, si rilassò non appena sentì che tra loro c'era anche Akira, che con un tono più basso rispetto agli altri due si lamentava di qualcosa chiamato "gli anni Ottanta". E quel tonfo, continuo e minaccioso, diventava sempre più intenso e veniva loro incontro.

Il cuore di Jules Verne batteva all'impazzata.

"State zitti!"

Tese le orecchie. La coda cominciò a scodinzolare, il naso catturò una dolce e morbida nota vanigliata: quella era la voce della sua padrona, Blue Maric. Camminava al fianco di qualcuno, il proprietario del profumo floreale che lo aveva confuso nella dormiveglia, i due odori si mischiavano l'uno con l'altro, confondendosi in una scia stucchevole.

"Non lo sentite questo rumore?"

"Che rumore?"

Un altro fruscio, più vicino del solito. Proveniva dall'ascensore che collegava il piano superiore dell'astronave a quello in cui si trovavano loro.

"Ah... questo rumore, dici?"

Alcuni click attraversarono la porta: rumore di pistola caricata. Doveva essere Ren, che reagiva nel modo che lә veniva più facile: sparare a qualsiasi cosa si muovesse davanti a lәi.

"Ren!" La voce imperiosa di Blue vibrò nell'aria. "Non provarci. Penelope deve ancora aggiustare AXz..."

Non finì di parlare. Si udì un urlo, l'urlo di una ragazza che Jules Verne non aveva mai udito. Uno sparo.

Decise di uscire allo scoperto. La porta scorrevole della stanza in cui dormiva insieme al resto dell'equipaggio si spalancò e l'aria fredda del corridoio lo investì. Si buttò nel buio, abbaiando, il naso venne invaso dal tanfo insopportabile di pesce marcio. Lo circondava, lo confondeva. Tutto quel buio non gli faceva capire dove andare. Si lasciò contro la puzza, la bocca aperta si fece largo tra la folla di corpi che si scontravano l'uno scontro l'altro, fino a che i denti non scontrarono con una carne viscida e gommosa: non era la pelle squamosa di Ren, né quella morbida e soffice di Blue o Akira, e neppure la corazza ruvida di Cher.

Sembrava un tentacolo. 

Non ci pensò neppure due volte. I denti affondarono contro la carne, un gusto amaro e acre gli inondò le papille gustative. Alle sue orecchie giunse un grido, tuttavia la voce era monocorde e priva di espressione. Era la voce di un'A.I. assistente vocale che ripeteva di "mollare il suo tentacolo".

I timpani vibrarono di dolore, come se uno spuntone acuminato gli avesse infilzato le orecchie. Ma non era uno spuntone. Era un suono acuto e squillante.

Emise un guaito strozzato, ma non cedette. Il tentacolo prese a muoversi, su e giù, sollevandolo da terra, ma lui non cedette.

Lo stridio era come vetro acuminato che lo graffiava. I Poliptidi comunicavano tra loro attraverso gli ultrasuoni. E quello stava urlando così forte che gli stava distruggendo l'apparato uditivo.

Un fascio di luce proveniente da una torcia illuminò il pelo color caramello di Jules Verne. Il bagliore improvviso, unito all'urlo insopportabile a ultrasuoni che gli stava per far sanguinare le orecchie, gli fece girare la testa. Il tentacolo bianco e traslucido era ancora incastrato tra i suoi denti. Morse ancora più forte, incurante del trillo di sofferenza che gli piangeva dentro i timpani. I suoi occhi incrociarono quelli della sua padrona, la pistola laser stretta tra le mani. Appena lo vide, Blue sbarrò gli occhi.

"Jules Verne!"

"Jules Verne un corno!" gracchiò la voce dell'assistenza vocale. Il cigolio di un ultrasuono accompagnava il suono piatto dell'A.I., ma il resto dell'equipaggio non poteva udirlo. "Questa... bestia è una sorta di progenie demoniaca."

"Ma se è un bassotto inoffensivo! Siete voi che siete entrati nella nostra nave senza permesso."

Jules Verne alzò di nuovo lo sguardo verso gli aggressori. Quattro Poliptidi lo circondavano, compreso quello a cui aveva azzannato il tentacolo, l'unico disarmato: la sua arma giaceva per terra. Gli altri, invece, reggevano tra i tentacoli degli strani aggeggi, delle sottospecie di telecomandi. Uno dei tre, quello che fisicamente appariva molto più imponente degli altri, teneva ben stretto accanto a lui una ragazza umana dai capelli lunghi, gli occhi enormi e lucidi che saettavano disperati da una parte all'altra della stanza. Si dibatteva per divincolarsi dalla presa, ma più si muoveva, più quello stringeva la morsa tentacolare attorno a lei.

"Lasciala andare!" Akira fece scarrellare la sua pistola.

Il Poliptide lo ignorò. "Alzate le mani, arrendetevi e non le verrà fatto del male."

I quattro Vigilantes si guardarono tra loro. Le labbra di Blue fremevano, trattenendosi a fatica. Una fragorosa risata riempì i corridoi della nave. "Sì, bravi geni, attaccateci proprio nelle vicinanze di un portale, con schiere di Vigilantes pronti a intervenire." Rideva così forte che si portò le mani allo stomaco, come se le dolesse per il troppo ridere. Jules strinse la tenaglia di denti acuminati più forte e un lamento strozzato tornò a torturargli i timpani.

"Vigilantes?" Uno dei Poliptidi intervenne, una nota ironica nel tono di voce, la sua pistola ancora spianata contro di loro. Il suono delle sue risate coprì perfino quello di Blue. "Criminali come voi che chiedono aiuto ai Vigilantes! Inaudito! Vergognosi! Non avete neanche l'onore di volervi battere contro di noi."

Si guardarono ancora una volta tra di loro, Akira con il sopracciglio alzato e le braccia conserte, Ren con la pistola tesa verso il gruppo di Poliptidi.

"Capitano, posso aprire il fuoco?"

"No, Ren." Blue alzò gli occhi al cielo. "Criminali..." Scossa la testa. "Guarda che siamo dei Vigilantes anche noi, idioti." Dalla tasca della sua tuta spaziale, estrasse un distintivo. "E sappiate che ho appena dato l'allarme a tutte le altre pattuglie."

"Vigilantes? Voi?" La presa del brigante sul telecomando vacillò. I suoi occhi si soffermarono sull'uniforme da sottoufficiale di Ren. Il tentacolo tremò e si abbassò un po'. "Deve esserci un terribile malinteso."

"Ma non mi dite! Ora, se non vi dispiace, vi dichiaro in arresto per... Per... beh, per qualunque cosa avreste voluto fare."

Blue si scostò per avvicinarsi verso di loro, cauta. Le armi di tutti si sondavano ancora, l'una di fronte all'altra, pronte a sparare al minimo passo falso. Dal retro del gruppo di Vigilantes, fece capolino una testa circondata da riccioli dorati, gli occhiali spessi come fondi di bottiglia gli coprivano metà faccia. Jules Verne guaì, i denti strinsero ancora di più la presa e il malcapitato Poliptide trasalì sotto il suo giogo.

Il capo della banda scattò alla vista del ragazzo, il tentacolo che attorcigliava il misterioso telecomando dalla chissà quale funzione distruttiva puntava verso di lui. "Eccolo! È lui! È il criminale che hanno osato sfidare il nostro boss!"

Lә Tenente Ren Settantaduesima aggrottò la fronte liscia e senza ombra di peli. "Lui? Ma è un imbecille! Un fesso ladruncolo da quattro soldi."

"Beh, grazie mille per la considerazione, eh!"

Il Poliptide continuava a guardarsi intorno. Il viso appariva privo di qualsiasi espressività, ma a giudicare dai mormorii ultrasuono che stava emettendo, doveva essere parecchio confuso. L'A.I. traduttrice installato da qualche parte nel suo corpo riprese a parlare. "Quindi, voi avevate già arrestato il ladro."

Blue alzò gli occhi al cielo. Il suo silenzio era più che eloquente e Jules Verne, d'impulso, avrebbe voluto correre da lei a farle le feste: lui sarebbe stato dalla sua parte sempre e comunque. E poi si sarebbe seduto, sull'attenti, in attesa dell'agognato biscottino. Aveva svolto un buon lavoro, d'altronde, no? Aveva morso un Poliptide che stava per attaccare tutti loro.

Il capo della banda s'ammutolì, i suoi occhi scorsero avanti e indietro lungo tutti i membri dell'equipaggio e le loro pistole. La presa sulla sua arma tremò appena. "Oh." Perfino L'A.I. abbassò il tono per la vergogna. La pelle viscosa brillava, il suo tentacolo semi trasparente stringeva ancora la spalla dell'umana dagli occhi grandi. "Questo... questo è un errore madornale... non sappiamo davvero cosa dire."

La presa sull'ostaggio allentò, abbastanza perché la ragazza si riuscisse a divincolarsi una volta per tutte e a scattare verso il resto dei Vigilantes. Si buttò contro Akira e affondò la testa sul suo petto.

Il capo dei banditi abbassò lo sguardo. Se fosse stato un essere umano, sarebbe arrossito. Se fosse stato un Protoi, avrebbe fumato dalle orecchie. Se fosse stato uno Stratiota, probabilmente avrebbe già aperto il fuoco contro tutti da un pezzo. Ma era un Poliptide e, perciò, dai suoi tentacoli iniziò a colare dell'inchiostro nero. L'umano sconosciuto aveva una mano premuta contro la bocca, forse un tentativo di mettere un freno alla nausea che gli stava pervadendo lo stomaco. Anche Akira sembrava più pallido del solito. Blue e gli altri, invece, si limitarono a storcere il naso.

La puzza di pesce marcio gli pizzicò il naso.

Il Poliptide abbassò il telecomando e tutti gli altri suoi compari lo imitarono. "Perdonate la nostra impulsività. Vedete, è una questione di onore. Quel sudicio umano laggiù ha osato derubare l'invincibile Telemaco della sua preziosa nave."

"No, aspettate..." Il ragazzo biondo trasalì. Perfino l'altra umana fece un balzo all'indietro per la sorpresa. "Telemaco il Politptide è a capo di una banda?"

"Ora è in pensione, ma un tempo era conosciuto come Telemaco, il Pirata delle Sette Galassie. Ha ancora molte conoscenze nell'ambiente."

"Io non l'ho mai sentito..."

Gli occhi lucidi e pieni di muco del calamaro schizzarono in direzione del suo ex ostaggio. Lampeggiavano. "Non puoi essere seria! Tra noi Poliptidi è una leggenda!" Gli altri scagnozzi annuirono alle sue parole.

"Quindi ci state dicendo che voi avete hackerato la nostra A.I., vi siete infiltrati sulla nostra nave e avete preso in ostaggio un'umana, solo per fare un favore a un vecchio Pirata Poliptide in pensione che si è lamentato con voi del furto di una bagnarola?"

"Sì... lo trovate strano?"

"No no, assolutamente, a parte il fatto che è un'idiozia grossa come una galassia."

I tentacoli del Poliptide si mossero prima a destra e poi a sinistra, in un moto ondeggiante. "Pff... bipedi. Non sanno cosa sia la lealtà e il rispetto per gli anziani."

"Blue. Io voto ancora per sparare a tutti." Con un cenno indicò l'umano biondo. "Anche a lui."

La capitano sospirò. "Ren... Fidati... una parte di me lo farebbe più che volentieri." Fulminò il quartetto di criminali con lo sguardo. "Sapete che siete in arresto, vero?"

"Sta bene. Non opporremo resistenza."

Inarcò un sopracciglio. "Tutto qua?"

"Ci siamo sbagliati, Vigilante. È giusto che paghiamo per il nostro errore di calcolo."

Le braccia di Blue, dapprima poggiate sui fianchi, ricaddero morbide parallele al busto. Akira, dietro di lei, si grattò la cima della testa con la punta dei polpastrelli. "... Per essere dei pirati siete sorprendentemente ragionevoli."

"Abbiamo solo una richiesta." Si affrettò a interromperlo il Poliptide-capo.

Blue e Ren si scambiarono uno sguardo, lә Stratiota era l'unicә ad avere ancora la pistola caricata contro la banda. Sollevò lo sguardo al soffitto, le sue narici si allargarono in uno sbuffo teatrale. Poi, fece un solo cenno d'assenso.

"Scollate quel cane dal tentacolo di Ulisse il Guercio? Se continua così glielo spezza."

***

Bau bau,

Woof woof, bark.

Bau, woof.

...

...

Ok, la smetto con questa stronzata, Umana Blue. È una battuta che ha smesso di far ridere fin dal primo "bau".

Ciao, Padrona. Mi mancano i tuoi biscottini al Pajac. Akira si sbaglia sempre e mi da' solo quelli di pollo. Io odio il pollo.

Lo hai mai capito che non sono un cane come tutti? Perché questi stolti bipedi non sospettano di nulla. Perfino l'A.I. è talmente impegnata a sbavare dietro Akira da non essersi mai resa conto che in me c'è qualcosa di strano.

Ma ora basta.

I miei giorni da cane sono finiti.

***

"Buon lavoro, Jules Verne. Sei davvero un bravo cane."

Jules Verne guardò Blue dritto negli occhi. La mano della sua padrona si poggiò sul suo manto e prese a muoversi su e giù lungo il dorso. Le luci erano ormai tutte accese. In sottofondo, la voce monocorde dell'A.I. AxZ2000, lamentava con freddezza il fatto che non fosse stato per nulla carino essere stata spenta e accesa senza alcun riguardo verso la sua programmazione. Ma, stranamente, appena l'Umano Akira era intervenuto per scusarsi a nome di tutto l'equipaggio, il costrutto artificiale si affrettò ad aggiungere che non era stata una mancanza di rispetto così troppo imperdonabile, dopotutto.

"Bravo cane. Bravissimo."

D'istinto, rotolò sul pavimento e lasciò che la ragazza gli accarezzasse la pancia. Tra le fauci, aveva ancora incastrati residui di biscotti al sapore di Pajac.

Sublime.

Eh, sì. Era proprio un bravo cane.

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