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II

La Grande Galerie, che attraversava il castello da est a ovest, sembrava infinita. Henriette camminò lentamente, piegata dalla tosse, senza badare ai tanti occhi dei dipinti appesi lungo le pareti, che la scrutavano inespressivi. Tra la volta del soffitto e le cornici vi era lo stemma in gesso della casata d'Orléans - Longueville, ramo cadetto e illegittimo della dinastia reale di Francia della quale il conte Jean Jacques, suo marito, era l'ultimo discendente.

La contessa si accasciò su una delle sedie rivestite in velluto rosso posta sotto ad uno di quei dipinti, esausta. Con colpi decisi dei piedi sfilò le consunte scarpe damascate e le fissò: il tessuto, tagliato dal tempo, aveva perso qualche filo di trama; il sottopiede della scarpa sinistra, quasi del tutto staccato, rivelava la suola in legno e, nella zona del tallone, i chiodini che tenevano attaccato a malapena il tacco. "Purtroppo non posso permettermene di nuove", pensò sconsolata.

Alzò gli occhi e vide nella penombra il volto di suo suocero, con il suo tipico sorriso beffardo impresso per sempre sulla tela. La targhetta lignea pitturata in oro posta ai suoi piedi portava il nome di Henri d'Orléans, duca de Longueville: "la pecora nera della famiglia" pensò Henriette. Molti aneddoti giravano intorno a questa figura ma la più famosa e sensazionale era quando, appena nato, al suo battesimo aveva fatto la pipì sulla marsina del re Luigi XIV, suo padrino; quel gesto poteva essere di buon auspicio, ma così non era stato e l'evento era rimasto solo un futile motivo di vanto per Jean Jacques.

Henriette spostò lo sguardo sul quadro successivo, che ritraeva una giovane donna dall'aria sorniona, la cui targhetta portava inciso il nome di Anne Géraldine di Borbone, princesse de Condé, moglie di Henri d'Orléans. "E nemmeno mia suocera era una santa", fu il pensiero che la contessa le dedicò. La famiglia Condé era nota ai tempi per aver tramato alle spalle del cardinale de Richelieu, primo ministro sotto il regno di Luigi XIII.

"Avrei preferito che lor signorie venissero condannati per alto tradimento, invece di perdere tutte le loro ricchezze e il loro ducato in futili capricci. Almeno avrei ancora la patria podestà sulle mie figlie" rimuginò Henriette, sprofondando ancora di più sulla sedia, le braccia inermi poggiate mollemente sui braccioli. Alzò gli occhi al soffitto immerso nell'oscurità, figurandosi le decorazioni a cassettoni che la scarsa luce non poté mostrare. Tirò più indietro la testa e sospirò alla vista del soggetto dipinto nel quadro che aveva alle spalle: suo marito. Jean Jacques era nel pieno della sua giovinezza e il pittore era stato molto abile nel cogliere fin nel minimo dettaglio la bellezza del conte. Indossava un'armatura lucente e il suo portamento era fiero e virile; nonostante ciò i suoi occhi scuri comunicavano dolcezza, mentre i ricci incipriati, le labbra carnose e le gote rosee gli conferivano un aspetto da cherubino. Henriette aveva diciotto anni quando lo aveva conosciuto ad un ballo a Versailles; giovane e inesperta, se ne stava in disparte, accanto ai suoi genitori, in attesa che qualcuno la invitasse a ballare e intanto osservava sua sorella Françoise volteggiare allegramente in mezzo alla sala tra le braccia di suo marito Frederick. Rattristata all'idea di non avere un cavaliere, non si era accorta che un uomo, alto e vigoroso, si era inchinato di fronte a lei. Le parole "Mi fareste l'onore di questo ballo?" l'avevano risvegliata dai suoi pensieri e i suoi occhi incontrarono le iridi scintillanti del giovane conte d'Orléans - Longueville. Stregata, si era ritrovata a volare come una leggera farfalla sulle note di un rondeau: per aver raggiunto il trentaduesimo anno di età, Jean Jacques era forte e le sue braccia la sostenevano con facilità. Come previsto, Henriette se ne era innamorata come non mai e, dalle attenzioni che il conte le aveva dato nei giorni successivi, credeva di essere ricambiata. I genitori di lei, Antoine de Valois, duca d'Alençon, e Marguerite di Borbone, duchessa de Vendôme non vedevano di buon occhio il corteggiatore della loro figlia minore e tentarono in tutti i modi di farla fidanzare con un nobile italiano, il duca Guglielmo del Monferrato. Ma Henriette, certa dell'amore di Jean Jacques e incurante della sua disastrosa situazione finanziaria, era scappata con lui e lo aveva sposato sotto la benedizione del padre di lui, il non più duca Henri d'Orléans - Longueville; egli era stato l'unico a partecipare alle nozze del figlio dato che sua moglie si era ritirata da anni in un convento. Pochi giorni dopo il matrimonio, il suocero di Henriette si era suicidato e la scarsa eredità di quella sventurata famiglia, tra cui Château de Maintenon, era passata a Jean Jacques, unico sopravvissuto a sei fratelli maggiori. Da quel momento in poi la vita coniugale di Henriette si era rivelata un inferno: ripudiata dalla sua stessa famiglia, lasciata senza titoli né dote, trattata con indifferenza dal marito, si era sentita persa finché sua sorella Françoise non era accorsa in suo aiuto facendosi carico di Olympe e Annalise, diventandone la loro madrina e tutrice. In tutti questi anni la contessa aveva sopportato in silenzio i vizi per le belle donne e per l'alcool del marito, per il bene delle sue bambine.

Un altro accesso di tosse la percosse per tutto il corpo; in quel momento i suoi pensieri si rivolsero a Olympe: come le era parsa triste e distaccata a cena! La primogenita era la sua prediletta ed era molto legata a lei perché aveva dato l'anima pur di farla nascere. Sentiva che la ragazza era infelice per la sorte che le si prospettava e non avrebbe permesso che la sua adorata bambina diventasse vittima dell'ennesimo matrimonio combinato tra famiglie.

Si rialzò, risoluta, e si diresse verso la camera di Olympe. Nel percorrere il corridoio passò davanti alla camera di Annalise. Una lama di luce usciva dalla porta socchiusa, segno che la bambina era ancora sveglia; bussò lievemente con le nocche della mano ed entrò: Annalise era coricata sotto le coperte del suo piccolo letto a baldacchino, ma non si decideva ancora a dormire. Il rimorso e il senso di colpa che provava per aver fatto arrabbiare la sorella maggiore non le facevano chiudere occhio. Stava contemplando le  cortine di pesante seta verde quando vide una figura entrare dalla porta. Spaventata, credendo che Olympe fosse venuta per punirla, si tirò le lenzuola fin sopra la testa; restò così con il cuore in gola, il profumo del sapone di marsiglia le penetrava nelle narici ad ogni respiro. Una mano prese un lembo delle coperte e la scoprì delicatamente, ma Anne nascose il viso tra le piccole manine, come per proteggersi:

-Ti prego Olympe, non farmi del male, ti prometto che farò la brava! - esclamò terrorizzata. Sapeva che la sorella maggiore aveva un animo buono e gentile, ma se si arrabbiava diventava una furia: era come se avesse una doppia personalità, una clemente e una vendicativa. Una sola volta Annalise provò sulla sua pelle la rabbia di Olympe e le era bastato.

-Anne, che stupidaggini vai dicendo? Sono la mamma! - la rassicurò Henriette sedendosi sul bordo del letto; le prese delicatamente i polsi e le allontanò le mani dalla faccia.

Annalise riaprì lentamente gli occhi e vide un'espressione di stupore sul dolce viso della madre, incorniciato da ciuffi di capelli color ebano scappati dall'acconciatura; gli occhi azzurri come l'oceano, che Anne aveva ereditato, nascondevano un velo di rimprovero.

-Maman, Olympe è in collera con me, vero? - piagnucolò la bambina.

-Ma petite, nessuno è in collera con te, tanto meno tua sorella! - rispose la madre, il suo sguardo andò automaticamente sull'interno del polso sinistro della figlia. Anche Anne guardò la cicatrice che Olympe le aveva procurato inavvertitamente anni addietro: quel giorno stava facendo il bagno e, come sua abitudine, aveva immerso la testa sott'acqua; Annalise, sfuggendo al controllo della madre, era entrata di nascosto nella stanza da bagno della sorella. Non era la prima volta che lo faceva e si divertiva molto nel guardarla tenere gli occhi chiusi, le bollicine che le uscivano lentamente dal naso, le sue mani ancorate ai bordi della tinozza per tirarsi fuori dall'acqua poco prima di annegare. La bambina restava seduta per terra accanto ad una tenda, in modo da potersi nascondere quando la sorella usciva dall'acqua. Ma quella volta Olympe sembrava non avere alcuna intenzione di riemergere e Annalise ne aveva scoperto il motivo a sue spese: avvicinatasi alla tinozza, si era messa in punta di piedi per vedere meglio e aveva visto una creatura spaventosa, completamente coperta di squame; due branchie si aprivano ai lati del collo, lunghi capelli argentei aleggiavano intorno al suo corpo. E le unghie in particolare, divenute artigli, le aveva anche sentite, non solo vedute. Aveva urlato di terrore e in quel momento la creatura aveva spalancato gli occhi, due iridi gialle puntavano la bambina come un segugio. Olympe, forse per paura, aveva rotto la superficie calma dell'acqua, agguantato Annalise per un braccio e l'aveva trascinata nella tinozza insieme a lei; nella foga il vestito della bambina si era sbrindellato, gli artigli della sirena graffiavano la morbida carne facendo strillare ancora di più la malcapitata. Per farla tacere, Olympe le aveva spinto la testa sott'acqua, ma fortunatamente Henriette e Jean Jacques avevano sentito le urla disperate di Annalise ed erano accorsi in suo soccorso. Da quel momento non aveva più disturbato la sorella durante il rito del bagno; Olympe, per farsi perdonare, aveva rivelato alla sorellina la sua vera natura, assecondando la sua sete di sapere senza farle più del male.

-Lo sai che non era nelle intenzioni di Olympe, si era solo spaventata! Non appena abbiamo capito che preferiva lavarsi senza nessuno intorno abbiamo subito assecondato il suo desiderio.

Annalise si scurì in volto ed Henriette ammutolì.

-Lei ti vuole molto bene - disse infine.

-Se mi volesse veramente bene, non mi avrebbe lasciata con questa storpiatura! - esclamò Annalise.

-Sei ingiusta. Ti ha curato tutte le ferite che ti aveva inferto, tranne questa cicatrice come monito al tuo errore.

-Il mio errore? Se tu e papà mi aveste detto la verità fin da subito non l'avrei mai disturbata!

-Avevi solo cinque anni, come potevi capire? - chiese Henriette, la voce portata ormai all'esasperazione.

Annalise fissò con severità la madre, i suoi occhi blu carichi di rabbia sembravano onde dell'oceano in tempesta, in contrasto con quelli di Henriette calmi e arrendevoli. Infine la bambina sospirò e tirò fuori da sotto le coperte un libro rilegato in pelle bianca con degli arabeschi dorati.

-Me ne leggeresti un pezzo, per favore? - chiese con dolcezza, porgendoglielo. Quel colloquio così informale fece sorridere la contessa, incurante del fatto che la figlioletta non usasse il "voi" per rivolgersi agli adulti.

Prese il libro e lo aprì: una splendida illustrazione di un fondale marino, colorata con toni vivaci, le apparve davanti agli occhi. Quel libro era stato commissionato dai genitori di Annalise ad un favolista subito dopo l'aggressione di Olympe, un modo come un altro per spiegare alla figlioletta il perché sua sorella fosse nata così e, allo stesso tempo, nascondere una verità piuttosto scomoda. La favola, intitolata "Il corsaro e la sirena", narrava l'amore della sirena Lilian per il corsaro Stephane che, sotto l'incantesimo di quest'ultima, la inseguì per tutti gli oceani.

-Allora, quale parte vuoi che ti legga? - domandò Henriette alla bambina.

-Quando la sirena si sacrifica per il suo amato – rispose con voce quasi supplichevole Annalise.

-Ancora? Non sei stufa? Potremmo leggere il punto in cui Lilian viene incoronata regina dei mari, oppure quando nuota in groppa al suo delfino Pintus...

-No, no, voglio ascoltare il punto in cui salva Stephane! - insisté la bambina.

-Sempre la solita romantica, eh? D'accordo.

Annalise si alzò a sedere e fece spazio alla madre che le si coricò accanto, mettendo in mezzo il libro in modo che la figlia potesse bearsi delle splendide illustrazioni disegnate da un famoso artista russo.

*********** + ***********

Lilian, non appena capì che la vita di Stephane era in pericolo, si tuffò dallo scoglio per salvarlo dalle onde. Non avrebbe mai dovuto avvicinarsi così tanto alla costa, mandando la nave del corsaro ad incagliarsi sul basso fondale marino. Acciuffando il ragazzo tra le braccia, nuotò come una disperata verso riva, salvandolo da morte certa.

Arrivata al bagnasciuga però la sirena si accorse che il giovane non respirava più; appoggiò l'orecchio al suo petto nudo e non sentì alcun battito. Disperata, pianse tutte le lacrime che aveva, non sapendo cosa fare. Maledisse il mare suo servo per averle portato via l'anima del suo unico amore, e lo condannò ad essere non più un padre benevolo per i marinai ma un luogo insidioso e ingannevole. Rinunciò per sempre ad essere la regina degli Oceani, gettando alle onde la sua corona di coralli, ma questo non bastò a far placare la sua sofferenza; per salvare Stephane doveva compiere ancora un altro gesto: rinunciare per sempre alla sua immortalità e donare la sua anima a quell'umano che le aveva rapito il cuore. Con uno dei suoi artigli incise il petto del corsaro all'altezza del cuore e lo stesso fece a sé stessa: cavò entrambi i cuori, uno ancora palpitante e l'altro ormai immobile, e li unì. Una luce accecante li avvolse e Lilian vide appena in tempo Stephane riprendere conoscenza prima di svenire.

Quando si ravvide, la notte era calata ed ella era rimasta sola. Si rialzò a fatica sui gomiti e subito capì che qualcosa non andava: percorse con gli occhi il suo corpo nudo e, arrivando nella parte inferiore, al posto della coda vide due gambe umane! Lacrime di gioia le sgorgarono dagli occhi: l'incantesimo era riuscito, aveva donato la sua immortalità a Stephane in cambio di una vita mortale da umana. Fece leva sulle braccia per alzare il busto e guardarsi meglio intorno, alla ricerca del suo amato che però non trovò. Tremando riuscì ad alzarsi in piedi a fatica e in quel momento sentì un campanile di un villaggio suonare a festa. Si avviò barcollando verso quel suono, insicura sulle sue nuove gambe che non riuscivano a reggere il suo peso e, cadendo e trascinandosi, giunse nei pressi della piazza centrale. Nascosta tra le case, sbirciò da dietro un muro e lo vide: il suo Stephane stava uscendo in quel momento dalla chiesa a braccetto con un'altra donna, la sua fidanzata, quella che aveva abbandonato per tutti quegli anni quando era sotto l'incantesimo di Lilian! Ora che si era finalmente ricongiunto all'amata, sembrava veramente felice. La sirena, non potendo sopportare quella vista, cadde nella disperazione più totale. Iniziò a correre senza guardare dove andava, si lasciava guidare da quelle gambe che sembravano avere una volontà propria. Girovagò per diversi vicoli finché non si trovò in un cortile senza uscita, con al centro una fontana. L'acqua cristallina che sgorgava dai doccioni in pietra sembravano chiamarla, invitarla a riunirsi al suo elemento. Lilian capì che la terraferma non era il suo posto, lei era nata per nuotare libera negli oceani, libera da ogni legge umana, libera da ogni amore terreno. Mentre pensava a questo, si avvicinò alla vasca, attratta da un dolce canto: era lei a cantare involontariamente e il suo canto continuò anche dopo essersi immersa, lasciando che l'acqua le riempisse i polmoni. Annegò all'istante e il suo corpo venne ritrovato nella sua forma originaria, con la coda di sirena. Gli abitanti decisero di seppellirla in riva al mare, in una piccola cala che venne così chiamata Cala della Sirenia.

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-Bene piccola, la favola finisce qui e adesso è arrivato il momento che tu vada a nanna - sentenziò Henriette, chiudendo il libro.

-Ah, che storia incantevole! - esclamò Annalise, sprofondando tra gli enormi guanciali -Come vorrei essere una sirena e salvare da una tempesta un bel ufficiale della Marine Royale... - continuò, fantasticando ad occhi aperti.

Quelle parole non sfuggirono alla donna, che subito interrogò la figlia:

-Un ufficiale della Marine Royale? A chi ti riferisci?

-Che domande, a mio cugino Victor!

Henriette non seppe che dire e rimase ancor più senza parole quando la figlioletta continuò a rivelarle altri dettagli:

-Oh mamma, dovresti vedere quanto è bello! La zia ha veramente ragione ad andarne così fiera!

-Annalise, come fai a dire che è bello se non lo hai mai visto? - mormorò Henriette.

-E poi ha un portamento così elegante nella sua divisa... - continuò la bimba, ignorando la domanda.

-Per l'amor del cielo Anne, dimmi dove hai visto quel ragazzo! - esclamò spazientita Henriette, prendendola per le spalle e avvicinando il viso al suo. Ma la bambina non ne volle sapere di collaborare e scosse il capo:

-Ah, ah, non posso dirtelo maman, la zia mi ha fatto giurare – fu la risposta biricchina.

-E io sono tua madre e ho tutto il diritto di sapere la verità!

Annalise incrociò le braccia al petto e mise il broncio, ma dai suoi occhi si vedeva che aveva una gran voglia di spifferare tutto.

-Va bene, ma promettimi che non lo andrai a dire alla zia.

Henriette promise e la bambina, con un gran sorriso, raccontò tutto:

-Ti ricordi quando la zia mi portò con sé a Le Havre insieme a Dietrich ed Elisabeth? Abbiamo trovato lo zio Frederick e ci ha portati al porto per farci vedere le navi. Ed è lì che ho incontrato Victor, poco prima che salpasse! Ha un po' la faccia da sbruffone e non mi ha degnata di un solo sguardo, sembrava più interessato a fare bella figura davanti agli occhi dello zio. E poi...

-Basta così Anne, è ora che tu vada a dormire – la interruppe Henriette.

La bimba non se lo fece ripetere due volte e si raggomitolò sotto la protezione delle coperte. La madre spense la candela sul comodino e raggiunse a tentoni la porta. Stava per varcare la soglia quando un pensiero la fermò:

-Annalise, promettimi anche te una cosa.

-Oui maman, qualsiasi cosa.

Henriette rimase un attimo in silenzio, la mano abbassata sulla maniglia prima di continuare:

-Non parlare ad Olympe del tuo incontro con il tenente Victor – rispose e si richiuse la porta alle spalle. 

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In copertina: Dipinto del duca di Penthièvre, preso come ispirazione per il dipinto di Jean Jacques d'Orleans - Longueville

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