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15. Città di stelle

Capitano Blue Maric,

Lunga vita e prosperità.

Hai notato che tutti noi abbiamo una visione distorta del passato?

Il futuro ci spaventa. Ovvio, non sappiamo cosa ci succederà e l'ignoto appare come un antro oscuro che non osiamo travalicare. Meglio rifugiarsi in un passato rassicurante, in cui tutto è illuminato. Abbiamo già visto gli oggetti che compongono la sua stanza, e allora preferiamo stazionare lì, anche se magari il divano ha la trama sbiadita e le tende sono ammuffite. Se provassimo a entrare nell'antro buio perché alla ricerca di qualcosa e un oggetto sporgente ci colpisse nella penombra che stiamo esplorando a tentoni, ecco che urleremo "Stavo meglio dov'ero prima."

Si stava sempre meglio prima. E si stava meglio anche quando si stava peggio.

Ma la stanza che ci stiamo lasciando alle spalle sta marcendo. Noi non lo sappiamo perché non la vedremo mai più. Siamo fermi al suo ricordo felice, che abbiamo lasciato prima che diventasse troppo tardi.

È strano che te lo stia dicendo proprio io, vero?

Vedi, Blue, il punto è che proprio perché sono così legato ai vostri anni Ottanta che lo penso.

Quel giorno in cui siamo andati sulla Terra tutti insieme ho capito finalmente cosa intendevate quando mi dicevate che avevo una visione ristretta di quel periodo. La nostalgia di qualcosa che è ormai lontana tende a sbiadire i contorni marci che quel ricordo aveva.

L'ultima volta che ci siamo visti è stata proprio sulla Terra. Ci tenevo ad aggiornarti su questa storia.

"Vi ricordo che, in teoria, noi siamo sotto osservazione e non possiamo fare quello che ci pare."

La voce di Cher si espanse nella sala comunicazioni, ma nessun altro gli giunse in risposta. La sua osservazione rimase appesa e lui se ne restò in piedi, ancora a bocca aperta, Jules Verne, Penelope e Ren che intanto si dirigevano verso l'uscita. Li inseguì sbuffando, gli occhi sollevati al cielo. Nessuno lo ascoltava mai. Soprattutto quando riservava suggerimenti ragionevoli.

"Mi avete sentito?"

"Sì, ma ti stiamo volutamente ignorando." Ren lo guardò in tralice, gli occhi erano spicchi di limone.

Arrivarono alla plancia di uscita. Ren premette un pulsante e la voce meccanica di Lucy annunciò loro che erano in atto le manovre di sterilizzazione pre-apertura della navetta.

"Prepararsi allo sbarco, squadra di ricognizione."

Cher sbuffò. "Invece dovreste darmi ascolto. Se scoprono..."

"Ma hai sentito quello che ho detto?" Era la prima volta che sentiva Penelope così dura nei suoi confronti. "Blue è scomparsa. Dal nulla, improvvisamente. Non sei preoccupato neppure un po'?"

"È il Capitano, può fare quello che vuole. E poi, avrà il diritto di uscire senza di noi."

In realtà, Cher temeva che Blue avesse più di un motivo per uscire senza fare prima rapporto al resto della squadra. E i motivi riguardavano tutti Akira.

"Non risponde alle chiamate. Da ore."

"Magari è..."

"Chiudi il becco!" La voce di Ren sovrastò tutte le altre, in sottofondo udiva gli abbai altrettanto concitati di Jules Verne che saltellava in mezzo a loro.

Inspirò dal naso.

Erano nei guai. Più di quanto non lo fossero già.

Un respiro profondo, per consentire ai suoi nervi di calmarsi. Sapeva che in quel momento gli altri, da fuori, avrebbero potuto vedere del vapore uscirgli dal naso. I Protoi avevano delle reazioni troppo manifeste delle proprie sensazioni negative, forse era anche un po' per quello che cercavano di controllarle il più possibile.

Non si poteva dire lo stesso di Umani e Stratioti, a giudicare dal modo in cui Ren e Penelope si stavano precipitando con foga fuori dalla nave per mettersi alla ricerca del loro Capitano. Malgrado tutto quello che era successo nei giorni precedenti, tra l'altro.

"Hai detto tu stesso che possiamo uscire senza ripercussioni, no?" Continuò Ren, mentre una luce a intermittenza avvolse i superstiti del loro equipaggio, illuminandoli per qualche secondo. Le procedure di controllo sicurezza erano ancora in atto.

"L'ho detto, ma questo non vuol dire che possiamo allarmare mezza base per cercare un Capitano che si è allontanato volontariamente della sua base."

Lo sportello della nave si aprì.

"Procedura completata. Godetevi la visita."

Sbuffò. Perfino Lucy gli stava remando contro.

Non appena mise piede fuori dall'astronave, un getto d'aria fredda lo investì, seguito subito dopo dalla ventata di calore del motore di una macchina che aveva sfrecciato proprio davanti a loro. Cher fece un balzo all'indietro: non era più abituato al traffico di terra.

Odore di aria aperta. Lucy era molto attenta al cambio di ossigeno all'interno della nave, ma la differenza era evidente. Quello non era ricircolo sintetizzato e asettico, ma vero. L'odore che portava con sé era quello della vita, di Stratioti che vendevano panini in dei chioschetti ai margini della strada. Mise un primo piede sull'asfalto e quasi rabbrividì nel sentire un terreno diverso da quello liscio e metallico della Lucy.

Non scendeva spesso allo spazioporto Cluster A, se non quando li richiamavano dalla base centrale per questioni urgenti. Ormai, quelli che facevano il loro tipo di lavoro, erano abituati a stare sospesi in aria, più che a godersi la biodiversità dei pianeti. Era il paradosso dei Vigilantes: costretti a viaggiare da un Sistema Solare all'altro, senza però mai mettervi piede. I pianeti finivano per assomigliarsi tutti tra loro, perché il tempo per conoscere la loro diversità era inesistente.

I palazzi attorno a loro lampeggiavano luci colorate, il via vai di gente che non si preoccupava neppure di evitarli lo assalì con tutta la sua carica di rumori invasiva: lingue sconosciute, voci meccaniche dei traduttori in funzione.

Si ritrovò, suo malgrado, a sorridere. Non era abituato al caos, l'assenza di rumore era una caratteristica costante del vivere sospesi nel vuoto. Essere solo.

E invece, perfino all'interno di quella che era una stazione spaziale si poteva trovare una dimensione diversa, più caotica. Cluster A era la base artificiale più grande del Consiglio Interstellare e, con il tempo, aveva raggiunto le dimensioni di un pianetino. Era strano pensare che un costrutto innaturale ospitasse, invece, così tanta vita organica.

Alle sue orecchie giunse una melodia piacevole. Un artista di strada umano strombazzava una strana pipa da cui fuoriusciva una musica. Gli Stratioti l'avrebbero trovato noiosa, ma parecchi Umani e Protoi si erano raccolti attorno a lui, dapprima incerti poi, man mano che il ritmo diventava più incisivo, sempre più coinvolti.

Senza rendersene neppure conto, anche Cher iniziò a battere un piede, a ritmo della canzone sconosciuta. Si era perfino dimenticato del motivo per cui era stato catapultato lì.

Il blues immerso tra le luci colorate di un mondo in cui i suoni erano artificiali, i motori delle auto che, malgrado tutto, non riuscivano a sovrastare la forza immensa delle note.

Cher rimase a fissare il musicista, una cassa vuota su cui erano sparsi alcuni spartiti. Un qr code affisso a terra: "per donare dei crediti, inquadra il codice".

Fece per tastarsi le tasche dell'uniforme alla ricerca della sua ricetrasmittente, quando la voce graffiante di Ren lo chiamò da lontano. "Ma che cazzo fai lì impalato, Cher? Dai, muoviti!"

Scrollò le spalle e alzò gli occhi al cielo. Penelope era già andata avanti, aveva Jules Verne in braccio, che non la smetteva di divincolarsi.

"È una pessima idea. Se dovessimo avvisare l'unità di terra dei Vigilantes che un comandante sotto custodia potrebbe essersela eventualmente data a gambe..."

"Ma noi non abbiamo intenzione di avvisare altri Vigilantes." Lo interruppe Penelope, la testa rivolta all'indietro, verso di lui.

Il fiatone, per un po', gli impedì di parlare. Vide solo Penelope far annusare qualcosa a Jules Verne. Sembrava una maglietta. La maglietta che indossava Blue a bordo della nave quando non era operativa, per la precisione. Poi, la ragazza lo poggiò a terra e il cane, dopo aver un po' fiutato l'aria attorno a sé, il naso sollevato a mezz'aria, aveva cominciato a trotterellare dritto davanti a lui.

Cher annaspò, ma questa volta la causa non era il fiatone. Era come se qualcosa gli fosse andata di traverso e gli impedisse di respirare.

"Siete scemi?" era la prima volta che si esprimeva in toni così forti, ma non era riuscito a trattenersi. Poteva sentire il fumo uscirgli fuori dalle orecchie.

Gli altri due lo fissarono a lungo, in attesa. Ren lo stava praticamente fulminando con lo sguardo; Penelope, invece, sembrava non avesse idea del perché avesse reagito in quel modo.

Il suono del blues si avvertiva da lontano. Jules Verne aveva iniziato a scodinzolare, la lingua penzoloni, il naso che ancora cercava la scia di profumo che Penelope gli aveva fatto annusare.

"Volete usare Jules Verne per trovare Blue?"

La ragazza fece spallucce. "E allora? È un cane! I cani fanno queste cose, no?"

Si massaggiò le tempie. Doveva restare calmo. Era un Protoi, dopotutto. Aveva capito da tempo quanto fosse ingenua quella tipa, ma non credeva che fosse capace di arrivare a tanto. "Scusa, ricapitoliamo: il nostro Capitano è scomparso, potrebbe essere coinvolta in qualcosa di potenzialmente illegale in questo preciso istante e voi... voi, per ritrovarla, avete pensato bene di usare il cane!"

Penelope corrugò la fronte. "Ehm... sì!"

Sentì la sua pelle surriscaldarsi. "Ti è dato di volta il cervello?" soppresse un ringhio, un altro respiro profondo. "Penelope, ragiona. Da quanto tempo è scomparsa?"

"Non saprei... svariate ore."

Svariate ore. Possibile che non si rendeva conto di quanto fosse surreale tutto quello. "Appunto. Svariate ore, non da tre giorni. Allarmarci in questo modo e attirare l'attenzione mentre siamo sotto osservazione per una sparizione di poche ore è l'idea più stupida e illogica che io abbia mai sentito."

"Ignoralo, è un Protoi, è incapace di immaginazione." Sibilò Ren. Con ampie falcate lo superò, per mettersi al fianco di Jules Verne. Il cane continuò ad avanzare imperterrito lungo la strada, facendosi largo tra la folla di persone che sembrava vagare senza meta da un lato all'altro della stazione spaziale.

Ren e Penelope avanzavano rapidi dietro di lui, il passo spedito, si guardavano intorno nella speranza di riuscire a intravedere un ciuffo di capelli neri, degli occhi gialli, dei tatuaggi vistosi sulle braccia: qualsiasi cosa richiamasse Blue. Ma invano.

I visi degli altri finirono per sembrare tutti lei perfino a Cher, che non la stava cercando davvero. Si limitava a seguirli, defilato, un'ombra di rassegnazione che, non sapeva neanche perché, gravava su di lui.

Sentiva un senso di vuoto. Lo avvertiva sempre, costantemente, appollaiato sulle sue spalle, ma in quel momento la avvertiva più forte che mai. La sensazione di essere tagliato fuori da tutto, con l'unica possibilità di restare a osservare.

Blue. Non sapeva perché avesse avuto un colpo di testa e avesse deciso di andarsene senza metterli al corrente. Forse era davvero fuggita per non prendersi le sue responsabilità, oppure perché aveva qualche asso nella manica per salvare Akira e stesse facendo di tutto pur di metterla in pratica.

Oppure. Oppure non era nulla di tutto quello. Magari aveva solo bisogno di cambiare aria, di non vedere quelle mura tutte uguali. Di ascoltare il blues dello spazio.

Jules Verne correva sempre più veloce, ormai Cher faticava a stare al passo con tutti gli altri. In realtà, non aveva neanche più voglia di starci, al passo con gli altri. Le parole di Ren continuavano a vorticare nella sua testa, ipnotiche e dolorose al tempo stesso.

Li aveva persi. Ormai camminava a vuoto.

Eppure, sento ancora il blues di quell'artista di strada umana.

Chissà che vita fa. O da che pianeta viene. La Terra? Oppure una qualche colonia umana? O forse è nata all'interno dei territori alle dirette dipendenze del Consiglio, e quindi era abituata a convivere con altre specie.

Dovette fermarsi. Vedeva Ren, Penelope e Jules Verne da lontano, si erano fermati all'improvviso.

Si trovavano davanti all'entrata di quello che, a una prima occhiata, gli era parso un negozio. Strizzò maggiormente la vista. I tre rimanevano sul ciglio della porta, le teste reclinate da un lato, gli occhi fissi sull'insegna al neon posta in alto.

Si focalizzò su di essa e anche lui dovette fermarsi.

Non capiva. Continuava a guardare l'insegna e non capiva perché Jules Verne avesse fiutato la presenza di Blue proprio in un posto simile.

Arrivò davanti al negozio. La scritta Clinica di Chirurgia Estetica del Popolo Kairos aveva ormai occupato tutto il suo campo visivo.

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