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Capitolo Undicesimo.

Passano tre giorni, poi cinque, poi una settimana e poi due. Durante questo periodo la mia vita è stata un continuo andare e venire di ansia e momenti di depressione incontrollati. Mio padre era furioso per ciò che era accaduto a scuola, così mi ha rispedito in terapia. Non che prima non continuassi le sedute con Laura, ma erano diminuite parecchio. Adesso invece è tutto molto simile all'inizio. Ci sono io, seduta su una poltrona marrone scuro, in un ufficio tappezzato di verde. I miei occhi sono quasi sempre persi nel vuoto, la voce di Laura mi arriva ovattata alle orecchie. Mi rifiuto di collaborare. Le cose non migliorano, non migliorano mai. I ragazzi passano i giovedì sera al Fight a cercare di ridurre le tensioni con i Cobra, ma tutto quello che fanno sembra inutile. L'hanno presa sul personale e qualsiasi cosa Luke e i ragazzi cerchino di fare non sta funzionando.
La notte è il momento più difficile. Ho spesso incubi in cui rivivo l'incidente, in cui vedo casa mia bruciare, vedo me stessa agonizzante mentre muoio. Mi sento sempre più in colpa per quello che sta succedendo. E ho come l'impressione di crollare da un momento all'altro.

Passano ancora una ventina di giorni. Io mi sento sempre stanca e depressa. Passo la giornata con Luke e i ragazzi al bowling, cercando di fare finta che vada tutto bene. Luke mi riaccompagna a casa verso le sette di sera. Il cielo è buio, coperto da pesanti e ingombranti nuvole grigie. In lontananza si vedono lampi e si sentono rimbombi di tuoni lontani.
Il mare è agitato, le onde si infrangono violentemente contro gli scogli e sulla sabbia fredda della sera.
Saluto Luke con un bacio, promettendogli che ci saremmo sentiti al telefono dopo cena. Esco dalla sua auto, colta improvvisamente da un'aria fredda non tipica di questo paese. Mi sbrigo a trovare le chiavi di casa nello zaino mentre percorro il vialetto di casa. Apro la porta e mi volto per salutare il mio ragazzo con la mano.
Lui ricambia il saluto sorridendomi e se ne va.
Entro in casa chiudendomi la porta alle spalle.
La prima cosa che mi colpisce una volta dentro è il forte odore di fritto che si disperde nell'aria. Una strana sensazione alla bocca dello stomaco mi fa allarmare e storcere il naso.
Mi poso una mano sulla pancia, pregando in silenzio affinché il mio stomaco si calmi. Una strana e inaspettata nausea però mi colpisce in pieno e devo chiudere gli occhi e respirare a fondo per reprimere l'istinto di vomitare. Cerco di calmarmi e di fare respiri profondi.
<< Arya, sei tu? >> sento Hanna chiamarmi dalla cucina.
Apro gli occhi, la mano premuta forte contro lo stomaco, la mente concentrata a mantenere il controllo del mio corpo.
<< Si, vado un secondo in camera mia a cambiarmi >> le urlo di rimando.
La sento uscire dalla cucina per venire fino alla porta, ma io non l'aspetto e mi affretto di corsa verso le scale. Le salgo due gradini alla volta e mi precipito in camera mia, chiudendo la porta a chiave.
Mi catapulto in bagno e vomito per la prima volta dopo molto tempo. Dopo aver buttato fuori di me qualunque cosa ci fosse nel mio stomaco, tiro lo sciacquone e mi pulisco le labbra con della carta.
Chiudo gli occhi appoggiandomi con la schiena al muro, la testa pesante, gli occhi chiusi, le mani a coppa sulla pancia. Mi lascio cadere a terra cercando di reprimere quella paura e quel dolore che so essere procurato per la maggior parte dalla mia testa.
Dopo alcuni minuti, mi alzo e vado a cambiarmi. Indosso una tuta pesante mentre vengo colta da brividi. Decido di andarmi a sciacquare il viso con dell'acqua fredda.
Rimango piegata sul lavandino per un po'. Mi asciugo il viso bagnato con un asciugamano​ e, senza guardarmi allo specchio, spengo la luce e torno in camera mia.
Mi sciolgo i capelli dalla treccia e li lascio scivolare sulle spalle prima di aprire la porta ed uscire.
Scendo le scale lentamente, cercando di sentire cosa Hanna e mio padre stanno dicendo dalla cucina.
<< Forse dovrebbe parlarne di più con la psicologa. I fatti passati potrebbero averla scossa >> dice Hanna calma.
<< Lei sta bene. Deve stare bene. Non può semplicemente crollare di nuovo >> le risponde mio padre. Il suo tono di voce è nervoso, preoccupato.
Scendo altri due scalini per sentire meglio.
<< Le ricadute possono capitare, tesoro. Arya ne ha passate tante, le farebbe bene parlare dei suoi problemi con qualcuno capace di comprenderla >>.
<< Può parlarne con me, non credi? Perché non ne parla con me o con te? A delle persone adulte che possono aiutarla >> mio padre sembra frustrato, per certi versi, arrabbiato.
Hanna sospira pesantemente. Immagino che ora gli abbia preso una mano nella sua, cercando di calmarlo e confortarlo.
Sono contenta che mio padre abbia trovato una donna come lei. Il divorzio con mia mamma era inevitabile. Non sarebbero rimasti insieme neanche se mio fratello non fosse morto. Ormai si sentiva che tra loro non c'era più nulla, non c'era più quell'amore che li aveva fatti incontrare e passare sedici anni della loro vita insieme. Sono felice che lui abbia trovato una nuova compagna, che non sia solo. Mi conforta pensare che, anche nel peggiore dei casi, accanto a lui ci sarà Hanna. Lei saprà condividere il suo dolore, saprà amarlo come merita.
<< Arya è forte, Ed. Ma la sua forza no può vincere su tutto. Deve parlare apertamente della sua condizione con qualcuno di cui si fida ciecamente. Qualcuno che non la giudichi e che non sia sentimentale coinvolto. Noi non possiamo aiutarla come si deve. Ti prego, Ed. Non fare nulla, lascia che sia qualcun altro ad aiutarla >> risponde Hanna in maniera chiara e serena.
<< Forse hai ragione >> risponde semplicemente mio padre.

Non mi rendo nemmeno conto di star risalendo le scale. Non mi accorgo di essere tornata in camera mia e di essermi sdraiata sul letto.
Hanna ha ragione, devo parlarne con qualcuno. La prima persona che mi viene in mente è Laura, la mia psicologa.
Non ci penso due volte, prendo il telefono e compongo il suo numero che ormai so a memoria. L'ho chiamata così tante volte che non mi domando nemmeno se sia normale ricordarsi il numero del proprio psicologo a memoria.
Risponde dopo pochi squilli.
<< Pronto? >> domanda un po' confusa.
<< Laura? Sono Arya, Arya Greywolf >> dico piano.
Lei esita un attimo.
<< Arya? Arya è tutto a posto? Come mai mi chiami a quest'ora? >> mi domanda preoccupata. L'ansia si impadronisce di me e un forte e pesante sospiro le arriva all'altro capo della cornetta.
<< No >> rispondo con voce strozzata.
La sento agitarsi dall'altro lato del telefono.
<< Ok, Arya. Adesso rilassati e respira >>.
Respiro.
<< Continua a respirare >>.
Continuo a respirare.
<< Sto crollando di nuovo >> sussurro trattenendo le lacrime ormai imminenti. Percepisco il suo respiro trattenuto, la consapevolezza di aver fallito con un caso troppo complicato come il mio.
<< Arya, calmati. Andrà tutto bene. Ripeti come me: andrà tutto bene >> di lei con voce affannata. Probabilmente si sta accingendo a venire a casa mia per paura che faccia qualcosa di stupido.
<< Andrà tutto bene >> ripeto tra i singhiozzi.
<< Arya, ascoltami. Continua a parlare con me, ok? Dove sei adesso? >> mi domanda. In sottofondo, sento il rumore di una porta che sbatte.
<< A casa, nella mia stanza >> le dico giocherellando con le lenzuola.
<< Tuo padre è in casa? >> mi domanda.
Io annuisco mentre le rispondo.
<< Ok, Arya. Parla con me, continua a parlarmi >> il rumore di un motore che si avvia copre la sua voce.
<< Tutti si aspettano che io viva >> dico improvvisamente, cogliendola di sorpresa.
<< Perché non dovresti vivere? >> mi domanda agitata.
Io singhiozzo, senza nemmeno provare ad asciugarmi le lacrime.
Lascio che mi brucino la pelle del viso, che tutti i sensi di colpa repressi in quei mesi ritornino alla mente. Lascio che le parole di mio padre mi colpiscano in pieno. Lui non vuole che io cada di nuovo, ma non sa che è già successo. Che in realtà non mi sono mai rialzata.
Mi rendo conto che la mia vita è vuota, che tutto quello che ho vissuto in questi mesi è stata solo una bella illusione. Che Michael e i ragazzi sono stati degli angeli pronti a prendermi mentre cadevo giù dal cielo. Che Luke era riuscito a prendermi per un attimo, ma che poi gli sono scivolata via dalle dita. Ma io ho continuato a sperare che volasse più forte, che mi venisse a prendere. Ora so che non è così. So che, qualsiasi cosa lui o chiunque altro faccia, non potrà salvarmi.
Io sono già morta. Ora lo so, ora ne sono pienamente consapevole. Non sono riuscita a vincere il mostro di me. Ho lottato, ci ho creduto. Ma lui mi aveva già catturata per metà.
<< Io non sono fatta per questo mondo. Ho provato a vivere, a convivere con il fatto che mio fratello è morto. Quella sera dovevo persuaderlo, convincerlo a non prendere la macchina di mamma. Ma non l'ho fatto. È solo colpa mia se è morto >> dico piangendo a dirotto.
<< No Arya, non è stata colpa tua. È stato quell'uomo, quello che non si è fermato col rosso. È stato lui ad uccidere tuo fratello, non tu >> mi risponde dolce e preoccupata Laura.
<< Ma io sono ancora qui e lui non c'è. Siamo venuti al mondo insieme, dovevamo andarcene insieme. È solo colpa mia, solo mia. Ed è colpa mia se Luke si è fatto pestare a sangue da quei delinquenti mesi fa, è colpa mia se hanno distrutto casa di Calum, è colpa mia se hanno dato fuoco alla macchina di Hanna. Tutta mia famiglia, i miei amici, tutti loro soffrono a causa mia! >> urlo tra le lacrime.
Sento il mio nome urlato da mio padre e da Hanna al piano di sotto.
Mi alzo dal letto col telefono ancora in mano e vado a chiudere a chiave la porta della mia stanza.
<< Arya, calmati. Sto arrivando, sono quasi a casa tua >> mi risponde Laura.
Io scuoto la testa e tiro su col naso mentre mi dirigo verso il bagno.
<< È troppo tardi, dottoressa. Io sono già morta >> le dico chiudendo la chiamata.
Mi precipito in bagno chiudendomi a chiave e spostando il mobiletto bianco in cui tengo le scarpe, davanti alla porta.
Apro il cassetto sotto il lavandino e prendo la lametta. Mi accascio a terra mentre mi recido profondamente i polsi. Un liquido rosso scuro esce a fiotti dai tagli profondi nella mia carne. Sento mio padre urlare il mio nome fuori dalla mia stanza.
Sento il mio sangue fuoriuscire dalle mie vene recise. Lo vedo ricoprire i miei pantaloni grigi, lo vedo creare macchie sempre più grosse sul pavimento. Sento altro sangue pulsare nella mia testa, che lentamente inizia a girare e a diventare pesante. Gli occhi si fanno pesanti, la vista mi si annebbia. Sento un forte rumore lontano, voci che urlano il mio nome. La porta del bagno si muove, trema. Poco dopo si apre, la serratura rotta dalle spallate di mio padre e di Michael. I miei occhi lo vedono confusi, con ancora la giacca addosso. Sposta il mobile davanti alla porta per farsi strada verso di me.
Sento la sua voce urlare il mio nome, ma quel suono ormai è fin troppo flebile.
Mio padre si accascia accanto a me, prendendomi tra le sue braccia. Io lo guardo, colta da uno strano e dolce calore. Sento tutto il corpo appesantirsi, la testa bruciare e le braccia farsi molli.
Urla qualcosa a Michael, ma io non odo alcun suono. Vedo solo le sue labbra muoversi frenetiche. Vedo Michael annuire spaventato correre fuori dal bagno, vedo Hanna avvicinarsi a me. Le lacrime che le riempiono gli occhi. Sento qualcosa di morbido posarsi sui miei polsi e fare pressione. Guardo mio padre che mi parla con il viso accaldato, gli occhi sbarrati. Si passa una mano sul viso. Ora è sporco di sangue, il mio sangue.
<< Papà... >> sussurro piano cercando di farmi sentire.
Nelle mie orecchie solo una eco lontana che mi sussurra "resta con me, Arya. Resta con me".
E poi lo sento. Quel calore ultraterreno che mi avvolge tutta mentre la vista mi si annebbia. Un respiro mozzato mi esce dal petto mentre mio padre continua ad urlare il mio nome.
Non sento più nulla e un velo nero mi copre gli occhi. Poi il buio.

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