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Rosa~Capitolo 3

E fa male arrivare a quel punto in cui vorresti solo morire…
ma continui ad affogare nel tuo stesso dolore

Filippo posò sul banco di Giorgia un pezzo di carta e lei lo prese in mano, studiandolo. Era un invito a una festa di compleanno, un diciottesimo per essere precisi. Gio alzò lo sguardo e il ragazzo le sorrise.

«Conto sulla tua presenza ricciolina!»

Soprannome di merda.

Pensò Gio mentre Filippo andava avanti a parlare.

«E mi raccomando, fatti bella.»

Dopo averle dato quell'istruzione importantissima il ragazzo se ne andò facendole l'occhiolino. Gio ritornò a guardare l'invito per distrarsi, un senso di nausea le attanagliò lo stomaco e lei avrebbe solamente voluto correre in bagno e chiudersi dentro.

«Ehi, che succede? Sembra che tu abbia visto un fantasma.»

Gaia le si sedette vicino, stava masticando una gomma e giocherellava con un pacchetto di fazzoletti.

«Peggio.»

Disse Giorgia guardando l'amica.

«Filippo mi ha invitato alla sua festa...»

«E allora? Sta invitando tutta la classe e, detto tra noi, credo che stia andando a elemosinare presenze anche nelle altre.»

«Sì...sì lo so.»

«Mh, e quindi?»

Gio si mangiava le unghie mantenendo lo sguardo fisso sul disegno che c'era sulla maglietta di Gaia, la macchia arcobaleno.

«Mi ha detto di farmi bella e mi ha fatto pure l'occhiolino.»

Gaia smise di torturare i fazzoletti e corrugò la fronte.

«Oh...bè tu non farci caso. Sai che Filippo ama fare lo scemo...ti voleva provocare.»

Gio annuì, per niente sicura di quello che la sua amica le aveva detto.

«Forse hai ragione.»

Il suono della campanella ridestò le due ragazze dai loro pensieri facendole tornare entrambe sul pianeta terra. La professoressa di matematica entrò in classe urlando contro Paolo e Filippo e la lezione iniziò lì.

***

Gaia si stava mangiando delle noci ricoperte di cioccolato che la sua amica le aveva offerto mentre, proprio quest'ultima, se ne stava seduta alla sua scrivania a studiare filosofia.

«Senti ma...non sarebbe ora di toglierlo quel Gesù Cristo che hai attaccato sopra alla porta?»

Gio intrecciò le mani dietro alla testa girandosi verso la sua amica.

«Mio padre crede che mi protegga...non posso toglierlo.»

«Ok...ma finché sarà lì sarà sempre più difficile ammettere quello che devi ammettere.»

«Non iniziare Gaia! Non voglio parlare di questo argomento...ancora. E poi non puoi dare la colpa a una foto! Ancora non me la sento, punto e stop.»

«Ho capito Gio ma non puoi nemmeno continuare a vivere come una fuggitiva. Te ne rendi conto no?»

Giorgia sbuffò tornando a voltarsi verso la scrivania dove il suo libro di filosofia la fissava, aperto sulla vita di Socrate.

«Non voglio parlare di questo argomento ora, dovevamo studiare!»

Gaia si tirò su a sedere mentre posava il suo di libro sul piumone della sua amica.

«E quando ne vorrai parlare? Quando dovrai metterti un bellissimo vestito rosso e sexy per andare al diciottesimo di Rizzi? Mh?»

«Posso vestirmi come mi pare per la festa di Fil, non è che il fatto che lui mi abbia detto di farmi bella mi impone di farlo effettivamente!»

«Sai cosa intendevo…»

Gio si bloccò, lo sguardo puntato sul libro ma la testa concentrata sulle parole di Gaia.

La sua amica aveva ragione, per quanto ancora sarebbe andata avanti quella farsa che lei si ostinava a chiamare vita? Per quanto tempo ancora si sarebbe nascosta il viso dietro a quei ricci lunghi? Per quanto avrebbe permesso a Filippo di posarle le mani sulle cosce? Sbatté la testa sul libro dandosi dei leggeri pugni.

«Perché mi devi sempre mettere in difficoltà?»

Le chiese ritornando a fronteggiarla.

«Perché sono la tua migliore amica e sono preoccupata per te. Capisco che tu non sia pronta a dirlo a tuo papà e a fare coming out in classe ma potresti, almeno, fare pace con te stessa. Vedi? Anche io mi rivolgo a te con il femminile sebbene sappia quanto ti faccia male! Togli quel Cristo dal muro, tagliati quei dannati capelli e inizia a vestirti come cavolo ti pare! La vuoi vivere la tua vita o no Gio?»

«Non lo so.»

Ammise Giorgia alzando lo sguardo verso la foto di Gesù che, incurante del fatto che in quella stanza fossero tutti sul punto di una crisi d'identità, le sorrideva porgendole una mano.

«Il compleanno di Filippo è il venti...»

«Non iniziare a farmi pressione oh! Ho bisogno di tempo…e no, diciassette anni non sono bastati.»

Provò a sdrammatizzare Gio sorridendo, ma sapeva anche lei che quello era un argomento serio.

«E va bene! Come vuoi tu.»

Le rispose Gaia ricambiando il suo sorriso.

«Sai che facciamo ora?»

Giorgia alzò lo sguardo, la ragazza si era alzata in piedi e stava mettendo il suo libro nello zaino ricoperto di spille di band e pubblicità.

«Cosa?»

«Andiamo a prenderci un gelato!»

«Ma dobbiamo studiare.»

Le ricordò lei lasciandosi cadere ancora di più sulla sua sedia rotante mentre pensava all'interrogazione che avrebbero avuto venerdì e per cui lei non era minimamente pronta.

«Ma sì vabbè. Studi dopo, è lunedì hai tutto il tempo.»

«Ma...»

«Niente ma!»

La interruppe Gaia avvicinandosi a lei e prendendole il viso tra le mani per non farle distogliere lo sguardo.

«Tu hai bisogno di rilassarti e io ho un forte bisogno di lanciare fuori dalla finestra il libro di filosofia. Quindi, se vuoi evitare che la tua finestra si rompa vieni con me a mangiare questo dannato gelato! Capito?»

Giorgia la spinse via ridacchiando e si alzò dalla sedia camminando verso l'armadio.

«Ok psicopatica, andiamo a prendere questo dannato gelato.»

Esclamò mentre si infilava la sua felpa rossa con sopra disegnata la Pantera Rosa.

«Finalmente!»

Rispose Gaia con tono un po' troppo drammatico.

«Fidati che ti sentirai meglio, in fondo lo dicono pure i Pinguini Tattici Nucleari. Un gelato risolve ogni problema.»

Gio sorrise scuotendo la testa.

«Non era proprio questo il significato della canzone ma ok.»

***

Giorgia odiava stare a casa da sola. Lo detestava proprio. Eppure succedeva tutte le notti, quando suo padre andava a lavorare e lei rimaneva irrimediabilmente sola. Suo papà faceva la guardia notturna ed era una cosa veramente spaventosa a detta della ragazza, insomma, stare da solo tutta la notte, al buio, in un negozio. Gio aveva visto molti film horror iniziare così.

La ragazza si strinse le gambe al petto mentre stava seduta sul divano a guardare la televisione. In realtà erano le due e mezza del mattino ma lei non era ancora riuscita a chiudere occhio, non ci riusciva mai. Tra l’ansia che abitava la sua testa e la paura del silenzio erano veramente rare le volte che riusciva a fare più di tre ore di sonno prima di alzarsi alla mattina.

Quando lanciò un’altra occhiata all’orologio appeso al muro le due e mezza erano ancora lì che la guardavano, il tempo sembrava passare molto più lentamente di notte. Sembrava quasi che l’orologio volesse donare delle ore in più a tutto il mondo…eppure tutto il mondo dormiva. Bè, tutto il mondo tranne quella parte con il fuso orario diverso.

Giorgia si alzò dal divano sbuffando, era a piedi scalzi e il pavimento era veramente freddo a contatto con la sua pelle. Si diresse verso il bagno e ci si chiuse dentro piazzandosi immediatamente davanti allo specchio. Era una cosa che faceva spesso di notte, specchiarsi e mettere a nudo i suoi pensieri. Guardarsi negli occhi e cercare di parlare con il suo vero “io”, cercare di scorgere in quegli occhi il ragazzo che sapeva di essere e che sapeva di star nascondendo.

Quella sera Giorgia guardava il riflesso di una ragazza stanca, con le occhiaie sotto agli occhi e i capelli come un nido di vespe crollato. Vedeva un qualcuno che stava perdendo le energie e che si stava prosciugando da solo. Stava osservando un involucro che si stava, piano piano, svuotando del suo stesso essere.

«Sono veramente stanca…»

Sussurrò piano, come se qualcuno l’avesse potuto sentire, per poi scivolare lentamente sul pavimento, la schiena contro la vasca. Il suo petto iniziò a essere scosso da singhiozzi sempre più forti e presto il suo viso venne solcato da migliaia di lacrime.

Le bruciava la gola e sentiva il bisogno doloroso di urlare ma, allo stesso tempo, la consapevolezza di non poterlo fare e di dover stare zitta per non disturbare i vicini di casa che stavano dormendo le ricacciava giù quell’urlo sovrumano. Giù, giù sempre più sotto. Talmente sotto che, appena sarebbe riuscito ad uscire, Giorgia era sicuro che sarebbe stato come una bomba nucleare, disastroso.

«Per favore…»

Iniziò a dire tra i singhiozzi, ansimando e ingoiando lacrime mentre si rannicchiava sempre di più con la speranza di scomparire, inghiottita dal pavimento.

«Per favore uccidimi…lasciami morire…che senso ha…»

Si prese il viso tra le mani schiacciandosi la faccia e iniziando a sentire un dolore simile a tanti piccoli spini infilati nella pelle.

«Che senso ha stare così? Dimmelo. Perché mi hai fatto così? Che cosa ti ho fatto io…?»

Ma, ovviamente, nessuno rispose. E forse perché Gio non sapeva nemmeno a chi si stesse effettivamente riferendo. Sapeva solo che il tetto del bagno in quel momento era arancione e che lei stava pregando uno stupido gruppo di sassi di ucciderla.

«Non ho il coraggio di farlo da sola…»

Sussurrò ancora, quasi come se si dovesse giustificare per quella richiesta. Allungò una mano tremante verso il telefono, che stava buttato per terra accanto a lei, e lo sbloccò per vedere l’orario: le tre e un quarto.

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