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Capitolo 27

Suoni confusi la raggiunsero, svegliandola da un sonno nero come la pece.

<<D-dove sono?>> Sussurrò al buio, con la testa pesante e gli occhi impastati. <<R-ragazzi…>> Realizzò inorridita mentre cercava di mettere a fuoco la situazione.

<<Quell’uomo… d-dove mi ha portata?>> Domandò al vuoto, mentre voltava la testa di scatto, e cercava di capire in ogni modo dove e come fosse finita in quel buco nero.

<<In prigione.>>

Quella risposta, quasi sussurrata stupì Lucy e la spaventò, spingendola a raggomitolarsi su se stessa per cercare di difendersi dall’ ignoto. <<Chi sei?>>

<<Quante domande mocciosa.>> Disse di rimando lo sconosciuto, che la ragazza localizzò più o meno davanti a lei.

<<Quante domande? Sei serio?>> Soffiò con voce sprezzante, mentre si asciugava una lacrima silenziosa, che come una perla salata le scivolava sulla guancia diafana. <<Mi hanno rapita di notte, da camera mia, e mi hanno rinchiusa in una camera oscura con solo un ragazzo scorbutico senza volto che mi fa compagnia…. Bell’affare.>>

<<Tu sei l’ultima che si dovrebbe lamentare. Hai ricevuto un trattamento preferenziale, e ciò significa che devi essere qualcuno di importante… qualcuno che non possono ne uccidere o torturare… o peggio, sottomettere.>>

<<Trattamento preferenziale? Non mi sembra di essere in una suite…>>

<<Che mocciosa….>> Ribattè il ragazzo, che sbuffando evidentemente cambiò posizione, visto che emise suoni metallici che Lucy aveva sentito solo nei film.

<<Catene?>> Chiese con un’ombra di terrore. <<Che significano?>>

<<Che io alloggio qui senza essere trattato come una bambinetta. Scontando tutto a prezzo pieno.>>

Il tempo lì non esisteva, come non esisteva la luce. Lucy pensava che avrebbe passato lì l’eternità, letteralmente. Perse la concezione di minuti, ore, giornate, e l’unica cosa che le faceva credere di essere ancora viva, in quell’oceano d’inchiostro nero, era il rumore.

Quel rumore ovattato, lontano e vicino allo stesso tempo, che l’aveva svegliata e che la teneva in vita, era la sua unica compagnia.

I suoni erano troppo indefiniti, sembravano delle voci che provenivano da ogni dove, circondandola come un abbraccio portatore di morte.

La ragazza non era tranquilla, e con il passare del tempo iniziò ad essere sempre più nervosa. Ricordi della sua infanzia le sopraggiungevano alla mente, e prolungavano l’agonia dovuta alla fame e alla sete. Le mancavano i suoi compagni, e persino Catus. Un solo volto cercava di scacciare dalla mente, per evitare che le lacrime le inondassero le gote. Lampi biondi danzavano nella sua mente, cercando di rimpiazzare la cecità dei sui occhi, aggiungendo solamente altro dolore a quella prigionia ingiusta.

<<Hey tu>> Sussurrò alla voce, che non aveva più parlato dopo il loro primo “Dialogo”

Il silenzio le perforò lo stomaco, facendole dubitare che ancora qualcuno condividesse quella cella con lei.

<<Ci sei ancora?>> Domandò con voce fievole, mentre con una mano fredda si sfiorava il volto, e ne riconosceva i tratti.

<<Anche se fosse?>> Esordì lo sconosciuto, facendole balzare il cuore in gola dalla felicità.

<<Nulla… io… pensavo che ne fossi andato…>> Disse con voce incerta, provocando una risata roca senza gioia.

<<Sono rinchiuso qui da talmente tanto tempo… che si saranno di sicuro dimenticati di me.>>

<<Qual è la tua colpa?>>

<<E qual è la tua, marmocchia?>>

Quella domanda la zittì. Era il pensiero che le aveva solleticato la mente da un mese, ed non se n’era mai accorta. Aveva imparato a conviverci, e ad ignorarla.

<<Il mio sangue.>> Rispose con un sussurro, mentre si metteva la mano destra su cuore, che batteva flebilmente.

<<È sempre colpa del sangue.>> Ridacchiò la voce, accompagnata dal rumore delle catene. <<Buffo… Nonostante ne tu ne io abbiamo scelto da chi e come nascere ne paghiamo le conseguenze. Perché poi? Non potrebbero solo lasciarci in pace? Non ho deciso io di nascere così, come lo chiamano loro con il sangue sporco, eppure loro me ne fanno una colpa, mi hanno emarginato per questo… ma insomma… siamo su questa terra da secoli, perché dobbiamo ancora perseguitare chi è diverso da noi? Tu non hai presente… quante guerre ho visto, quanti morti ho pianto…. E tutto per la diversità.>>

Una lacrima. Una sola, fottutissima, lacrima le era sfuggita. E aveva causato il finimondo.

Il suono cristallino dell’acqua che si infrange riempì l’atmosfera di quella cella, amplificandosi sempre di più. Dove la piccola perla salata era caduta, sul pavimento nero pece, Lucy vide formarsi un gigantesco pentacolo azzurro cielo, che a differenza di quello che la ragazza aveva creato color rosso fuoco, presentava parole di liberazione, vendetta e rinascita.

Le crepe erano sottili, quasi invisibili, ma c’erano, erano presenti, e si stavano allargando per tutta quella bolla di dolore che circondava i due ragazzi.

La luce che entrava da quelle crepe era stupenda, ma anche dolorosa. La ragazza, abituata alla cecità, si schermò gli occhi fino a quando non smetterono di farle male. Il reticolo era quasi completato, e oramai le crepe ricoprivano la bolla, che era più fragile che mai.

<<Ethan…>> Sussurrò, rivolgendo un pensiero a chi aveva cercato di evitare per tutto il tempo in cui era stata rinchiusa. <<Sto arrivando.>>

Un rumore di vetri infranti risuonò nell’aria, e Lucy si ritrovò a cadere nel vuoto, sbattendo pesantemente il fondo schiena sul pavimento di marmo.

<<Ma porca putt->> Sussurrò mentre con una smorfia dolorante si rendeva conto in che posto era capitata.

<<Dove diavolo sono?>>

<<Ero sicuro che ce l’avrebbe fatta signorina…complimenti per essersi liberata, anche se poteva evitare di portarsi dietro quel…. Rifiuto.>>

<<Tu…>> Sussurrò incazzata mentre puntava il dito verso colui che l’aveva rapita. <<Come hai osato...>> Continuò mentre sentiva la rabbia montarle nel petto.

<<Signorina…>> Continuò l’uomo mentre il sorriso si spegneva lentamente. <<Non mi obblighi a…>>

Un lampo grigio le sfiorò la spalla, per fiondarsi sul loro aggressore. La lotta durò meno di pochi secondi, ed era nettamente impari. Il bell’angelo caduto stava steso a terra svenuto, e un ragazzo muscoloso di spalle lo sovrastava.

<<C-come…. Come hai fatto…?>> Domandò balbettante Lucy.

<<Diciamo che avevo molta rabbia repressa>> Si giustificò il ragazzo ancora voltato, che indossava un paio di pantaloncini grigi e laceri e aveva ancora delle manette ai polsi, con pezzi di catene oscillanti.

Non appena si voltò, lentamente, lei rimase senza fiato, dalla sua bellezza… angelica.

I capelli nocciola chiaro ricadevano in un ciuffo sbarazzino poco sopra gli occhi, di uno stupendo color cioccolato al latte. Il petto nudo era scolpito ed abbronzato, nonostante fosse rinchiuso in quella bolla da non si sa quando. Delle cicatrici chiare solcavano le braccia muscolose, che erano ornate da due soli tauaggi. Un’ala nera sull’avambraccio destro, vicina alla parte interna del gomito, e un’ala bianca gemella sull’avambraccio sinistro.

<<Grazie…>> Disse titubante la ragazza, rendendosi conto che non sapeva nemmeno il nome del suo compagno di cella.

<<Lucas. È quello il mio nome… anche se... non lo pronunciavo da tempo…>>

*spazio me*
Grazie mille a tutti per le visual *^*
Shiro_hebi

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