1.
Texas, 14.43
Il Pick up blu si immerse in una stradina di sassi stretta, costernata da ettari di alberi di ogni tipo.
Ci trovavamo in aperta campagna, in uno di quei posti che vedi sui film horror, in mezza al nulla, solo strada e campi, qualche casa malridotta imboscata qua e la e probabilmente abitata da qualche killer con la motosega.
Insomma, un posto disabitato lontano da tutti e da tutto.
Percorremmo la stradina infinita, alla mia destra c'era un grande fosso dall'aspetto maleodorante.
Era una giornata calda per quel periodo, ma d'altronde eravamo appena arrivati in Texas.
Pensare che solo qualche ora prima mi trovavo dall'altra parte dell'America, in un istituto mentale, era strano ed incredibile.
Jesse spense la radio.
Proseguimmo fino alla fine del grande fosso.
Accostò in mezzo al nulla, segno che eravamo arrivati a destinazione.
Mi strinsi nel cappotto, agitata e curiosa di scoprire la nostra futura casa.
-Prima che la vedi, voglio che sappi che se potessimo avere una casa vera, con giardino e piscina e con molte stanze, te l'avrei fatta avere.-
Gli sorrisi dolce, passando una mano fra i suoi capelli folti.
Il fatto che si preoccupasse così tanto mi raccuorava.
-Non mi importa. Va bene qualsiasi posto, basta che sia con te.-
Mi avvicinai alle sue labbra e posai delicatamente le mie.
Le mani di Jesse mi circondarono le guance, avvicinandomi ancora di più.
Scendemmo dalla macchina, ed affondai sull'erba bagnata che arrivava fino alle ginocchia.
Caminammo fino ai grandi salici piangenti poco distanti dall'auto, che nascondevano perfettamente quella che sarebbe stata la nostra casa.
Passammo in mezzo ai rami infiniti, e finalmente vidi la roulotte cui parlava Jesse.
Era bianca e più grande di quanto immaginassi. Sembrava effettivamente nuovo e costoso, e probabilmente doveva essere così.
-Entriamo? -
Annuii e lo seguì all interno.
La roulotte era moderna e spaziosa.
C'era tutto l'occorrente necessario per viverci, esattamente come in una normale abitazione.
La piccola cucina di legno lucido, il televisore a schermo piatto, il divano in pelle nero. Era una piccola casa mobile decisamente chic e avevo già iniziato ad adorarla.
Il letto pieghevole era posto sopra i sedili del guidatore e del passeggero.
-Che te ne pare? -
Annuii decisa, continuando a guardarmi intorno e toccare tutto quello che mi circondava.
-Mi piace. È perfetto. -
Jesse sorrise soddisfatto, avvicinandosi ad uno scaffale della cucina.
Lo aprí, afferrando la polaroid che mi aveva regalato all'interno dall'ospedale.
-Non ci credo! Ce l'hai ancora! -
urlai dalla gioia e presi la macchinetta fotografica, notando che era rimasta integra esattamente come l'avevo lasciata.
-Beh,dobbiamo assolutamente ricordare questo momento. - Dissi avvicinandomi a Jesse, tenendo conto di inquadrare anche la roulotte. Scattai la foto, e quando fu pronta rimasi ad osservala insieme a lui.
Nessuno dei due aveva un bell'aspetto. Eravamo entrambi stanchi e tesi, ma eravamo felici, e lo si poteva vedere nei nostri sorrisi sinceri, nei nostri occhi lucidi e vuoti.
La misi sullo specchietto della roulotte, cosicché nessuno dei due avrebbe potuto dimenticare che ne era valsa la pena. Che nonostante tutto eravamo Vivi, ed eravamo pure felici.
Jesse accese il televisore e aprí il frigorifero.
-Che mi aspettavo da Clay? -
Il frigo era quasi del tutto riempito da decine lattine di birra.
-Gli avevo detto di fare la spesa. Abbiamo due diverse definizioni di prodotti alimentari. -
Disse aprendone una e bevendo un lungo sorso.
-Chi è Clay?-
-Il mio socio, l'amico di cui ti parlavo. Senza di lui non saremmo qui ora.-
Al televisore trasmettevano il telegiornale nazionale pomeridiano.
-Continuano le ricerche della giovane Kira Maxwell scomparsa ieri mattina dall'ospedale psichiatrico di New...-
Jesse spense il televisore e nessuno dei due disse più nulla.
Strizzai gli occhi per impedire di lacrimare ripetendomi mentalmente che non c'era proprio nulla per piangere, che ero fuori da quel manicomio e che dovevo esserne felice.
-Non guardarlo, Kira.-
Abbassai lo sguardo sulle punte
Delle mie scarpe, sentendomi improvvisamente più nervosa.
-Vado a comprare qualcosa da mangiare.-
-Mi lasci qui?-
Jesse si fermò sull'uscio, finendo quello che rimaneva della sua birra.
-Non c'è nessuno qui intorno. Non ti lascerei mai in un posto pericoloso, e non possiamo rischiare che ti riconoscano. -
-Fai presto.-
Lui annuí ed uscì, chiudendo la porta alle sue spalle.
Lo guardai dalla finestra mentre saliva sul Pick up blu, e lo guardai finché la macchina scomparve dietro ai grandi alberi.
Mi sedetti sulla comodo divano e accesi la Tv.
Al telegiornale non parlavano più di me, ma sui titoli in basso delle notizie che scorrevano velocemente, c'era la mia foto. Era quella che mi avevano scattato al momento dell'arresto accompagnata dalla scritta "ricercata".
Sospirai esausta. Avevo paura di quello che sarebbe potuto accadere.
Se mi avessero trovata, avrei perso tutto. Non mi importava più di finire in una prigione, in un manicomio, o addirittura di morire. Avrei perso Jesse, la mia unica ragione per cui stavo ancora lottando.
Jesse aveva ragione, non dovevo guardare i notiziari. Mi rendevano solamente più timorosa e non era quello di cui avevo bisogno.
Aprii il frigorifero e presi una birra, anche se non mi era mai piaciuta.
Notai che il bagno era provvisto di asciugamani, così decisi di farmi una doccia rilassante in attesa di Jesse.
Mentre l'acqua calda scorreva nella moa pelle, mi sentii in colpa. Mi sentii in colpa perchè mi mancava la mia vasca da bagno di marmo, i miei bagnoschiuma alla frutta e il mio materasso ricoperto di peluche.
Come poteva mancarmi quella vita? Ora ero finalmente libera e sapevo che le cose si sarebbero sistemate, anche se Pablo Escobar alla fine era stato ammazzato.
Gesù, perché mi paragonavo ad un boss della droga.
Sarebbe andato tutto bene, lo sapevo.
Mi strinsi nel piccolo asciugamano e uscii dalla doccia.
Presi la mia birra e tornai in salotto, e per poco non mi strozzai quando vidi la figura di un uomo seduto sul divano.
Abbassai più possibile l'asciugamano sulle gambe.
L'uomo se ne stava seduto a gambe aperte reaggendo fra le mani una birra.
Non si accorse subito di me.
Indossava dei pantaloni della tuta Neri e larghi, e una felpa arancione brillante.
Il viso e il collo erano ricoperti da tatuaggi di vario genere. Anche le mani erano state macchiate dell'inchiostro.
Aveva i capelli scuri rasati ai lati , e beveva producendo un rumore fastidioso.
Giró lo sguardo e si accorse finalmente di me.
-E tu chi diavolo sei?!- chiesi incredula.
Come aveva fatto ad entrare?
Mi sorrise, anche se somigliava più ad un ghigno disturbante, mostrandomi così i denti d'oro dell'arcata superiore .
-Ecco il cucciolo. -
La sua voce era roca e profonda, decisamente inquietante .
-Chi sei?-
Sì Alzò, superandomi di gran lunga con la sua altezza.
-Clay, piccola. Clay Patel.-
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