Cap. III Catene Parte I
Quando comunicai a Gideon che quella sera non saremmo rientrati alla villa prima di notte, lui mi fissò speranzoso.
– Quartiere delle Catene? – mi chiese, sistemandosi il colletto della giacca. Sapevo che si aspettava che andassimo in qualche fumeria d'oppio, dove potersi sdraiare tra cuscini di raso e aspirare boccate di piacere da lunghe pipe passate di mano in mano e di bocca in bocca. Tuttavia io feci oscillare il mento.
– Niente affatto. Mi porterai alla Locanda dei Bastardi.
Lo vidi prepararsi a protestare. I suoi occhi la dicevano lunga su quello che pensava di un posto simile, ma la sua lingua avrebbe potuto essere anche più eloquente.
– La Locanda dei Bastardi – ripetei in tono perentorio. – E non provare a discutere con me.
Il ragazzo mi mostrò rassegnato un'espressione da cane bastonato che non gli si addiceva, ma restò muto, come gli avevo ordinato.
L'osteria che avevo scelto come ultima meta delle nostre peregrinazioni di quel pomeriggio lo inquietava più di quanto non facesse un posto equivoco come il Quartiere delle Catene.
Si diceva che là gli accoltellamenti fossero all'ordine del giorno e che molti ignari viaggiatori fossero stati rapinati con la complicità dello stesso padrone della locanda.
Dopo aver fermato la carrozza e avermi aperto lo sportello, tirò un sospiro di sollievo quando gli dissi che avrebbe dovuto aspettarmi fuori dall'osteria, ma subito dopo mi fissò come se fossi impazzita.
– Leda, non vorrai andare da sola in un posto simile?
Era a conoscenza della mia frequentazione del Quartiere delle Catene – anche se non pensavo sapesse che mi recavo alla Casa del Loto – eppure il pensiero di lasciarmi andare sola in una locanda, per di più dalla nomea poco rassicurante, lo terrorizzava.
– Se il barone lo viene a sapere...
Non terminò la frase perché scoppiai a ridere e il suono della mia risata lo mise ulteriormente a disagio.
Non ridevo mai, se non quando dalla mia gola sgorgava il suono sarcastico e affilato della derisione.
– Credimi se ti dico che sono ben altre le cose che il barone non dovrebbe venire a sapere – dissi, nel momento in cui l'eco delle mie risa si smorzò, ingoiata dal silenzio della strada.
Ci trovavamo nel centro di Cartago, ai margini di una piccola piazza lastricata di blocchetti irregolari di porfido, tra i quali i tacchi delle calzature femminili tendevano a incastrarsi. Per questo, dopo essermi congedata dal mio cocchiere, l'attraversai con cautela, fino a raggiungere un antico palazzo signorile che già da tempo ospitava l'osteria nei locali una volta adibiti a cantina.
All'interno, le pareti erano di tufo scuro e vi si aprivano poche finestre a bocca di lupo. Sotto le volte c'erano tavole di legno di pino sbiancato, affiancate da sedie di paglia intrecciata e panche lunghe.
Non era stata profusa una grande cura nell'arredamento e nelle decorazioni pressoché assenti, a parte alcuni vessilli di Cartago che pendevano unti dalle pareti e serigrafie che raffiguravano fagiani, cinghiali e altra selvaggina. Tuttavia l'odore che proveniva dalle cucine era abbastanza gradevole.
Non come le facce dei clienti, uomini che avevano un'aria poco raccomandabile, malgrado i vestiti di una certa fattura e i gioielli che indossavano, soprattutto collane e anelli vistosi.
Mentre attraversavo l'ampia sala per andarmi a sedere a uno dei tavoli, sbirciai un'ultima volta con la coda dell'occhio gli avventori, che immaginai dovessero provenire da fuori città. Distolsi però rapida lo sguardo nell'accorgermi che alcuni di loro si erano accorti della mia presenza. Inclinando i boccali come volessero brindare, mi osservavano con la stessa curiosità con cui io avevo fissato loro.
Andai a sedermi a un tavolo nell'angolo più appartato, ma dal quale riuscivo comunque a vedere la porta d'ingresso.
E attesi pazientemente, tamburellando con le dita sul tavolo.
Fin da quando avevo scritto la mia lettera, con l'invito a presentarsi presso la Locanda dei Bastardi, avevo immaginato che l'Alato di nome Rael sarebbe entrato nell'osteria come un normale avventore al fianco di Alec.
Niente catene, niente sguardo da animale selvatico chiuso in gabbia.
E fu esattamente così, con la differenza che, malgrado indossasse un ampio mantello color sabbia che lo copriva interamente, si voltarono a guardarlo quasi tutti quando arrivò. Questo ai comuni avventori non succedeva.
Alec percorse con gli occhi tutta l'ampiezza della sala, individuando quasi subito i miei capelli rosso fuoco, allora si avviò a grandi passi verso di me, mentre Rael lo seguiva con un'andatura misurata, che non tradiva alcuna emozione.
Quando il ragazzo del circo raggiunse il tavolo al quale ero seduta, mi scoccò un'occhiata severa a cui risposi con un sorriso.
– Buonasera. Posso offrirvi la cena? – domandai serafica, battendo una mano su una delle sedie di paglia intrecciata accanto a me. – Mi sembra che sia il minimo che possa fare dopo avervi scomodati a quest'ora.
– Perché siamo qui? – mi chiese lui in risposta. Non c'era traccia dei sorrisi che mi aveva rivolto il giorno dello spettacolo o del tono discretamente canzonatorio con cui mi aveva parlato la sera in cui c'eravamo incontrati per la prima volta.
I suoi occhi azzurri mi fissavano, al contrario, con sospetto e una certa malcelata ostilità.
– August mi ha detto che sei una ricca snob che potrebbe procurarci guai.
– August?
– L'uomo che vende i biglietti all'ingresso del circo.
Io feci un plateale sospiro. – Ah, certo, l'uomo-granchio.
Alec non sembrò gradire il riferimento alla mano a forma di chela del suo compagno perché mi fulminò con una nuova occhiata astiosa e, a dire il vero, quell'atteggiamento mi disturbò. Non avevo fatto nulla perché mi riservasse un simile trattamento.
Non ancora.
– Solo perché il ragazzo che mi accompagna in carrozza mi ha chiamato "baronessa" non è detto che lo sia realmente – precisai allora, cercando di contenere il senso di fastidio che cominciavo a provare guardando il suo viso nervoso. – Io volevo solo...
I miei occhi si spostarono inquieti sull'uomo accanto a lui e, nell'incontrare il suo sguardo, restai temporaneamente senza parole. Il modo in cui mi osservava era diverso da quello di Alec: vi lessi la stessa malinconia che al circo avevo solo intuito.
Non guardarmi così, ti prego...
Strinsi leggermente i pugni sulle ginocchia. – Per favore, sedetevi e fatemi compagnia – ripetei in tono più accomodante, poi fissai di nuovo lo sguardo sul volto dell'azrariano, coperto in parte dal cappuccio. – Per favore.
Lui sbatté le palpebre, poi sedette lentamente all'angolo del tavolo alla mia sinistra, tanto vicino a me che riuscii facilmente a fargli scivolare indietro il cappuccio sollevando una mano. Stavolta ero io ad avere il controllo della situazione, non come al circo, quando mi era sembrato di annaspare sotto il tocco delle sue dita.
Subito il colore dei suoi capelli colpì la mia attenzione, non per il verde improbabile e scolorito con cui gli erano stati tinti, ma per quello che s'intravedeva lungo la scriminatura al centro del capo: un biondo chiarissimo che mi domandai perché non avessi notato prima. Poi mi resi conto che solo in quel momento lo vedevo con i capelli sciolti: erano come percorsi da piccole onde scarmigliate che gli scivolavano sul viso in una sorta di carezza, toccandogli le spalle.
Parevano talmente morbidi che avrei voluto infilarvi le dita, invece mi costrinsi a poggiare la mano sul tavolo.
– È buona educazione scoprirsi la testa davanti a una signora – dissi, senza più abbandonare i suoi occhi.
Sentii Alec che cominciava a protestare, ma Rael alzò una mano e il ragazzo tacque di colpo. Quando mi girai verso di lui scoprii che si era messo lentamente a sedere all'altro angolo del tavolo, alla mia destra, e dalla sua espressione cominciai a intuire il tipo di rapporto che lo legava all'Alato. Anche se mi sembrava alquanto insolito.
– Allora, chi è il vero padrone tra voi? – chiesi in tono aspro, passando con lo sguardo dall'uno all'altro.
– Non c'è nessun padrone! – esclamò Alec, sbottonandosi la giacca scura. Senza i lustrini e le mostrine scintillanti sembrava quasi un'altra persona. – Lo avevi già capito durante lo spettacolo, no? E anche dopo, quando venivi a vedere i fenomeni del circo. Rael si è unito alla nostra compagnia spontaneamente: è un individuo libero.
S'interruppe quando un uomo robusto con un sudicio grembiule legato sui fianchi venne a portarci tre piatti di zuppa fumante.
– Mi sono permessa di ordinare qualcosa da mangiare anche per voi – spiegai, mentre respiravo il vapore che saliva dal piatto.
Il ragazzo del circo parve rilassarsi un poco. – Da cosa lo hai intuito?
Dovetti impiegare qualche istante per ricollegarmi al discorso che stava facendo poco prima che il locandiere in persona ci portasse la cena.
– Per tenere un Alato prigioniero bisogna renderlo inoffensivo – risposi. – Ma Rael, benché in catene, ha sempre avuto la possibilità di muovere e usare le ali. Sarebbe come legare un cane feroce, ma lasciargli abbastanza corda per consentirgli di raggiungerci e poterci mordere.
– Che bella similitudine! – sbottò lui, dopo aver fischiato la sua finta ammirazione.
– La ritengo decisamente calzante, anche se non l'approvi.
– Eppure i domatori riescono ad ammansire persino i leoni, pur lasciandogli zanne e artigli.
– I leoni, non gli azrariani.
Alec assottigliò gli occhi. – Sembri sapere molte cose sugli Alati, per non averne mai incontrato uno prima di Rael.
Quel suo commento mi fece male, più di quanto avrei voluto mostrare. Il ragazzo alzò una mano per richiamare l'attenzione del locandiere e subito dopo si fece portare un paio di bicchieri e un orcio di vino rosso.
Mentre serviva se stesso e il suo compagno avvertii nello stomaco un formicolio di disappunto. – Siamo in tre a tavola, mi pare.
Lui m'ignorò, poi, senza guardarmi, borbottò: – Una ragazzina di malaffare che si spaccia per baronessa e se ne va in giro a molestare gli uomini con il suo atteggiamento conturbante...
Io m'irrigidii.
Molestare gli uomini? Atteggiamento conturbante?
–Ti spiacerebbe ripetere, cortesemente? – gli chiesi con un sopracciglio alzato, mentre il formicolio nello stomaco minacciava di trasformarsi in nausea vera e propria.
Finalmente Alec tornò a rivolgermi la sua attenzione. Mi fissò sorseggiando dal bicchiere e poi assottigliò gli occhi. – In genere quando chiamiamo dei volontari per "sfidare" l'angelo demoniaco facciamo in modo che si offrano delle donne. Al gentil sesso il tocco di Rael piace: lo trovano eccitante. E che lui sfiori le volontarie con qualche innocente carezza fa parte del copione.
Non potei fare a meno di lanciare un'occhiata all'Alato per capire se stesse seguendo il discorso, ma lui aveva lo sguardo fisso nel vuoto, il bicchiere e il piatto di zuppa ancora pieni fino all'orlo.
– Quello che il nostro canovaccio non prevede – proseguì l'anfitrione del circo – è che sia la volontaria a toccare il nostro angelo. Questo è previsto al termine dello spettacolo, quando gli spettatori sono rilassati e divertiti davanti ai "mostri" che si espongono al loro sguardo.
Ripensai ai ragazzini e alle donne che protendevano le braccia tra le sbarre del carrozzone per toccare la pelle nuda di Rael e il mio disgusto prese corpo: – È ripugnante... – mormorai. Poi sostenni con decisione lo sguardo di Alec. – Io ho solo stretto la sua mano.
Stavolta non osai spiare l'espressione dell'azrariano.
Non avevo solo stretto la sua mano. Mi ero abbandonata contro di lui, avevo cercato il suo viso e sfiorato, anche se involontariamente, le sue labbra.
Non riuscivo ancora a capire perché lo avessi fatto.
– La mia innocente stretta di mano ha davvero turbato l' "angelo demoniaco"? – chiesi, dissimulando i miei dubbi e ostentando una sicurezza che non avevo.
– Lo hai distratto – si affrettò a rispondere il giovane. – Non era mai successo prima. La colpa è tua se sei rimasta lievemente ferita! E hai osato farci recapitare quel messaggio!
La voce gli tremava per la rabbia e io mi voltai di scatto verso l'azrariano alla mia sinistra. – Tu non dici niente? Quando avrò il piacere di ascoltare la tua voce?
Stavolta l'indifferenza sul suo volto parve dissolversi. In una frazione di secondo lo specchio di ghiaccio dei suoi occhi fu attraversato da un riverbero che parve creparlo; le mani scattarono per afferrarmi il viso e le sue labbra si avvicinarono al mio orecchio. Mi sussurrarono qualcosa in un idioma che non compresi, ma forse non avrei capito neppure se mi avesse parlato nella mia lingua. Ero troppo concentrata a non bearmi della sensazione conturbante della sua bocca che sfiorava la mia pelle.
Era lui a sconvolgere me, non il contrario!
Mi sforzai di non chiudere gli occhi mentre continuava a riscaldarmi il lobo e la guancia con il suo respiro bruciante, mormorandomi parole in quel suo modo gutturale, duro eppure sensuale.
La sua mano sinistra mi sosteneva il volto, la destra invece mi spinse a piegare un po' la testa da una parte e poi scivolò lungo il mio collo con la punta delle dita, soffermandosi sulla gola. Quando mi accorsi che stava toccando la ferita lieve che mi avevano lasciato le sue ali mi raddrizzai e mi ritrovai con la bocca a pochi millimetri dalla sua.
– Non m'importa cos'hai detto – dissi quasi sulle sue labbra, agganciando con decisione il suo sguardo con il mio. – Quello che ho scritto nel biglietto era vero. Tu mi hai ferito e adesso mi devi risarcire, altrimenti ti denuncerò e farò in modo che il vostro circo venga smantellato.
Sentii Alec che inveiva, ma l'Alato, inaspettatamente, palesò la sua rabbia in un modo più manifesto, lasciandomi andare per abbattere entrambi i pugni sul tavolo. E lo fece così forte da rovesciare una parte della zuppa contenuta nel suo piatto.
A differenza di quanto avveniva al circo, stavolta dal suo sguardo trapelava una collera autentica che mi colpì. Fino a quel momento ero stata convinta che il lato selvatico e "demoniaco" che mostrava ai suoi spettatori non fosse altro che una messinscena, un copione dietro il quale si trincerava con la sua malinconia. E quando mi resi conto che invece una parte di quella ferocia era reale sentii il sangue abbandonarmi le guance.
Tuttavia non demorsi. – Vi denuncerò – ripetei, per amor di chiarezza.
Finalmente Rael fece un profondo respiro e si rivolse a me in lingua generale: – Che... cosa... vuoi?
Era la rabbia che lo faceva parlare in quel modo stentato? Come se minacciasse di sciogliere il ghiaccio che intrappolava le sue emozioni e lui tentasse disperatamente di impedirglielo. La voce gli vibrava, simile a una corda di un violino dopo che la nota si era spenta, lasciando un senso di vuoto.
– Niente che tu non possa darmi – risposi con un filo di voce, improvvisamente intimidita. – Voglio solo... vederti volare. Una volta soltanto.
Avevo allungato una mano verso la sua, posandogliela sul polso. La sua pelle era liscia e calda, così delicata al tatto che le mie dita provarono l'irresistibile istinto di esplorare il suo braccio, infilandosi sotto la stoffa pesante del mantello.
È davvero come toccare la pelle di un angelo...
Ma lui trasalì e si ritrasse scansando la mia mano con una veemenza che mi spaventò. Non ebbi il tempo di sentirmi come gli spettatori che cercavano di toccarlo, quando lo vedevano dietro le sbarre del carrozzone. Mentre lo fissavo a bocca aperta, si alzò precipitosamente in piedi facendo ribaltare la sedia su cui era seduto, che finì sul pavimento con uno schianto.
Il mantello si gonfiò sulle sue spalle, tendendosi nel momento in cui le ali si spiegarono in parte.
L'azrariano gridò qualcosa nella sua lingua ad Alec, che si affrettò a raggiungerlo passandomi davanti e ringraziandomi in tono di scherno per la cena.
Senza alcuna spiegazione si diressero verso l'uscita della locanda, ma io li seguii costringendomi ad adottare un passo veloce, malgrado il dolore alla schiena. – Aspettate! Non potete andare via così!
Gridai a un avventore appena giunto di togliersi di mezzo spingendolo malamente da un lato e guadagnai la porta subito dopo che i due l'avevano varcata.
– Fermatevi! – ordinai loro arrancando, ma non sembravano intenzionati a darmi retta. Ignoravano la mia presenza, la mia minaccia, la mia richiesta. Tutto. E mi sentii quasi soffocare dalla rabbia.
– Quando ho capito che non eri un vero prigioniero, Rael, mi sono domandata quale fosse il motivo per cui un Alato volesse vivere una vita miserevole come fenomeno da circo! – urlai con tutto il fiato che avevo in gola. – Non hai un briciolo dell'onore del tuo popolo, però conservi la stessa arroganza di tutta la tua maledetta razza!
Lui si paralizzò e il mantello gli ondeggiò pericolosamente sulle spalle quando si girò a guardarmi. Aveva il ghiaccio negli occhi, come immaginai lo avesse adesso solido e spesso nel cuore.
Dato che avevo la sua attenzione rallentai il passo e tentai di recuperare fiato. – Ho pensato che fossi un disertore dell'esercito regolare di Azra e che ti stessi nascondendo dai tuoi stessi commilitoni – dissi, in tono più pacato. Sentivo le guance che ardevano e il respiro pizzicarmi i polmoni. – Ma poco fa ho capito che non è da loro che ti nascondi... Non solo, almeno.
D'istinto l'azrariano si guardò il braccio che gli avevo toccato sotto il mantello e io ripensai alle scarificazioni in rilievo che avevo sfiorato con le dita, un istante prima che lui si alzasse di colpo. Le avevo sentite diramarsi a raggiera da un marchio che in quei brevi attimi mi era parso alterato da cicatrici grossolane, come se qualcuno – o forse l'Alato stesso – avesse tentato di cancellarlo.
– Cartago non è tenera con gli schiavi fuggiaschi – lo ammonii, fermandomi un paio di metri prima di raggiungerlo.
Lo stesso vento che aveva fatto oscillare il tendone del circo gli gonfiò leggermente gli angoli del mantello e giocò con i suoi capelli, come fino a poco prima avevo desiderato fare io.
– Mizrael non è uno schiavo fuggiasco! – s'intromise Alec, fremendo di rabbia. – Il proprietario del circo ha comprato la sua libertà!
Mizrael. Il suo vero nome.
Era bello e potente tanto quanto il suono del getto di una cascata.
– Spero che possiate dimostrarlo, qualora dovesse occorrere – ribattei, socchiudendo gli occhi.
Il prezzo per riscattare uno schiavo era nettamente superiore a quello che in genere veniva pagato per il suo acquisto. Spesso si trattava di una cifra esorbitante e dubitavo che il padrone di un circo potesse disporne. O che volesse sborsarla per un fenomeno da baraccone.
– La metà degli avventori di quella locanda erano mercanti di schiavi – aggiunsi, sperando di incutere in loro il giusto timore. – Hanno un fiuto naturale per riconoscere un uomo che sta scappando.
– Ma tu che cosa diavolo vuoi?! – gridò il ragazzo del circo, livido in volto.
– Solamente vedere il tuo amico volare. Non penso di chiedere troppo.
Lo bramavo a tal punto che il fremere del cuore nei miei polsi si era trasformato in un insopportabile tintinnio che continuava ad aumentare il suo ritmo.
Alec digrignò i denti, poi il suo corpo s'inclinò in avanti, come se volesse lanciarsi contro di me, ma il suo compagno tese un braccio per impedirgli qualsiasi movimento e gli disse qualcosa nella propria lingua.
Il ragazzo gonfiò i polmoni per fare un profondo respiro, poi levò la mano rivolgendomi un gesto volgare. – Va' a farti fottere, signora baronessa. Che molto probabilmente è la cosa che sai fare meglio.
Io lasciai che quelle parole si frantumassero su di me senza che penetrassero le mie difese. – È quello che ha detto lui? – chiesi in tono glaciale.
Alec esibì una sorta di ghigno. – È come se lo avesse fatto.
Mentre Mizrael mi voltava le spalle, il ragazzo mi squadrò un'ultima volta, quasi a voler soppesare la mia pericolosità, poi si girò anche lui infilando le mani nelle tasche e allontanandosi velocemente.
Restai da sola, nella piazza deserta in cui i lampioni proiettavano ombre d'inchiostro che mi lambivano i piedi. Mi sentivo strana, come se nell'esofago mi avessero infilato la spada di un fachiro.
Non riuscivo a muovermi, e il dolore alla schiena cominciò a incurvarmi le spalle, malgrado il busto.
Mi coprii gli occhi con le mani, ma anche in questo modo riuscivo ancora a vedere i capelli di un verde sbiadito dell'Alato di nome Mizrael e i suoi occhi di primavera.
Un angelo, pensai, ricordando la morbidezza della sua pelle.
Un demone...
Benché una fitta lancinante lungo la spina dorsale mi strappasse un lamento, scostai le mani dal viso e, raddrizzando le spalle, mi avviai di nuovo verso la Locanda dei Bastardi. Avevo la gola talmente riarsa che desideravo solo ingollare lunghi sorsi di qualsiasi liquido potesse spegnere la mia sete. Acqua, vino, rhum. Qualsiasi cosa.
Le pareti di tufo scuro che mi accolsero ancora una volta mi parvero meno minacciose di quando ero entrata nell'osteria la prima volta. Tornai al tavolo dove avevo lasciato la zuppa, ormai fredda e dall'aspetto tutt'altro che appetitoso.
Il locandiere mi venne incontro con l'aria minacciosa. – Qui si paga, prima di uscire, signorina.
– Lo so – tagliai corto. – Sono qui, non vede?
Sedetti stancamente sulla sedia, accanto a quella che Mizrael aveva rovesciato, e poggiai le braccia sul tavolo formando una specie di nido in cui sprofondai il volto. – Mi porti da bere. Va bene qualsiasi cosa.
– Qualsiasi cosa?
– È ciò che ho detto.
Lui grugnì qualcosa che alle mie orecchie non aveva senso, poi si ritirò per scegliere con cura la bevanda da servirmi. O almeno così sperai.
Quando sentii di nuovo una presenza che mi sovrastava alzai la testa, immaginando di vedere un boccale teso nella mia direzione, invece l'uomo che stava in piedi accanto a me non aveva nulla in comune con il padrone della locanda. Era alto, magrissimo, vestito in modo elegante e dunque in netto contrasto con il resto della clientela.
Alle dita portava numerosi anelli, ma uno in particolare mi colpì: era d'oro massiccio, con una pietra d'onice centrale movimentata dal simbolo di una catena in rilievo.
Potevano esserci solo due ragioni se portava un anello simile: o aveva uno spirito particolarmente patriottico, visto che le catene erano rappresentate sulla bandiera di Cartago, oppure era un mercante di schiavi.
– Cosa faceva una graziosa signorina umana in compagnia di un grottesco Alato dai capelli verdi? – disse, scoprendo le labbra in un sorriso che a me parve un ghigno.
Io mi tirai su emettendo un languido sospiro. – Che cosa importa a un raffinato signore come lei?
L'uomo raddrizzò la sedia su cui era stato seduto Mizrael e si accomodò senza chiedermi neppure il permesso. Il profumo della sua costosa acqua di colonia mi fece pizzicare le narici.
– Se posso permettermi, questo non è un posto raccomandabile per una fanciulla sola. Con un viso grazioso come il suo.
Sporsi la bocca in avanti dandomi un'aria un po' imbronciata. Al barone piaceva quando lo facevo. – Mi ha già detto due volte che sono graziosa. Forse a una donna farebbe piacere essere definita più che graziosa. Soprattutto a una donna sola, che è stata abbandonata dai suoi amici.
Lui si era come ringalluzzito e fece scivolare la sua sedia più vicino alla mia. L'idea che arrivasse quasi a sfiorarmi non mi piacque, ma provvidenzialmente il locandiere giunse a frapporre tra me e l'uomo un grosso boccale. Io sbattei le ciglia in modo civettuolo, poi afferrai il recipiente per portarmelo alle labbra.
– Offre lei? – domandai, già bagnandomi la bocca.
– Tutto ciò che desidera.
Anche se fino a quel momento non ci avevo pensato, accarezzai l'idea di bere e mangiare fino a scoppiare senza dover pagare un centesimo.
Non pensai che il mercante di schiavi avrebbe potuto chiedermi qualcosa in cambio. Non m'importava.
Desideravo solo cancellare la sensazione di essere un bozzolo vuoto dal quale la farfalla era volata via molto tempo prima.
E se poi il mio baldo accompagnatore si fosse spinto troppo oltre, gli avrei educatamente fatto notare che il barone di His non avrebbe affatto gradito le sue attenzioni nei miei confronti.
Guardandolo negli occhi, mandai giù il primo sorso e sorrisi.
Buonasera!
Allora, sto ricevendo diversi commenti su questa storia. Bene, l'avete scoperta... La state amando?
Per qualcuno le situazioni narrate sono insolite. In effetti è così, la protagonista è sicuramente un personaggio particolare, così come lo è il contesto in cui si muove.
Ma spero che ciò non venga considerato un difetto e che anzi vi incuriosisca 😊
Per il resto, stiamo entrando nel vivo della storia e abbiamo anche scoperto il nome intero del nostro protagonista maschile, per il quale Leda nutre un'evidente attrazione: Mizrael.
Per il momento non abbiamo molti elementi per farci un'idea del suo carattere, ma ciò che la ragazza ha capito è che malinconia e rabbia convivono nella sua anima. È un angelo... oppure un demone?
Lo scoprirete continuando la lettura ;P
Io per il momento vi do appuntamento per la seconda parte del capitolo "Catene".
Continuate a commentare: mi date una carica pazzesca!
Un abbraccio <3
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