
Capitolo XXX
Ero quasi sicuro che avrei trovato entrambi i miei genitori, dato che era Sabato e, di solito, nel week end sporadicamente lavoravano. La voce di mia madre mi rispose e io mi feci riconoscere con un semplice: "Sono io". Di solito portavo sempre le chiavi di casa, ma proprio il giorno prima me le dimenticai sulla scrivania della mia stanza. Percorremmo le scale e ci ritrovammo davanti alla porta d'ingresso aperta. Adele corse verso di noi, cercando di salirmi in braccio avvinghiandosi alla mia gamba, così mi piegai per salutarla ad abbaiò felice, scodinzolando entusiasta. Non facemmo nemmeno due passi all'interno che mia madre spuntò all'improvviso davanti a noi e, chiamando il mio nome in senso di sollievo, mi abbracciò più forte di quanto non avesse mai fatto: "Ero preoccupata, mi dispiace per tuo padre... pensavo non saresti più tornato" strinse la presa, sinceramente rassicurata dal vedermi e io le accarezzai la schiena in segno di conforto. Si sciolse dall'abbraccio e asciugò gli occhi più che lucidi: "Io sono Pauline, la mamma di Mathis" rivolse la mano a Sebastien "Sono felice di conoscerti".
Lui gliela strinse, facendo un sorriso: "Sebastien... è un piacere".
"Grazie per aver ospitato mio figlio" gli parlò, avendo ancora stretta la sua mano.
"Nel momento del bisogno questo e altro".
Lei allontanò la mano dalla sua e gliela mise dietro la spalla: "Prego, accomodati. Tra non molto arriverà mio marito" poi sussurrò "...e lì saranno dolori".
Una volta appesi i nostri abiti più pesanti all'ingresso, ci sedemmo intorno al tavolo, dove Pauline portò dei biscotti fatti in casa: "Non li faccio spesso, ma spero siano buoni". Trovò posto davanti a noi e, in un rigoroso silenzio, iniziammo tutti a mangiare. Il rumore sotto i denti mi metteva a disagio, non sentendo alcun suono oltre a quello, dato che Adele si era accucciata sotto il tavolo, poi Sebastien parlò: "Sono ottimi, signora".
La donna si mise la mano sulla guancia e sorrise: "Sii sincero... sono un po'..." pensava al termine adatto.
"Troppo croccanti?" azzardai.
"No... non quello..." si grattò la nuca come per fare uscire a forza la parola che cercava.
"Insipidi" suggerì il biondo e mia madre lo indicò d'un tratto: "Ecco. Proprio questa parola cercavo".
"La prossima volta potrebbe provare ad aggiungere più latte, usando anche l'estratto di vaniglia" affermò lasciandomi confuso. Non pensavo se ne intendesse di cucina o, nello specifico, di dolci, ma poteva essere che avesse solo nozioni teoriche insegnategli da qualche suo parente.
"Hai ragione, grazie per la dritta Sebastien" disse mia madre, probabilmente vogliosa di rifare la ricetta, includendo quei consigli. Gli rivolse lo sguardo: "Comunque... cambiando argomento" mi sorrise e riguardò lui "Me lo sentivo che mio figlio fosse innamorato di te e la cosa ormai è palese".
Mi voltai a lato per non far trapelare il brivido di imbarazzo che mi prese sentendo quella affermazione, non perché non fosse vera, ma perché pronunciata da mia madre.
"Adesso devo sapere che intenzioni hai tu. Per carità, alla vostra età le persone si prendono e si lasciano, quindi potreste sentire dei sentimenti momentanei, ma questi sono comunque importanti e devo saperli se volete il mio appoggio" concluse seria.
"Mamma non è facile dire certe cose... così lo metti a disagio" accorsi, ma lui mi sfiorò il braccio: "Ha ragione Mathis, è giusto che le spieghi le mie intenzioni".
La guardò fisso; sembrava che non provasse alcun tipo di imbarazzo e che fosse talmente convinto delle sue azioni da non permettere nemmeno ad un goccio di timidezza di bloccarlo: "Per capire cosa sia l'amore ci vuole molto tempo e altrettanto per rendersi conto che lo si prova... quindi non posso affermare che, in questo momento, io ami suo figlio, ma lo rispetto per quello che è e stare con lui mi ha dato la forza di provare ad essere migliore... anzi, adesso sono migliore ed è stato grazie a lui, alla sua amicizia" mi guardò e gli sorrisi intimidito. Feci scivolare la mano sotto il tavolo e quando incontrai la sua la strinsi, così lui ricambiò il sorriso e concluse: "Sono certo che adesso ho bisogno di lui, quanto lui ne ha di me e vorrei essere talmente fortunato di passare tutta la vita in sua compagnia".
Mi sentii toccato nel profondo, desideroso di abbracciarlo e contento delle sue parole. Era stato sincero ed esplicito e non avrei potuto biasimarlo sull'argomento "amore", perché anche io credevo non fosse una cosa semplice e veloce. Sentivo ancora più crescere la mia attrazione nei suoi confronti; i miei occhi non vedevano altro che lui ormai e, se ricordavo com'ero prima, non mi riconoscevo in confronto a quel momento, mettendo a paragone i miei sentimenti trascurati di un tempo. Ero stato travolto da un vortice di emozioni involontarie, ma forti, sincere ed irremovibili alle quali ora ero talmente attaccato che non potevo farne più a meno. Era inutile riuscire a capire come fosse accaduto, ma era successo e non potevo essere più felice.
Mia madre non perse il suo contatto visivo cercando di non farsi troppo coinvolgere da quello che sentiva, ma il sorriso che le spuntò sul volto indicava tutta la sua approvazione e la sua sincera contentezza: "Probabilmente un altro non sarebbe riuscito a dire certe cose davanti a me, ma questo mi fa solo pensare a quanto tu faccia sul serio. Non hai nemmeno la faccia da bugiardo..." si alzò dalla sedia e lo raggiunse. Lui si mise in piedi in segno di rispetto e lei lo abbracciò come aveva fatto con me: "Mi dispiace che due bravi ragazzi come voi abbiano dovuto passare momenti non troppo belli".
Sebastien non si aspettava il gesto della donna, ma parve apprezzarlo e la strinse con riguardo, mentre mi sorrideva. Ero felice che mia madre lo avesse accettato e avesse approvato il nostro stare insieme, ma cominciai a sentire dell'agitazione quando percepii il rumore di chiavi nella serratura. Pauline e il biondo si divisero, rimanendo in piedi, rivolti verso l'ingresso, da dove comparve la figura un po' stanca di mio padre. Si accorse di noi non appena chiuse la porta e arrivò all'entrata della stanza in cui eravamo. Probabilmente era andato a fare delle commissioni a giudicare dal fatto che teneva tra le mani alcune carte, che giudicai, per lavoro.
"George..." lo chiamò mia madre, quando lui parve sospirare, cominciando ad innervosirsi.
"Pauline tu li appoggi?" chiese, evidentemente speranzoso che non fosse così.
"Senti solo cos'ha da dire tuo figlio... nessuno ti obbliga ad accettare la sua decisione, ma ascoltalo".
Lui sbuffò entrando nel suo studio e io mi alzai guardando mia madre che mi mise la mano sulla spalla come per calmarmi.
L'uomo ne uscì spogliato dagli abiti più pesanti e senza ingombri tra le mani. Passò vicino a noi e si sedette su una sedia, dopo aver rivolto uno sguardo poco rassicurante a Sebastien: "Coraggio, parla" si appoggiò bene con la schiena e mise un biscotto tra i denti.
Andai davanti a lui rigido come un palo; mia madre si sedete affianco a lui e il biondo rimase poco più indietro di me. Non sapevo da dove cominciare, ma provai con la tattica del "prima chiedere scusa e poi parlare": "Ti chiedo scusa per averti mentito. Probabilmente non avrei dovuto arrendermi finché mi avresti capito, ma non ne ho avuto la forza. Ho fatto nascere un enorme malinteso sul quale, ormai, è inutile rimuginare..." mi bloccò la mano di mio padre tesa in segno di "stop", quindi le sue parole: "Se vuoi la mia comprensione o, almeno, provare ad averla... dovrai raccontarmi tutto".
Guardai mia madre che annuiva e, rimanendo sempre nella stessa posizione, sentendomi interrogato come a scuola, dissi tutto quello che era successo. Mio padre seppe di quando io e Paul eravamo andati a Pigalle con solo l'intenzione di conoscere il posto, di quando scappammo dal bar della truffa, di come conobbi Sebastien e gli altri, della mia ex ragazza Camille, del malinteso che si venne a creare quando scoprirono che fossi entrato in un bar gay e della mia reazione, del povero Antoine che si trovò in mezzo ai miei affari e di come lasciai Camille.
"Scoprii di essere..." riformulai la frase "Scoprii del mio interesse per Sebastien non quando lo temetti tu, ma molto più tardi. Non riuscivo a darmi pace perché sapevo che mi mancava qualcosa o che stessi nascondendo molto a me stesso. Mi stavo privando dei miei sentimenti, per questo decisi di non farlo più e andai di nuovo al Blue Eyes".
Mi sembrava di aver fatto un discorso lungo ore, ma avevo parlato per poco più di un quarto d'ora, eppure mi mancava il fiato a volte. Probabilmente quello era dato dal fatto che avessi il cuore che batteva all'impazzata e la speranza mi rendeva nervoso.
"Forse tu non capisci perché ci sia attrazione tra due uomini e questo ti impone di pensare che sia sbagliato, ripudiandolo e negandolo. Capisco il tuo punto di vista e non ti obbligherò a cambiarlo, ma credo che tu possa immaginare cosa vuol dire non essere accettati soprattutto dal proprio padre e il sentirsi obbligati ad una sorte che ti farà soffrire per tutta la vita. Ormai non sono più un bambino, non ho più paura di ciò che provo e posso prendere le mie decisioni" feci un sospiro, stringendo i pugni per farmi forza "La mia decisione è di non nascondermi più e spero che potrai capirmi".
Sebastien si passò una mano tra i capelli, cercando di staccarsi lo sguardo di mio padre da dosso, il quale non aveva fatto altro che alternare gli occhi da me a lui. Ero comunque soddisfatto che non avesse obiettato prima della fine del mio discorso e che mi avesse ascoltato come mai prima d'ora. Aveva finito quasi tutti i biscotti e si mise in piedi, sbattendo le mani tra loro per toglierci i residui dei dolcetti: "E' tutto?" chiese.
Potei fare un cenno d'assenso soddisfatto per ciò che avevo fatto e di quello che avevo detto. Non avrei potuto fare di più, quindi, anche se la situazione avrebbe avuto un riscontro negativo non avrei potuto farmi delle colpe.
"Spero che il tuo intento non era farmi cambiare idea sugli omosessuali perché ti dico subito che non ci sei riuscito" parlò con voce dura, ma tranquilla, riguardando Sebastien che, però, dal canto suo, sostenne il suo sguardo non con sfida, ma con un educata serietà.
"Penso ancora che sia stupido frequentarsi tra uomini perché non è naturale, capisci?".
Non risposi perché sapeva già la mia risposta, ma non reclinai nemmeno il suo pensiero, poi continuò: "Ho sempre considerati i gay come delle femminucce, ma..." alzò le sopracciglia "...ma devo dire che non ti ho mai visto più maschio di così".
Spalancai gli occhi, sorpresomi di quello che lui intendeva un complimento e lo feci continuare: "Il modo in cui mi hai tenuto testa in questo periodo e come hai affrontato questo discorso mostra che sei cambiato".
"Tutti cambiano" si intromise Pauline.
Rispose rivolgendosi a lei: "Certo, ma, anche se penso che questo suo cambiamento non sia stato troppo positivo..." si alzò dalla sedia, facendomi fare qualche passo indietro "...apprezzo il modo in cui ha affrontato la situazione. Dopo sbagli e calci nel sedere hai saputo comunque ritrovare il controllo" mi porse la mano "Bravo figliolo".
Gliela strinsi, ma non riuscii a sorridere, ancora confuso sul resoconto.
"Non sono d'accordo sul tuo essere gay e probabilmente non lo sarò mai, ma sono fiero di mio figlio, come lo sono sempre stato, anche se non l'ho mai dimostrato. Sei capo della tua vita e io sarò sempre tuo padre".
Avevo ancora la mano stretta a lui e, dopo quella frase sorrisi o, forse, i miei occhi lo fecero, fatto stava che mi rincuorai. Aveva capito le mie ragioni, mi aveva fatto comprendere che non mi avrebbe mai ripudiato come figlio e si era anche indirettamente scusato, dicendo che non avesse mai dimostrato di essere fiero di me. Avevo già tenuto in conto che non avrebbe accettato del tutto quello che ero diventato e ciò non mi fece male. Ero felice ugualmente perché avrei sofferto molto di più se avesse mentito e non sarebbe stato mio padre se mi avesse accettato così facilmente. Magari col tempo l'avrebbe fatto, ma in quel momento mi andava bene così e tolsi la mano dalla sua stretta, guardando Sebastien.
"Tu non mi piaci per niente invece" gli affermò bruscamente mio padre.
"A me piace molto" affermò decisa mia madre e lui le sorrise, così mio padre sospirò e lo indicò, mentre si stava dirigendo nel suo studio: "Ti tengo d'occhio, finocchio".
Si chiuse nella stanza e non facemmo nemmeno in tempo a spiccicare parola che lo vidimo ricomparire: "E non provate a fare quelle... COSE... in questa casa perché a quel punto ti sbatterei fuori davvero!" esclamò al figlio, sparendo ancora dietro la porta.
Ci furono delle rapide occhiate tra di noi, dopodiché mia madre iniziò a ridacchiare e noi seguimmo il suo esempio. Adele si svegliò dal suo pisolino e, ancora rintontita, si unì a noi abbaiando e iniziando ad agitarsi.
"Secondo me gli piaci" fece l'occhiolino al biondo Pauline.
Lui alzò le spalle e io non smisi di sorridere. Mi sentivo felice di poter stare finalmente con lui senza pesi sullo stomaco, costrizioni o paure. Insomma, ero agitato, ma non negativamente; era piuttosto un'iperattività dettata dal fatto che non vedevo l'ora di aprire quella nuova fase della mia vita. Scrutai negli occhi di Sebastien che era impegnato in una simpatica conversazione con mia madre e capii si sentisse osservato per il suo lieve sorriso e l'intento a voltarsi ad ogni frase. Ammisi di non avere sicurezze, né il controllo di quello che sarebbe successo e di me stesso, ma pensai che non esistesse sensazione più bella di quella. Anzi, a dire la verità una certezza c'era... ero imbambolato, catturato e super innamorato di Sebastien e niente mi avrebbe fatto cambiare idea.
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