IV
Al sorgere del sole la campagna intorno a Château de Maintenon si ridestò: gli uccellini furono i primi a dare il benvenuto al nuovo giorno con i loro allegri canti, accompagnati dal gracidare delle rane e dallo scorrere dell'acqua incessante del fiume L'Eure. Anche gli abitanti del castello erano già nel pieno della loro attività, dalle cucine in cui la cuoca si apprestava a preparare la colazione fino al primo piano del bastione Sud Ovest, nella camera di Henriette, dove il dottore prestava assistenza alla malata mentre alcune donne sgranavano i rosari, pregando insieme al prete per la salvezza dell'anima della contessa. Nel frattempo, da una delle finestre a pian terreno della torre rotonda dell'ala Sud Est, la principessa Françoise osservava Annalise, Elisabeth e Dietrich rincorrersi per il giardino alla francese, riempiendo l'aria di risate: nonostante la preoccupazione che aleggiava, non seppero rinunciare ai loro giochi. La donna non riuscì a staccare gli occhi dalla nipotina: per niente femminile nei movimenti, aveva un qualcosa di grazioso, sebbene si comportasse come una selvaggia. Al contrario della figlia Elisabeth, impeccabile nella sua robe à la française color pesca e i capelli rossi acconciati, Annalise indossava quella che sembrava una tunica informe e i suoi capelli spettinati volavano sciolti dietro di lei. Con orrore vide Elisabeth correre dietro alla cugina, incurante delle gonne che rischiavano di farla inciampare. Stava per riprendere la figlia quando una voce alle sue spalle la fece sobbalzare:
-Il dottore mi impedisce di vederla! E' inammissibile! - esclamò Jean Jacques d'Orléans, conte de Longueville. Da quando era ritornato a Château de Maintenon non faceva altro che fare da spola tra la camera di Henriette e il salotto della musica in cui la principessa aveva tentato di trovar rifugio, invano.
-Ho ordinato io al dottore di non farvi vedere vostra moglie - rispose calma Françoise; lasciò correre lo sguardo oltre il verde prato che si stendeva sull'altra riva, indugiò ancora sugli archi in pietra dell'acquedotto mai terminato. La bellezza del paesaggio però non bastò a distrarre la principessa da quello scansafatiche del cognato: si era presentato due ore dopo aver ricevuto il messaggio, in uno stato talmente pietoso che non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Françoise aveva ordinato alle sue cameriere di buttarlo nella prima tinozza che trovavano e di dargli una bella lavata.
-Perché il dottore ci mette così tanto a chiamarci? - domandò in tono agitato in conte. "Fosse per me, ti annegherei con le mie stesse mani" pensò la principessa, mentre osservava alcune papere intente ad immergere la testa sott'acqua alla ricerca di cibo.
-Per l'amor del cielo Françoise, dite qualcosa! - esclamò l'uomo, facendo un altro passo verso di lei, le braccia aperte in segno di supplica.
-Che succede conte, avete paura che vostra moglie muoia e vi lasci in mezzo alla strada? - disse ella, incapace di trattenersi dal lanciare la prima frecciata della giornata.
Si voltò, cogliendolo mentre la guardava in cagnesco; alla soglia dei cinquant'anni, non era più aitante come un tempo: fattosi robusto, zoppicava leggermente sulla gamba sinistra.
-Come vi siete ridotto, mon cher le comte. Ricordate moltissimo un vostro lontano antenato che aveva i vostri stessi problemi di salute - continuò l'arguta cognata, osservando divertita il parrucchino mezzo storto che Jean portava per nascondere un inizio di calvizie. L'uomo contrasse il volto, sottili rughe si formarono sotto i suoi occhi scuri e intorno alle labbra, strette nel tentativo di trattenere la rabbia: odiava essere paragonato al defunto Re Sole.
-Ho sentito dire che molte donne cadono ai vostri piedi. - disse, oltrepassandolo con passo elegante e battendogli sul braccio con il ventaglio chiuso, prima di aprirlo con uno scatto deciso per farsi aria.
-Sono arrivata alla conclusione che siano attratte dal denaro sonante che voi sottraete di nascosto alla rendita di vostra moglie - la donna rincarò ulteriormente la dose; a quelle parole i due valletti personali della principessa, in piedi accanto alla porta, trattennero il fiato e sbirciarono la reazione del conte.
Dal canto suo Jean Jacques incassò il colpo, ma il rossore che gli salì alle gote tradì la sua apparente calma. Si voltò verso Françoise che lo inchiodò con due occhi azzurri glaciali, ma lui mantenne lo sguardo: quella donna amava sottomettere chiunque, ma non aveva potere su di lui.
-Questi sono affari che non vi riguardano, ma chère la princesse. Godo anch'io di una rendita e ho i pieni diritti di farne ciò che voglio - rispose, cercando di far apparire la voce impassibile.
-Perdonatemi, dimenticavo che avete prestato servizio come responsabile dei paggi di re Luigi XV. Un incarico molto importante.
Questa volta Jean Jacques diventò paonazzo: come si permetteva a insultarlo in quel modo? Divaricò le gambe come se stesse per affrontare un orso a mani nude ma la principessa non gli diede alcuna attenzione; sedutasi su una poltroncina stile Luigi XIV, si stava versando con calma del tè in una tazza quando le porte si spalancarono all'improvviso e Annalise fece irruzione nella stanza, seguita da Dietrich e Elisabeth.
-Papì, sei tornato! - gridò la contessina alla vista del genitore, aggrappandosi alla sua gamba sinistra come se fosse il tronco di un albero. Alla vista della figlioletta gli occhi di Jean Jacques si addolcirono all'istante e si chinò per stringere tra le braccia quel minuscolo corpicino pieno di vita.
-La mia piccola Annette, quanto mi sei mancata - mormorò, riempiendosi le narici del dolce profumo dei boccoli bruni della figlioletta. "Annette" era il soprannome che il conte le aveva dato, un incrocio tra i nomi Annalise ed Henriette; amava molto quella figlia, così identica alla moglie di cui era ancora profondamente innamorato, nonostante non fosse mai stato in grado di esprimere tale sentimento verso di lei. Era consapevole del male che stava facendo ad Henriette con il suo comportamento, ma la sentiva talmente lontana che preferiva alleviare le sue voglie con delle cortigiane. Non era cattivo, era solo un povero diavolo.
-Regards papì, ho raccolto queste pour maman - disse Annalise, sciogliendosi dall'abbraccio e mostrando al genitore un mazzolino di rose bianche.
-E' davvero molto bello, vuoi che glielo portiamo insieme? - rispose Jean, commosso da quel gesto.
La bimba annuì, ma Françoise non perse l'occasione per intromettersi:
-Contessina Annalise, vi sembra questo il modo di rivolgervi a vostro padre?
Annalise alzò gli occhi straniti verso la zia, imponente nel suo ampio abito color cremisi che sottolineava il rosso dei suoi capelli. Quella visione avrebbe intimorito qualsiasi bambino, ma non la contessina:
-Perché mi sgridi zia? Non sto facendo nulla di male!
A quelle parole, la principessa si irritò ancora di più: la sfrontatezza del padre si rispecchiava nella figlia.
-Moderatevi nel linguaggio, contessina. Da questo momento in poi dovrete rivolgervi agli adulti dando loro del "voi". Sono stata chiara?
-Oh zia, come posso farlo? Tu sei sempre mia zia e mio papà è sempre mio papà. Non siete degli estranei!
La vena del collo di Françoise iniziò a pulsare di più. La donna emise un sospiro talmente enorme che si sentirono le stecche del corsetto scricchiolare. A quell'avvertimento, Dietrich ed Elisabeth si misero da parte, appena dietro la sedia della madre, il capo chino in attesa.
-Come vi permettete? Parlare in questo modo a mia figlia! - si intromise Jean, fronteggiandola.
-Vi rammento che sono sua tutrice e come tale il mio compito è quello di correggerla e istruirla per il suo bene, visto la mancanza di polso dei genitori naturali. - disse Françoise alzandosi in piedi.
-Ora contessina Annalise, porgete i vostri omaggi a me e a vostro padre con una bella riverenza - continuò rivolgendosi alla nipote.
La bambina cercò gli occhi dei cugini per trovare conforto, ma loro non ricambiarono lo sguardo perché intenti a restare bene eretti e con gli occhi bassi dietro la figura torreggiante della madre, ubbidienti. Annalise sospirò e si inchinò come meglio poté, inarcando la schiena. La zia la rimbeccò all'istante, colpendole la gobba con il ventaglio chiuso.
-Su, su, vous n'êtes pas un bossu! Cosa vedo? Non portate il corsetto? C'est incroyable! - esclamò indignata.
Stava per inveire ulteriormente sulla bimba quando l'arrivo del dottore interruppe la sfuriata.
-Vostre Grazie! - esclamò l'ometto ansimante, arrestando la sua corsa sulla soglia. Si inchinò così profondamente che il parrucchino grigio gli scivolò leggermente in avanti, mostrando la testa calva. Di corporatura magra, l'abito nero da medico lo faceva sembrare uno scheletro. "Se incontrassi quest'uomo per strada con una falce in mano lo scambierei per Madame la Mort", pensò Annalise, attenta ad ogni minimo movimento del nuovo arrivato.
-Vostre Grazie, Sua Grazia la comtesse è cosciente! - esclamò il dottore dopo aver ripreso fiato.
-Si è svegliata e desidera vedere Vostre Grazie, prima che venga data l'Estrema Unzione! - continuò, boccheggiando.
Jean Jacques, con grande stupore della cognata, si precipitò fuori dalla stanza, seguito dal dottore a cui stavano per partire le coronarie. Annalise si accinse a uscire dal salotto per andare a trovare la madre, ma la zia la fermò con un semplice comando imperioso:
-Annalise, potete tenermi compagnia per favore? Dietrich, Elisabeth, voi attendete fuori dalla porta per favore- disse infine rivolta ai figlioletti.
Dietrich guardò Annalise con aria triste, non volendo lasciare l'adorata cugina tra le grinfie della severa madre; Elisabeth invece sembrò non aver capito cosa stesse per accadere e lasciò la stanza ridendo, felice di poter tornare a giocare.
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