XVII
Tutto quello che accadde dopo fu una sequenza velocissima di avvenimenti.
Larry scansò il colpo con la prontezza di nanosecondi, afferrò con foga il cellulare di Allyson e telefonò alla polizia, spiegando in breve tutti i fatti e dicendo di volersi consegnare.
Era rimasto terrorizzato.
Aveva davvero premuto il grilletto.
Grace rimase pietrificata al centro del stanza, sciogliendo la presa dalla pistola e fissando quel punto della porta che aveva colpito.
L'avrebbe ucciso se non si fosse spostato in tempo.
Sarebbe stata un'assassina.
Non sarebbe stata diversa da lui, sarebbe stata anche peggio, perché aveva avuto il coraggio di farlo davanti a non uno, ma tre testimoni.
Tre testimoni che erano più sorpresi di lei.
Tre testimoni che non era in grado di guardare negli occhi, perché temeva di vederci disprezzo, paura.
Disgusto.
Uscì da quella casa correndo, lasciando cadere quella pistola che era quasi stata il motivo della sua possibile colpevolezza.
O forse solo un mezzo con il quale la sua vera natura voleva venir fuori.
Non voleva pensarci.
Corse a perdifiato, ignorando i richiami dei suoi amici. Ignorando il fatto di essere su una strada trafficata, piena di pericoli. Ignorando la pioggia che cadeva incessante, confondendo la strada, bagnandola tutta.
Ignorando di non poter continuare ancora a lungo.
Ci fu un momento in cui i suoi polmoni furono sul punto di esplodere.
Si gettò su un marciapiedi sgombero e si lasciò cadere sulle ginocchia, emettendo forti colpi di tosse e piangendo tutte le lacrime che aveva.
Le veniva da vomitare.
Poggiò la testa ad un bidone dell'immondizia, incurante degli sguardi curiosi dei passanti, e per un momento credette di essere sul punto di morire.
Era così morire? Sentire qualcosa che ti logorava dentro e fuori, mente e corpo?
La strada davanti a lei prese a vorticare, poi vide solo buio, mentre un'altra lacrima salata le solcava il viso.
Quando aprì gli occhi, il suo sguardo fu proiettato su un soffitto nero, decorato da una miriade di colori.
La camera di Nicholas.
Si mise a sedere, guardandosi attorno, chiedendosi il motivo della sua presenza in quella camera.
Poi, dopo aver notato di non star indossando i suoi abiti, i ricordi le bombardarono la mente e riprese a piangere, come se non avesse già versato abbastanza lacrime.
Si arrestò quando vide apparire sulla soglia il padrone di quella stanza. Asciugò in fretta le guance e provò a mettere su un sorriso rassicurante, ma ad uno sguardo - pieno di cosa, compassione? – da parte di lui, non poté evitare di scoppiare di nuovo.
Nicholas le si avvicinò e le accarezzò il viso, pregandole di non piangere più. Lentamente lei si assopì e ascoltò il racconto dell'amico: l'avevano rincorsa in auto e l'avevano trovata semi-svenuta sul marciapiedi, quindi l'avevano caricata in macchina ed Allyson si era occupata di spogliarla degli abiti fradici e cambiarla con alcuni dei suoi.
Dopo una sfarzosa merenda, resa possibile dalla piccola fuga che Allyson e Shane avevano fatto al supermercato, ognuno tornò a casa propria, senza fare riferimento a nessuno degli avvenimenti di quel pomeriggio: per qualche tempo, magari, avrebbero dimenticato Larry.
Grace stette attenta a non far preoccupare nessuno dei suoi familiari, così non raccontò da subito tutto quel che era accaduto.
Andò in camera sua per studiare, ma Kristina la fermó.
«Grace, scusa se ti chiedo di scendere di nuovo di sotto, ma avrei bisogno che mi riempissi un secchio d'acqua...per te è un problema?» Le domandò, facendo allusione al pavimento da pulire.
Cornelia non c'era.
Grace andò di sotto a riempire il secchio e, mentre si dirigeva verso Kristina, notò che la porta della camera di Nathan era socchiusa.
La luce era spenta.
Presa dalla curiosità e consapevole del fatto che Kristina non potesse vederla, ci si addentrò.
Appena vide la figura di suo padre, sobbalzò.
Sembrava che i suoi occhi lampeggiassero.
L'uomo si alzò dal letto sul quale era seduto e si diresse verso la porta. «Diana...», mormorò.
Grace lo guardò confusa. «Papà...? Sei sicuro che vada tutto bene? Mi sembri un po'...»
«Morirà», singhiozzò. «Sei felice ora? Non lo hai desiderato ardentemente? Il bambino che ti ha rovinato la vita, morto. Oh Diana, quanto sei meschina...stai aspettando che arrivi anche il turno di Grace, vero? La ucciderai, so che la ucciderai...ma che male ti ha fatto quella povera bambina?»
Un brivido scosse le spalle di Grace.
L'aveva scambiata per sua madre.
Ma lei non era come lei.
Non voleva esserlo.
Spostò lo sguardo per la camera, finché non le vide.
Quelle tre bottiglie vuote.
«Sei cattiva. Pensi solo a te stessa, non ti è mai importato degli altri! Saresti capace di ammazzare chiunque, senza avere il minimo rimorso. Perché l'unica cosa importante per te è gettare fuori la rabbia...ti odio, ti odio!» Gridò.
Grace prese a piangere, di nuovo.
Perché si rispecchiava in quelle parole.
Perché nonostante tutto, nonostante si auto-convincesse del contrario, lei era uguale a sua madre.
Non riuscì più ad ascoltare le parole di suo padre.
Senza neppure pensarci due volte, gli vuotò il secchio d'acqua addosso.
Sperava di farlo tornare in sé.
Continuò a bagnargli la faccia vuotando le tante bottiglie d'acqua che erano nella stanza.
Nella stanza di suo fratello.
Di suo fratello che stava per morire.
Lo fece urlando, poi si lasciò cadere per terra.
Kristina era sulla porta, senza sapere cosa fare.
Piangeva anche lei.
Grace si voltò nella sua direzione, col volto rigato di lacrime. «Dov'è», gridò.
Robert si sedette sul letto, barcollante, per poi mettersi le mani tra i capelli, come faceva sempre, alla fine.
«Cosa ho fatto...sono una persona...Grace scusami ma...»
«È arrivato il momento di parlare», annunciò Kristina, asciugandosi le lacrime.
Grace annuì.
Dopo che Robert si fu lavato nuovamente la faccia e vestito con abiti asciutti, i tre si diressero in soggiorno.
Robert prese a parlare come un disco. «Inizierò dal principio, da quando vivevo ancora in casa con te e tua madre. Come ricordi, lavoravo come manager musicale, e nel mio contratto non erano previsti viaggi di lavoro, tranne uno, che si trattava di una consegna di una vasta quantità di CD a Los Angeles.»
«Fu allora che conobbi Kristina, che a quei tempi lavorava al "The Varnish", un bar dove io e il mio collega ci fermammo a prendere qualcosa da bere. Iniziammo - Grace giurò di averlo visto arrossire - a fare quei giochetti da..,oh, ma perché? Chiacchierammo e ci scambiammo i numeri di telefono, come se io non avessi già una donna e una bambina che mi aspettavano a casa. Kristina non sapeva che io fossi impegnato, lo seppe dopo, col passare del tempo. Iniziammo a conoscerci, e i miei 'viaggi di lavoro' aumentavano più frequentemente.»
«Decisi che non potevo continuare a prendere in giro tua madre, quindi decidemmo di rompere, perché come ben sai non ci siamo mai sposati. Io venni a vivere qui a Los Angeles, senza nulla a cui appigliarmi. Poi arrivò la notizia della nascita di Nathan. Mi dissi che avrei dovuto trovare un lavoro che lo facesse vivere nel modo migliore possibile e...»
Si bloccò a guardare Grace e un'onda di vergogna gli schiaffeggiò il volto.
«Avevo studiato economia al college, quindi provai a cimentarmi nell'ambito delle vendite e degli acquisti. Ci volle molto tempo, ma alla fine riuscii a raggiungere risultati molto alti, come puoi ben vedere. Comunque, dicevo, la nascita di Nathan. Nacque nel mese di maggio, pioveva. È sempre stato un bambino sveglio e...quegli occhi blu mi ricordavano te, ti sentivo vicina...»
Grace sospirò. «Perché non me ne hai mai parlato?»
«Temevo di farti male. Non volevo che lo odiassi, che lo ritenessi il motivo per cui ti avevo lasciata sola. Pensavo di potertelo nascondere per sempre...»
«Ma invece ho ficcanasato. Avevate intenzione di tenerlo segregato tutta la vita?»
«Il motivo per cui è in quella stanza è un altro, Grace. Nathan è malato, da quasi un anno.»
Grace sgranò gli occhi. Una malattia che dopo quasi un anno non era ancora andata via.
«Nathan ha la tubercolosi.»
Lei cercò conferma nello sguardo di Kristina, che annuì tristemente.
La tubercolosi? Ma ne aveva sentito parlare in tempi di guerra!
«Quando lo abbiamo scoperto siamo rimasti interdetti: come gli era stata infettata? Abbiamo fatto un'immensa quantità di esami e abbiamo scoperto che io sono portatore sano del gene. Questo aumenta il rischio di infezione. Era chiuso lì per vivere in un ambiente più tranquillo, e soprattutto non infettare te! Noi trascorrevamo del tempo lì ogni giorno, muniti di camici protettivi e mascherine. Lui la chiama 'ora degli astronauti'. Ogni mattina viene un'insegnante, penso che tu l'abbia vista entrare qualche volta. Ma ora...»
«Ora dov'è», sibilò Grace, soffocando un colpo di tosse col polsino della felpa.
«Si è aggravato. Abbiamo dovuto portarlo in ospedale, perché le cure che gli somministravamo non bastano più. Cornelia è lì con lui, ha dato il cambio a Kristina poco prima che tu tornassi. Stanotte vado io e-»
Kristina lo interruppe. Si coprì la mano con la bocca, mentre gettava sguardi spaventati al polsino della felpa di Grace.
Era sporco di sangue.
Quel sangue che non aveva mai notato,né quel giorno sulla via del parco, né a Natale col fazzoletto rosso.
Robert si alzò di scatto e mise le mani sulle spalle della figlia. «Grace, ho bisogno della tua completa sincerità: dimmi che Nathan non ha mai tossito, o starnutito, in tua presenza. Ti ha fatto indossare la mascherina quando sei entrata nella sua stanza, vero?»
Grace avrebbe tanto voluto dire di sì, che aveva sempre indossato protezioni e che no, non aveva mai tossito.
Ma scosse la testa. «Quando...l'ho visto la prima volta avevo anche...la febbre.»
«Il sistema immunitario basso, una probabile predisposizione genetica...», sussurrò Kristina.
«Dobbiamo portarla in ospedale, ora. Non sappiamo da quando va avanti e potrebbe essere già giunto alle stelle. Vai a preparare una borsa Grace.»
Grace si sentiva frastornata: ricevere tutte quelle informazioni in una sola volta e scoprire di essere stata infettata da una malattia che poteva ucciderla, non era il migliore dei modi per concludere una giornata già di per sé faticosa.
Durante il tragitto in macchina ne approfittò per raccontare quel che invece era accaduto a lei. Kristina gettò un'occhiataccia al suo compagno, per la storia della pistola, ma alla fine Grace aggiunse che non l'aveva più e che probabilmente era nella macchina di Shane, intuizione che non si rivelò errata.
Arrivata in pronto soccorso, attese il suo turno, poi seguì una dottoressa minuta che la accompagnò in diverse sale specializzate per fare esami in linea generale.
C'era una cosa che sapeva bene: non voleva trascorrere la sua vita con un ago infilato nel braccio.
Il suo pensiero, in tutto quel trambusto, andò al piccolo Nathan, che aveva dovuto vivere tutto quello ad una così tenera età. Sarebbe andata a trovarlo, anche subito.
Ora capiva tutto: l'insonnia, la tosse, la debolezza, la perdita di peso. Anche il sangue dal naso. Facendo attenzione nel ricordare tutti i momenti trascorsi col fratello, si accorse che i sintomi non fossero diversi: non si incontravano sempre di notte, con lui puntualmente sveglio? Non era un ragazzino debole e mingherlino? E i continui colpi di tosse? L'aerosol, le medicine?
Come aveva fatto a non capirci nulla?
Sospirò.
Come aveva fatto a non capire che il loro amico li aveva traditi e aveva ammazzati quella che lui professava la sua migliore amica
Come aveva fatto a non capire che mai avrebbe trovato una lanterna in quel buio spaventoso, e che mai avrebbe trovato una stella nel blu dei suoi occhi?
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Ciao a tutti, miei amatissimi lettori! Ancora non mi capacito del fatto che ci sia qualcuno a cui piace quel che scrivo, per me è una cosa surreale...
Come vi ho ripetuto spesso ultimamente, la storia sta per finire, ma non temete! Se davvero vi piace il mio stile di scrittura, entro l'anno prossimo potrete trovare sul mio profilo un racconto fantasy ;).
Buona domenica a tutti xoxo!!
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