14.
Mi svegliai improvvisamente, non per il rumore quasi impercettibile del motore o per la radio a basso volume. Non ero una persona che si alzava varie volte di notte. Ho sempre avuto un sonno continuo, fortunatamente.
Eppure, quella notte, non riuscivo a smettere di rotolarmi fra le lenzuola bagnate dal mio sudore. Avevo appena fatto gli incubi, come facevo da un po’ quando provavo a dormire per più di un'ora. La stanza era completamente buia, come il paesaggio fuori dalla finestra.
Bevetti dell’acqua e uscii dalla camera da letto.
Jesse guidava al buio, la debole luce dei fari che illuminava la strada e il pickup di Clay davanti a noi.
Eravamo partiti nel primo pomeriggio, e non si erano mai fermati fuorché per fare il pieno.
Presi un bicchiere d’acqua e andai a sedermi vicino a Jesse, nel sedile del passeggero.
Muoveva una mano sul volante al ritmo della canzone rap che trasmettevano alla radio. L'orologio segnava le quattro e venti del mattino.
-Non riesci a dormire?- mi guardò. Sembrava stanco, ma sapevo che non lo era davvero, o almeno , che non lo sentiva.
-Per niente . Dove siamo?-
-Abbiamo appena lasciato l'Alabama. Non manca molto.-
Presi una bustina con la roba, accalcata in mezzo ad accendini e altre bustine vuote, il trucco di Jesse per guidare dal Texas alla Florida con gli occhi accesi come due fanali.
La stesi sul cruscotto del camper, e tirai sotto il suo sguardo freddo.
-Non riesco a dormire, altrimenti.- ammisi, tenendo lo sguardo basso.
Jesse non disse nulla, ma riuscivo quasi a sentire i suoi pensieri contrari e delusi.
Fu in quel momento che capì che non si trattava più di sballarsi e basta.
Era qualcosa di più.
Tornai a letto, più agitata di prima ma molto meglio.
E poi, mi addormentai.
A svegliarmi dal mio mondo dei brutti sogni fu la luce abbagliante del sole che entrava dalla finestra. Il camper era ancora in movimento, e ondeggiava ad ogni buca, segno che non eravamo in autostrada.
Mi alzai assonnata e raggiunsi Jesse, afferrando dalla credenza una merendina al cioccolato.
Capii che eravamo arrivati in Florida. Vedevo la spiaggia, già affollata nonostante fossimo ad aprile.
Le famiglie prendevano una granita fredda sotto i grandi ombrelloni dei bar e le ragazze pattinavo sui marciapiedi con le cuffiette alle orecchie e i pantaloncini di jeans.
Amavo quel posto. Così positivo, così solare.
-Siamo arrivati?-
Lui annuì, girando dentro ad una stradina di graziose casette estive e sbucando in una strada meno trafficata.
Guidò ancora per qualche minuto, in quella zona poco abitata, per poi accostate l'auto davanti ad una piccola casa anonima, ad un piano solo.
Tutte le persiane verdi erano abbassate. Se non fosse stato per i fiori vicino all’entrata o per la sedia a dondolo nella veranda, avrei creduto che non ci vivesse nessuno.
Clay uscì dalla macchina sbattendo violentemente lo sportello dietro di lui.
Lo vidi bussare alla porta più volte, e poi scomparve all’interno della casa.
Mi cambiai velocemente, esagerando col trucco. Stavo per incontrare una persona nuova, ed ero nervosa. Che cosa avrei fatto se mi avesse riconosciuta? E se avesse riconosciuto Jesse?
-Kira, andiamo. Clay ci aspetta dentro.-
Mi diedi un'altra passata di rossetto rosso e uscii insieme a lui, la brezza leggera primaverile che mi colpiva le braccia scoperte.
Presi la mano di Jesse, e lui la strinse, intrecciando le nostre dita. Non c'era bisogno di dire nulla.
-Buongiorno Kira.- Mi disse Clay, facendoci entrare.
-Giorno Clay.-
La prima cosa che mi colpii fu l'odore. Il mio olfatto rilevò una forte presenza di Patchouli, così intensa che sembrò infiltrarsi fra i capelli e i vestiti, fin sotto alla pelle.
La casa era ancora più piccola di come avevo immaginato. Non c’erano molti mobili, e la maggior parte di essi sembravano abbastanza vissuti.
La lampada sopra le nostre teste illuminava difficilmente il salottino. Oltre ad un vecchio divano di finta pelle Marrone, un tavolino di legno e una TV degli anni novanta accesa, non c'era altro.
Accanto a una delle due finestre c'era un quadro raffigurante un cesto di frutta appassita e marcia, decisamente adatto per quel posto.
L'unica cosa graziosa, bella e Fuoriposto, erano le tende bianche e ricamate, in pizzo, che non avevano nulla a che fare con il contesto.
Clay uscì dalla cucina, seguito da quella che doveva essere la padrona di casa.
-Eccovi! Ciao! – esclamò correndo ad abbracciarci, prima me e poi Jesse.
Mi strinse più forte di quello che si poteva aspettare di un ragazza così minuta. I suoi capelli e il suo collo avevano un buon profumo, molto simile allo zucchero filato, e potei confermare che l'odore della pianta asiatica non proveniva da lei.
Non mi piaceva essere toccata, soprattutto dagli sconosciuti,ma il suo abbraccio era diverso. Era gentile, affettuoso, senza nessuna malizia. Forse ero io la strana, a pensare che tutte le altre persone la malizia l'avevano.
Quando si staccò, ci rivolse un sorriso sghembo, e notai che anche lei come la sottoscritta aveva i due incisivi staccati.
Ci invitò a sedere nello scomodo divano, le molle che saltavano rumorosamente ad ogni movimento.
Camila spruzzava gioia da tutti i pori. Era così felice e solare da farmi dubitare che fosse fatta, o forse era lei, che era così positiva.
I suoi occhi scuri e dolci, spalancati per lo stupore di incontrarci , mi fecero rasserenare.
Era una bella ragazza, poco più bassa di me e dalla pelle color caffè latte. I capelli neri e ondulati erano intrecciati solamente da un lato.
Nonostante non facesse proprio caldissimo, Camila indossava dei pantaloncini di jeans Cortissimi, strappati sul sedere, e una canottiera trasparente che lasciava intravedere il reggiseno di pizzo nero. Ai piedi aveva delle semplici sneakers consumate e apparentemente di una taglia o due in più.
-Clay mi ha parlato tantissimo di voi! Io sono Cam.- Riconobbi immediatamente il suo accento, e intuì che fosse ispanica.
Si alzò, andò in cucina e tornò con delle birre fredde.
Anche se non ne avevo voglia, la presi comunque.
Non sapevo cosa dire, avevo paura di farmi sfuggire qualcosa di troppo, di dire la verità, così lasciai parlare Jesse e Clay.
Camila alzò mise una mano sotto al cuscino della poltrona dove era seduta, e tirò fuori una una bustina di coca e delle pillole colorate.
Le gettò distrattamente sul tavolo, facendone volare una, ma non ci badó. Cosa diavolo c'era sotto ai nostri fondoschiena?
Ci facemmo tutti e quattro, e quando finí la dose Cam ne prese un'altra, mescolò la polvere bianca sotto ai miei occhi confusi insieme a dell’altra roba, una polvere meno fina e di un bianco non limpidissimo, e ci facemmo ancora.
Si calarono anche le pasticche, mentre io rifiutai, anche se pericolosamente tentata.
-Cookie, mi piace il tuo nome. Ma perché state sul Camper? Potete stare qui!-
Camila era la conoscenza di Clay, e capimmo perché ci disse che ci avrebbe aiutato.
La sua casa non si trovava in mezzo alla campagna, ma non c'erano comunque altre case, solamente la strada e alcune fabbriche poco più lontano. Il suo giardino non era curatissimo, ma dalla strada non si sarebbe notato il Camper, e stare vicino alla città era molto più comodo per le vendite di Jesse.
-Non preoccuparti! Stiamo molto bene sul Camper.- Le dissi io.
-E Bob? Non è qui?- Chiese Clay
-Non lo so, non torna da un po’. Ma lui non dirà niente, siete amici miei, e fa qualsiasi cosa io gli dica.-
Clay la guardò come se non ne fosse del tutto certo.
-Andiamo a sistemare il Camper, Bro.-
Jesse annuì, e lo seguì fuori, lasciandomi lì con Cam.
Le palpebre iniziarono a fremere, e improvvisamente sentii più caldo, e desiderai aver indossato qualcosa di simile alla mora al mio fianco.
Sentivo Cam parlare, la sua voce sempre più lontana ma sempre presente. Sbattei più volte gli occhi, ma non avevo realmente sonno.
Mi stesi sul divano, il mio corpo più leggero, e non sentivo le vecchie molle sotto alla mia schiena o il tessuto ruvido, ma era come se fossi sospesa, nell’aria, come se stessi volando.
-Che diavolo era quella roba?- chiesi, improvvisamente più agitata.
Alzai la testa, Cam stava fumando una canna, e mi guardava in un modo che non seppi definire.
-È uno speed, tesoro, la roba migliore che c’è in circolazione. La prende Bob. Nessuno da a Bob roba di merda, altrimenti…- Imitò una pistola con il pollice e l'indice e fece finta di spararsi alla testa.
Le mani iniziarono a prudermi dolorosamente, e mi grattai, fino a sentire il sangue sgorgare.
Solo successivamente scoprì di cosa si trattava. Ma non me ne importó. Potevo farmi di qualsiasi cosa, senza nemmeno sapere se fosse veleno per topi o altra merda. Volevo solamente smettere di pensare, smettere di esistere per trenta minuti.
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