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9.

Successe di nuovo due giorni dopo.
Eravamo tutti e tre riuniti intorno al tavolo della roulotte, impegnati a preparare dosi di roba.
Lavoravamo maggiormente di notte. Non per qualche ragione precisa, semplicemente perché Clay e Jesse preferivano farlo a quelle ore.
Tutta quella bianca stesa sul tavolo mi tentava come nessun'altra cosa mi aveva mai tentato. Ricordavo minuziosamente come mi ero sentita quando l'avevo provata. Volevo sentire nuovamente quelle strane e sconosciute emozioni.
Fui debole.
Cedetti.
Successe spontaneamente, come se lo avessi sempre fatto.
Quando Clay e Jesse finirono di tirare, presi con nonchalance una dose e la stesi sul tavolo.
Non aspettai nemmeno la reazione di Jesse, perché sniffai tutto così velocemente da farmi venire un leggero giramento di testa.


Appoggiai la banconota arrotolata e aspettai la furia di Jesse, che inaspettatamente tardò ad arrivare.
Ma arrivò.
La prima cosa che sentii fu la lattina di birra sbattuta violentemente sul tavolo.
Alcune gocce fuoriuscirono , bagnandomi il braccio.
-Ma che cazzo di problema hai?!- Si alzò adirato, i pugni stretti lungo le gambe e gli occhi spalancati dallo stupore.
Doveva già aver fatto effetto.
-Gesú Jesse, smettila!- esclamai continuando a chiudere le dosi, sotto il suo sguardo adirato .
Si chinò su di me, ritrovandomi la sua faccia a pochi millimetri dalla mia.
Le sue pupille, talmente dilatate da potermici riflettere, mi scrutarono a lungo.
-Perché cazzo lo fai? Vuoi litigare? Vuoi dimostrare qualcosa ?-
-Ma che diavolo stai blaterando?-
-E allora perché lo fai?-
-Perché mi va di farlo!-urlai a mia volta, alzandomi.- Sul serio mi fai la predica, Jesse? Chi sei tu per giudicare? Ti fai dalla mattina alla sera come un tossico del cazzo senza renderti conto di esserlo, ed io non ti dico una sola parola! Sul serio pensi di essere la persona giusta per dirmi di non drogarmi?!- Sputai acida.
Jesse ammutolì. Si allontanò, guardandomi disgustato.
-Lo sai una cosa, Kira?- i suoi occhi profondi mi guardarono neutri, talmente freddi da farmi rabbrividire. – Forse sei uscita troppo presto, da quel manicomio. Forse non saresti proprio dovuta uscire mai.-


Pregai di aver capito male. Sperai che Jesse stesse facendo solo dell'ironia di cattivo gusto, ma il modo in cui mi guardava mi fece ricredere.
Sembrava, e doveva esserlo, estremamente serio.
Quello che provai fu simile a quella volta quando Jazmin mi ruppe la bottiglia di Whiskey in testa. Il dolore arrivò lentamente. Mi sentivo annebbiata, e non sapevo se per la droga o per quello che aveva appena detto.
L'unico rumore proveniva da Clay, intento a sorseggiare la sua birra.
Sentii gli occhi inumidirsi. Non volevo piangere, era da molto che non lo facevo. Ma non potevo impedirlo.
Uscii velocemente da quella roulotte, improvvisamente troppo piccola. L’aria fredda mi colpì in pieno petto. Mi strinsi nelle spalle, il freddo di quella notte gelida si impossessò del mio corpo.
Andai a sedermi sotto al  grande albero dov'era parcheggiata la macchina di Clay. Guardai ardentemente la porta, desiderando e sperando di vedere Jesse uscire e rincorrermi.
Non accadde.

Non sapevo quanto tempo fosse passato quando la porta della roulotte si aprì.
Fui delusa di veder uscire  Clay e  non Jesse.
Il ragazzo si avvicinò con quella sua andatura incerta verso la mia direzione.
Mi asciugai frettolosamente le lacrime, distogliendo lo sguardo.
-Tutto bene biscottino?-
Si chinò per poter scorgere il mio volto, che nascosi fra le mie ginocchia ranicchiate.
-È tardi, e si muore di freddo. Forse dovresti tornare dentro.-
Scossi la testa.- Non ci voglio tornare. –
-Kira…-
-Non posso vederlo in questo momento. Non ci riesco.-


-E quindi hai intenzione di rimanere qui? A crepare dal freddo finché non vi deciderete a parlare?-
Annuì. Mi resi conto che mi stavo comportando come una bambina viziata, che non era quello il modo di risolvere le cose, ma era esattamente quello il modo in cui mi sentivo.
-Posso stare da te stanotte?- chiesi esitante, alzando finalmente lo sguardo sui suoi occhi stupiti.
-Da me?-
-Si…scusa, non avrei dovuto chiedertelo.-
-No, no è ok. Non posso lasciarti qui al freddo. –
Seguii Clay nel suo pick up, lanciando un ultima occhiata alla roulotte. La luce della stanza dal letto era accesa.
-Devi dirglielo. O si preoccuperà.-
-Puoi farlo tu ?-
Lui annuì, e senza smettere di guidare provò a chiamarlo. -Non risponde. Gli lascio un messaggio.-
Digitó velocemente sui tasti guardando raramente la strada buia e desolata che conduceva in città.
Appoggiai la testa al finestrino e guardai gli alberi scorrere velocemente. Come aveva potuto dire una cosa del genere? Non era il mio Jesse, quello.
Era tutta colpa mia. Se avessi evitato di farmi, lui non si sarebbe arrabbiato e tutto sarebbe proseguito come al solito. Perché sbagliavo sempre tutto?
-Sono sicuro che non voleva dire realmente quelle cose. Quando è arrabbiato spara tante di quelle stronzate! Non sai quante me ne diceva quando litigavamo!-
Non gli risposi.
Il condominio di Clay era totalmente buio. Facemmo luce con la torcia dei nostri cellulari per arrivare fino al secondo piano, percorrendo le vecchie scale a chiocciola con lo scorrimano traballante.
Clay spinse la porta con la spalla, aprendola quasi subito.
L'odore di chiuso mi fece storcere il naso, ma non dissi nulla, e lo seguii all'interno.
Accese la piccola lampadina appesa al muro con dello spago, illuminando di poco la grande stanza.
-Ci sono altre due camere, puoi scegliere quella che vuoi.- Mi porse un sacco a pelo blu, ancora arrotolato e  con l'etichetta.-
-Perché hai due sacchi a pelo?-
-Spesso qualcuno mi scopre e non posso ritornare a prendere le mie cose. Ne ho sempre uno di scorta in auto.-
Lo presi e senza aggiungere altro mi inoltrai nella fredda e buia casa.
Presi la camera vicino al bagno, quella con l'armadio nuovo.
Non avrei mai immaginato di finire in una situazione del genere.
Dopo aver sistemato il letto, tornai nel salotto.
Clay era seduto a terra e beveva qualcosa da una fiaschetta di metallo, simile a quella che aveva anche Jesse.
Me la porse, ma declinai, sedendomi sulla sedia vicino alla finestra.
-Grazie, Clay.-
-Per cosa?-
-Per avermi fatto stare qua.-
-Non preoccuparti. La mia porta è sempre aperta.-
Mi porse una sigaretta, è quella volta non declinai.
-Mi sento davvero una merda. Non avrei dovuto dirgli quelle cose.  È normale che ce l'abbia con me, io non lo biasimo, ma…quello che mi ha detto.-
-Lo sai , una volta io e Jesse abbiamo litigato, ma proprio di brutto, se capisci cosa intendo. Lui era più piccolo, perciò non me la prendevo mai realmente. Mi disse esattamente le cose che gli hai detto tu. Mi disse che ero un drogato di merda e che era inutile che avessi continuato a dirgli di stare attento alle sue scelte, perché probabilmente sarei morto. Disse che avrei fatto meglio a farmi un overdose e morire , che tanto ero inutile.-
-Ti disse questo?-
-Si. Ma non me la presi. Nemmeno un po’. Te l'ho detto, quando si arrabbia dice cose senza senso.-
-E se fosse così? E se pensasse veramente le cose che dice? Forse non ha il coraggio di dirle quando Sta bene…ma poi scoppia, e non riesce più a trattenersi tutte quelle cose dentro. Io lo capisco. Sono come lui.-
-Non è così. Se pensasse veramente quelle cose di te, non avrebbe lottato così tanto per farti uscire.-
Rimasi in silenzio. Non capivo più nulla. Perché  non poteva andare tutto a meraviglia? Ne avevo avuto abbastanza di dolore nella mia vita.
Spensi il mozzicone dentro ad una lattina vuota, guardando il fumo denso uscire dalle mia labbra.
-Hai della roba?-
-Si ma Kira, non chiedermelo.-
-Perfavore Clay. Voglio solo smettere di pensarci per qualche minuto. Ho bisogno di dimenticare per un’istante il dolore che sto provando.-
Clay sospirò, passandosi nervoso una mano fra i capelli corti.
Prese dal taschino dello zaino una delle tante  bustine trasparenti.
La stese su una rivista di moda, quelle che arrivavano a casa mensilmente per Jaz, e con una tessera del ristorante thailandese preparò le strisce.
Non ricordai molto di quella serata.



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