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VI

Non appena la porta fu chiusa, Françoise tornò a sedersi sulla poltroncina, allargando con le mani le gonne, sistemando il panier in modo da poter essere più comoda; Annalise rimase incantata nel vedere la seta, prima rigonfia, ricadere su sé stesse lentamente, lanciando piccoli luccichii nei punti in cui la luce colpiva i ricami dorati su fondo cremisi. La zia se ne accorse:

-Vi piace il mio abito, contessina Annalise?

La bimba alzò lo sguardo sul volto della zia, che la scrutava con severità, pronta a correggerla non appena avesse aperto bocca:

-Oh sì, zia. I tuoi abiti sono sempre così belli...- sospirò.

-I vostri abiti, volete dire.

-Zia, non posso parlarti come sempre? E' troppo complicato per me il linguaggio dei grandi!

Françoise si spazientì ancora di più. Si alzò e raggiunse la nipotina, i suoi passi cadenzati accompagnati dal fruscio delicato della veste. Annalise, intimorita, tenne la testa bassa ma la principessa le alzò il mento con il ventaglio e per la prima volta si trovò a scrutare gli occhi della nipote: incontrò lo stesso colore del mare di sua sorella Henriette, ma la fermezza e la tenacia che vi lesse dentro appartenevano ai suoi. Passò in rassegna i capelli spettinati, di un bruno leggermente ramato, indugiò sul visetto perfetto ma selvatico per poi passare al vestito.

-Che cos'è lo straccio che state indossando, contessina? - domandò, indietreggiando di un passo per vedere meglio lo scempio: la lunga tunica, vista da vicino, pareva una robe volant dismessa da anni.

-Me lo ha cucito Olympe con il tessuto di uno dei suoi vecchi abiti che metteva da piccola. Ti piace, zia? - rispose allegramente Annalise, orgogliosa di avere una sorella che, all'occorrenza, si dedicava a piccoli lavoretti sartoriali. Françoise cercò di non badare più al modo di parlare della nipote e arricciò il naso al solo pensiero che quel cencio potesse nascondere delle pulci.

-Toglietevelo subito contessina, non si confà ad una bambina del vostro rango.

-Perché zia? A me piace! - tentò di ribellarsi Annalise, ma lo sguardo di fuoco della donna la fece desistere. Sciolse il grande fiocco sul petto che chiudeva l'abitino e se lo lasciò scivolare dalle spalle, restando con solo la sottoveste di lino bianco. A quella vista la principessa andò su tutte le furie.

-C'est incroyable! Cosa vedono i miei occhi! Avete superato il limite! Non indossate un bustino, né un panier... - esclamò la zia, si chinò e scostò l'abito a terra. -E nemmeno le calze e le scarpe! Questo non va assolutamente bene, vostra madre mi sentirà!

La principessa, incollerita, iniziò a girare per la stanza senza darsi pace, borbottando. Annalise restò a osservarla, divertita. Era buffo il comportamento della zia, del resto lei era cresciuta senza tante cerimonie, quasi abbandonata a sé stessa. Henriette era sempre stata occupata con l'educazione di Olympe, essendo la primogenita, mentre il padre, del tutto assente e senza polso, le faceva fare tutto ciò che voleva. Quasi casualmente si era imbattuta nei libri della biblioteca di famiglia e, non sapendo leggere, aveva chiesto aiuto a Olympe. La bimba si esercitava sui pesanti tomi di filosofia greca e si era innamorata di Platone.

Françoise, intenta a scrivere una lettera, non badò più ad Annalise, che si perse nei suoi pensieri, guardando fuori dalla finestra aperta: il sole era ormai alto nel cielo e la giornata era splendita, l'aria si era riempita del ronzio degli insetti, l'acqua del fossato scintillava sotto i caldi raggi del sole. All'improvviso una testolina di ricci castani fece capolino dal davanzale, seguito da un paio di occhi scuri: era Dietrich, accorso in aiuto della cuginetta.

I ricordi si interruppero e Olympe riaprì gli occhi, tornando alla realtà. Restò a guardare il viso impassibile di Annalise, cercando di capire cosa potesse significare tutto ciò. Certo era strano, non aveva mai visto la zia interessarsi così tanto alla nipotina.

"Non capisci? Stanno cercando di metterci i bastoni tra le ruote". La voce della sirena rimbombò nella testa di Olympe.

"Cogli l'occasione, uccidi questa mocciosa prima che sia troppo tardi!" continuò la voce.

"Sei solo un peso per la tua famiglia, presto si dimenticheranno di te, ti metteranno in un angolo, ti useranno come animale da compagnia, anche un cieco può vedere le potenzialità di questa mocciosetta se continuerà a vivere...se desterà gli interessi della principessa potrebbe scegliere lei per suo figlio. È questo che vuoi?"

Olympe si prese il volto tra le mani e scosse la testa, in preda ad un forte turbamento.

-Che cos'hai? - chiese Annalise preoccupata, accostandosi a lei.

"Fallo! O lo farò io" insistè la voce della sirena, la cui anima straziata per un antico amore perduto gridava la sua vendetta. La ragazza iniziò a tremare nello sforzo di mantenere il controllo del suo corpo, nella sua mente apparivano scene agghiaccianti di ciò che lo spirito malvagio della sirena voleva fare servendosi di lei. Ma non avrebbe mai ceduto, Annalise era la sua ragione di vita, faceva parte di lei. Era stato grazie al potere della sirena se Henriette aveva dato alla luce la secondogenita; sotto la supplica di Olympe, la sirena aveva diviso in metà la sua anima, la parte buona dalla parte cattiva; la prima entrò nel corpo di Henriette e salvò il bambino che portava miracolosamente in grembo. La parte cattiva, invece, rimase in Olympe, condannandola a condividere le sofferenze e il bisogno di vendetta di quella sirena infelice.

"Finchè vivremo qui non saremo mai libere e io vorrei tanto poter ritornare tra le onde dei sette mari, ritrovare l'uomo che amo e ottenere la mia vendetta!"

Olympe cadde a terra bocconi, in preda alle convulsioni, lacrime silenziose le scorrevano sulle guance. La bambina, spaventata, si gettò su di lei:

-Soeur, resta con me!

Il corpo della ragazza ebbe ancora alcuni spasmi poi, all'improvviso, si placò. Tutto fu silenzio, la voce della sirena sparì, battuta dalla sua stessa parte buona che viveva assopita nel corpo di Annalise.

*********** + ***********

La stanza odorava di chiuso, di malattia. La luce del sole bandita dalle persiane serrate e dai pesanti tendaggi tirati lasciava posto alla flebile luce dei ceri, tenuti in mano dai chierichetti disposti a ferro di cavallo attorno al letto della moribonda. Il respiro pesante, rantoloso, strascicato di Henriette unito all'orazione del prete, sembrava dare un certo ritmo alle preghiere sussurrate dalle donne in fondo alla stanza. Queste ultime, strette nei loro sontuosi robe à la Française di seta nera e velate da capo a piedi da scuri veli in pizzo, sembravano ombre venute dall'Oltretomba.

All'improvviso le porte furono spalancate e la principessa fece il suo ingresso in tutta la sua imperiosità, brandendo una pergamena nella mano sinistra e una piuma nella destra. Alla vista del corteo funebre, dei ceri e del prete che si preparava a dare l'Estrema Unzione, Françoise storse il naso, infastidita da tutti quei ridicoli riti. Mecenate dei più famosi illuministi del tempo, era devota alla scienza, non alla religione; sosteneva con fermezza la ragione come arma efficace per combattere l'ignoranza delle superstizioni.

-C'est incroyable - sbuffò avviandosi dall'altra parte della stanza; le dame, interrotte nella loro litania di salmodie, si scostarono per far passare la nobildonna di rango superiore al loro, inchinandosi profondamente. La principessa scostò bruscamente le tende, aprì le finestre e spalancò le persiane in ampi gesti rabbiosi. I raggi del sole inondarono prepotentemente la stanza, insinuandosi in ogni angolo che potevano raggiungere, facendo indietreggiare quei corvi vestiti di nero che tentavano di ripararsi il viso dalla luce accecante.

-Ora va meglio. E adesso fuori di qui, tutti! - ordinò la donna, battendo le mani. Il prete, indignato per essere stato interrotto durante la celebrazione del rito, si avviò verso la porta a testa alta, seguito dai chierichetti con i ceri. Anche le donne uscirono una dopo l'altra, inchinandosi a Françoise e a Jean Jacques, sopraggiunto subito dopo la cognata. Quando il dottore uscì per ultimo, chiudendosi le porte alle spalle, Françoise si avvicinò al capezzale della sorella. Quest'ultima volse lo sguardo su di lei, ma non riuscì a pronunciar parola: la sua figura, incorniciata da un'aureola di luce, sembrava l'Angelo della Morte venuto a portarla via. Qualcuno le prese la mano destra e, giratasi in quella direzione, incontrò la figura curva del marito, i suoi occhi tristi la guardavano pieni di dolcezza.

-Perdonatemi, se potete - mormorò l'uomo.

Henriette emise un breve respiro rantoloso prima di chiedere con voce accorata:

-Dove sono Olympe e Annalise?

-Credo sia il caso di non coinvolgerle in tutto questo, ma chère. - rispose la sorella al posto suo.

A quelle parole Henriette scosse la testa:

-Devo vedere le mie figlie, ho bisogno di loro - si puntellò sui gomiti e cercò di alzarsi con le poche forze che le rimanevano, ma le mani di Françoise sulle sue spalle la respinsero sui cuscini.

-Non è questo il momento di vederle. Che brutto ricordo si porteranno dietro quando non ci sarai più? - sbuffò la principessa.

Henriette la guardò, incredula.

-Allora è vero? Morirò? - disse in un sussurro.

Jean Jacques stava per ribattere quando il corpo della moglie venne colto da uno spasmo violento.

-Per l'amor del cielo Françoise, fate venire il medico!

-Henriette, calmati adesso. Ho bisogno che tu firmi il nostro accordo, è di vitale importanza e tu lo sai – disse quest'ultima, incurante dello stato in cui si trovava la sorella. Si chinò verso la malata, allungandole la piuma e la pergamena.

-Cosa? Quale accordo! - esclamò l'uomo, strappando il foglio dalle mani della cognata.

-L'accordo del matrimonio tra Olympe e Victor – rispose secca Françoise, fulminando con lo sguardo l'uomo intento nella lettura.

-Come mai non ne sapevo niente? Henriette, come hai potuto? Hai venduto nostra figlia!

-Le vostre figlie, dato che non siete nelle condizioni di poter badare nemmeno a voi stesso. L'accordo prevede che dopo il matrimonio tra Olympe e Victor, la patria potestà su Annalise spetterà unicamente a me e a mio marito.

-Non potete farlo... - sussurrò Jean Jacques, incredulo a quelle parole. Dovette sostenersi alla colonna del baldacchino per non cadere.

-Certo che posso, basta solo la firma di vostra moglie.

La crisi di Henriette si placò e l'uomo si chinò su lei, appoggiando la fronte sulla sua:

-Dimmi che non è vero, dimmi che non vuoi tutto questo.

Henriette diede un altro respiro rantoloso, impossibilitata a parlare. Strinse più che poté la mano del marito, mentre con quella libera gli accarezzò la guancia velata di lacrime. A quel tocco l'uomo alzò la testa e incontrò gli occhi della donna che lo aveva amato con tutta sé stessa. Sperava di leggervi dentro ancora quell'amore di un tempo, ma vide solo due occhi vacui.

-Perdonatemi, è per il loro bene... - sussurrò ella. Stava per aggiungere altro ma un'altra convulsione, seguita da una tosse ancora più violenta delle precedenti, le stroncò del tutto la parola, il respiro. Nessuno, nemmeno il dottore poté fermare quella tosse implacabile, quel malanno che la dilaniava dall'interno: Henriette de Valois, contessa d'Orléans - Longueville, venne uccisa dall'anima della sirena che le aveva permesso di donare la vita alle sue figlie; morì per aver cercato la felicità al limite del proibito. 

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