XXIII
Le settimane possono durare anni. O secondi.
La vigilia di Capodanno era arrivata in fretta e, quella mattina, Grace si era accodata a suo padre per seguire l'allestimento dello spiazzo fuori il comune.
I due salirono nella confortevole auto e, accesa la radio, Robert mise in moto. Arrivarono fuori il comune in un batter d'occhio.
C'erano già molti operai, alcuni dei quali pilotavano macchinari che Grace aveva visto poche volte da vicino.
Suo padre le disse di non allontanarsi troppo, così lei si sedette su una delle panchine presenti, per dare un'occhiata generale.
Lo spiazzo era proprio sotto il comune. Era abbastanza ampio, ma l'allestimento non era molto soddisfacente: c'erano solo panchine e alcuni vasi di fiori, che in quel periodo non c'erano neppure.
Suo padre aveva ragione, aveva bisogno di essere risistemato.
Nell'ala est dello spiazzo, era stato montato un palco munito di fari, luci ad intermittenza, fumo e animazioni proiettate.
Due casse enormi pendevano ai lati del palcoscenico, mentre altre venti più piccole erano state montate qua e là per lo spiazzo.
Con dei camion muniti di scala, degli operai stavano appendendo delle luci che andavano da un palo della luce all'altro, creando quelli che, una volta accesi la sera, sarebbero stati magnifici giochi di colori.
Nell'ala ovest stavano invece montando dei banchetti dove si vendevano cibo e bevande e, non poco distante da lì, dei piccoli chioschi che vendevano cianfrusaglie che si potevano usare come regali per persone a cui non si teneva davvero.
Poi, al centro c'era un enorme spazio vuoto, adibito al ballo, o semplicemente agli spettatori dello spettacolo.
Si sarebbero esibiti alcune band che avrebbero cantato cover di canzoni famose, poi dalla mezzanotte in poi si sarebbe dato il via ai balli da discoteca.
Grace non si riteneva pronta.
Restò ad osservare tutti quegli "omini" vestiti di giallo che lavoravano sotto istruzione del padre, fino a quando non la telefonò Kristina.
«Ciao Grace, tu vuoi tornare a pranzare a casa? Robert resta lì, quindi se vuoi venire è meglio che tu glielo dica ora, almeno può accompagnarti, dato che più tardi deve sbrigare certe cose in comune», disse la donna dall'altro capo del telefono.
«Sì...pensandoci mi sta venendo fame. Allora vado a dirlo a lui, ci vediamo tra poco», rispose la ragazza.
Corse verso il padre e gli rapportò ciò che le aveva detto Kristina.
«Va bene, ora ti accompagno, però vieni un attimo, voglio presentarti a coloro che mi stanno permettendo di fare tutto questo», disse allargando le braccia.
Grace annuì e seguì suo padre, che la portò al cospetto di tre uomini in divisa e casco giallo.
«Lei è mia figlia, Grace. È lei che ha avuto questa fantastica idea», spiegò sorridendo fiero.
La ragazza sorrise ai tre uomini, cercando di trattenere le risate.
Quelli sembravano proprio Minions.
Nathan li avrebbe adorati, ma soprattutto presi in giro.
Le brillarono gli occhi al pensiero del bimbo che si contorceva dalle risate.
Allungò la mano, che strinse ai tre uomini. Poco dopo, finalmente Robert la accompagnò a casa, anche se avrebbe potuto prendere comodamente un autobus.
Scese dall'auto e salutò suo padre, che ripartì.
Bussò al campanello e venne aperta da Cornelia.
La stessa scena di soli quattro mesi prima.
Le venne un tuffo al cuore.
Dopo averla salutata, entrò in casa e iniziò a descrivere la situazione nello spiazzo, cercando di includere più particolari possibili.
Le due si mostrarono davvero meravigliate.
La festa sarebbe iniziata alle otto e trenta. Grace si era data appuntamento con i suoi amici, tranne Magdalene che era molto stanca per il viaggio di ritorno, che era stato caratterizzato da una catena di ritardi e annullamenti di partenze, per trascorrere la serata insieme, in piazza.
Non diede peso al vestiario che scelse, perché sapeva che sarebbe restata tutta la serata col cappotto indosso, per il freddo.
Lasciò i capelli al naturale e mise degli stivaletti neri con le borchie, che le arrivavano alla caviglia.
Ovviamente non dimenticò la collana dal mittente sconosciuto, che ormai era diventata un "must have" nel suo abbigliamento.
Diede un'occhiata alla sveglia sul comodino. Erano le sette e trentatré.
Quindi, era molto presto.
Decise quindi di leggere un libro di quelli che erano in libreria. Sapeva di averli già letti tutti, ma voleva fare una rilettura di qualche libro che aveva avuto il piacere di sfogliare più tempo prima.
Scelse un giallo. "Agguato sull'isola", di Elizabeth George. Le sembrava molto interessante e non ricordava assolutamente nulla. Forse era uno di quei libri che aveva comprato e di cui aveva letto solo il primo capitolo.
Senza che nemmeno se ne accorgesse, si fecero le otto e venti.
«Cavolo!» Chiuse il libro e mise tutto ciò che poteva servirle in una tracolla.
Corse di sotto e afferrò il cappotto, poi avvisò Cornelia e Kristina del fatto che stesse uscendo e si diresse alla fermata dell'autobus.
Fortunatamente, passò di lí pochi minuti dopo.
Trovò a bordo anche Jason Kess. Se lui, appena incrociò il suo sguardo, abbassò la testa, lei invece ci si sedette accanto.
Doveva dimostrare di non aver paura.
Che il codardo fosse lui.
Non gli parlò, non si meritava di essere calcolato. Ma lo mise a disagio, con quel suo gesto.
Il ragazzo non sapeva cosa fare. Non tirò nemmeno fuori il cellulare. Si concentrò sui lacci della sua tuta.
Arrivata fuori il comune, Grace scese e, per la prima volta, Jason alzò lo sguardo per scrutarla, ma facendo attenzione a non farsi vedere da lei.
Grace McKrack aveva vinto.
Lo spiazzo, con le luci accese, aveva tutta un'altra faccia. Poi, di sera, faceva tutto un altro effetto.
Era molto bello, anche il palco era allestito egregiamente.
«Ehy là», fece una voce alle sue spalle.
Grace sorrise e si voltò verso Nicholas.
«Ehy là», disse di rimando.
«Come sono andate le vacanze fino ad'ora?» Le domandò incuriosito.
«Bene...abbiamo ospitato i genitori di Kristina e mia nonna Muriel. I signori Mellow sono davvero simpatici. Io e Nathan abbiamo fatto una marachella fantastica sotto il naso di Cornelia e lei non se n'è neppure accorta», raccontò con entusiasmo. «Ero andata in camera sua, per spiegargli come funzionava il Walkie-Talkie e-»
«Walkie-Talkie?» La interruppe il ragazzo.
«Sì, gliene ho regalato uno a Natale. Comunque, dicevo, ero andata lì per quello, entrando dalla porta. Ad un certo punto abbiamo sentito dei passi e, dato che non avevo la scala per tornare in camera mia, Nathan mi ha nascosta nell'armadio. È stato fantastico», terminò.
«Oh, a proposito di Natale - Nicholas si grattò la testa attraverso il cappello nero che indossava -, non smetterò mai di ringraziarti per tutti quei dolciumi», disse sorridendo.
Lei sorrise di rimando, poi vide arrivare Minho e Allyson. Poco dopo, furono al completo.
Allyson si lanciò su Minho, urlando "abbraccio di gruppo!". Lei si riferiva soltanto al loro gruppo, ma ben presto, metà della piazza finì per abbracciare sconosciuti. Solo lei avrebbe potuto creare tutto quel trambusto.
Alle nove meno un quarto, lo spettacolo ebbe inizio.
«Tuo padre ha avuto un'idea fantastica», disse Larry, riferendosi a Grace.
Lei sorrise.
«In realtà è lei che ha avuto un'idea fantastica», spiegò Minho, raccontando della discussione avvenuta a tavola, quando lui e i suoi erano stati ospiti dei McKrack.
Allyson, per qualche strano motivo, si era concentrata ad osservare il fisico di Grace.
«Ma sei dimagrita?» Chiese all'improvviso.
Grace alzò un sopracciglio. «Mi sono ingozzata per tutte le vacanze, come potrei essere dimagrita?»
«Ma...non so, a me sembri più magra. Sei sicura di star bene?» Domandò con fare materno.
Lei sorrise. «Ma certo che sto bene!»
Allyson annuì, poi riattaccò lo sguardo sul palco.
Arrivata la mezzanotte, lo spiazzo fuori sgomberato dalle sedie di plastica, in modo da avere a disposizione un'intera pista da ballo.
Grace e i suoi amici avevano comprato dei panini ai chioschetti che la ragazza aveva già visto la mattina stessa, poi si erano appartati per mangiare in tranquillità.
Dopodiché erano stati trascinati da Shane - che con i tutorial di YouTube era diventato un ballerino che faceva invidia a quelli dell' "Opera" -, in pista.
Il duemiladiciassette aveva avuto inizio.
È divertente come ognuno di noi creda che un nuovo anno possa cancellare tutti quelli che sono venuti prima, con le loro sofferenze e i loro brutti ricordi.
Ma è solo una convinzione mentale: nulla si cancella, nulla si dimentica.
L'inizio di un nuovo anno non è che l'inizio di un nuovo giro intorno al Sole, come diceva Nathan a Grace.
Si erano fatte ormai le quattro, quando Minho stava andando via. Larry era tornato a casa già da un po'.
Minho venne frenato da Allyson, che annunciò di star ricevendo una telefonata dalla mamma di Magdalene.
Si allontanò un po' dal palco e rispose, confusa.
La voce della madre di Magdalene, la signora Sasha, era rotta dal pianto.
Le lacrime vennero anche ad Allyson.
«I-Io non so...non so davvero cosa dire...»
Singhiozzò.
«Lo...lo riferirò a... - un'altra serie di singhiozzi scosse la ragazza - mi scusi, sto solo peggiorando la situazione.»
Allyson chiuse la chiamata bruscamente, al contrario di come avrebbe voluto.
Si rannicchiò su un muretto e, appoggiando la fronte sulle ginocchia, prese a piangere, più forte che poteva.
Grace, Shane, Nicholas e Minho, notando che tardava ad arrivare, si apprestarono a cercarla, trovandola in lacrime.
«Ehy...» Grace si avvicinò all'amica, accarezzandole la schiena.
La rossa alzò lo sguardo e, fissando un punto vuoto, mormorò «Magdalene...La piccola Magdalene», singhiozzò.
«Si è tolta la vita», concluse, riprendendo a piangere come una forsennata.
Calò il silenzio, spezzato solo dalla musica e dai singhiozzi di Allyson e dei tre ragazzi.
Grace non ci riuscì, a piangere. Non riuscì a farlo fino a quando non vide la piccola Magdalene con un'espressione vuota, che ormai non stava a significare più nulla.
Quella notte restò ad abbracciare solo i suoi amici, con lo sguardo fisso al cielo. Non ce la faceva a guardarli negli occhi.
Non riusciva a vedere tanta sofferenza nello sguardo delle persone che amava.
Quindi guardava i suoi, di occhi, riflessi nel cielo.
In quel cielo che quella sera era senza stelle, fatta eccezione per una.
Che Grace non perse mai di vista.
-
Perché.
Era quella la domanda che tutti si ponevano.
Perché la giovane essenza di quella ragazzina si fosse spenta così presto.
Perché quella vita si fosse spezzata senza chiedere aiuto.
Le lacrime non avevano mai smesso di sgorgare dagli occhi di chi le voleva bene.
Sasha e Ren Bukovski, i genitori di Magdalene, erano stati ammazzati dal dolore. Trascorrevano ore intere nella stanza della figlia, dove l'avevano trovata morta.
Avevano capito fin da subito che fosse un suicidio, perché era morta dissanguata, a causa dei tagli sui polsi.
Quando l'avevano trovata, era già morta da più di due ore.
Avevano comunque chiamato l'ambulanza, ma i medici, impotenti, avevano chiesto se volessero tenerla a casa.
Loro avevano ovviamente detto di sì, perché non volevano vedere la loro bambina in un obitorio.
Quella mattina la casa fu gremita di persone. Ognuno faceva una carezza alla ragazza, una preghiera, abbracciava i suoi genitori.
Ma non potevano comprenderne il dolore.
Anche Grace e i suoi amici andarono a farle visita, ma attesero che la maggior parte delle persone lasciasse la casa.
Erano le tre del pomeriggio quando riuscirono finalmente ad entrare nella camera di Magdalene.
Grace scoppiò come un esplosivo comandato.
Non mise neppure piede nella stanza, che si liberò di tutto il pianto che aveva trattenuto.
La sua piccola Magdalene.
Dapprima fu un pianto silenzioso, poi i singhiozzi divennero sempre più rumorosi.
Divenne contagiosa.
Anche gli altri scoppiarono a piangere.
Larry si sedette con Allyson accanto al suo letto.
Shane si appoggiò allo sgabello accostato alla scrivania.
C'erano molti fogli e quaderni. Una penna col tappo aperto troneggiava al centro di essi.
Sembrava essere stata lasciata lì di fretta.
Tra i tanti fogli, il ragazzo scorse una busta.
La tirò fuori con cautela, poi la aprì e ne lesse il contenuto.
Una lettera d'addio.
La infilò nella tasca della giacca e andò accanto a Magdalene.
Grace osservò a lungo la stanza, sotto lo sguardo attento di Nicholas che faceva di tutto per non guardare nella direzione della sua amica defunta.
Gli faceva un effetto bruttissimo.
Incontrò lo sguardo pieno di lacrime di Grace e scoppiò a piangere.
Pianse come aveva fatto una sola volta nella vita, quando sua madre era morta.
Grace, che si era calmata un po', scoppiò di nuovo.
Minho, dal canto suo, fissava la finestra della cameretta con sguardo vuoto, mentre due lacrime facevano a gara sulle sue guance.
Non c'erano parole per descrivere quello che provassero.
Nè per quello che provassero i genitori.
C'era un nome per quasi ogni cosa: un figlio che perdeva i suoi genitori, orfano; una moglie che perdeva un marito, vedova; un marito che perdeva una moglie, vedovo.
Ma non c'era un nome per due genitori che perdevano un figlio.
Grace si piombò su Nicholas e lo strinse così forte da fargli mancare il respiro.
Lui non la respinse, anzi. La ragazza non era neppure più bassa di lui, se non per qualche centimetro, quindi la vedeva bene in viso.
E leggeva solo dolore.
Magdalene, nel suo letto, inerme, non poteva sapere quale dolore avesse provocato la sua perdita.
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