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La carrozza si fermò e la brusca interruzione del dondolio dell'abitacolo fece ridestare Madame Pervenche. Diede un'occhiata fuori dal finestrino e lo scintillio delle decorazioni dorate del palazzo le fecero dimenticare il ricordo del suo allontanamento da corte, che l'aveva accompagnata per tutto il viaggio. Fece appena in tempo a ricomporsi prima che il lacchè aprisse lo sportello e abbassasse il predellino; la donna si affacciò elegantemente e si portò la mano sinistra guantata sul vistoso cappellino di piume appuntato all'acconciatura, per non farlo portare via dal vento che soffiava in quel momento. Posò con fermezza l'altra mano su quella del lacchè che la aiutò a scendere. Toccato terra, si lisciò la gonna dell'abito nero, che indossava per via del lutto portato ormai da cinque anni, e avanzò con decisione verso i gradini che conducevano al cortile rettangolare di fronte l'entrata della Reggia di Versailles. Respirò a pieni polmoni il profumo di quella piccola vittoria: era stata allontanata da quella che fino a poco tempo prima considerava la sua casa, ma ora il re Luigi XV, sul letto di morte, l'aveva mandata a chiamare.

L'eco dello scalpiccio delle sue scarpe sul marmo, dai disegni geometrici monocromi, la precedette facendo accorrere i valletti. Vennero aperte le porte e Madame Pervenche fece il suo ingresso; altri valletti lì presenti si inchinarono e attesero pazientemente di accompagnare la nuova arrivata: la donna si osservò allo specchio posto su un camino di marmo e sorrise gioconda al suo riflesso. Nonostante l'abbigliamento fosse sobrio, Madame Pervenche si trovò splendida: aveva da poco compiuto 32 anni ma l'allontanamento dalla corte l'aveva fatta rinascere, rendendo il suo aspetto fresco e gradevole. Si sistemò gli scuri boccoli che pendevano dietro la nuca e ravvivò le piume di struzzo poste sul cappellino. Solo quando fu soddisfatta si rivolse al valletto personale del re, che in quel momento era sopraggiunto:

-Sono Madame Pervenche di Borbone, ho un colloquio con il sovrano.

-Sua Maestà vi attende Madame, da questa parte. - rispose lui, con un leggero inchino. La camera da letto del re era situata proprio sopra al salone dell'entrata dove si trovavano, ma per arrivarci dovettero salire uno scalone di marmo, posto nell'ala nord-est, che portava al primo piano. Avrebbero potuto attraversare le sale principali dedicate agli dei dell'Olimpo: il Salone di Venere, che insieme alla Sala dell'Abbondanza fungeva da punto di "ristoro" per gli ospiti della Reggia, ogni giorno imbandite con ricchi buffet; il Salone di Diana, dedicata al gioco del biliardo; il Salone di Marte, utilizzato come sala delle guardie; infine il Salone di Apollo, ovvero la sala del trono. Essendo però luoghi in cui tutta la nobiltà passava il tempo, il valletto del re preferì percorrere le sale secondarie per non essere visti da occhi indiscreti. Ma si sa, anche i muri hanno le orecchie e in poco tempo si diffuse la voce che Madame Pervenche fosse giunta a Versailles, per la felicità di alcuni perché ora avrebbero potuto riempire di nuovi pettegolezzi le loro giornate noiose, e l'indignazione di altri, fedeli a Madame du Barry.

Giunti al gabinetto del consiglio, il valletto si fermò e bussò alla porta della camera da letto del sovrano. Subito i due battenti vennero spalancati dalle guardie poste all'interno e Madame Pervenche vi entrò, seguendo il valletto. La Chambre du Roi era sempre una visione per i fortunati che potevano accedervi: sembrava di entrare in un portagioie. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati color oro e riprendevano gli stessi arabeschi delle cortine del letto a baldacchino. Ai lati della stanza, due caminetti in marmo, sovrastati da due enormi specchi, portavano poggiati due candelabri ciascuno: tra quelli del camino di destra vi era un busto in marmo, mentre tra quelli del camino di sinistra vi era un orologio. La zona dell'alcova era delimitata dal resto della camera da una balaustra dipinta in oro, seminascosta alla vista da un capannello di persone che vi si era radunata davanti. Madame Pervenche si accorse che, tra di loro, Madame du Barry non era presente.

-Maestà, Madame Pervenche è arrivata - mormorò il valletto personale del re al capezzale del vecchio sovrano. Per tutta risposta quest'ultimo riuscì a sussurrare:

-Fatela venire qui.

Il valletto si volse verso la donna e le fece segno di avvicinarsi. Madame Pervenche alzò leggermente l'ampia gonna per non calpestarne l'orlo e, a piccoli passi raffinati, quasi scivolasse sul lucido parque, raggiunse il suo re. Si inginocchiò accanto all'uomo che le aveva dato tutto ma anche tolto tutto, ma questo ormai non importava: ad una persona sul letto di morte, che sia un signore o un umile, bisogna sempre concedere i suoi ultimi desideri. Delicatamente gli prese la mano e lui, nonostante fosse indebolito dalla febbre, gliela strinse.

-Lo sapevo, lo sapevo che sareste tornata - disse il re con un filo di voce, i suoi occhi scintillanti di felicità.

-Non potevo lasciarvi andare via senza avervi salutato, Maestà - rispose Pervenche, le lacrime che iniziavano a salirle agli occhi.

-La cosa più importante è che siete arrivata in tempo. Devo dirvi alcune cose prima di andare via, non voglio andare all'altro mondo con questi pesi sulla coscienza.

Madame Pervenche aprì bocca per ribattere, ma il re la fermò:

-Non dite niente, dovete solo ascoltare. Voi siete sempre stata la più forte tra noi due, avete dovuto ingoiare tanti rospi, tante ingiustizie, eppure siete ancora qui, in piedi - un colpo di tosse interruppe le parole del sovrano e subito il medico gli fu accanto, ma egli lo fermò con un debole gesto della mano.

-La verità è che voi siete l'unica donna che io abbia mai amato, l'unica che abbia stimato nonostante le vostre sconosciute origini. Vi ho fatto un torto dandovi in sposa ad un altro uomo, allontanandovi dai nostri figli, mandandovi via da me ma credetemi, l'ho fatto solo per il vostro bene.

Luigi XV chiuse gli occhi e sospirò, quasi come se stesse per morire in quel momento. Tutti rimasero col fiato sospeso, venne fatto chiamare il prete per l'estrema unzione. Madame Pervenche iniziò a singhiozzare, incapace di trattenersi.

-Non piangete ma chère, così mi spezzate il cuore - mormorò il re, riaprendo a fatica gli occhi.

-Vi sembra questo il momento di fare dello spirito? - domandò tra le lacrime la donna, seriamente provata. A quell'uomo doveva tutto, doveva la sua intera vita. Non sarebbe la dama che era adesso, nonostante non fosse più una duchessa o non avesse mai ricevuto il titolo di favorita.

-Sto prendendo tempo per raccogliere le ultime forze e confessarvi la cosa che più vi sta a cuore.

A quelle parole Madame Pervenche si sentì mancare il fiato. Restò in silenzio, in attesa del seguito. Il re la guardò con i suoi occhi limpidi:

-Avvicinatevi, è un segreto che posso confessare a voi soltanto.

Nel frattempo era sopraggiunto il prete per la benedizione, ma rimase in disparte in attesa che quel colloquio intimo terminasse.

Madame Pervenche si chinò e porse l'orecchio destro alle labbra di Luigi.

-Quello che desidero confessarvi da troppo tempo è questo: il nome delle famiglie a cui ho affidato i nostri figli.

-Le famiglie? - domandò incredula la donna, scostandosi per guardarlo in faccia.

-Li avete divisi - sibilò, comprendendo -avete osato dividerli. Sono nati insieme e voi li avete separati.

Il re, stancamente, con lo sguardo le impose di avvicinarsi di nuovo.

-Non potevano restare uniti Pervenche, lo sapete bene. L'una è l'antitesi dell'altro. Ma ora vi rivelerò dove trovarli, spetterà voi se farli ricongiungere o meno. Badate, sarà responsabilità vostra, vi avevo avvertita - un altro colpo di tosse, più forte del precedente, gli impedì nuovamente di proseguire. Questa volta il medico riuscì ad accostarsi al re e iniziò a preparargli un salasso. Il sovrano non vi badò e continuò la sua confessione:

-Olympe...la troverete... - disse con un filo di voce. Pervenche si fece ancora più vicina.

-Madame, così vi prenderete il vaiolo - l'ammonì il dottore, ma ella non ci fece caso.

-L'ho affidata ai conti d'Orléans - Longueville, la moglie desiderava tanto avere una figlia...ma non sono sicuro che sia sopravvissuta, sapete meglio di me quanto fosse cagionevole di salute. Abitano a Château de Maintenon, vicino Chartres - un altro accesso di tosse lo interruppe, facendolo sussultare violentemente. La donna rimase sbigottita di fronte a quell'informazione e cercò di registrare il messaggio nella mente. La tosse del re stava peggiorando, il medico cercò di farla placare in tutti i modi ma Pervenche sembrava lontana da quel luogo, come se la salute del re non le importasse più. Sapeva dove avrebbe potuto trovare la loro figlia, sempre che non fosse morta. All'improvviso si riscosse e si chinò verso Luigi:

-E Adrien? Dov'è Adrien? - domandò del loro secondo figlio. Il re chiuse gli occhi e i colpi di tosse cessarono. Lei provò a svegliarlo scuotendolo, invano. Luigi XV era morto.

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In copertina: Madame Pervenche du Borbone, duchessa d'Angiò

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