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Blu~Capitolo 6

Erano tutti dettagli bizzarri in una persona ma, in un disegno, potevano diventarne il fiore all’occhiello. I dettagli, quei piccoli e insignificanti punti buffi…quelli sì che potevano valere qualcosa. Ancor più del disegno stesso.

Quando Brandon era piccolo, può sembrare strano, ma sua mamma gli raccontava i miti greci e romani quando non riusciva a dormire. Il ragazzo aveva sempre pensato che sua madre conoscesse tutte le storie del mondo prima di scoprire che, semplicemente, la sua mamma insegnava lettere antiche all’università.

La sua storia preferita era quella di Amore e Psiche, anche perché era l’unica ad avere un lieto fine. Gli piaceva tanto quando la mamma si stendeva affianco a lui e gli accarezzava il viso mentre parlava lentamente e a bassa voce per non svegliare la sorella che ronfava nell’altra stanza.

«C’era una volta una ragazza di nome Psiche ed era veramente bella. Questa bellezza, però, era inutile poiché la bella non riusciva a trovare marito. Venere, invidiosa del fatto che la fanciulla fosse così bella, chiese a suo figlio, Amore, di farla innamorare dell’uomo più brutto del mondo.»

Il piccolo Brandon sorrideva e si muoveva sotto alle coperte mentre la mamma cambiava voce a seconda della scena che stava raccontando.

«Purtroppo Amore era veramente distratto quel giorno e, per sbaglio, colpì sé stesso innamorandosi di Psiche. La sposa ma la ragazza non sa chi sia, effettivamente, l’uomo che ha sposato visto che lo incontra solo la notte, al buio. Una notte, però, la bella ragazza, presa dalla curiosità, accese la luce e vide l’uomo che aveva sposato: era proprio un dio!»

A quel punto la mamma faceva una faccia sorpresa che Brandon trovava veramente divertente e che lo faceva ridere un sacco ogni volta. Tanto che la mamma doveva mettergli una mano sulla bocca per non svegliare la sorella.

«Ma Amore si svegliò e, ferito dal fatto che Psiche non si fosse fidata di lui, fuggì. Lei, molto dispiaciuta, iniziò a cercarlo vagando per il mondo finché la perfida Venere non le diede delle prove da superare. Con l’aiuto di alcune divinità la ragazza riuscì a compierle tutte…l’ultima prova, però, si rivela essere la più difficile. Psiche viene costretta a scendere agli inferi per recarsi dalla dea Proserpina, che le consegnerà una boccetta della sua bellezza. Al ritorno, però, in preda alla curiosità, la fanciulla apre l’ampolla e cade in un sonno profondo. A questo punto Amore arriva in suo aiuto, perché anche se offeso la ama ancora. Egli chiede a Zeus di poterli riunire per sempre. Ed è così che, dopo tutto questo giro, i due sono liberi di amarsi senza nessun intoppo o cattivo a dividerli.»

Brandon passava le notti sveglio pensando a quella storia e all’amore che quei due provavano l’uno per l’altra anche se appartenenti a due mondi tanto diversi. La cosa che gli piaceva di più era Amore che perdonava Psiche per non essersi fidata di lui. Era la dimostrazione che l’amore poteva superare ogni cosa! Almeno lui da bambino la vedeva così.

Ora che era cresciuto, e che sua madre se n’era andata, la vedeva in modo molto diverso.

Vedeva quella storia come il tentativo da parte di sua mamma di indirizzarlo verso un amore che lei riteneva normale e di allontanarlo dall’amore che si era ritrovato a provare lui.

Vedeva quella storia come il semplice essere distratto di Amore e non come il manifestarsi di quel sentimento. In quella storia non ci leggeva più una fiaba con il lieto fine ma una vita vissuta in un amore fasullo e vuoto.

Il ragazzo buttò sul divano il telefono stanco di aspettare, anche per quel pomeriggio, la chiamata di sua mamma. A dire la verità non era mai certo che l’avrebbe chiamato ma lo sperava sempre.

Lo riprese in mano solo per buttarlo nel suo zaino, dove aveva riposto anche il suo quadernino e un astuccio pieno di matite e gomme, per poi uscire di casa con il cappuccio sulla testa nella speranza che Annabella l’avrebbe lasciato in pace.

Appena fu uscito dal condominio incolume tirò un sospiro di sollievo. Prese la bicicletta e iniziò a pedalare con la felpa che gli si appiccicava addosso per il caldo e con la schiena che implorava pietà.

Improvvisamente una ragazza tutta agitata gli si palesò davanti e lui fu costretto a fermarsi frenando bruscamente e facendo stridere le ruote sull’asfalto. La ragazza si voltò verso di lui per neanche cinque secondi e Brandon non riuscì nemmeno a vederla bene in viso visto che era per metà nascosto da un cespuglio di capelli ricci.

«Oddio scusami! È che sono veramente in ritardo e non ho guardato! Mi spiace, ciao!»

Nemmeno il tempo di risponderle che era già sparita lasciando il ragazzo fermo sul lato della strada intendo a cercare di mantenere a sé ogni ricordo di quel viso, sarebbe stato perfetto da disegnare.

***

Brandon aveva un posto speciale in città ed era un vecchio sottoponte dove passava ancora un po’ d’acqua proveniente dal fiume e che la diga da quattro soldi che aveva costruito chissà chi non riusciva a mantenere.

Gli piaceva quel posto perché era totalmente isolato dal resto del mondo: per arrivarci dovevi impegnare un vialetto, abbandonare la bicicletta attaccata a uno steccato e scendere delle scale in pietra bianca rimaste da verniciare. Non c’erano panchine, ci si doveva sedere direttamente per terra, ed era possibile trovare gatti randagi che gironzolavano in cerca di qualche topo da mangiare. Le carcasse di animali morti erano all’ordine del giorno. Eppure quel posto a Brandon piaceva veramente tanto. Anche perché riusciva a concentrarsi bene per disegnare.

Il ragazzo si sedette per terra e tirò fuori dal suo zaino il quaderno e l’astuccio iniziando a frugarci dentro praticamente subito per trovare la matita giusta per il tipo di disegno che aveva in mente di realizzare.
Quando la trovò rilassò le spalle e chiuse gli occhi cercando di riportare alla mente ogni più piccolo dettaglio di quella ragazza che gli aveva tagliato la strada poco prima.

Non era una cosa facile da fare, anzi, delle volte il difficile del suo hobby stava proprio in quello: ricordare e visualizzare il soggetto a cui doveva dare vita. Vederselo davanti e sentirlo così vero da poterlo quasi toccare. Ecco, il suo obbiettivo era andare a ricreare la situazione di poco prima a tal punto da sentire perfettamente il respiro affannoso della ragazza accanto a sé.

Fece un respiro profondo e cercò di non pensare ad altro se non a quella ragazza, al suo viso, ai suoi capelli e al suo modo agitato di parlare per fargli sapere che gli dispiaceva e che era in ritardo.

Tracciò una linea sul foglio, a occhi chiusi, con il soggetto davanti sarebbe stato molto più semplice ma, in quei casi, doveva ripetere il disegno più di una volta per riuscire a catturare la vera essenza di quel qualcosa.

Ora la ragazza era di nuovo davanti a lui e la sua mano si muoveva sul foglio come quelle di un musicista sui tasti del pianoforte. Brandon le toccò i capelli e ne percepì la morbidezza e li vide belli nella loro confusione di ricci. La guardò negli occhi e constatò che erano scuri, marroni come il cacao. Aveva delle lentiggini? Non ne era sicuro, poteva benissimo essere qualche strano riflesso del sole. La voce della ragazza era veloce e agitata, continuava a scusarsi mentre si allontanava da lui. Le sue scarpe erano slacciate e i suoi jeans sporchi su una delle ginocchia.

Erano tutti dettagli bizzarri in una persona ma, in un disegno, potevano diventarne il fiore all’occhiello. I dettagli, quei piccoli e insignificanti punti buffi…quelli sì che potevano valere qualcosa. Ancor più del disegno stesso.

Quando Brandon riaprì gli occhi sul foglio non era disegnata la figura che aveva in testa ma un bozzetto di una testa con due occhi scuri e dei capelli ricci, una scarpa slacciata di lato e un cerchio, doveva essere il ginocchio, con una macchia sopra. Erano dei buoni punti di partenza, in fin dei conti.

Chissà dove doveva andare quella ragazza…

Si chiese Brandon piegando la testa sul foglio e iniziando a disegnare la figura che aveva immaginato fino a poco fa. Quella ragazza pareva veramente di fretta…magari l’avrebbe raccontato a Filippo. Sì, era sicuro che l’amico si sarebbe fatto quattro risate.

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