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III

Il suo pellegrinaggio verso la stanza di Olympe finalmente si concluse: Henriette abbassò la maniglia della porta con mano tremante, entrò e la richiuse alle sue spalle. Olympe aveva paura del buio e lasciava sempre le tende della finestra tirate, così la luna poteva entrare e inondandare la stanza di una luce spettrale. La contessa si avvicinò al letto della figlia, senza urtare la poltrona stile Luigi XIV e il tavolino Rococò posti in mezzo alla stanza sopra ad un tappeto persiano. Le cortine di seta azzurra del letto a baldacchino scostate rivelarono la fanciulla addormentata, i biondi capelli sparsi sul cuscino.

Henriette sedette sul bordo del letto e contemplò il viso di Olympe, baciato dai raggi lunari. Le prese delicatamente una mano tra le sue e chiuse gli occhi, sognando ciò che la ragazza sognava: un lungo corridoio, inghiottito dall'oscurità, si aprì davanti ai suoi occhi. Olympe, con indosso una camicia da notte bianca, lo stava percorrendo; Henriette la seguì, ma come nei sogni il corridoio sembrò infinito. La scena mutò, si udirono delle grida strazianti: tutto intorno fu solo oscurità ma ecco che Olympe giunse con un candelabro in mano ed Henriette le andò dietro; le urla si fecero più vicine finché non apparve una donna in preda alle doglie. Ella partorì un mostro marino ma, alla vista della creatura, la soffocò stringendole il collo tra le gambe. Anche questa scena sparì, lasciando il posto a un'altra donna girata di spalle: Henriette e Olympe le si accostarono e una scena raccapricciante si aprì davanti ai loro occhi; quella donna era Henriette stessa armata di stiletto. Aveva squartato il corpicino di un neonato e ora ne gettava le interiora tra le fiamme di un camino in marmo. All'improvviso tutto sparì e la contessa ebbe l'impressione di cadere nel vuoto: si ridestò e vide Olympe che la stava fissando.

-Bambina mia, stavi facendo un brutto sogno? - le chiese.

Per tutta risposta la ragazza girò la testa e osservò la parete di fronte a lei, lasciando correre lo sguardo lungo gli arabeschi azzurri su fondo bianco della tappezzeria.

-Dopo tutti questi anni come puoi avere ancora queste visioni? Li bevi i decotti alle erbe prima di andare a dormire? La vecchia maga si era tanto raccomandata- continuò.

"Smettetela di parlarmi come se fossi ancora una bambina". 

Quelle parole attraversarono di colpo la mente di Henriette, facendola tacere. Ora gli occhi della ragazza la guardarono come se la volessero trapassare da parte a parte. Alla contessa non sfuggì la loro tonalità ambrata, più intensa del solito.

-Non sto parlando con voi, lasciatemi da sola con mia figlia – rispose Henriette in modo pacato ma duro, rivolta allo spirito della creatura marina che viveva nel corpo della figlia. Le era insopportabile l'idea che, un giorno, l'anima della sirena avesse potuto prendere il sopravvento su Olympe e schiacciarne la volontà.

"Non accadrà, potete stare tranquilla" rispose quella voce. Le menti di Olympe ed Henriette comunicavano telepaticamente grazie al potere della sirena e questo dono poteva essere condiviso solo con la persona cui la ragazza era molto legata.

La giovane crollò sui cuscini e parve essersi nuovamente addormentata. Henriette toccò l'avambraccio della figlia e, dopo aver chiuso gli occhi, le visioni con cui Olympe amava comunicare apparvero: eccola mentre correva in mezzo a un campo di grano insieme ad Annalise, si arrampicava su una collina erbosa, nuotava nel lago artificiale del loro palazzo; lasciava che la sorellina si aggrappasse alle sue spalle quando era trasformata in sirena, prima di immergersi con un colpo di coda, sparendo sotto gli occhi vigili e preoccupati di Henriette; ma eccola subito dopo saltare fuori dall'acqua come un delfino, con la bambina a cavalcioni sulla schiena, esultante. Poi quella felicità sparì in un colpo, i ricordi divennero più cupi: la tristezza di Olympe per essere promessa sposa ad un ragazzo che non conosceva, il peso delle assenze volontarie di quel cugino che sembrava poco interessato a lei, le pressioni della zia, le aspettative, i problemi famigliari, la divisione tra lo scegliere di maritarsi per amore o per convenienza, l'incertezza del suo futuro, la paura di doversi separare dai suoi cari, dalla sua casa, dalla sua libertà. Tutti questi sentimenti invasero la testa di Henriette, opprimendola. La donna, angosciata da tanto dolore, si sentì male e si accasciò sul corpo della figlia. Olympe circondò col braccio libero il corpo della madre, scosso da altri colpi di tosse.

"Non permettete che mi portino via, maman. Non permettete che mi dividano da voi e Annalise", fu la supplica, un lamento proveniente dal profondo del cuore. Henriette sentì le palpebre farsi sempre più pesanti, ma riuscì a vedere ancora il volto della figlia contratto in una smorfia di accusa prima di perdere del tutto i sensi.

*********** ***********

Quando Henriette si riprese, la luna era sparita e il cielo andava rischiarandosi nelle poche ore che precedevano l'alba. Si puntellò sui gomiti e si rialzò a fatica. Vide la figlia dormire tranquillamente, incurante del suo stato. La contessa fece un ultimo sforzo per tirarsi in piedi e con passi tremanti uscì dalla stanza. Olympe era adirata con lei, percepiva la rabbia dai suoi pensieri e dall'aggravarsi del suo stesso stato di salute. Si dice che esista un legame indissolubile tra una madre e i suoi figli e quello che vi era tra Olympe e Henriette era un vincolo eterno, andava ben oltre i confini della realtà e della razionalità: le loro anime erano legate, fino alla morte, per questo motivo la felicità o il dolore dell'una fortificava o indeboliva l'altra. Non era quindi un caso se la salute di Henriette andava peggiorando e non sarebbe guarita finché Olympe non avesse ritrovato il suo equilibrio.

La tosse riprese, più insistente di prima, e la donna credette di soffocare. I suoi polmoni gorgogliarono, il suo ventre fu colpito da dolori atroci dovuti allo sforzo di liberare le vie respiratorie. Incapace di continuare a camminare, si accasciò contro la parete, tentò di chiedere aiuto ma dalla gola le uscirono solo dei gorgoglii soffocati. Sforzò ulteriormente le corde vocali, lottando contro la tosse che non le lasciava un attimo di respiro, e infine un grido strozzato proruppe, invadendo il corridoio buio. Gridò ancora, gridò e tossì allo stesso tempo, si piegò su sé stessa e toccò il pavimento con la fronte. "Questa è la fine" pensò la donna chiudendo gli occhi. Ripensò alla sua vita, piena di amore e ingenuità, amore verso un uomo che non l'aveva mai amata se non per la sua posizione in società, amore verso la primogenita che stava diventando un mostro, amore per la piccola Annalise, tanto adorata da suo marito quanto lei adorava Olympe. Una cosa molto curiosa, dato che Olympe era nata da...

-Henriette! Ma chère, cosa ti sta succedendo? - la voce di Françoise, prima debole e lontana, le rimbombò nelle orecchie.

-Presto voi due, portatele un po' d'acqua! - continuò la principessa rivolta alle sue cameriere personali, accorse anche loro a quelle grida.

Henriette venne prima fatta girare supina e poi sostenuta da dietro la schiena, mentre una mano le avvicinò un bicchiere alle labbra. Bevve appena un sorso che subito sputò, come se fosse una medicina amara:

-No, no, basta, è acqua salata, non posso più bere... - balbettò, tirando indietro la testa.

-Cosa dici ma chère? - le chiese incredula la sorella. Henriette, irrequieta, iniziò a divincolarsi e così Françoise decise:

-Per favore Marie, accompagnate Sua Grazia nelle proprie stanze e aiutatela a coricarsi.

-Oui, Princesse – rispose la vecchia governante, sorreggendo la contessa e facendola rialzare.

-E voi, cercate un messaggero e portatelo nei miei appartamenti, fate presto! - ordinò la principessa rivolta a Milly, una sua giovane cameriera, che corse via.

Françoise non perse altro tempo, tornò nelle sue stanze e, con la fiamma di una candela che si era portata appresso, accese i candelabri posti attorno al suo scrittoio. Abbassò la ribalta, sedette e tirò fuori da uno dei cassetti una carta da lettere, una penna e un calamaio. Con la foga di cui era spesso preda, intinse la punta della penna nell'inchiostro e mise giù poche righe nella sua elegante calligrafia, impeccabile nonostante la sua mano tremasse di collera:

"Vostra moglie sta male, ha avuto un altro attacco. Potrebbe non passare la notte. Vi consiglio caldamente di accorrere al suo capezzale, se avete ancora un briciolo di coscienza.

Françoise Marie Victoire de Valois, épouse Princesse de Bavière, Duchesse d'Alençon".

Ebbe appena il tempo di piegare la lettera e apporre il suo sigillo sulla ceralacca che qualcuno bussò alla porta: si affrettò ad aprire e davanti a lei un uomo di mezz'età si tolse il tricorno in feltro e accennò un inchino. La principessa gli porse la lettera:

-Al conte de Longueville, con la massima urgenza – disse, allungando con l'altra mano qualche moneta.

L'uomo si inchinò più profondamente e corse via a recapitare il messaggio. 

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In copertina: Henriette de Valois, contessa d'Orléans - Longueville

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