Cap. II Angelo demoniaco Parte II
Mentre l'anfitrione, come si era definito il giovane che si era presentato con il nome di Alec, riprendeva il suo discorso, la sua voce fu sottolineata da un rullo di tamburo.
– Un momento di attenzione, signore e signori! Chiedo che ci sia un volontario! Possibilmente un'audace signora che voglia provare da vicino l'ebbrezza del pericolo! – Attraversò a lunghi passi la pista coperta dal tessuto che non riusciva a nascondere le asperità del terreno. Dopo aver schiacciato i numerosi bozzi che rendevano irregolare la superficie su cui si muoveva, il ragazzo saltò agilmente sulle basse protezioni che separavano gli spettatori dal centro della piccola arena. Tenendosi in equilibrio come un funambolo, braccia in fuori, le percorse indirizzando sguardi ammiccanti alle donne sedute in prima fila, con i loro cappellini con veletta e i ricchi abiti eleganti.
– Forse verrebbe lei? – domandò a una giovane madre, che declinò l'invito fingendosi scandalizzata.
Continuando il suo giro si rivolse a una donna di una certa età, che si nascose ridendo d'imbarazzo dietro il ventaglio di seta dipinta. Il giovane sorrise a sua volta, tendendo una mano. Si capiva che era certo che la ricca signora sarebbe capitolata. Che desiderava capitolare.
Guardai nervosamente le piume del cappello della donna che oscillavano, ascoltai il suono gutturale della sua risata vibrante, notai il luccichio dei suoi occhi e il quasi impercettibile movimento del ventaglio che stava per scoprirle il volto.
E mi alzai in piedi in un movimento brusco, mentre la ragazzina seduta al mio fianco spalancava la bocca piena a metà di mele candite. Avanzai poi con decisione verso le protezioni.
– Mi offro io! – gridai, in modo che tutti mi udissero.
La signora con il ventaglio mi fissò stupita, invece il ragazzo del circo mi dedicò un sorriso che mi sembrò sentito. La sua espressione irriverente si addolcì quando si scostò dalla donna per tendere la mano a me.
– Oh, eccola, la miscredente – disse a mezza bocca quando gli strinsi le dita.
Poi, tirandomi sulla protezione accanto a sé, esclamò con voce stentorea: – Signore e signori, abbiamo una volontaria!
Mi strinse alla vita per mantenermi in equilibrio e in quel momento dovette accorgersi del busto correttivo, perché non riuscì a non fissarmi con lo sguardo che si era improvvisamente oscurato. Tuttavia non lasciò la presa e, tornando ad assumere un'espressione raggiante e sicura, invitò tutto il pubblico a farmi un bell'applauso di incoraggiamento.
Mi aiutò a scendere dalla protezione tenendomi per mano e, quando i miei piedi toccarono il telo che copriva la terra, mi condusse verso il centro dello spazio circolare.
L'angelo demoniaco aspettava immobile.
Avanzando verso di lui ebbi un attimo di smarrimento e mi fermai, ma Alec, che continuava a stringermi la mano, mi tirò per costringermi a rimettermi a camminare.
Pur riluttante, ripresi a muovere dei passi dubbiosi. Ero talmente impressionata dalla figura incatenata che mi osservava facendo profondi e regolari respiri, come se fosse una fiera pronta a scagliarsi su di me per dilaniarmi, che avevo dimenticato di tenere dritte le spalle e di dissimulare la mia sofferenza fisica.
Mentre mi avvicinavo a lui strinsi convulsamente la mano di Alec, tanto che lui sobbalzò e tentò di divincolarsi.
– Non è un demone, ricordi? – mi provocò, sussurrandomi nell'orecchio. – Perché mai dovresti temerlo?
Perché ha le mani legate ma è libero di muovere le ali, avrei voluto dire. Però restai in silenzio, lasciandomi trascinare davanti all'Alato.
Il mio accompagnatore si allontanò da me tanto in fretta che, senza più il sostegno della sua mano, ebbi una piccola perdita di equilibrio. D'istinto tesi le braccia in avanti per compensare lo sbilanciamento e solo dopo qualche secondo mi accorsi di essermi appoggiata al petto del "demone".
Lui era rimasto fermo, come se non avvertisse neppure il mio tocco, eppure io sentii distintamente sotto le dita l'accelerazione del suo battito cardiaco.
Quando indietreggiai di un passo, stringendomi le mani al seno, guardai i tatuaggi di fuoco che sembravano serpeggiare sul suo pettorale sinistro ed ebbi un brivido.
Le fiamme... dell'Inferno...
Alzai lentamente lo sguardo fino a incontrare i suoi occhi. Non erano affatto rossi. Visti da vicino si scorgeva il loro colore naturale: erano tra il verde e l'azzurro, ma così chiari che sembravano quasi frammenti di ghiaccio in grado di riflettere la luce. Ed erano attraversati da un lampo freddo, che non aveva niente a che fare con il fuoco.
Immaginai che l'Inferno da cui proveniva fosse fatto di ghiaccio, non di fiamme.
Mentre sbattevo le palpebre, senza sapere che fare, lui levò le mani verso di me per prendermi delicatamente il bordo del cappuccio tra le dita. Me lo fece scendere sulle spalle con altrettanta cura e, quando mi scoprì il viso e il capo, s'immobilizzò di nuovo.
Il cuore mi precipitò in fondo allo stomaco nell'accorgermi che adesso il suo sguardo sembrava essersi acceso di un certo interesse. I gesti indolenti e quasi automatici con cui mi aveva abbassato il cappuccio erano come dimenticati. La sua fronte si era leggermente aggrottata, le labbra dischiuse.
Non è affatto un demone, pensai. È un uomo, un uomo come gli altri.
Restò a fissarmi per dei lunghissimi istanti, finché gli spettatori non cominciarono a rumoreggiare. Allora Alec intervenne con decisione, afferrando un capo della catena e dando un violento strattone per far sì che l'altro mi lasciasse.
– Angelo demoniaco Rael! – lo chiamò, come per risvegliarlo da un sogno, o da un incubo. – Guarda quest'anima pura davanti a te! Ha lanciato una sfida al tuo potere infernale. Raccoglila, è l'Unico che te lo comanda!
– Cosa?! – esclamai, spostando di colpo la mia attenzione sul ragazzo del circo. – Una sfida?!
Alec mi strizzò un occhio. – Non tema, splendida creatura! Non c'è niente che possa sopraffare un'anima pura, dico bene?
Aveva calcato la voce sull'aggettivo "pura" in modo tanto marcato che sentii che diventavo paonazza.
I musici dietro il sipario cominciarono a suonare un brano dalle forti tonalità discordanti che mi fecero sobbalzare.
– Le anime pure non temono i demoni! – esclamò in tono solenne l'anfitrione del circo. – Non temono il Male!
Mi guardai intorno disorientata. Avvertivo tutti gli occhi del pubblico su di me, occhi impietosi, che parevano sezionarmi.
Detestavo essere al centro dell'attenzione e non capivo ancora perché mi fossi spontaneamente cacciata in una simile situazione.
Il sudore m'imperlò la pelle sopra le labbra mentre prendevo a girare faticosamente su me stessa e venivo assalita dalla nausea. Chiusi gli occhi per non vedere più quei volti che mi fissavano in maniera morbosa e quasi non mi accorsi che, alle mie spalle, Rael si era avvicinato di più a me. Aveva alzato le braccia sulla testa, poi le aveva abbassate facendomi passare davanti al viso le catene che collegavano gli anelli di ferro che portava ai polsi.
Quando mi attirò a sé riaprii precipitosamente gli occhi, mentre un gemito di sorpresa mi sfuggiva dalle labbra.
Non mi ero aspettata niente del genere. Non avrei mai immaginato che l'angelo demoniaco potesse toccarmi.
Mi stringeva in un modo che non aveva niente di diabolico o di arrogante. Eppure il contatto del mio corpo con il suo mi trasmetteva sensazioni talmente acute e insinuanti che persino il dolore alla schiena passava in second'ordine.
Mentre smettevo di respirare, la sua mano sinistra si staccò dalla mia vita per posarmisi sulla guancia. Era bollente, come se fosse arsa dalla febbre. O forse ero io a essere febbricitante.
La musica aumentò il suo ritmo di colpo. Alec stava gridando qualcosa al pubblico, ma io non riuscivo a sentirlo, impegnata com'ero a rilasciare gradualmente il fiato per evitare di soffocare.
Quando vidi piume bianche come la fredda grandine di un temporale primaverile sfiorarmi la fronte, mi assalì un vero e proprio terrore. Quelle ali che potevano tagliare in due un vessillo di seta ondeggiante al vento, che si diceva bevessero il sangue dei malcapitati che osavano sfidarne l'affilata durezza... erano proprio davanti ai miei occhi.
Parevano volermi avvolgere in un abbraccio mortale, blandendomi con lievi carezze gelide come metallo.
Mentre il torace cominciava a vibrarmi per la paura, vidi le piume risplendere alla luce della torcia del mangiafuoco e spostarsi fino a raggiungermi le caviglie. Mi toccarono l'orlo della gonna e, quando dal pubblico si levarono esclamazioni costernate, mi resi conto che mi avevano aperto un piccolo spacco nel tessuto di chiffon.
Restai ferma, con il corpo teso in maniera innaturale e il dolore alla schiena che aumentava subitaneo. Quando sussultai, mi parve che l'Alato alle mie spalle sussultasse con me. Il suo respiro sul mio collo si era arrestato un attimo mentre l'ala destra risaliva lungo il mio corpo, accarezzandomi il corsetto che emergeva dall'apertura del mantello.
Ma stavolta, malgrado i gridolini provenienti dalla platea, percepii che il tessuto restava intatto.
La mano dell'angelo demoniaco ancora posata sulla mia guancia era talmente calda che sentii quella parte del viso andarmi in fiamme. La cosa insolita era che lo trovavo piacevole: m'infondeva sicurezza, malgrado il tocco spaventoso delle penne remiganti che avevano raggiunto il mio collo.
L'orchestra accelerò il ritmo della musica, che, sempre più veloce, riempì tutto lo spazio sotto il tendone, manifestandosi davanti ai miei occhi come un vortice di puntini luminosi. Le note suonate dal violino sembravano potersi legare ai rapidi battiti del mio cuore; quelle dell'organetto mi riportarono alla mente i giochi di quando ero bambina, avvolgendoli in una rete di sfumature malinconiche che emanavano l'odore stantio della solitudine.
Agendo d'impulso chiusi gli occhi e presi tra le dita la mano che mi stringeva alla vita. Mi abbandonai contro la spalla di Rael, reclinando la testa e scoprendo la gola da una parte. Avevo spostato senza accorgermene il viso verso la sua guancia, toccando casualmente un angolo delle sue labbra con le mie.
Mentre scostavo di colpo la testa i nostri sguardi s'incrociarono e io sentii qualcosa dentro di me andare in pezzi.
Ma tu... tu chi sei?
Fu allora che successe.
Lui perse il controllo. Solo una frazione di secondo, ma bastò perché le sue piume m'incidessero la pelle.
Non gridai né per l'improvviso bruciore né per la sorpresa. Aprii semplicemente gli occhi, senza capire se gli spettatori si fossero accorti dell'accaduto.
In quel momento non m'importava.
Portandomi una mano al collo mi girai verso l'angelo demoniaco, scoprendo che la sua espressione impassibile stava cedendo allo sconcerto.
– Dunque è così? – domandai, mentre allontanavo la mano dalla ferita per toccargli una guancia. – Le tue ali sanno riconoscere un'anima impura... o un involucro che non ne possiede...
Lui strinse gli occhi, mentre le mani incatenate si premevano leggermente sulla mia schiena, ingabbiata dal busto correttivo.
In quel momento mi domandai chi fosse il vero prigioniero, tra noi.
Un nuovo strattone alle catene che partivano dai suoi polsi spezzò la tensione. Rael fu costretto a piegarsi su di me, stringendomi talmente che non riuscii a trattenere un urlo.
Alec intervenne afferrando un polso dell'Alato e imponendogli di sollevare entrambe le braccia per consentirmi di indietreggiare.
– E adesso ritirati, angelo demoniaco Rael! – gridò poi con enfasi, mentre l'altro spalancava le ali emettendo un grido più simile a un ruggito e arretrava a sua volta, coprendosi il volto come se d'un tratto la luce gli ferisse gli occhi. – Hai perso la tua sfida! Le tue ali non sono riuscite a fare del male a quest'anima pura!
Mentre consegnava le catene al mangiafuoco, mi prese di nuovo per mano e mi allontanò dal centro della pista.
Mantenendo il solito sorriso accattivante che aveva sfoggiato per quasi tutto il tempo dell'esibizione, mi sussurrò chinandosi un po' sul mio orecchio: – Va tutto bene? Sei ferita?
– Credo sia solo un graffio – risposi, cominciando ad avvertire un fastidioso bruciore dove l'ala di Rael mi aveva tagliato.
– Ti prego di non farne parola con nessuno o ci faranno chiudere.
Prima che potessi replicare mi spinse sul perimetro delle protezioni e mi aiutò a scendere dall'altra parte, incitando il pubblico ad applaudirmi.
Una volta al di là della recinzione, lo guardai mentre rivolgeva alla platea un inchino profondo e arretrava battendo a sua volta le mani senza mai dare le spalle agli spettatori.
Mi coprii di nuovo la testa con il cappuccio del mantello, puntando gli occhi sul sipario dietro il quale l'angelo demoniaco era stato portato via.
La mente correva al momento in cui la mia bocca aveva toccato la sua, mentre mi domandavo se si fosse trattato davvero di un caso. Il modo in cui mi ero rilassata contro la sua spalla, l'abbandono che avevo provato sentendo la sua mano nella mia e il suo calore sulla mia guancia...
E le sue labbra...
Non osai completare il pensiero.
Ero sconcertata e furente. Non potevo credere di essermi fatta abbindolare da quel viso perfetto e da quelle candide ali.
Uscii dal tendone del circo con passo marziale e lo sguardo rabbioso, tuttavia, una volta fuori, alzai gli occhi al cielo terso e d'un tratto mi calmai.
Osservare la purezza di quell'azzurro primaverile riusciva sempre a infondermi un'incredibile serenità, a dispetto del fuoco che mi si agitava dentro.
Fuoco...
I tatuaggi di fiamma sul petto dell'Alato riemersero con prepotenza nei miei pensieri, mandandomi in confusione. Le mani mi tremavano.
Feci il giro del tendone, ignorando la musica che continuava a provenire dall'interno. Seguii l'odore penetrante degli animali fino a trovare le gabbie che ospitavano le specie esotiche o selvatiche: erano sistemate in modo ordinato, allineate quasi le une accanto alle altre per consentire a un pubblico di vedere le fiere semplicemente passandoci davanti. I leoni si agitarono e soffiarono come grossi gatti quando mi videro, lo struzzo si limitò a rivolgermi uno sguardo cauto, mentre l'orso continuò a sonnecchiare indisturbato.
Dalla parte opposta alle gabbie le capre nane e i cavalli si muovevano nervosi in recinti di legno.
Restai ferma a guardarli finché, mentre la musica continuava a scivolarmi nelle orecchie, gli spettatori non iniziarono a riversarsi all'esterno del tendone, confluendo proprio nel punto dove mi trovavo io per osservare da vicino gli animali.
I "mostri" arrivarono subito dopo, annunciati dallo squillo di una tromba suonata da un ragazzino. Sfilarono davanti al pubblico dietro una recinzione che era stata allestita appositamente e ognuno di loro occupò una postazione diversa, separata dalle altre da un paio di metri di spazio vuoto.
Mentre la folla si assiepava davanti all'una o all'altra, mi alzai sulle punte dei piedi per guardare meglio. Scorsi la donna barbuta, l'uomo più forte del mondo, quello più alto – per vedere il quale non avevo avuto bisogno di allungare il collo – quello più forte e i gemelli siamesi.
La gente rideva, si scambiava battute, additava le strane persone davanti a loro mentre io cercavo soltanto lui.
Ma dell'angelo demoniaco non trovai alcuna traccia, almeno fin quando non mi accorsi che una parte della folla si era spostata nei pressi di un carrozzone sistemato dietro la gabbia dei leoni. Non era chiuso, ma dotato di sbarre oltre le quali l'Alato era in piedi, con le ali spiegate.
Si muoveva avanti e indietro con un'espressione feroce facendo vibrare le lamine esterne delle piume, che brillavano come le maglie di una corazza. Ma compresi che agiva così solo a beneficio del pubblico.
Ne ebbi la certezza quando Alec giunse per invitare la gente a non avvicinarsi troppo, ma poi chiese chi avesse il coraggio di allungare una mano verso l'Alato.
Stavolta non mi feci avanti, al contrario di un paio di ragazzini, fratello e sorella, che tesero le braccia attraverso le sbarre con risatine nervose.
Alec sfoderò di nuovo il suo discorso sulle anime pure che non avrebbero subito alcun male dall'angelo demoniaco e quest'ultimo si avvicinò a quelle mani tese, piegandosi sulle ginocchia per offrire il petto nudo e le braccia muscolose al loro tocco curioso e avido.
Lo sapevo! Non è altro che una finzione!
Eppure assistervi mi dava il voltastomaco.
Indietreggiai lentamente senza distogliere lo sguardo dall'algida bellezza del viso dell'azrariano, poi mi allontanai sparendo nella folla.
Il circo sarebbe rimasto ancora una settimana in città. Pareva che gli abitanti di Cartago e dei dintorni della città apprezzassero particolarmente le esibizioni degli artisti e i fenomeni da baraccone che, dopo gli spettacoli, si esponevano agli sguardi del pubblico pagante.
E io avevo preso l'abitudine di farmi accompagnare da Gideon fino al tendone, dove pagavo per intero il prezzo del biglietto, ma non osavo entrare. Lo feci per i tre giorni successivi alla prima volta che avevo visto l'angelo demoniaco.
Sotto lo sguardo perplesso dell'uomo all'ingresso, facevo il giro della struttura e aspettavo per tutta la durata dello spettacolo accanto alle gabbie degli animali. L'odore di selvatico, di fieno ed escrementi mi pungeva le narici, ma, dopo aver starnutito un paio di volte, mi abituavo.
Il quarto giorno l'uomo che staccava i biglietti si rifiutò di prendere i miei dinari. Si guardò intorno, scoprendo che non c'era nessuno nei paraggi, mise un catenaccio davanti al panneggio dal quale si accedeva al tendone e mi accompagnò sul retro.
Si accese un sigaro sedendo su uno sgabello di fronte alla gabbia dei leoni, poi mi guardò dal basso verso l'alto, assottigliando gli occhi. Dopo essersi messo il sigaro in bocca si tolse il guanto dalla mano sinistra e me la tese, come se volesse stringere la mia. In quel momento mi resi conto che aveva due sole dita, più simili a delle chele.
– Anch'io faccio parte del loro gruppo – mi disse, alludendo evidentemente a quelli che Alec aveva una volta definito "mostri". – Ma una ragazzina come te immagino non pagherebbe tutti i giorni per vedere me... o loro.
Io restai in silenzio, lieta che il cappuccio mi nascondesse in parte il viso, e forse l'espressione.
– È per l'angelo che vieni, vero? – mi domandò l'uomo a bruciapelo, soffiandomi una nuvola di fumo acre sul mento. – Ti ho vista, ieri: guardavi solo nella sua direzione, eppure non ti sei mai avvicinata alle sbarre. Come mai?
Io sospirai, rispondendo alle sue domande con un'altra domanda: – Come riuscite a esibirvi in territori coinvolti nella guerra contro Azra portandovi dietro un Alato? Cartago è una delle pochissime città-Stato umane a essersi dichiarata neutrale, quindi suppongo che siate stati anche in posti dove gli azrariani vengono fatti prigionieri non appena si mostrano in giro, dico bene?
Lui spalancò gli occhi, poi si rilassò ed emise una risatina al sapore di tabacco. – E io che credevo che fossi una persona taciturna! Vedo che la lingua ti si scioglie, quando vuoi!
Tenendo il sigaro in bilico tra le labbra screpolate infilò nuovamente il guanto alla mano sinistra e si strinse nelle spalle. – Il circo e le sue attrazioni tirano su il morale dei soldati. E il nostro Rael lo teniamo nascosto quando ci esibiamo in zone di guerra. A volte le autorità ci hanno chiesto perché portassimo con noi un azrariano, ma a chi importa di un Alato che è già in catene?
Io annuii pensosamente. – Già in catene, eh?
L'uomo del circo si alzò, poi mi rivolse uno sguardo scuro. – Senti, ragazzina. Ti do un consiglio da amico: hai visto il tuo angelo demoniaco, lo hai contemplato tanto a lungo che ormai dovresti averlo impresso nella tua memoria. Adesso è arrivato il momento di andare.
– Le ho dato i soldi per il biglietto – obiettai. – Lei me li ha restituiti.
– Perché non c'è più alcun motivo che tu venga qui. – Mi prese per un braccio con la mano sana, spingendomi per farmi fare a ritroso il giro del tendone.
Quando giungemmo davanti all'ingresso mi lasciò andare, ma io battei un piede a terra con rabbia. – Lei non ha alcun diritto di trattarmi in questo modo!
– Io dico di sì, invece – rispose lui, continuando a fumare il suo sigaro con calma.
In quel momento Gideon comparve trafelato al mio fianco. – C'è qualche problema, signora baronessa?
Io gli scoccai un'occhiataccia, mentre il volto dell'uomo del circo si rabbuiava ulteriormente. Gli girai di scatto le spalle e mi avviai verso la carrozza con Gideon che tratteneva a stento le risa.
– Hai visto che faccia ha fatto quello, Leda?
– Non avresti dovuto chiamarmi in quel modo! – lo rimproverai, dandogli un colpo nel fianco così forte che il ragazzo si curvò sputacchiando saliva.
– Ma che ti prende? Volevo solo aiutarti! Quel tipo ti stava importunando!
– No – sbottai. – Stava solo proteggendo uno dei suoi compagni.
Gideon scoppiò a ridere più forte. – E da chi dovrebbe proteggerlo? Da te, forse?
Ormai eravamo arrivati alla carrozza. Quando mi fermai per far sì che lui mi aprisse la porta gli rivolsi uno sguardo talmente freddo che vidi il suo pomo d'Adamo salire e bloccarsi in quella posizione per qualche secondo.
Forse, chissà, aveva appena ricordato quanto era accaduto al mezzadro che aveva tentato di uccidere Edmund.
– Gideon?
I suoi occhi color nocciola guizzarono da una parte all'altra, poi si posarono di nuovo su di me. – S-sì?
– Procurami il necessario per scrivere.
Il ragazzo restò a bocca aperta per qualche secondo, poi fece un colpetto di tosse. – Leda, siamo in mezzo al nulla. Mi stai chiedendo di trovarti carta, penna e inchiostro mentre tu resti qui nella carrozza? Ho capito bene?
Mi frugai nel mantello, quindi tirai fuori un sacchetto di dinari sonanti. – Usa questi: vedrai che anche in mezzo al nulla c'è chi è disposto a tutto per un po' di soldi. Non ti sarà troppo difficile tornare presto con quanto ho chiesto.
Gideon fece un sospiro, poi afferrò il sacchetto e si avviò con un sospiro. – Potrebbe volerci parecchio – mi avvisò, mentre mi dava le spalle. – Ti ricordo che sono a piedi, signora baronessa.
Io mi accomodai all'interno della vettura, con lo sguardo fisso al tendone che tremava al vento a poche decine di metri di distanza. Le note dell'orchestra che provenivano da là erano quelle che annunciavano la conclusione dello spettacolo e salutavano gli spettatori.
Immaginai il pubblico che sciamava fuori, dirigendosi sul retro per vedere gli animali e le grottesche creature che mettevano in mostra le proprie deformità.
Io non sono come loro, pensai, mentre i miei ricordi s'impigliavano nell'immagine del pagliaccio che avrebbe voluto comprarmi quando ero piccola. Io non voglio mettermi in mostra, voglio essere come tutti gli altri!
Non mi soffermai a riflettere sul fatto che forse quelle persone non avevano avuto la possibilità di scegliere, esattamente come non l'avevo avuta io, anche se in modo diverso...
Restai immobile sul sedile imbottito della carrozza a immaginare l'uomo piccolo come un folletto e gli altri sfilare davanti agli occhi esterrefatti e divertiti degli spettatori e, per ultimo, lo sguardo dell'angelo demoniaco dietro le sbarre del suo carrozzone. In quei pochi giorni avevo imparato che, se si andava oltre la maschera di diavolo alato dagli occhi feroci, si poteva cogliere in quello sguardo una malinconia capace di avvilupparsi intorno al cuore delle persone come un nastro freddo e nero.
O, almeno, io l'avevo avvertita stringersi intorno al mio cuore. E avevo provato una sorta di empatia che sapevo di non dover provare per uno come lui... un Alato.
Mi coprii il viso con le mani, avvertendo un repentino senso di inadeguatezza. Era sbagliato continuare a recarmi là, era pericoloso, era...
Quando Gideon bussò sul vetro del finestrino sussultai e aprii in fretta lo sportello. – Non ci hai messo molto! – esclamai, prendendo in consegna il materiale che avevo chiesto.
Lui si strinse delle spalle. – A dire il vero non sono dovuto andare troppo lontano. Ho bussato alla porta di una casa colonica non molto distante e la signora che mi ha aperto è stata molto felice di sentire sulla propria mano il peso del tuo sacchetto.
Mentre mi sistemavo per poter intingere il pennino nel calamaio, gli rivolsi uno sguardo eloquente. – Spero che le monete che hai tenuto per te ti impediscano di chiedermi altri soldi per le prossime due settimane.
– Accidenti, Leda, non ti sfugge proprio niente, eh? – Gideon ridacchiò imbarazzato. – Mi è sembrato uno spreco dare tutti quei soldi per un pezzo di carta, un pennino e una boccetta d'inchiostro... Ma giuro che i dinari che ho lasciato te li avrei restituiti!
– Gideon, non giurare – lo ammonii, distogliendo lo sguardo dal suo viso per concentrarmi sul foglio di carta. – Tieniti pure i soldi e ricordati a chi devi la tua fedeltà.
Lui richiuse piano lo sportello senza dire nulla, mentre, dopo aver fatto attenzione a scolare bene il pennino, mi accingevo a scrivere il messaggio che intendevo recapitare. Non ci rimuginai troppo a lungo.
Quando ebbi scritto quello che avevo in mente, soffiai per qualche istante sull'inchiostro e, una volta che si fu asciugato, aprii lo sportello e passai il foglio piegato in quattro a Gideon. Guardando il sopracciglio alzato del ragazzo spiegai: – Fa' in modo che arrivi nelle mani dell'intrattenitore del circo...
– Intrattenitore?
Strinsi un attimo le labbra, impaziente. – Un giovane di nome Alec. E assicurati che sia proprio lui a ricevere la lettera.
Vidi la missiva sparire nella tasca interna della giacca da cocchiere, poi seguii con gli occhi l'andatura sicura e baldanzosa del ragazzo, che sembrava sempre in procinto di compiere qualche eccitante missione.
Aspettai che tornasse guardando attraverso il finestrino il cielo che cominciava ad arrossarsi e, oltre il tendone, i campi di grano sovrastati dalle torri cilindriche dei silos. In lontananza si scorgevano quelli di papavero da oppio appartenenti al barone di His. Era laggiù che lavoravano prevalentemente gli schiavi, mentre i mezzadri si occupavano della coltivazione dei cereali e dei vigneti.
Il circo era stato allestito ai margini delle terre di un latifondista che ricavava cotone dalle proprietà confinanti con quelle del barone, e quello era proprio il momento in cui gli schiavi rientravano dalle piantagioni nelle baracche di legno destinate ad accoglierli.
Vidi un gruppo di uomini e donne trascinarsi a fatica dietro ai cavalli dei sorveglianti. Il colore della pelle variava dall'ambra a una tonalità cannella, com'era la carnagione della Madam della Casa del Loto. Gli uomini indossavano camicie di tessuto grossolano le cui maniche erano arrotolate sui gomiti, scoprendo gli avambracci percorsi da un'intricata ragnatela di segni in rilievo. Al centro di quelle cicatrici spiccava il simbolo del latifondista che li aveva acquistati e poi fatti marchiare.
Il simbolo del barone di His era una H avvolta dai papaveri.
Una delle donne levò gli occhi e mi vide, così mi affrettai a tirarmi indietro fingendo di guardare altrove, nella speranza che non si girasse più nella mia direzione.
Mi sentivo sempre in colpa quando incrociavo gli sguardi degli schiavi, come se io fossi una privilegiata rispetto a loro... la schiava personale del padrone senza alcun marchio sulla pelle.
– Leda! – La mano di Gideon batté d'un tratto sul finestrino. Mi fece spaventare a tal punto che sbattei le spalle contro lo schienale del sedile e imprecai per il dolore.
Il ragazzo aprì cauto lo sportello della vettura, osservandomi da sotto il cappello di feltro. – Volevo solo dirti che ho consegnato la tua lettera a quel tipo di nome Alec.
– Sei sicuro che fosse proprio lui?
– Sicurissimo.
Tesi la mano, piegando le dita. – Ha scritto un messaggio di risposta?
Ma lui scosse la testa. – Ha soltanto detto: "Ci saremo".
Restai per un attimo senza fiato.
Ci saremo.
Mio Dio... che cos'avevo fatto?
Siamo arrivati anche alla conclusione di questo secondo capitolo!
Allora, finalmente abbiamo assistito all'incontro tra Leda e l'angelo demoniaco! Come vi è sembrato?
Certo, non sappiamo ancora nulla del misterioso Alato né delle intenzioni della ragazza, ma... cosa immaginate?
Mi auguro che la storia continui a interessarvi e a suscitare curiosità. Se volete darmi consigli e pareri sono qui.
E naturalmente sono qui ad aspettare i vostri commenti! A volte riesco a rispondervi subito, altre volte accumulo parecchio ritardo, ma sono davvero felicissima quando li ricevo e non so mai come ringraziarvi a dovere.
L'unico modo che mi viene in mente è quello di mettermi sotto e di scrivere per poter proseguire la storia.
Allora... al prossimo aggiornamento <3
Un abbraccio 😊
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