Rosa~Capitolo 7
Non puoi vivere il presente, pensando al passato. E non puoi pensare al futuro, rovinando il presente. -Il cappellaio matto
Di giorno una persona normale e di notte un qualcuno sul bordo di una crisi di nervi. Ecco come si sentiva Gio ogni singolo momento della sua vita. Una specie di Batman con problemi di identità. Una definizione più che azzeccata nel suo caso.
«Hai delle occhiaie terribili ricciolina.»
Quel commento fece tornare Giorgia sul pianeta terra e le fece anche notare che, vista da fuori, poteva assomigliare benissimo a una specie di zombie.
Si trovava in biblioteca assieme a Filippo ed entrambi stavano aspettando Gaia che, come sempre, era in ritardo. Si erano dovuti trovare per iniziare uno stupido lavoro di gruppo che quella stupida della professoressa di storia aveva assegnato e, per il momento, i due ragazzi erano gli unici seduti a quel tavolo con dieci libri diversi davanti che trattavano tutti lo stesso argomento: la dannata rivoluzione francese.
«Sì...sì lo so. Non ho dormito molto.»
Giorgia aveva il mento posato sul palmo della mano e sentiva che la testa le ciondolava avanti e indietro e che le palpebre avevano una voglia disperata di chiudersi e di non riaprirsi più. Ma non poteva dormire, non davanti a Filippo almeno. Aveva ancora un po' di dignità e non l'avrebbe persa iniziando a ronfare su un tavolo in una biblioteca pubblica.
«Si vede. Guarda che possiamo benissimo fare un'altra volta sai, non è che per forza bisogna iniziare il progetto appena ce lo assegna.»
«No...no. Ce la posso fare.»
Disse quasi sicura delle parole che stavano uscendo dalla sua bocca afferrando uno dei libri che aveva davanti, il primo che le capitò, e iniziando a sfogliarlo distrattamente.
«Vuoi un caffè? Dovrei avere qualche spicciolo.»
Giorgia alzò lo sguardo dal libro posandolo sulla figura del ragazzo che le stava davanti. Filippo le stava sorridendo e aveva già una mano sulla testa della sedia, pronto ad alzarsi.
«A un caffè offerto non si dice mai di no.»
«Chissà perché me lo aspettavo.»
Rispose Fil scuotendo la testa e alzandosi per raggiungere la macchinetta automatica e lasciando Gio da sola, faccia a faccia con i volumi di storia.
Molti di quei libri parlavano delle brutture di quel periodo e di quanto la gente stesse male. Non era proprio uno degli argomenti più allegri da dare a dei ragazzi del quarto anno per basarci sopra una bellissima e fantasmagorica presentazione power point.
La ragazza iniziò a giocherellare con i capelli che, stranamente, quel giorno era riuscita a far venire belli e ordinati. Non era mica una cosa da tutti i giorni ed era veramente un peccato che, proprio in quel momento, Gio non fosse a qualche appuntamento galante ma in una biblioteca ad aspettare che Fil le portasse un caffè! Veramente un peccato.
«Ecco qua il tuo caffè ricciolina.»
Filippo le porse il bicchierino di carta con dentro il caffè fumante e si sedette al suo posto iniziando a picchiettare la matita sul quaderno a righe che aveva davanti. Giorgia prese il bicchiere in mano e lo avvicinò alle labbra con cautela, era bollente. Molto probabilmente neanche la lava dell'Etna era così calda!
«Ma Gaia ha intenzione di arrivare secondo te o non ci prova neanche a far felice la prof di storia?»
Gio scosse la testa, anche quella che aveva detto Fil era una possibilità. Insomma, storia non era certo la materia preferita di Gaia e la ragazza avrebbe potuto tranquillamente non presentarsi in biblioteca, ma lei non credeva che l'amica sarebbe stata tanto subdola.
«Vuoi che provo a chiamarla?»
Il riccio si strinse nelle spalle mentre tracciava delle linee sul foglio del quaderno.
«Prova. Almeno così sappiamo se dobbiamo iniziare senza di lei o se aspettare che arrivi con la sua buona mezzoretta di ritardo.»
Giorgia sorrise e avviò la chiamata avvicinando il telefono all'orecchio.
«Oi Gaia! Dove sei finita che siamo qua che ti aspettiamo? Sì, per il progetto di storia...ma che cosa vuol dire che sei in pigiama? Dio santo! La prossima volta devo ricordarmi di passarti a prendere direttamente sotto casa!»
Filippo era scoppiato a ridere e stava posato sul tavolo con la bocca coperta da una mano.
«Non ci credo che se n'è dimenticata! Ah, ah! Questa è una di quelle cose che le rinfaccerò per tutta la vita.»
La risata di Filippo era veramente contagiosa e presto anche Gio si ritrovò a ridere come una pazza ricevendo anche diverse occhiatacce dalle bibliotecarie.
«Fil basta! Che sennò ci cacciano e non...e non possiamo più fare sta ricerca.»
Riuscì a dire Giorgia mentre cercava lei stessa di smettere di ridere come una matta per la sbadataggine di Gaia.
«Ok...ok ce la posso fare.»
Si calmarono entrambi dopo qualche minuto e, finalmente, le bibliotecarie smisero di guardarli male.
«Che dici? Iniziamo a fare sto coso mentre aspettiamo la regina degli addormentati?»
«Guarda...penso che Gaia più che una regina sia una specie di strega ma sì, iniziamo. Almeno così quando arriva abbiamo già qualcosa su cui lavorare assieme a lei.»
Il ragazzo annuì e prese uno dei volumi che gli stavano davanti iniziando a leggerlo e a prendere appunti.
***
20.05, Gio aveva accompagnato Gaia a casa e ora era da sola nel suo appartamento, seduta sul divano, a guardarsi l'ennesima puntata di Criminal Minds. Suo padre aveva il turno di notte e non sarebbe tornato a casa prima delle quattro di mattina. Era sola. Sola con il ricordo delle parole della sua migliore amica che le rimbombava nella testa.
Perché sì, Gio ascoltava quello che Gaia diceva ma, ancor di più, se lo ripeteva. Se lo ripeteva fino allo sfinimento, finché non nascevano in lei nuove paranoie e non tornava a rintanarsi nella sua tana di tristezza e solitudine.
Capisco che tu non sia pronta a dirlo a tuo papà e a fare coming out in classe ma potresti, almeno, fare pace con te stessa. Vedi? Anche io mi rivolgo a te con il femminile sebbene sappia quanto ti faccia male! Togli quel Cristo dal muro, tagliati quei dannati capelli e inizia a vestirti come cavolo ti pare! La vuoi vivere la tua vita o no Gio?
Così aveva detto. Gio fissò lo schermo della televisione dove Spencer stava avendo un'illuminazione delle sue e poi si stese sul divano sbuffando. Quando era tornata a casa non aveva avuto voglia di rimettersi a studiare quindi aveva acceso Netflix e si era messa a guardarsi qualche puntata di quella serie. Il risultato? Ne aveva guardate ventiquattro.
Si scostò i capelli dal viso e prese il telefono. Ottocento messaggi dal gruppo della classe, uno da suo papà che le chiedeva se andasse tutto bene e uno da Gaia che le aveva mandato una foto di lei che gettava il libro di storia sul pavimento. Uscì da WhatsApp e aprì le foto. Scrollò lo schermo fino ad arrivare a una delle prime immagini che si era salvata.
Raffigurava sua mamma che la teneva in braccio. Si chiamava Linda e aveva lasciato lei e suo papà da nove anni.
In quella foto Giorgia aveva otto anni e stava facendo vedere a sua mamma un disegno che raffigurava lei assieme a Gaia. Linda le sorrideva teneramente, una mano posata sulla testa della bambina per accarezzarle i capelli. Papà aveva una foto simile incorniciata in camera sua, solo che la teneva nascosta dentro ad un cassetto. Era una ferita troppo dolorosa per lui da riaprire.
Gio bloccò il telefono lasciandolo sul divano. Si alzò posando i suoi piedi scalzi sul pavimento freddo, era stata talmente intelligente da dimenticarsi i calzini di pelo sul letto. Arrivata davanti alla porta del bagno si fermò per un'istante. Stava facendo esattamente quello che le aveva detto di fare Gaia ma, allo stesso tempo, non era sicura di quello che stava succedendo.
Che cosa avrebbe detto suo padre quando l'avrebbe vista? E i suoi compagni di classe? Sapeva benissimo che non ci si doveva basare sul giudizio altrui per le scelte che bisognava fare ma, comunque, non poteva fare a meno di pensare a quello che la gente avrebbe detto guardandola. Aprì la porta del bagno, accese la luce, entrò. Si mise davanti allo specchio e si guardò negli occhi.
Erano pieni di lacrime.
Uscì dal bagno di corsa lasciando la luce accesa e tornò in salotto afferrando il telefono che, poco prima, aveva abbandonato sul divano.
«Pronto?»
La voce di Gaia, dall'altra parte del telefono, le scaldò il cuore e la fece sorridere anche se le lacrime avevano iniziato a scendere sulle sue guance.
«Gaia voglio farlo. Voglio farlo davvero. Ma mi servirà una mano...»
«Gio, di che cosa stai parlando? Perché non sono pratica di sesso lesbo.»
Come sempre Gaia non aveva capito niente ma, quella volta, Gio si mise a ridere scuotendo la testa anche se l'amica non la poteva vedere.
«Ma no cretina! I capelli, voglio tagliarmi i capelli...»
Dall'altra parte del dispositivo si sentì un tonfo e poi un'imprecazione, evidentemente Gaia aveva lasciato cadere il telefono.
«Il tuo telefono è ancora vivo?»
Le chiese Gio ridendo e passandosi una mano sulle guance per asciugarsele.
«Lui sì, io potrei morire d'infarto. Sto facendo una corsa, sono subito lì!»
E, con quest'ultima frase, Gaia riattaccò lasciando Gio in pasto alla solitudine e al vuoto del suo salotto. Chiuse gli occhi e li strinse forte, come se volesse impedire ai pensieri intrusivi di, appunto, intrufolarsi nella sua mente e convincerla a lasciare stare, a cambiare strada, a non fare quello che stava per fare.
«Adesso arriva Gaia.»
Continuava a ripeterselo mentre strofinava le mani sulle braccia come per farsi caldo quando, in realtà, era per cercare di calmarsi e per tenere ferme proprio quelle mani che avrebbero potuto afferrare il telefono per scrivere a Gaia di tornare indietro.
Si toccò i capelli rigirandosi tra pollice e indice un ricciolo e sbuffò.
Cosa avrebbe detto a suo papà? Che aveva caldo? Che stava comoda? Insomma, quelle scuse che usava da una vita per giustificare il suo modo di vestire maschile? E le fasce per il seno? Dov'è che si andava a prenderle? Stava veramente facendo la cosa giusta? E se tutto quello non fosse bastato? E se la gente avesse continuato a vederla come una ragazza nonostante tutto?
Il campanello suonò e Gio tornò sulla terra sia con la testa che con il suo corpo. Senza accorgersene, infatti, si era raggomitolata a palla sul divano e aveva nascosto la testa tra le ginocchia.
Andò ad aprire la porta e premette il pulsante per aprire quella del condominio. Quando sentì i passi di Gaia su per le scale iniziò anche la sua ansia.
«Ciao stella del mio paradiso!»
Gaia l'abbracciò talmente forte che Gio temette di essersi rotta una costola.
«Ciao luz de mi vida.»
Giorgia non era sicura che quella cosa si dicesse così, ma l'aveva sentito per TV e quindi lo ripeteva esattamente come ricordava. Magari con quell'aggiunta di italianità che metteva anche quando cantava in inglese.
Gaia la prese per le spalle e la guardò negli occhi sorridendo teneramente.
«Sei sicura? Lo facciamo?»
Arrivata a quel punto, e a quella domanda, Giorgia non sapeva più che cosa dire, non aveva più parole da sputare fuori da quella sua bocca. Come quella canzone di Ligabue sulle parole perdute...insomma ecco. Gio non sapeva veramente che cosa dire, quindi annuì semplicemente ricevendo uno dei suoi riccioli dritto nell'occhio.
Ho capito che siete offesi perché vi taglio, ma farmi del male è un po' controproducente ragazzi!
Pensò ridacchiando fra sé mentre seguiva Gaia in bagno dove si sedeva sull'angolo della vasca con l'amica esattamente dietro di lei.
«Okaaay. Tu rilassati eh, io intanto cerco su YouTube come cavolo si fa a tagliare i capelli di una persona in modo decente.»
Giorgia si mise a ridere mentre guardava l'amica attraverso lo specchio che digitava sul telefono con un'aria talmente concentrata da farla risultare buffa come Spank il cagnolino.
«So già che sarà una disperazione.»
Disse Gio mentre l'amica posava il telefono sul mobile e impugnava le forbici che aveva recuperato dalla credenza in cucina.
«Ma va! Fidati di me!»
«È proprio questa la parte difficile.»
Passarono alcuni minuti in silenzio mentre Gaia seguiva le indicazioni del tutorial e faceva cadere sul pavimento enormi ciocche di capelli di Gio.
«Senti Gio…ma questa cosa…insomma…»
Gaia non sapeva che pesci pigliare per iniziare il discorso e a Gio fece ridere.
«Dillo con parole tue Gaia.»
Gaia sbuffò e tirò uno schiaffo all’amica prima di tornare al suo lavoro da parrucchiera apprendista.
«Mi chiedevo solo, davanti a chi posso rivolgermi a te con il maschile? Insomma, non sarà facile e magari mi impapererò anche io però devo riuscirci…solo che volevo sapere davanti a chi posso parlare liberamente.»
Gio smise di ridere e sospirò, non era per niente sicura di quello che stava facendo e la domanda di Gaia non la tranquillizzava per niente.
«Filippo. Lo dirò a Fil…quindi lui è ok.»
«Ok, va bene.»
Sussurrò Gaia mentre continuava a tagliare e il bagno ricadeva di nuovo nel silenzio, interrotto solamente dagli ordini del tutorial.
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