56. avventura
MAKT, ZEKA - 28 GIUGNO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE
Katrina ingoiò una pillola gelatinosa e semi-trasparente per calmare l'ansia. L'effetto non era immediato, ma era così assuefatta al loro uso che percepì subito un calore avvolgente diramarsi in tutto il corpo pochi istanti dopo; di certo una cosa mentale, visto che quell'effetto non era previsto stando al libretto del farmaco.
Un gruppo di cinque agenti apparve in fondo al corridoio. Katrina si affrettò a nascondersi dietro l'angolo, la schiena contro il muro e il cuore a mille. Indossavano abiti civili e qualcuno di loro portava un camice al di sopra. La giovane si concesse un sorrisetto a quella vista: aveva compreso in quegli ultimi giorni che il padre amava confondere, perché solo lui e MINSKY potevano decifrare il caos che loro stessi causavano... ma non erano più gli unici con quella particolare abilità.
Hackerare il sistema di sicurezza era stato facile. Assieme a MINSKY, aveva creato un programma che le permetteva di vedere le registrazioni delle telecamere in tempo reale direttamente nel suo ElectroSheep. Così facendo, era riuscita a osservare lo staff del laboratorio senza destare sospetti. Per facilitarsi il lavoro aveva persino scritto un codice di riconoscimento biometrico, aiutata ancora una volta dall'amico digitale, in modo da tracciare senza troppi sforzi i movimenti e le abitudini dei dipendenti. Da fuori apparivano casuali, ma lei riusciva a vedere uno schema ripetitivo nelle loro azioni, sia grazie all'abbigliamento sia alle mansioni. Era arrivata alla conclusione che c'era una specifica gerarchia di cui fino a quel momento era rimasta all'oscuro. Sembrava quasi un organo militare, perché ogni sottosezione pareva avere un capo che a sua volta si doveva riferire a un superiore e così via, fino ad arrivare ad Alexei in persona - o MINSKY, in sua assenza.
Chi poteva avere l'informazione che cercava era sicuramente alto in grado, ma era anche improbabile che uno di loro se la sarebbe lasciata scappare. Perciò, doveva usare uno stratagemma.
Rapida e silenziosa, digitò il numero che aveva sgraffignato dagli archivi informatici del personale sullo schermo del proprio holowatch, l'orologio digitale, avviando una telefonata. Un attimo dopo, il cellulare di uno degli uomini in corridoio squillò. Lui rispose immediatamente con tono serio e composto, riconoscendo il numero che era apparso sullo schermo. Ovviamente non era quello di Katrina, che si era premurata di nasconderlo per farlo apparire uguale a quello di un agente di grado superiore.
"Qui Lakatos."
"Dottor Lakatos, non ho ancora ricevuto il suo report sui risultati ricevuti dalla COLLINS," disse Katrina mormorando appena le parole contro il dispositivo. Il programma, che aveva creato apposta per quel giorno, agiva in background, trasformando la sua voce in quella dell'uomo che stava impersonando. Si trattava di un certo Limnij, parte dello staff che si occupava delle comunicazioni con gli scienziati sulla stazione.
Aveva indagato: Nikhil Lakatos sottometteva periodicamente una sorta di rapporto ai suoi superiori poco prima dell'incontro successivo con la squadra nello spazio. Doveva trattarsi di un tecnico, forse un ricercatore della stessa pasta di sua madre, visto che il suo compito pareva quello di verificare e controllare i dati risultanti dai suoi esperimenti. Purtroppo per Katrina, quei documenti non venivano inviati con regolarità e non c'erano accenni alle date dei meeting con i membri della COLLINS, rendendole difficile stimare quando sarebbe avvenuto il prossimo. L'ultimo documento firmato dal dottor Lakatos da lei trovato nei registri era datato quindici luglio: era ragionevole ipotizzare che l'uomo non si sarebbe aspettato di dover preparare quello nuovo così presto.
"Deve esserci un errore," replicò Nikhil accigliato. Si era fermato di colpo in mezzo al corridoio, accendendo l'interesse dei suoi colleghi che si erano voltati a guardarlo con aria interrogativa. "Le analisi di validazione non sono terminate. Credevo di avere ancora due settimane... è successo qualcosa?"
Katrina si morse il labbro inferiore. Sperava che Lakatos si sarebbe lasciato scappare una data, invece era rimasto vago. Ma non demorse, replicando subito: "Il prossimo aggiornamento con la stazione è stato spostato. Non ha ricevuto la comunicazione?"
Lakatos controllò rapidamente tra i messaggi nella sua casella di posta, scorrendo in fretta con l'indice sullo schermo di vetro, illuminato dalle immagini olografiche dell'interfaccia utente. Doveva essere uno degli ultimi modelli, notò Katrina spiando brevemente dal suo nascondiglio. Ricordò ciò che le aveva detto MINSKY qualche giorno prima circa la sua capacità di accedere a ogni dispositivo informatico zekiano connesso alla rete. Se fosse stato appena un po' più collaborativo, si sarebbe potuta risparmiare un sacco di scocciature.
"Non credo di averla ricevuta," ammise infine Lakatos rimettendosi di nuovo il cellulare contro l'orecchio. Dal tono di voce sembrava preoccupato.
"Strano. Comunque non importa, glielo sto dicendo ora. Voglio quel report entro domani."
"Non credo sia possib—"
"Non si preoccupi. Sanno che è un caso particolare, nessuno si aspetta che le analisi siano già pronte. Non lo sarebbero anche se avesse ricevuto la mail: il preavviso non è stato comunque sufficiente," lo interruppe lei cercando di calmarlo. "Metta assieme i risultati preliminari che ha ottenuto finora. Gli invieremo il report completo assieme al successivo durante il meeting di settembre."
Nikhil sospirò, sollevato. "Quando è previsto il prossimo, allora?"
Presa in contropiede, Katrina rispose di getto col primo numero che le venne in mente: "Il sei."
"Il sei!?" ripetè il dottor Lakatos, sorpreso. "Ma è una settimana prima del previsto! Cos'è successo per anticiparlo così tanto?"
La ragazza soppresse l'istinto di liberare un urletto di vittoria a quella notizia: significava che la riunione era fissata per il tredici di luglio. "Non l'hanno spiegato. O, almeno, questa informazione non è arrivata a me... lo scopriremo al meeting, immagino. Attendo il suo report," concluse con tono sbrigativo, quindi terminò la chiamata. Aveva finalmente ciò che cercava.
Il cuore le batteva così forte che se lo sentiva nelle orecchie, un martello pneumatico che minacciava di annebbiarle la vista. Era stata brava - o forse le pillole avevano funzionato alla grande - perché la sua voce non aveva tremato nemmeno una volta durante quella messa in scena. Sorda alle proteste di Nikhil e dei suoi colleghi, Katrina non si rese conto che gli agenti avevano ripreso a muoversi in corridoio a passo spedito finchè non fu troppo tardi per sgattaiolare via. Erano talmente vicini che l'avrebbero sicuramente vista o udita allontanarsi. Le rimaneva solo un'opzione prima di essere beccata con le mani nel sacco. Quella zona del laboratorio era off-limits per chi non ci lavorava, quindi incontrarla lì avrebbe senz'altro acceso qualche campanello d'allarme nella testa dei ricercatori.
Un attimo prima che raggiungessero l'angolino dietro al quale si era nascosta, Katrina attivò il suo potere. Il suo corpo si rimpicciolì di colpo raggiungendo l'altezza di una formica. Non lo usava mai e mai così all'improvviso: si sentì quasi mancare per quell'enorme dispendio di energia a cui non era abituata e non potè evitare di liberare un urletto di dolore. Cambiare dimensione era difficile e, soprattutto, faceva male. Le ossa si restringevano, i tessuti si contraevano alla velocità della luce e tutto il suo corpo le sembrava scricchiolare, minacciando di spaccarsi come vetro. Però non accadeva mai e ogni volta la ragazza tirava un sospiro di sollievo nel constatare che la terribile esperienza l'aveva lasciata viva, seppur affaticata. Si concesse un istante di calma per godersi la strana sensazione del mondo che si muoveva al rallentatore. Vide con i suoi minuscoli occhi le gambe dei ricercatori avanzare lentissime lungo il corridoio, le loro voci come tuoni incomprensibili e i loro passi terremoti sufficienti a farla sobbalzare. Si rese presto conto che avrebbe dovuto mantenere quella forma per un tempo sufficientemente lungo da garantirsi una via di fuga sicura. Non era certa che ce l'avrebbe fatta.
Attese ansimando a pieni polmoni, il panico un maremoto difficile da tenere a bada. Anche se con fatica, sciolse l'incantesimo di terrore che la incatenava immobile contro il muro e si mosse in direzione opposta, alla ricerca di un posto dove poter tornare grande senza rischiare di essere vista. Purtroppo, essere così piccola rispetto all'ambiente in cui si trovava significava anche che le distanze che prima avrebbe percorso in pochi minuti ora le avrebbero richiesto ore di cammino. Iniziò a correre, ma presto si ritrovò senza fiato. Quando si voltò dopo quelle che per lei parevano ore, realizzò di aver fatto a malapena un metro dalla sua posizione precedente.
Non ce la farò mai...!
Le scappò un mugolio di sconforto, inudibile alle orecchie dei giganti che le stavano così pericolosamente vicini. Arrancò ancora per un po' trascinandosi in avanti e lanciando qualche occhiata alle sue spalle per monitorare la situazione, valutando l'idea di ingrandirsi di qualche centimetro. Gli insetti non erano lenti, dopotutto: forse aveva esagerato a miniaturizzarsi così tanto. Facendo un enorme sforzo di concentrazione, la ragazza attinse di nuovo al suo potere per cambiare forma. Il rischio di sbagliare era concreto, anche perché era stanca e decisamente non allenata a quel genere di attività. Tuttavia ci riuscì e per poco non cadde in avanti a causa di un mancamento. Il suo stomaco borbottò furioso, segno che stava consumando un quantitativo enorme di energie grazie a quello stupido piano. Maledisse la sua ingenuità: aveva pensato che intrufolarsi nel laboratorio e strappare le informazioni che le servivano alle sue vittime con l'arguzia sarebbe stato più facile. Forse, aveva finito per sottovalutare il pericolo che comportava metterlo in atto così da vicino, però non potè evitare di sentirsi orgogliosa per averlo fatto comunque: la vecchia se stessa non avrebbe osato mettersi contro il padre, o forse se ne sarebbe stata tranquilla in camera sua a fare quella telefonata. Quella nuova, invece, si era ispirata all'irruenza di Dietrich, il fratello che più di tutti incarnava lo spirito ribelle della famiglia.
Grazie alla sua rinnovata altezza che la rendeva simile a una specie di blatta, Katrina riprese a correre verso l'uscita dell'area off-limits. Il laboratorio era un labirinto non dissimile da quelli a cui era abituata in WireNet, un dedalo di corridoi bianchi e porte scorrevoli dalle serrature elettroniche. Oltre quella che le stava di fronte c'era la sua casa, fatta di un pugno di stanze adibite a camere da letto e una sala comune tipicamente vuota. Non c'era una cucina, perché tutti i membri della famiglia Melnyk mangiavano alla mensa comune dei dipendenti, fatta eccezione per Alexei che di solito consumava i suoi pasti in ufficio. Solo di recente Katrina aveva realizzato quanto tutto ciò fosse strano. L'aveva sempre considerata la normalità non vivere all'esterno, addirittura una forma di protezione dai pericoli della superficie. Ora, era convinta che lei e i suoi fratelli erano stati rinchiusi lì sotto, forse con uno scopo ben preciso. Come delle cavie.
Non era nemmeno arrivata a metà strada che finalmente i ricercatori da cui stava scappando sparirono alla vista. Con enorme sollievo si permise di tornare alla sua altezza originale, premurandosi di tapparsi la bocca con entrambe le mani per evitare di lasciarsi sfuggire qualche mugolio involontario che avrebbe rivelato la sua presenza lì. Se rimpicciolirsi era doloroso, ingrandirsi era anche peggio: le giunture tornarono a posto con uno schiocco, il sangue prese a scorrerle nelle vene con irruenza tale da farle avere un capogiro e le salì una fortissima nausea, che la costrinse a tapparsi il naso e gettare la testa all'indietro per contenere l'istinto di vomitare. Ecco perché non usava mai i suoi poteri, sebbene Monika le avesse detto più volte che allenarsi le avrebbe permesso di contenere gli effetti secondari. Forse era stata pigrizia o magari il dolore l'aveva traumatizzata così tanto da bloccarla; fatto stava che Katrina si era opposta sin da piccola all'idea di addestrarsi e quello era il risultato.
Quando si sentì meglio, la ragazza si spostò cercando di non fare rumore e raggiunse la porta scorrevole, quindi mostrò il suo holowatch alla serratura elettronica, che si sbloccò senza emettere suono. Quello era l'ultimo favore che le aveva fatto MINSKY: permetterle l'accesso al laboratorio per ventiquattro ore, dirottando l'attenzione del sistema di sicurezza in modo da non inquadrarla mai. Finalmente al sicuro, Katrina scattò con rinnovata energia verso la sua camera e si lanciò sul letto, stremata. Udì il ronzio di una telecamera appena fuori dalla porta e capì che si trattava di MINSKY: l'AI l'aveva sicuramente osservata per tutta la durata di quell'assurda missione, ma non aveva occhi dentro le stanze private.
L'orologio di Katrina si illuminò, segno che le era appena arrivato un messaggio. Sapeva che si trattava di MINSKY anche senza leggere il mittente. Aveva disabilitato l'audio del dispositivo per evitare brutte sorprese durante la sua piccola scampagnata, cosa che impediva all'AI di comunicare con lei se non tramite chat. Lui trovava la cosa estremamente frustrante, ma c'era poco da fare.
Il messaggio recitava: "Tutto bene?"
Con l'ultimo briciolo di coscienza prima di addormentarsi, Katrina sorrise e digitò una breve risposta per tranquillizzarlo.
"Missione compiuta. Ti racconto più tardi."
Cliccò invio, settò la sveglia e finalmente chiuse gli occhi, scivolando in un dolce sonno ristoratore, il cervello stanco e al contempo in subbuglio. C'era ancora molto da fare per preparare i prossimi passi del loro piano.
Erano solo all'inizio.
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