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Park An Seok - 박 안 석

Delle poche cose che Park An Seok odiava del suo mestiere c'era sicuramente il procedimento di infilarsi e sfilarsi la pesante armatura, mattina e sera, tutti i giorni.
Park An Seok l, proveniente da una famiglia non troppo agiata, era un soldato; tecnicamente avrebbe dovuto odiare il suo lavoro di sole fatiche, di rimproveri e di pericoli, eppure quell'uomo non poteva definirsi una persona normale dal momento che avrebbe dato la vita stessa pur di tenersi stretto quello stemma militare sul petto, con fierezza.
La sua vita di peripezie, però, era andata calmandosi in quell'ultimo periodo: non vi erano più scontri civili e, se anche ci fossero stati, sarebbero stati sedati in poco tempo. Nulla di particolare. Park An Seok, suo malgrado, era stato costretto a riposarsi con due settimane di congedo.

Il giorno in cui aveva rischiato di perdere il suo prezioso mestiere e di essere giustiziato, il cielo era scuro e nuvoloso: sarebbe piovuto a dirotto.
Qualche fresca sera precedente a quel fatidico giorno, Park An Seok si era trovato nel luogo sbagliato, al momento sbagliato. Non aveva nessuna colpa, il suo cuore lo sapeva e con esso anche la sua mente acuta e schietta. Quella volta, semplicemente, era stato incastrato con furba rapidità, prima che la sua intelligenza avesse potuto agire per proteggerlo.

Park An Seok era uscito prima dei suoi colleghi dallo squallido locale dove erano andati a bere: era un po' brillo e aveva necessità di smaltire quella sbornia con un po' di freddo vento sulle gote.
Il vicolo buio, l'assenza di passanti, la scarsità di lanterne... erano tutte cose che aveva vissuto una miriade di volte tornando a casa di notte, dopo le ronde che aveva svolto durante la sua carriera militare.
Eppure quella notte era fin troppo silenziosa, quel vicolo fin troppo buio e sembrava che qualcuno avesse volontariamente tolto tutte le lanterne; Park An Seok se ne era accorto troppo tardi.
Esattamente di fronte a lui era sfrecciato un uomo dalle vesti sgargianti, piangeva disperatamente, urlando a squarciagola parole di supplica.
Un secondo dopo un uomo snello e vestito interamente di nero era balzato addosso al primo e, estratta una lama lucente, gli aveva tagliato la gola.
La terra si era macchiata dello stesso colore sgargiante di quella veste.
Park An Seok aveva provato a fermare l'uomo dalle nere vesti prima che questi fuggisse nell'oscurità, ma era riuscito soltanto a scorgere il suo sguardo annebbiato da una sadica sete di sangue.
Nemmeno un attimo dopo, il soldato, si era sentito schiacciato a terra, colpito da qualcosa di pesante, e con le mani legate dietro la schiena: una guardia.
Assieme alla prima se ne erano aggiunte altre che gli sbraitavano contro la parola "assassino", accompagnata da altre sporche imprecazioni.
«Non crederai di salvarti, bastardo: morirai da figlio di puttana quale sei. Nessun miracolo verrà a trovare la tua lurida anima»
Park An Seok si guardò attorno, confuso, cercando di trovare con gli occhi il vero colpevole che gli aveva addossato colpe non sue. Alla fine, dibattendosi faticosamente, si era lasciato scortare nella profonda gattabuia reale nella quale, poco dopo, si sarebbe preso un gran bel raffreddore.

Erano trascorsi due giorni di prigionia e il soldato non aveva trovato persona che fosse disposta a credergli. L'unica soluzione sarebbe stata fuggire via, ma anche solo provarci -nella gattabuia reale tra l'altro- sarebbe stato impensabile anche per il migliore degli scassinatori.
Urlare, gridare a squarciagola, dibattersi e lottare fino all'ultimo non era servito a nulla se non a farlo avvicinare più rapidamente al giorno della sua impiccagione pubblica.
Park An Seok aveva starnutito per la miliardesima volta quando aveva gridato nuovamente la sua innocenza alla guardia oltre le sbarre, senza alcun esito.
«È davvero questa la giustizia che, tutti questi anni, ho servito con la mia stessa vita?»
Più di ogni altra cosa, quella sola domanda, gli lacerava il cuore e l' animo orgoglioso.

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