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3. Nutshell

Jun’s POV

“Stai bene, Jun?” mi chiese Chiyo senza staccare gli occhi dalla strada “dopo la pausa non hai più spiccicato una parola”.

Arrossii violentemente, a disagio.

Avevo trascorso l’ultima ora di incontro di gruppo, quella dedicata agli esercizi di respirazione e di mindfulness, in un totale stato di apnea, sperando con tutto il cuore che finisse al più presto.

Nemmeno le rassicuranti parole del dottor Kimura riuscirono a calmarmi e alle sue indicazioni “sono calmo, tranquillo, rilassato”, la mia mente rispondeva sì certo, calmo un paio di palle!

Di tanto in tanto, Riku aveva continuato a lanciarmi occhiatacce velenose contribuendo non poco ad aumentare la mia agitazione.

Perfino adesso, al sicuro nell’abitacolo della macchina della mia tutor, non mi sentivo tranquilla.

Passai una mano tra i miei capelli portandoli lontani dal mio viso, sospirando sonoramente. “Chiyo, ho fatto una cazzata” confessai.

“Che intendi?” mi chiese lei, con il suo tono impassibile.

Continuai a respirare a fondo, pregustando un sonoro cazziatone nonché il termine del tirocinio più corto della storia “ho… ecco… dato uno schiaffo a Riku”.

Per un momento la sua espressione mutò dipingendo sul suo volto i segni di un’evidente sorpresa “davvero?” mi chiese.

Vomitai un fiume di parole come se mi trovassi davanti al mio confessore, raccontandole dell’accendino, delle sue provocazioni e della sua imperdonabile maleducazione. “So benissimo che il mio non è un comportamento giustificabile in alcun modo” conclusi “e capirei se decidessi di terminare il mio tirocinio… vedrò di trovare un’altra struttura più idonea…”.

Chiyo scoppiò a ridere. Quella reazione mi spiazzò completamente: mi voltai verso la sua direzione osservandola con espressione interrogativa… che cosa ci trovava di divertente?

“Devo dire che hai iniziato con il botto!” esclamò lei continuando a ridere “generalmente le interazioni che Riku ha con le tirocinanti sono pari a zero. Invece, in una sola giornata tu l’hai pure preso a sberle”.

La mia faccia si colorì di un rosso accesso mentre la mia vergogna cresceva di minuto in minuto.

Dopo qualche secondo, la dottoressa si ricompose “Jun, gli errori li abbiamo commessi tutti, specie se in formazione. Sei troppo severa con te stessa. Penso che, in qualche modo, quello che è accaduto abbia una sua utilità. Saprai bene, da deontologia, che in alcun modo dobbiamo arrecare danno, fisico o morale, ai nostri pazienti. Tu sei ancora una tirocinante, ma è importante che tu abbia chiaro questo aspetto. Non sempre gli utenti sono gentili: a volte, fanno veramente imbestialire. È importante, però, avere sempre chiaro il proprio ruolo”.

Annuii, registrando a memoria le sue parole “non accadrà più Chiyo, lo giuro”.

“Ne sono certa, Jun” disse lei. Poi, dopo qualche secondo, aggiunse “e se posso per un attimo parlarti come Chiyo e non come la dottoressa Nakamura, direi che fosse anche ora che qualcuno gli desse uno schiaffo… ma questo, non lo diciamo a nessuno”. Mi fece l’occhiolino, continuando a guidare.

Le sue parole in un certo senso mi confortarono, sebbene la sensazione sgradevole che mi avvinghiava lo stomaco fosse ancora lì.

“Stasera cerca di divertirti, Jun” mi disse lei “e non pensarci troppo: la prossima volta andrà meglio”.

“Grazie davvero, Chiyo” mi limitai a dire, spostando lo sguardo fuori dal finestrino.

Effettivamente, aveva ragione: avevo un gran bisogno di distrarmi smettendo di rimuginare su quanto accaduto. Per cui, afferrai dalla tasca il cellulare digitando un messaggio:

A Akinori <3:

tra 20 min sarò a casa… pizza e film?? <3

In attesa di risposta dal mio ragazzo, con la mia solita irrinunciabile insicurezza, mi chiesi se non avessi fatto un’immensa cazzata nello scegliere quella struttura.


Touya’s POV

“È davvero carina, non ti pare?”

“Sììì, adoro le bionde con gli occhi verdi!”

“Ma poi hai visto che culo?! Di quelli tondi tondi tutti da mangiare…”.

Me ne stavo seduto a giocherellare con la minestra fumante mentre attorno a me i miei compagni si scambiavano a bassa voce questo genere di commenti sulla new entry dell’equipe.

Ma perché il mio quirk non funziona?, pensai: se avessi sentito un’altra parola su quella stronza avrei davvero dato di matto.

Non era una novità: ogni volta che arrivava un essere femminile, infermiera psicologa o operatrice che fosse, era sempre la stessa storia.

Generalmente, quei commenti da scaricatori di porto arrapati non mi infastidivano più di tanto: mi limitavo ad ignorarli o, al più, a dare il mio contributo. Questa volta, però, il mio disappunto e la mia rabbia crescevano di secondo in secondo.

Riversai tutto il mio nervosismo mescolando freneticamente la zuppa nel mio piatto.

“Tu che ne pensi, Riku?” mi chiese Aki dandomi una leggera gomitata sul braccio.

Lo fulminai con lo sguardo vedendolo impallidire “penso che i vostri commenti da morti di figa mi abbiano fatto passare l’appetito” esclamai con tono di voce decisamente troppo alto attirando l’attenzione di diversi commensali tra utenti e operatori.

Scaraventai il cucchiaio nella ciotola con fin troppa enfasi dirigendomi verso la porta d’uscita.

“Riku, ti sembra modo di comportarti?” mi chiese un operatore con voce decisamente poco ferma.

Lo ignorai malamente uscendo dalla mensa.

Mi sedetti su una panchina sotto al porticato in pietra, provando ad accendere una sigaretta. In quel momento ricordai che il mio accendino fosse scarico. Imprecai malamente gettandolo nel cestino dei rifiuti.

Guarda come ti sei ridotto, pensai, non riesci nemmeno ad accendere una sigaretta.

Le parole di quella stronza danzarono nella mia mente continuando a ferirmi. Nessuno mi aveva mai tenuto testa in quel modo. Generalmente, mi bastava tirare fuori il mio sguardo glaciale, giocare la carta delle minacce velate e il gioco era fatto. Invece, quella biondina impertinente non aveva ceduto nemmeno per un attimo.

Quella consapevolezza mi faceva incazzare come una bestia.

Quello schiaffo aveva fatto molto più male al mio ego e al mio orgoglio che non alla mia guancia. Questa me la paghi, cara la mia dottoressina, me la pagherai molto cara.

 Il cielo era incredibilmente cupo quella notte: non c’era una singola stella a illuminare il cielo.

Massaggiai distrattamente la mia spalla indolenzita da una sgradevole sensazione di bruciore. Scostai appena la felpa osservando una leggera ustione colorarmi la pelle chiara appena sopra il braccio.

Ricordavo fin troppo bene l’odore di carne bruciata, il dolore lancinante che, partendo dai tessuti, oltrepassava come una scarica elettrica tutta la spina dorsale giungendo al cervello. E poi, la sua voce, la sua orribile, cupa voce…

“Non sarai mai degno di essere chiamato mio figlio se non ti alleni più duramente. Guardati, sei proprio una femminuccia! Piagnucoli come tua madre di fronte alla prima difficoltà! Coraggio, in piedi! Non abbiamo ancora finito…”

“Serata strana, eh?” la voce di Eichi giunse da lontano facendomi quasi trasalire.

“Avevo quasi dimenticato quanto sai essere incredibilmente silenzioso, Twice” dissi senza nemmeno voltarmi. Gli avevo affibbiato quel soprannome dopo esserci conosciuti, circa sei mesi prima e non se n’era mai lamentato. Anzi, a dire il vero, credo anche che gli piacesse.

Si sedette accanto a me porgendomi l’accendino “passare inosservati è la prima regola per sopravvivere alla giungla che c’è là fuori” rispose allegro.

Afferrai il clipper rigirandolo tra le mani, prima di accendere la Lucky Strike che reggevo ancora fra le dita.

“Puoi tenerlo” proseguì lui “ne ho altri quattro in camera”.

Quel tipo mi piaceva, per quanto fosse strano e imprevedibile. Oltre a essere il mio compagno di stanza, lì dentro era la persona che più di tutte mi andava a genio, per non dire l’unica.

“Che ti prende?” mi chiese accendendosi anche lui una sigaretta.

Scrollai le spalle “niente di nuovo” mi limitai a dire.

Twice aspirò profondamente un tiro “si sta risvegliando, non è vero?”.

Mi voltai appena verso la sua direzione per capire di che diavolo parlasse. Mi indicò la spalla con un gesto del capo “il tuo quirk”.

“Non saprei” gli dissi “fa un po’ quello che vuole, in realtà”.

“Riku so che sono l’ultima persona al mondo a poter dare dei consigli” iniziò lui “ma credo davvero che parlarne con qualcuno possa aiutarti… da soli non ce la facciamo, lo dico per esperienza personale”.

Lo osservai per alcuni secondi scorgendo nei suoi occhi una sincerità triste e dolorosa.

“Nessuno qui vuole farci del male” proseguì “siamo solo troppo incazzati e spaventati per capirlo”.

“Da quando sei diventato così saggio?” gli chiesi con un sorriso beffardo sulla faccia.

Sorrise anche lui, nei suoi occhi brillava un dolore antico, amaro “da quando ho rischiato di perdermi del tutto. È… difficile vivere non sapendo più chi tu sia, senza riconoscere il riflesso di  chi stai guardando nello specchio. Ci sono giorni in cui il terrore che possa capitare ancora mi mangia vivo… è bello sapere che c’è qualcuno pronto ad offrire la sua mano per tirarmi fuori da quel buco nero”.

Lo osservai in silenzio, senza parlare. Sapevo che il dolore che affrontava ogni giorno non era roba da poco e, nonostante tutto, continuava a rimanere una persona gentile, specie con me.

Quello che provavo io era molto diverso. Non riuscivo nemmeno a immaginare cosa significasse sdoppiarsi al punto da non sapere più con certezza se sei vivo o morto. Io sapevo fin troppo bene chi ero e da dove venivo e, forse, era proprio per quello che avrei desiderato con tutto il mio cuore di dimenticarmene.

“Credo che me ne andrò a letto, Eichi” dissi alla fine gettando il mozzicone di sigaretta con noncuranza “per quello che vale, grazie per la chiacchierata e per l’accendino”.

“Quando vuoi Riku”, mi sorrise con i suoi occhi gentili “buonanotte”.

Mi sdraiai sul materasso decisamente troppo morbido e tentai di rilassare i nervi.

Uscirò presto da qui, mi ripetei nuovamente come un mantra scacciando dalla mia mente una serie di flashback indesiderati che, incontrollati, fecero capolino tra il sonno e la veglia.

Quella fu veramente una nottata di merda.

Come al solito, incubi imprecisati si susseguirono tormentando il mio riposo. Mi svegliai diverse volte di soprassalto, sudato dalla testa ai piedi. Un leggero odore di bruciato mi portò ad accendere la luce sul mio comodino per capirne l’origine. Con mia sorpresa, ritrovai il mio cuscino e parte delle coperte mezze carbonizzate.

Il dottore deve necessariamente cambiare la mia terapia, pensai.

Finalmente, dopo parecchi minuti, riuscii a rilassarmi nuovamente lasciandomi andare ad un sonno riconciliante. In quel momento, Eichi iniziò ad agitarsi sonoramente nel sonno. I suoi brontolii divennero sempre più insistenti fino a che non si trasformarono in vere e proprie grida.

Di soprassalto, mi alzai provando a calmarlo.

“Ehi Twice, svegliati” dissi con voce mezza assonnata.

L’uomo davanti a me spalancò gli occhi che in quel momento erano totalmente privi di qualsiasi tipo di espressione. Istintivamente, mi allontanai appena da lui. “Eichi, era solo un incubo, sono io Riku”.

Continuò ad osservarmi con quell’espressione inquietante, prima di scattare con un balzo felino portando le sue mani attorno al mio collo.

“Ehi ma che cazzo stai facendo?!” provai a staccarmelo di dosso, ma era decisamente più forte di me.

“Io non sono Eichi” disse scandendo quelle parole con una calma inquietante “sono Jin, Chi cazzo sei tu?”.

La sua stretta attorno al mio collo divenne sempre più forte mentre le immagini attorno a me perdevano lentamente la loro limpidezza. Prima di perdere conoscenza, poggiai la mano sulle sue, tentando per un’ultima volta di togliermelo di dosso.

“Aaaah!!!!” un urlo di dolore echeggiò per l’intero edificio.

Dopo pochi secondi, due operatori visibilmente assonnati piombarono in stanza osservando una scena surreale. Io me ne stavo seduto a terra massaggiandomi il collo indolenzito. Dall’altra parte della stanza, Twice con gli occhi ancora sgranati piagnucolava osservandosi le mani ustionate.

“Che diavolo è successo qui dentro?” urlò uno dei due.

Respirando affannosamente e tossendo, dissi “credo sia il caso che chiamate Kimura: Twice, voglio dire Eichi, non è in sé”.

“Mi hai bruciato, brutta testa di cazzo!” piagnucolò lui continuando a tenersi le mani.

Gli operatori voltavano forsennatamente la testa dalla mia direzione alla sua e viceversa “e tu hai provato a strozzarmi, multiplo psicopatico!”.

Vidi l’espressione di Eichi, o per meglio dire di Jin, colorirsi nuovamente di una rabbia accesa. Con uno scatto, si lanciò nuovamente verso di me. Gli operatori lo bloccarono a fatica, mentre continuava a dimenarsi come un cavallo imbestialito.

“Lasciatemi stare, coglioni!” urlava come un pazzo.

Tutti sapevano quanto Eichi fosse gentile, riflessivo e pacato… Jin era praticamente il suo opposto.

“Portiamolo in infermeria” disse uno dei due all’altro “credo sia il caso di sedarlo. E poi, meglio dare un’occhiata a queste ustioni. Tu stai bene?”.

Scrollai le spalle alzandomi da terra e sedendomi sul mio letto “una favola”.

Mi osservarono ancora per qualche secondo prima di uscire dalla stanza trascinandosi dietro il mio compagno impazzito.

Povero Twice, pensai, nemmeno a te la vita ha risparmiato granché…

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