V
Dietrich si chiuse la porta alle spalle, pensieroso. Gli si stringeva il cuore sapere Annalise da sola con sua madre: avrebbe dato qualsiasi cosa pur di prendersi la sfuriata al posto della cugina. Cresciuto come un piccolo soldatino, non aveva mai conosciuto l'amore genitoriale, né da parte della madre Françoise né da parte del padre Frederick. Dietrich non era principe ereditario, quel titolo spettava di diritto a suo fratello maggiore Victor, ma nonostante ciò era un principino e, come tale, era stato cresciuto ed educato. Dedito molto allo studio, non aveva altro modo per passare il tempo se non tra i libri e così suo padre Frederick aveva iniziato ad allungare al bambino volumi di teologia, ai quali Dietrich si era appassionato.
Immerso nei suoi pensieri, seguì Elisabeth sotto il portico di pietra. La bambina corse a perdifiato fino alle brevi scale che accedevano al giardino, si volse verso il fratello e lo guardò con i suoi occhi azzurri birichini:
-Sbrigati lumacone o ti lascio indietro! - esclamò, prima di scendere a capofitto i gradini ridendo. Sua sorella era la felicità in persona, poteva scoppiare una guerra ma lei non avrebbe mai perso il sorriso. Dietrich si affacciò al parapetto e rimase ad osservarla correre sul ponte che portava al giardino costruito sul fiume, finché il suo abitino color pesca e i suoi ricci rossi non si confusero tra i roseti. Per non perderla di vista si incamminò di gran carriera, riempiendosi gli occhi del magnifico paesaggio che gli si aprì davanti.
Per Dietrich Château de Maintenon era il Paradiso e Annalise l'angelo che gli spalancava le sue porte. Erano rari i periodi di villeggiatura presso quel luogo: accadevano una volta ogni quattro anni, se non si contavano le visite sporadiche che duravano solo tre giorni. La prima volta che i cugini si erano conosciuti avevano entrambi quattro anni: Elisabeth non era ancora nata, Victor aveva dodici anni e quell'anno era l'ultima volta in cui aveva potuto partecipare a quei soggiorni felici dato che più tardi si era arruolato in Marina. Dietrich e Annalise si erano piaciuti fin da subito, erano diventati talmente inseparabili che, finché non impararono a leggere e a scrivere, avevano condotto una fitta corrispondenza dettando le lettere ai loro fratelli maggiori.
Quando si erano rivisti, Dietrich aveva sentito un tuffo al cuore: Annalise era diventata una graziosa bambina, dai lunghi boccoli bruni e due occhi profondi che lo guardavano divertiti e incuriositi. Aveva scoperto piacevolmente che il loro legame non era stato sconfitto dalla distanza ed erano tornati a giocare insieme, a scambiarsi segreti, a combinare pasticci come se quei quattro anni non fossero mai trascorsi. Si divertivano un mondo a giocare all'allegra famiglia, travestendo Elisabeth da poppante e trattandola come loro figlia.
"Non sarebbe male se il nostro gioco diventasse realtà". Dietrich sospirò a quel sogno ad occhi aperti, destinato a restare un sogno e basta; infatti suo padre aveva deciso per lui la strada del suo futuro: una vita da ecclesiastico. Del resto faceva sempre comodo avere in famiglia un uomo della Chiesa di Roma. Il destino di Dietrich sembrava segnato, se non fosse stato per il sentimento che il bimbo sentiva crescere dentro di sé nei confronti della cugina.
"È stupido da pensare, ma credo di essermi innamorato di lei", rimuginò tra sé e sé.
-Ce l'hai fatta ad arrivare, lumacone! - esclamò Elisabeth, risvegliandolo. Lo stava aspettando in piedi su una barchetta ormeggiata a ridosso delle scale di pietra che scendevano dentro al fiume. Dietrich la guardò, confuso.
-Cosa aspetti? Vuoi salvare Anne oppure no? - sbuffò la bimba, impaziente.
Il bambino, capendo il piano della sorella, si calò nella barca a remi, slegò l'ormeggio e allontanò l'imbarcazione con un colpo di remo contro la murata. Non essendo un rematore provetto, faticò non poco a raggiungere la torre in cui la sua bella era tenuta prigioniera.
Accostata la barca sotto la finestra, Dietrich si issò a fatica al davanzale e, dopo aver sbirciato dentro la stanza, individuò la cugina. Quando anche lei lo vide le fece cenno di avvicinarsi e la bimba, divertita da quel salvataggio, si avvicinò silenziosamente.
-Abbiamo recuperato una barca, presto, salta giù! - bisbigliò, la voce rotta dallo sforzo per restare in piedi sull'impavesata.
-Come desideri, mio salvatore! Ora spostati – rispose Annalise.
Gettò un'ultima occhiata in direzione della zia, occupata a scrivere una lettera, scavalcò il davanzale e vi si sedette, lasciando i piedi a penzoloni verso l'esterno. Il cugino tornò ai remi per mantenere la barca in posizione, ma Annalise si spinse nel momento sbagliato e cadde in acqua.
-Annalise, quanto sei stupida! - esclamò Elisabeth, ridendo a crepapelle.
-Dai, non è divertente! - la chiamò Dietrich, con voce incerta. Preoccupati, i bambini si sporsero oltre il bordo e si sforzarono di guardare sotto il pelo dell'acqua. Non videro nulla, nemmeno delle bolle d'aria salire in superficie. Solo quando videro passare sotto i loro nasi le rose bianche che la bambina aveva raccolto per la madre urlarono con quanto fiato avevano in gola.
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Olympe stava nuotando indisturbata nei pressi della torre meridionale quando aveva sentito i bambini ridere e così era emersa fino alle spalle e si era appoggiata contro una rientranza delle mura, incuriosita: Annalise, affacciatasi alla finestra del salottino della musica, confabulava con il cugino in bilico su una barca a remi, appoggiato al davanzale. Aveva visto la sorella in biancheria intima scavalcare il davanzale e, avendo capito le sue intenzioni, si era immersa giusto in tempo per vederla sprofondare come un sasso davanti ai suoi occhi; la piccola non sapeva nuotare e sarebbe annegata se Olympe, con un deciso colpo di coda, non le fosse andata dietro e non l'avesse afferrata. Annalise si era aggrappata con tutte le forze al corpo della sirena, aveva tenuto il volto affondato nell'incavo del suo collo alla ricerca dell'ossigeno che usciva dalle branchie. Quest'ultima aveva continuato a nuotare sott'acqua, allontanandosi dal castello, alla ricerca di un posto isolato in cui poter riemergere senza essere vista.
E ora eccole sotto le fronde di un salice piangente, nascoste da sguardi indiscreti. Olympe scosse dolcemente la sorellina, aiutandola a riprendersi. La bimba si sedette, si asciugò gli occhi con le nocche delle mani e sbatté le palpebre:
-Olympe... - mormorò, poi la mente le si snebbiò. Scoppiò a piangere.
-Perdonami, Olympe! Ieri sera non volevo rovinarti il vestito, non volevo! - farfugliò tra i singhiozzi. La ragazza la lasciò sfogare prima di appoggiarle una mano sulla spalla e fare pressione. Annalise si bloccò come folgorata, poi scosse la testa.
-E' inutile che ci provi Olympe, sai benissimo che non riesco a percepire i tuoi pensieri! - esclamò sconsolata.
La ragazza non si arrese, voleva capire cosa era successo e perché si era gettata dalla finestra. Tese una mano verso la bambina. Annalise guardò per un attimo il palmo ancora ricoperto di squame e poi il volto della sirena. Un refolo di vento spostò i rami del salice e i raggi del sole sfiorarono la pelle iridescente di Olympe, i suoi capelli argentei, creando dei giochi di luci colorate. I suoi occhi, di un giallo vivo, la guardavano con intensità, ipnotizzandola.
-Vuoi...vuoi leggere i miei ricordi, non è vero? - le domandò titubante.
Per tutta risposta Olympe annuì e allungò ancora di più la mano. Annalise, tremante, mosse la sua.
-Va bene, ma non curiosare in cose che non ti riguardano come hai fatto l'ultima volta – si raccomandò, arrossendo. Pose la sua manina sul palmo di Olympe e chiuse gli occhi.
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In copertina: Château de Maintenon
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