
Capitolo XVI
"Era da tanto che volevo venire al cinema" si elettrizzò Camille. Aveva cambiato taglio di capelli anche lei e ora erano più corti, fino alle spalle con un ciuffo che le copriva la fronte a destra. Le feci i complimenti, perché le donava particolarmente e lei fece lo stesso con me; disse che fossero molto originali. Non seppi se considerarlo un vero complimento o un qualcosa di più carino da dire rispetto al "è un taglio orrendo", ma non mi feci problemi.
Eravamo nella sala in una delle file al centro, ma ci avevano dato i posti a lato, quando avrei preferito i centrali. La mattina le avevo detto che il pomeriggio sarei stato libero e non aveva esitato a darmi conferma della sua presenza, così, avevamo deciso di vedere il film romantico del momento. Avevamo i popcorn e le bibite e c'era la solita pubblicità trasmessa prima del film.
"Io non venivo al cinema da quando ero piccolo" sorrisi.
Per fortuna l'ematoma, con l'aiuto di apposite pomate, era sparito, così non dovetti raccontare l'accaduto e parlammo di come stessero gli altri. Non sapevo molto, ma le dissi di Paul, che stava andando a scuola regolarmente e stava migliorando nei voti. Non si aspettava andassimo a scuola insieme e mi disse delle bionde che l'altra sera avevano fatto una bella coreografia al bar della truffa.
Iniziò il film. La trama mi catturò subito e Camille sembrò apprezzarlo allo stesso modo. Ero particolarmente concentrato sulla visione, finché, appoggiate al bracciolo, le nostre mani si sfiorarono. Fu un lieve tocco, ma bastò a distrarmi e l'istinto mi incoraggiò a prenderle la mano. Lei parve felice perché ricambiò la stretta e sorrise. Aveva la mano più piccola della mia, liscia, delicata e fresca; era proprio una bella sensazione averla stretta alla mia.
Tenevo io i popcorn e li prendevamo con la mano libera, sicché in meno di un'ora finirono, lasciandoci solo con le bevande.
Nella pausa non ebbi il coraggio di parlare, ma le nostre mani erano ancora intrecciate e fu quando mi guardò che il mio cuore iniziò a battere più forte. Non c'era nulla di lei che non mi piacesse; la sua forma della bocca quando sorrideva, come si metteva i capelli dietro le orecchie, come si guardava attentamente le unghie colorate, le sue curve perfette e la sua voce melodiosa. Quando ricominciò il film, ammisi a me stesso che non riuscivo più a concentrarmi sulla proiezione, ma guardavo lei. Com'era concentrata e bella di fronte alla luce che arrivava dallo schermo. Si voltò di nuovo verso di me e mi sorrise dolcemente. L'unica spiegazione che riuscivo a darmi di fronte a quella mia irrequietezza era che fossi attratto da lei, quel giorno come mai prima. Forse perché era da molto che non la vedevo, perché era più timida e dolce del solito o forse perché ero cambiato io e riuscivo più a credere, rispetto a prima, a quello che sentivo dentro di me.
"Ho qualcosa in faccia?" mi chiese, scherzando, e il solo suono della sua voce mi suscitò l'impulso di muovermi. Avvicinai il mio viso al suo e, senza che nemmeno potessi realizzarlo, le nostre labbra erano congiunte. Non fu come quando mi baciò lei, ma più vero e con sentimento. Sentivo un emozione mai provata e la voglia di toccarla cresceva, così le sfiorai il viso. Ci baciammo ancora senza sosta, mentre lei mi passava la mano tra i capelli, finché lei si avvicinò al mio orecchio e mi disse: "Credo di essermi innamorata di te".
Non capii più nulla perché avevo la testa in confusione per l'eccitazione e la felicità. I miei pensieri puntarono solo ad una risposta che fosse giusta o sbagliata, ma la esternai, senza meditarci su: "Penso la stessa cosa".
Da quel momento fummo presi entrambi da quel vortice di emozioni che si era creato, guardandoci a lungo, baciandoci e facendoci carezze, così non seguimmo più il film e la fine ci parve incomprensibile. Non ci importò perché eravamo insieme e, da quel giorno, uscimmo più volte vicino alla mia zona andando in qualche parco, in gelaterie e persino sotto la Tour Eiffel. Da piccolo ci andai molte volte perché la mia Tata mi portava sempre, almeno, così mi dissero i miei genitori. Però non mi ricordavo quale fosse la sensazione di vederla dal vivo, proprio perché ero troppo piccolo. Andammo di pomeriggio, perciò non era abbagliante e piena di luci come di sera, ma la sua imponenza si percepiva già attraversando la stradina alberata che percorremmo per arrivarci. C'era anche Adele con noi per fare la sua passeggiata di metà giornata e si stava divertendo un mondo con tutte le coccole che stava ricevendo da Camille, la quale fu entusiasta di vederla, considerato il fatto che mi avesse chiesto di portarla da tempo. Non andammo sotto il monumento, né ci salimmo, ma ci sedemmo a terra vicino ad alcune fontane poste lì vicino come decorazione, mentre la Tour Eiffel si ergeva avanti a noi. C'era tantissima gente tra abitanti e turisti, molti dei quali aspettavano il biglietto per salire in cima, scattavano foto, chiamavano parenti o addirittura erano in scolaresche. Noi avevamo portato qualche spuntino, anche se erano le quattro del pomeriggio, e non mangiammo tutto. Parlammo della nostra vita e di come sarebbe potuta andare avanti. Lei stava pensando troppo in là negli anni, dicendo che voleva una casa, dei bambini e un cane e io non controbattevo, ma pensavo fosse troppo presto per parlare di certe cose.
Del resto, però, non potevo fare altro che pensarci anche io. Il solo guardarla mi estraniava dal mondo, talmente era bella con quei capelli al vento, il suo odore di rosa e quel vestitino giallo che stava indossando quel giorno. Era un po' scollato, ma non era volgare e le arrivava fino alle cosce formano un merletto.
"Sei bellissima" parlai, un po' timidamente e lei, accarezzando Adele, mi sorrise, forse arrossendo. Probabilmente avevo l'impressione che la ragazza che avevo incontrato al bar della truffa fosse sparita perché non notavo più gli stessi atteggiamenti. Era più riservata e timida, romantica e semplice.
"Facciamo una foto!" esclamò; così ce ne scattammo una, con in sfondo il monumento e noi due che sorridevamo. Fu pronta a farne un'altra e, quella volta, mi baciò, catturando l'unione delle nostre labbra.
Nei giorni successivi fui un po' preso dalla foga dell'ultimo periodo scolastico, così non vidi nessuno, solo Paul sul pullman qualche volta. Mi volevo concentrare per concludere bene l'anno, ma scrivevo a Camille molti messaggi, scherzando e ridendo di quello che ci succedeva o, anche solo parlando del più e del meno.
Un giorno di fine Maggio, però, ebbi una visita inaspettata. Ero solo a casa col mio cane che stavo finendo di leggere un argomento di greco, quindo suonò il citofono di casa. Mi rispose Antoine e lo feci salire volentieri senza esitazione. Quando aprii la porta lo vidi raggiante come al solito, in forma come se nulla fosse successo e mi abbracciò con entusiasmo: "Mathis, quanto tempo!".
"Come hai fatto a trovare casa mia?" chiesi, sciogliendomi dalla stretta e chiudendo la porta.
"Wow, che bella casa" osservò, guardandosi intorno. Non era molto piccola la mia dimora essendo i miei genitori abbastanza benestanti. Era elegante nell'arredamento con colori tenui e mobili antichi. Si potevano contare sette stanze in tutto. Il salotto, si apriva subito alla destra dell'entrata, ospitando al suo interno, a lato, la cucina. Affianco c'era il ripostiglio dove mettevamo oggetti non molto utilizzati e quelli per le pulizie della casa. Alla sinistra dell'ingresso c'erano lo studio di mio padre, la stanza dei miei genitori, il bagno e, al vertice del corridoio, la mia stanza. Dicevano che si trovavano bene in quella zone a in quella casa e, anche se avrebbero potuto prenderne una più grande, non vollero cambiarla.
Lo ringraziai per il complimento e lui rispose alla mia domanda precedente: "Paul mi ha detto dove abitavi".
"Parlate spesso" gli sorrisi "Prego..." gli feci gesto di non rimanere impalato "Fai come a casa tua" dissi, pensando che i miei genitori, fortunatamente, non sarebbero tornati presto.
Andammo a sederci sul divano in pelle nera del salotto, vicino alla tavola e lui prese subito a parlare: "Come stai?" fece lo sguardo triste, ma io alzai le spalle dicendo che mi stava andando tutto a meraviglia, gli chiesi, piuttosto, come stesse lui.
"Mi sono ripreso, volevo ringraziarti per essere corso in mio aiuto. Mi hai fatto rendere conto che più continuava quel mio atteggiamento verso le critiche altrui, più mettevo in pericolo chi mi voleva bene".
"Sebastien, Dorian e Paul ti hanno salvato. Senza di loro non si sarebbe risolto un bel nulla".
Crucciò le sopracciglia e fece un'espressione contrariata: "Se non saresti intervenuto non avrei capito niente di tutto questo. Ho riflettuto a lungo sul perché una persona che avevo conosciuto da poco dovesse rischiare di farsi male per salvarmi e la conclusione è stata che devo chiudere col passato perché ci sono tanti individui per cui potrei continuare a vivere. Sebastien mi ha detto di avervi raccontato la mia storia a te e Paul, per questo so che stai capendo ciò che ti sto dicendo".
La perdita di Emeric gli aveva fatto credere di essere solo al mondo, a quanto mi stava dicendo ed ero felice che era arrivato a pensare al contrario grazie a me. Capivo quanto potesse essere stato difficile per lui e non credevo nemmeno che sarei stato io a poterlo aiutare così tanto: "E' un bel ragionamento, sono felice per te" gli sorrisi, non dicendo nulla su quello che già sapevo del suo passato che avrebbe solo potuto farlo stare ancora male e lui fu sereno.
Si sistemò comodamente contro lo schienale, mettendo le braccia dietro la testa: "Capii subito che tu e Paul non eravate come gli altri. Ci avete rispettato anche se eravamo diversi da voi, continuando anche a frequentarci" rise un po' "Insomma, non avrei mai immaginato di diventare amico di due ragazzi eterosessuali, pensavo ci sarebbero state incomprensioni".
"Paul è troppo strano e stupido, ma è una brava persona e sa cosa sia il rispetto".
"E tu, come sei?".
"Io come sono?" chiesi, non comprendendo esattamente se dovessi descrivere il mio carattere o dirgli perché non avevo lasciato perdere la nostra amicizia "Sono un ragazzo normale" mi descrissi con meno parole possibili, non mi piaceva farlo.
Lui si mise a ridere: "Dunque non hai super poteri e cose del genere?".
Sorrisi, divertito: "Non trovo la differenza" affermai, facendomi più serio "Tra me e te, tra me e Sebastien... certo, abbiamo passioni diverse, vite diverse, età diverse, ma siamo semplicemente ragazzi come gli altri che seguono i loro sogni e ciò in cui credono".
Antoine aveva gli occhi lucidi ed ebbi paura che mi scoppiasse a piangere davanti, ma si limitò ad appoggiare la testa sulla mia spalla e pronunciò un sentito: "Grazie".
Sentii un rumore di chiavi che non mi aspettavo e qualcuno entrò in casa. Era mio padre, arrivato in anticipo, e mi alzai, allontanandomi velocemente da Antoine.
Non appena ci vide pronunciò le sue prime parole dopo giorni: "Chi è lui?" mi chiese, scostante.
Il ragazzo stava iniziando a presentarsi, ma intervenni prontamente: "E' un mio compagno di scuola. Mi ha portato dei libri".
"Allora è lui, il tuo fidanzato finocchio?".
Ancora una volta non stava ascoltando cosa gli stavo dicendo, seppur, una bugia. Guardai Antoine che non sapeva cosa dire, ma era calmo anche dopo il nome affibbiatogli, fortunatamente. Non sapevo quale risposta avrei potuto dargli per non farlo scoppiare in una rabbia che non avrebbe controllato, anche perché temevo che il risultato sarebbe stato lo stesso, dato che anche se avessi negato non mi avrebbe dato retta.
—- Spazio Autrice —-
Un saluto a tutti e, come sempre, un sentito grazie per chi si è interessato e si sta tutt'ora interessando alla mia storia‼
Adesso Mathis crede di aver trovato l'amore, ma non sarà tutto rose e fiori ancora per molto! Continuate a leggere se volete scoprire se riuscirà a non complicarsi ulteriormente la vita.
Un bacio a tutti ♥
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