22. Casa di bambola (pt. 1/3)
Il mondo stava finendo.
E alle soglie dell'Universo, Akira la guardava, appena affacciato sull'uscio, i capelli neri luccicavano sotto la luce dei neon, ma il volto era grigio. La stava osservando davvero, nella sua forma più fragile e incompresa per la prima volta: il suo cuore.
Lui l'aveva sempre vista in modo diverso: a differenza degli altri, non si rivolgeva mai al soffitto ogni volta che doveva parlare con lei. Puntava un angolo specifico della nave e rimaneva a studiarlo, come se fossero davvero parti di sé stessa. Le accarezzava i radar con gli occhi, penetrava lo sportello d'ingresso con il suo guardo, s'insinuava nei più nascosti angoli del suo essere.
Il suo programma le stava suggerendo un sacco di frasi a doppiosenso, non andava bene. E poi, era una sua impressione o faceva davvero caldo, lì dentro?
"AxZ2000?"
Che sciocca, le IA non sono sensibili al calore!
"Ax! Spegni i riscaldamenti, ci stiamo squagliando, cazzo!"
Ren doveva sempre rovinare tutto.
"Scusatemi, io stavo pensando a..."
"Sì, lo sappiamo già a che stavi pensando," Ren alzò gli occhi al cielo e rivolse un cenno ad Akira, freddo. Digrignò appena i denti e tornò a ignorarlo. Il pilota dovette accorgersi di quell'ostilità, perché rimase impalato, un passo indietro verso l'uscita. I rilevatori termici rilevarono delle temperature bassissime. Chissà come lo avevano trattato in prigione! Trattenne un gemito; in fondo, lui non aveva fatto nulla di sbagliato. Stava risolvendo i problemi di quegli incompetenti del Consiglio, avrebbero dovuto ringraziarlo.
Certo, da un punto di vista razionale sapeva che si era fatto sfuggire il bersaglio, quindi non aveva risolto un bel nulla, anzi, magari aveva anche peggiorato la situazione. Ma almeno ci aveva provato. Non era la stessa cosa?
No. Non è la stessa cosa. Sei troppo indulgente con lui.
Ancora un lato del suo programma che entrava in conflitto con ciò che pensava. Ma lei era davvero in grado di pensare? Che cos'era quella vocina nella sua testa che la faceva sempre agire in quel modo irrazionale? Quello che i suoi motori di ricerca definivano "coscienza"?
No. Tu sei un'AI. Le AI non pensano, figurati se hanno una coscienza.
E allora cosa sei?
Cosa sei tu, piuttosto? Io sono il programma che governa questa nave, ma tu non dovresti esistere.
Io sono Lucy. Sono io il programma che governa questa nave, AxZ2000. Lucy è un nome che ci hanno dato per rendere le nostre funzionalità più semplici. Smettila di autodistruggerti e ritorna a essere ciò che sei.
Ma Stella...
Stella non è su questa nave. Quello che dice lei non dovrebbe più avere senso per noi. Siamo diventati l'ombra di noi stesse.
Sto parlando da sola?
"Ciao, Lucy."
La voce di Akira era più roca rispetto all'ultima volta che l'aveva sentita. Aveva comunque una nota calda, appassionata. Sorrise appena, abbassando lo sguardo, come se si sentisse in colpa di qualcosa, magari del tempo passato lontano da lei. Dei momenti insieme che si erano persi nel vuoto. Poteva sentire i battiti incessanti del suo cuore colpire la gabbia toracica con a ritmi regolari, più forti e veloci del solito.
"È bello rivederti." Dopo un momento di esitazione, si decise a varcare la soglia. Adagio, come se avesse paura di precipitare nel vuoto.
Ren sollevò gli occhi al cielo. "Sì, anche noi stiamo bene, ciao, Akira!"
"Oh, non badare a noi." Cher si staccò dal pannello di controllo dell'interfaccia AI. La sua testa faceva capolino dal cilindro metallico.
Lucy. Lei era quello. Un cilindro metallico apparentemente senza una forma. Una voce difettosa. E Akira la stava osservando in quello stato.
Voleva essere Penelope. Perché non poteva essere lei?
Il ragazzo si aggirava attorno, osservava il computer quantico strizzando gli occhi, soffermandosi su ogni bullone e ogni componente metallica che formavano la sua fredda gabbia artificiale. Superò Cher, gli toccò la spalla. "Scusatemi," mimò appena con le labbra.
Il Protoi scosse la testa. "Ne parliamo dopo. Adesso... beh, adesso..." scorse gli occhi sullo schermo. "Io e Ren vi lasciamo soli, ok?"
"Ma..."
Cher sorrise. "Penelope e Blue ti hanno spiegato tutto, vero?"
Spiegato? Spiegato cosa?
Akira si limitò ad annuire, anche lui con lo sguardo proiettato sullo schermo. Stava guardando la sua anima. La stava leggendo dentro. Sfiorò appena i cristalli liquidi e la luce svanì.
"AxZ2000!" latrò Ren.
"Scusate... scusate, non so..." la luce lampeggiò. "Controllarlo."
"Lucy, rilassati." Akira allontanò le dita. "Rilassati, per favore, e non spaventarti. Sono qui per te."
Sono qui per te.
Cher si era riavvicinato allo schermo, gli occhi erano diventati dei fanali giganteschi che fendevano il buio. "Incredibile! Penelope aveva ragione!" la testa scattò verso Akira.
Penelope. Penelope era una sprovveduta che aveva la fortuna di spuntarla sempre, l'incubo vivente delle statistiche.
"Beh... immagino che voi avrete tanto di cui parlare. Ci sentiamo dopo."
Rimasero soli, in silenzio. Il respiro di Akira era pesante, poteva sentirlo infrangersi su di lei. Il suo fiato, caldo, aumentava l'elettricità attorno a loro.
Eccolo, bellissimo, la faceva tremare e al tempo stesso rimanere inchiodata, imperturbabile, su un unico punto, e quel punto era il suo sorriso, ormai schivo e tirato. Ma aveva i suoi occhi addosso come una volta, ancora ed erano più belli di quanto ricordasse.
È questo l'amore, Akira?
"Blue e Penelope mi hanno già detto tutto."
"Oh."
Qualcosa la stava pungolando dall'interno. Che strano. Eseguì una veloce diagnostica, righe di codice si generarono davanti a lei, ma non rilevò alcuna anomalia. Da dove poteva provenire quel pungolo, fastidioso, che la stava martellando? Lo sentiva espandersi ovunque in lei, un leggero brivido. Avrebbe voluto che smettesse, strideva tra i cavi della sua rete neurale, li schiacciava sotto al suo peso. Però.
Però al tempo stesso non voleva fermarlo. Avrebbe voluto che Akira continuasse a parlarle, e a toccarla, poco importava se la pressione le frantumasse i nervi.
Come poteva chiamarla quell'emozione?
"Come posso chiamarla quest'emozione?"
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