Quarto Capitolo
Sono sola nel buio più totale.
Provo a sbattere ripetutamente gli occhi senza ottenere risultati e inizio a camminare, le braccia tese davanti a me.
Non riesco a sentire il pavimento sotto ai miei piedi; l'unico rumore che percepisco è il mio respiro appesantito dalla paura.
Dopo pochi passi sento la presenza di qualcuno alle mie spalle: inizio istintivamente a correre anche se stremata.
Una risata sadica e lontana squarcia il silenzio.
Non so in che direzione sto correndo né se tutto ciò avrà una fine ma non mi importa: il mio obbiettivo è allontanarmi da quella risata.
Ho le gambe molli e il fiato corto; mi fermo un attimo per riprendere le forze e sento improvvisamente una mano gelida come il ghiaccio sulla spalla.
Emetto un urlo smorzato, provando a voltarmi verso chi mi sta trattenendo, ma sono come bloccata. Ho il cuore a mille.
"Te lo avevo detto che i giochi erano solo iniziati, piccola."
Spalanco gli occhi: quella voce.
Rabbrividisco e provo a divincolarmi sotto la sua stretta ferrea, ma d'un tratto sono di nuovo libera di muovermi e sotto di me inizio a sentire il suolo sorreggermi.
Torno a respirare regolarmente, non sentendo nemmeno più Harry dietro di me.
Faccio per alzarmi ma sento qualcosa di appiccicoso e viscido sotto la suola delle scarpe.
Provo a tastare con le mani l'identità di quel liquido; appena poi mi porto l'indice al viso una luce lontana mi inonda completamente, permettendomi di vedere dove mi trovo.
Una lunga striscia di sangue fresco ricopre il pavimento di casa mia e, a pochi metri, il corpo pallido di mia madre in una posa innaturale.
Ha gli occhi spalancati e privi di vita fissi su di me e un enorme squarcio grondante di sangue sul collo.
Urlo a pieni polmoni e questa volta riesco a sentire pienamente la mia voce.
Realizzo di trovarmi nel mio letto, le coperte aggrovigliate attorno al busto e la fronte madida di sudore.
Mi porto una mano al petto, cercando di respirare regolarmente.
La stanza è lievemente illuminata da uno spiraglio di luce che filtra dalla tapparella socchiusa; guardo l'orario sulla sveglia abbandonata sul comodino e sospiro.
Sono a malapena le sei di mattina.
Ho perso però completamente il sonno e, stropicciandomi gli occhi con le mani, provo ad alzarmi, infilandomi le infradito abbandonate ai piedi del letto.
Mi avvio strascicante verso il bagno, chiudendomi la porta alle spalle.
Apro allora il rubinetto del lavandino: con le mani a coppa mi sciacquo il viso con dell' acqua congelata.
Chiudo poi il getto con la manovella, alzando lentamente lo sguardo verso il mio riflesso nello specchio.
Questa non sono io: due enormi borse sotto agli occhi, lo sguardo perso, i capelli peggio di un gomitolo di lana.
Trattengo una smorfia e ritorno in camera da letto, dirigendomi verso l'armadio.
Indosso i miei soliti jeans e una maglia XL blu, il mio colore preferito.
Con un elastico cerco di rendere i miei capelli presentabili e raggiungo il piano terra, per poi entrare in cucina.
Mi preparo velocemente un caffè e guardo il cellulare: per le otto dovrebbe venire Louis a prendermi per accompagnarmi in ospedale.
Dopo l'incubo di stanotte, così realistico e raccapricciante, voglio chiudere definitivamente tutte le questioni irrisolte su mia madre.
Esco fuori di casa e mi siedo sui gradini del pianerottolo; l'aria di mattina non è ancora sufficientemente calda da dare noie e mi godo la calma e il silenzio del quartiere.
Solo la signora Stanley, la mia vicina, è già sveglia. Da quello che riesco a vedere oltre la siepe che ci separa, sta lavorando in giardino.
È vedova, e i suoi tre figli sono tutti sistemati con una famiglia, eppure non sembra risentire della solitudine.
Forse dovrei iniziare anche io a fare torte come lei.
Controllo ancora l'ora sul display del cellulare e mi acciglio: sono quasi le otto.
Ritorno in casa e indosso le scarpe da ginnastica, correndo al piano superiore per darmi una sistemata con il fondotinta davanti allo specchio.
Il campanello suona qualche minuto più tardi; finisco di coprire le borse sotto agli occhi con un abbondante quantità di terra ed esco di casa.
Davanti al mio viale vedo parcheggiata una Mustang grigio perla e Louis, con le mani nelle tasche dei suoi jeans neri aderenti e lo sguardo perso verso il cielo.
Provando a sorridere, cammino lentamente verso di lui.
Louis posa lo sguardo su di me e mi saluta con un cenno del capo.
" 'Giorno signorina"
Rido leggermente.
" 'Giorno anche a lei"
Lui si avvia verso l'auto, aprendomi lo sportello e aspettando pazientemente la mia entrata; chiude l'auto con un gesto delicato e si posiziona accanto a me al posto del guidatore.
Mette in moto con un rombo potente e io sussulto: è davvero una bella macchina.
"Hai una macchina bellissima"
Lui è concentrato sulla strada, ma vedo l'orgoglio nei suoi occhi.
"Lo so, è la mia bambina. Regalo di promozione"
Ammicca verso di me e torna a guardare la strada, ancora semideserta.
Il sedile è in pelle ed è molto morbido; appoggio la testa contro al finestrino e mi rilasso, godendomi questa fantastica corsa.
"Direi che saremo lì tra una ventina di minuti, a che ora hai detto che devi presentarti?"
Socchiudo gli occhi, la stanchezza per il sonno mancato che inizia a farsi sentire.
"Robert mi ha detto che è libero dalle nove"
Louis annuisce, sterzando a destra con abilità il volante nero.
"Facciamo in tempo a fare colazione allora, hai già mangiato qualcosa?"
Scuoto lentamente il capo.
"No, avevo lo stomaco un po' chiuso questa mattina"
Lui sposta lo sguardo qualche secondo su di me, incerto su cosa dire.
Lo vedo mordicchiarsi il labbro e sospirare.
"Non hai un aspetto molto riposato, sei riuscita a dormire qualche ora?"
"Non molto"
Louis sembra capire e interrompe il discorso, facendo ripiombare il viaggio nel silenzio, però privo di imbarazzo.
Chiudo gli occhi.
Sono dentro l'unico bar aperto accanto all'ospedale, seduta ad un tavolino in legno ad aspettare Louis, che è andato a parcheggiare l'auto.
Mi ha detto di prendere pure quello che volevo e un caffè per lui, ma non ho resistito e gli ho preso anche un cupcake troppo carino che era esposto in vetrina.
È al cacao con della crema bianca sopra; spero arrivi presto o non resisterò alla tentazione di morderlo.
Mi guardo un po' intorno, ancora assonnata.
In ospedale a qualsiasi ora c'è un continuo viavai di gente; il bar al contrario non lo trovo molto affollato.
Torno a posare lo sguardo sulla mia colazione e ritrovo Harry, seduto di fronte a me, tutto sorridente.
Salto sulla sedia per lo spavento e, disgustata dalla sua presenza, trascino la sedia lontano dal tavolo.
"Ehi ehi dove pensi di andare? Sono appena arrivato e poi la colazione si fredda"
Abbasso lo sguardo sulla mia mano e la trovo bloccata dalla sua in una stretta di ferro.
Serro la mascella, squadrandolo da capo a piedi con odio.
"Si può sapere che cosa vuoi da me?"
Cerco di controllarmi e non fare troppe scenate, siamo comunque in un luogo pubblico.
Lui non alza nemmeno lo sguardo, iniziando invece a scartare il cupcake di Louis con occhi famelici e un' espressione innocente in viso.
Si stringe nelle spalle.
"Nulla, è che a lavoro mi annoiavo"
Il sangue inizia a ribollirmi nelle vene.
Avvicino la sedia al tavolo e con la scarpa gli tiro un forte calcio contro al ginocchio, spostando il suo corpo di qualche centimetro e facendogli quasi cadere il cupcake dalle mani.
Trattengo a stento la mia espressione soddisfatta e guardo insistentemente verso l'ingresso del bar: dove caspita è finito Louis?
Sento lo sguardo di Harry bruciarmi sulla pelle in modo persistente, ma decido di ignorarlo.
Non so ancora bene come comportarmi con lui, c'è quel lato della sua imprevedibile personalità che mi terrorizza completamente.
"Così.. Te la fai con Lou, eh?"
Io sgrano gli occhi, arrossendo visibilmente.
"Non dire stronzate e comunque.. Non credo siano affari tuoi."
Mi decido a fissarlo, ma solo per incenerirlo con lo sguardo.
Lui ricambia per qualche secondo, scoppiando poi a ridere sguaiatamente con la testa rivolta all' indietro.
Serro gli occhi, approfittando della sua distrazione per staccare la mano dalla sua presa sul tavolo.
"Sei proprio un bel pezzo di merda, lo sai? Sembra che tu mi stia fottutamente perseguitando, e non ho ancora ben capito come tu e Louis vi conosciate.."
Non faccio in tempo a finire la frase che mi ritrovo il suo viso a pochi centimetri di distanza; le sue labbra sfiorano il mio orecchio.
Sento il soffio caldo del suo respiro verso il mio collo; rabbrividisco, trattenendo il fiato.
"Mi piacciono le ragazze con un carattere forte, ma non ti azzardare a parlarmi più in questo modo."
Deglutisco a fatica, dimenticandomi momentaneamente dove mi trovi e cosa stia facendo: sono troppo concentrata sulla sua presenza così vicina al mio corpo.
Mi tornano poi in mente le immagini del nostro primo incontro in ospedale e realizzo che il suo aspetto esteriore è solo una bella e apparentemente normale maschera che nasconde la merda che ha all'interno. Non devo permettergli nemmeno di sfiorarmi.
Mi alzo di scatto, lasciandolo sorpreso e ancora chinato verso la mia sedia.
Mi passo una mano tra i capelli e, rubando velocemente il cupcake abbandonato sul tavolo, inizio a uscire dal bar, quasi correndo.
Noto che non c'è più alcun cliente seduto ai tavoli o al bancone, e mi tranquillizzo: deve essere strano vedere me e quel ragazzo interagire.
Non faccio in tempo a chiudermi la porta di vetro alle spalle che sento uno spostamento d'aria dietro di me, accompagnato da un braccio muscoloso e familiare che blocca il mio movimento.
Mi altero per l'insistenza del riccio, schivando la porta socchiusa ed accelerando il passo decido di aspettare Louis proprio davanti all'ospedale.
"Dove vai adesso?"
Lo sento prendermi per una spalla; raggelo cercando di scuotermelo di dosso.
Rinunciandoci mi volto allora verso di lui infuriata.
"Lasciami stare, cazzo!"
"Bliss!"
La voce di Louis fa girare simultaneamente sia me che Harry; noto che alla vista del moro ha allontanato rapidamente la mano da me.
Continuo a osservare Louis avvicinarsi a noi e quasi sorrido, se non fosse per lo psicopatico che ho accanto.
Il moro ci è ormai di fronte, radioso come sempre.
Si scusa mestamente con me per il ritardo, poi il suo sguardo cade su Harry.
Le sue iridi passano gradualmente da un azzurro cielo a un blu notte, quasi nero.
Sbatto le palpebre più volte, sorpresa; sarà una svista momentanea, dopotutto non ho ancora fatto colazione.
Louis stringe le mani a pugno lungo ai fianchi, serrando la mascella.
"Harry"
La sua voce è più roca e graffiante, mi intimorisce ma preferisco rimanere in disparte; di certo non mi metterò a difendere quel maniaco.
Il riccio è invece visibilmente più rilassato, anzi sorride strafottente, forse felice di aver irritato Louis.
"Ehi Loueh, tutto bene?"
"Non mi prendere il culo, sai che non lo sopporterei."
Mi acciglio: non so più di cosa stiano parlando.
Harry allora sospira annoiato, socchiudendo gli occhi e facendo un veloce cenno col capo nella mia direzione.
"Io non mi scalderei così tanto se fossi in te: abbiamo un pubblico abbastanza impressionabile qui."
Il moro sembra risvegliarsi all' istante da uno stato di trance; i suoi occhi tornano del colore che amo tanto e i suoi muscoli si rilassano: francamente non trovo una spiegazione razionale al cambio di colore degli occhi, ma ormai la mia vita sembra un cartone animato da quanto è diventata surreale.
"Bliss, per favore vai dentro in ospedale, ti raggiungo tra poco"
La sua voce è ancora bassa e minacciosa; rabbrividisco.
"Louis, io.."
Lui si volta finalmente verso di me, lo sguardo implorante.
"Ti prego, farò in fretta, promesso"
Harry dietro di lui ridacchia, quasi divertito dalla scena.
"Biondina, io se fossi in te farei come dice, a meno che tu non voglia vedere un vampiro in carne ed ossa."
Sgrano gli occhi nel risentire quel termine particolare: vampiro? Intende le creature delle storie dell' orrore che succhiano sangue e dormono nelle bare dei morti?
Vedo Louis fulminare Harry con lo sguardo, quasi trattenendosi dal saltargli addosso; si avvicina invece a me, tossendo per schiarirsi la voce e portando un braccio con gentilezza attorno alle mie spalle.
Senza voltarsi o parlare ancora con il riccio, avvicina le labbra al mio orecchio, forse per non farsi sentire.
"Andiamo a fare quello che siamo venuti a fare, va bene? Non ascoltare le parole di quell' idiota."
Annuisco incerta, concentrandomi sul suo braccio sulla mia schiena. È un gesto così disinteressato che sembra quasi naturale questa vicinanza.
Inizio a mordermi il labbro inferiore dal nervosismo, aspettando di entrare nell'edificio prima di parlargli apertamente.
Noto che Harry non ci ha seguiti e mi sento immediatamente più rilassata.
Sbuffo, notando di avere ancora tra le mani la colazione di Louis in pessime condizioni; la lancio nel primo cestino che trovo.
Superiamo le porte automatiche dell'ospedale, sedendoci nel salottino d'attesa per aspettare qualcuno del personale che ci dica dove è possibile incontrare Robert.
L'ambiente è dominato dal colore bianco, l'unico odore percepibile è quello di detersivo e le uniche due sedie libere che abbiamo trovato sono dure come la pietra.
Sospiro, lanciando un veloce sguardo verso l'orologio analogico appeso alla parete.
Sono da poco passate le nove, e per il momento i corridoi sono affollati solo da pazienti o visitatori in attesa di sportelli per l' accettazione liberi.
Louis si guarda intorno, visibilmente più calmo rispetto a quando parlava con Harry; decido quindi di cogliere l'occasione al volo.
"Louis.. Posso chiederti a cosa si riferiva prima Harry? Sai che mi ha aggredito, e anche allora aveva usato la parola 'vampiro' e, voglio dire.. Ha qualche problema o qualcosa di simile?"
Posa lo guardo su di me, serrando le labbra in una linea retta.
Io non smetto di fissarlo, in attesa.
Si inumidisce la bocca con la lingua, passandosi una mano sul mento ispido di barba.
"Non so se.."
Gli stringo il braccio con le mani, ho un' espressione implorante.
"Ti prego, non trattenerti con me. Lo sai quello che è successo a mia madre, quello che Harry mi ha fatto. Sono stufa di non capire le cose, e sei l'unica persona al momento di cui mi possa fidare."
Si decide finalmente a voltarsi verso di me, incatenandomi al suolo col suo sguardo, ora sinceramente sorpreso.
"Ti fidi sul serio di me?"
Annuisco all'istante, senza alcun dubbio.
Mi è stato accanto quando ne avevo più bisogno e senza nemmeno conoscermi; è lì che mi ha pienamente convinta.
Vedo qualcosa di tremante nei suoi occhi, un'emozione molto forte: il timido sorriso che gli si dipinge in volto mi fa arrossire da quanto è sincero.
"Non ti meriti tutto quello che ti sta accadendo, e non dovresti fidarti così ciecamente di qualcuno come me"
Abbassa lo sguardo sulle sue mani, sospirando a lungo; proprio quando penso che non avrò più alcun tipo di chiarimento, avvicina la sua mano alla mia guancia e, fissandomi intensamente, in un modo che mi fa tremare e sciogliere come neve al sole, mi accarezza con due dita la pelle.
Il suo tocco è gentile e rilassante; chiudo gli occhi, abbandonandomi a quel gesto.
Quando li riapro però, accanto a me c'è solo una sedia vuota.
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