47. sospetto
ELU, KUTSAL - 28 MAGGIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE
Non appena chiuse la chiamata, Roiben sbuffò. Non riusciva davvero a comprendere come facesse Thomas a rimanere così tranquillo: la scelta di tornare in superficie in prossimità di Tirvaj, in territorio siyahno, per lui era inutilmente pericolosa. Se avesse avuto un minimo di potere su quella decisione, avrebbe insistito per puntare su Nìgea. Tuttavia, anche ipotizzando che Alexei Melnyk l'avrebbe ascoltato, non era in condizione di trattare nulla con lui. L'unico che poteva imporsi era Valentine, ma Roiben sapeva che non l'avrebbe mai fatto: il Wali dell'Organizzazione era diventato quasi uno zerbino a uso e consumo del governatore zekiano e questo per lui era diventato insopportabile.
Forse il suo problema era l'orgoglio: ne aveva decisamente troppo. Ci teneva al buon nome dell'Organizzazione e vederla rovinarsi così a causa di scelte a dir poco stupide lo irritava. Avrebbe potuto andarsene; Thomas gliel'aveva già suggerito e non poteva negare che il desiderio di allontanarsi da quella che ormai non vedeva più come la sua casa si era fatto strada dentro di lui al punto da tentarlo. Però, sentiva una certa responsabilità nei confronti dei suoi sottoposti della Divisione Supporto: non poteva voltar loro le spalle, a maggior ragione adesso che si avvicinavano tempi duri.
A quel pensiero, Roiben si alzò di scatto e uscì a passo veloce dal suo ufficio, fermandosi a malapena per chiudere a chiave la porta. Se non poteva andarsene, l'unica cosa che poteva tentare di fare era convincere l'unico uomo le cui decisioni avevano un peso lì dentro: Valentine.
Stava per raggiungere il corridoio più in alto del palazzo, dove si trovava l'ufficio del Wali, quando notò il baluginare di una tunica nera svoltare l'angolo in lontananza. La cosa lo insospettì parecchio: solo quelli della Divisione Amministrativa vestivano quel colore, ma di rado li si vedeva ai piani alti del palazzo. Nemmeno quando era diventato capo della Divisione Supporto aveva compreso appieno il ruolo dei membri della Amministrativa: sulla carta si occupavano della burocrazia dell'Organizazzione proprio come se fosse un'azienda qualsiasi, ma nella pratica avevano poco a che fare con chiunque altro non fosse della loro Divisione, a eccezione di Valentine. Forse si trovavano lì perché dovevano parlare con lui?
Curioso, Roiben prese d'impulso la decisione di spiare l'uomo che aveva intravisto per cercare di capirci di più. A passo felpato gli venne dietro, realizzando che si stava effettivamente dirigendo nell'ufficio di Valentine. Quando lo vide bussare ed entrare, il covino si avvicinò di soppiatto e posò l'orecchio alla porta.
"Wali, è ora di pensare al successore."
Roiben sussultò.
"No. Ho ancora dieci... forse anche vent'anni prima che arrivi il momento."
L'uomo sospirò e con voce stanca disse: "Lo sai anche tu che il tuo potere sta cambiando. Ora avviene prima."
Potere? Ma Valentine è un Taumaturgo...
"Ti dico che non è il momento, Jakob!" sbottò Valentine con rabbia a malapena contenuta. Roiben annotò mentalmente il nome dell'uomo della Divisione Amministrativa e si disse di indagare su di lui, per capire almeno che ruolo avesse al suo interno. Pareva in rapporti intimi con Valentine, quasi come lui che ne era l'alikar: doveva significare qualcosa di importante.
"Sarà troppo tardi se non ti muoverai ora. Lo sai che per trovare una candidata ci vuole del tempo e non è detto che genererà un figlio degno del tuo nome."
Le parole lente e manipolatrici di Jakob si insinuarono nel cervello di Roiben, nauseandolo. Per lui era come se stesse parlando una lingua aliena. Da che ne sapeva, la posizione di Wali non era passata per linea di sangue, bensì veniva scelto un successore tra i responsabili delle Divisioni una volta che l'attuale capo dell'Organizzazione si fosse fatto vecchio abbastanza. Era un ruolo a cui si poteva accedere per merito e Roiben era convinto che col suo lavoro se lo sarebbe senza dubbio guadagnato, sebbene avesse ben due concorrenti: Reina, responsabile della Divisione Medica, e il misterioso responsabile della Divisione Amministrativa che nessuno aveva mai visto in faccia.
Forse è lui? pensò preoccupato digrignando i denti. Bastardo... sarà qui per assicurarsi che il ruolo di Wali passi a lui, scommetto.
Tutti i suoi piani per prendere il potere con la forza si sgretolarono davanti ai suoi occhi. Quel Jakob pareva sapere il fatto suo e dalla voce ipotizzava avesse almeno una decina d'anni più di lui: senza dubbio aveva maggiore esperienza, quindi più chance di essere scelto.
Però, se è qui per questo... perché stanno parlando di un ipotetico figlio di Valentine? Vogliono metterlo a capo dell'Organizzazione?
"Ci sono già delle candidate," sbottò Valentine a voce così bassa da risultare poco udibile. Roiben dovette premersi ancora di più contro la porta per assicurarsi di non perdersi nemmeno una parola, colto di sorpresa. "Nel laboratorio. Selezionate anni fa. Useremo loro."
"Lo abbiamo già fatto. Non ricordi? Per gli ultimi arrivati."
Ci fu una pausa e una specie di sospiro, a cui seguì il suono di qualcosa che cadeva e il frusciare di documenti e vesti. Roiben ipotizzò che Valentine o Jakob si fossero seduti e si fece più attento.
"Non... quando è stato?"
"Più di vent'anni fa, ormai."
"Ah... non lo ricordavo," mormorò con una punta di disagio che a Roiben non sfuggì. Non era solo una sua impressione, allora: Valentine stava davvero perdendo colpi. Lo udì schiarirsi la voce con un colpo di tosse e continuare: "Diana?"
"E Thomas."
Ancora una volta, Roiben sgranò gli occhi e per poco non gli scappò un grido, il battito a mille. Diana e Thomas sono figli di Valentine? Vogliono mettere loro a capo dell'Organizzazione!?
"Allora è stato un successo. Sono venuti perfetti, non trovi? I nostri Assi migliori."
"Sono d'accordo, ma sai che non possiamo continuare a usare le stesse cavie per più di un Harvel. E siamo a corto di agenti, lo sai anche tu. Dobbiamo assicurarci di averne abbastanza, per il futuro dell'Organizzazione. Non sappiamo quanti ce ne porterà via questa guerra."
"Ho ancora almeno dieci anni," si impose Valentine. "Potete iniziare a cercare nuove candidate, se proprio insisti, Jakob. Questo te lo concedo."
"E se le trovassimo?" lo incalzò l'uomo. Roiben poteva quasi percepire il sorriso furbo dietro alle sue parole di miele. "Se te le portassimo già domani... creeresti dei nuovi Harvel, allora?"
"Ho ancora almeno dieci anni!" ripetè Valentine.
"Il tempo scorre più in fretta di quanto ricordi, Wali. Dieci anni erano il ciclo scorso... quello prima dodici, quello prima ancora poco più di quindici. Ora quanti saranno? Nove? Otto?"
"Anche se fosse, non è istantaneo. Non diventerei un infante nel giro di un mese, sai anche tu che è un processo lento."
"Lo è, ma dobbiamo prepararci con molto più anticipo di quello che credi. Dobbiamo coprire la tua sparizione e decretare un nuovo Wali. Dobbiamo addestrarlo con calma, spiegargli come funziona davvero l'Organizzazione. Spiegargli il suo ruolo. Non può accadere all'improvviso. Non durante una guerra."
Valentine sospirò ancora una volta e Roiben capì che era stato messo spalle al muro. Avrebbe ceduto alle richieste di Jakob, ne era certo. Ma questo cosa significava, per lui? Era chiaro che avrebbero presto dovuto scegliere un nuovo Wali, il che rendeva vano il suo piano di acquisire il titolo con la forza. Si sentì uno sciocco ad aver cospirato senza avere sotto mano il quadro generale delle cose: l'Organizzazione che conosceva lui era ben diversa da quella oscura di cui stavano discutendo ora i due uomini nella stanza.
Udì il frusciare della veste di Jakob avvicinarsi alla porta e si affrettò ad allontanarsi, preoccupato che un momento di più speso a origliare gli sarebbe costato caro. Era evidente che quel tipo era pericoloso. C'erano molti più segreti da scoprire di quanto immaginasse e la Divisione Amministrativa pareva custodirli tutti.
Roiben si affrettò a svanire tra i corridoi senza fare rumore, attento a non farsi vedere da nessuno, in particolare dai colleghi con la veste nera. Aveva il cuore nelle orecchie e il sudore gelido che gli imperlava fronte e mani lo faceva apparire ancora più malaticcio del normale. Ogni suo respiro gli pareva un grido, i passi come rintocchi assordanti nel silenzio degli androni vuoti. Probabilmente era la sua immaginazione, tuttavia si sentiva comunque come una preda in fuga da un cacciatore spietato. Continuava a voltarsi per accertarsi di non essere inseguito, aspettandosi di incrociare lo sguardo di Jakob da un momento all'altro. Quando andò a sbattere con forza contro qualcosa di duro e morbido assieme, per poco non cadde all'indietro.
"Ahi!" strepitò Reina massaggiandosi la fronte arrossata dall'impatto. Le era finito letteralmente addosso nel voltare l'angolo, la testa di lei contro la sua clavicola appuntita. Il suo fisico emaciato era stato più letale di quanto immaginasse.
"Sc-scusami, Reina, non volevo!"
"Non ti ho mai visto così... agitato. Stai bene?" Per la responsabile della Divisione Medica quel comportamento era talmente assurdo da farle immediatamente pensare a una malattia, perciò, invece di sgridarlo, la ragazza pensò bene di posargli una mano sulla fronte per verificare che non stesse male. "Oh, non hai la febbre. Che strano..."
Forse in un altro momento avrebbe speso qualche minuto in più a chiacchierare con l'amica, ma la fretta e la paura gli imponevano di dileguarsi al più presto. Lanciò ancora una volta uno sguardo alle sue spalle, quindi le afferrò la mano e le intimò in un sussurro concitato: "Shh, zitta e seguimi."
"Ehi, piano!"
Roiben si tirò dietro Reina con poca delicatezza fino a rinchiudersi nel proprio ufficio, distante solo qualche svolta da dove si trovavano. Si era fatto cinque piani di corsa per raggiungerlo e nemmeno se ne era reso conto, grazie all'adrenalina che ancora gli pompava in corpo. Lei protestò un paio di volte all'inizio, intimandogli di rallentare o quantomeno di non strattonarla troppo, ma vedendo il suo stato decise di assecondarlo. Quando furono dentro, Roiben finalmente la lasciò andare e raggiunse la piccola finestra posta sul fondo di quello che pareva quasi uno sgabuzzino disordinato invece di un ufficio. Si cacciò le mani tremanti nei capelli, poi le lasciò correre sul viso e scosse la testa più volte, come per allontanare un pensiero o un brutto incubo.
"A-adesso mi fai davvero preoccupare, Ben," disse timidamente Reina avvicinandosi a lui. "Che è successo? Sei stravolto... puoi dirmi tutto, lo sai."
Lui si voltò con il busto verso l'amica e una lingua di luce gli illuminò il volto pallido, esaltandone gli spigoli. Sembrava un fantasma, la cui espressione agitata non faceva presagire nulla di buono: Roiben Harvel era sempre tranquillo, una presenza sicura come un faro, un capo solido a cui fare riferimento anche nelle situazioni peggiori. Vederlo così fuori di sé era talmente assurdo da non sembrare vero.
"Ho... ho scoperto qualcosa di grosso, Reina," farfugliò. "Un... un segreto relativo ai poteri di Valentine e... e qualcosa circa dei suoi possibili fi—"
Reina si premette le mani sulle orecchie e scosse forte la testa. "Non dire una parola di più, ti prego!"
Lentamente, Roiben richiuse la bocca e inclinò il capo di lato, rivolgendole un'occhiata interrogativa.
"Non voglio far parte dei tuoi schemi," spiegò lei, "cospirare e spiare è un gioco in cui non sono brava. Ti prego... se intendi rivelarmi qualche oscuro segreto su Valentine, non farlo. Non voglio sapere."
Roiben drizzò la schiena e la sua espressione divenne dura, quasi un rimprovero, che costrinse Reina a stringersi nelle spalle per proteggersi dal suo giudizio. "Nemmeno se si trattasse di qualcosa che cambierebbe del tutto il significato del nostro lavoro— no, dell'Organizzazione intera?"
La Taumaturga annuì. "Preferisco credere nel buono delle persone. Quello che faccio qui è salvare vite e... voglio continuare a pensare che sia per il meglio. Dubitare del prossimo è il tuo lavoro, dopotutto, non il mio."
Il giovane alikar schioccò la lingua, deluso. "Sei troppo ingenua, Reina, troppo idealista. Per questo sono diventato io il braccio destro di Valentine e non tu."
Se quella doveva essere una frecciatina, la bionda non la colse. Al contrario, sorrise con dolcezza e portò le mani dietro la schiena con fare allegro. "Sono contenta che sia andata così. Non ho mai voluto quel ruolo, lo sai... e tu lo svolgi magnificamente. Saresti un bravo capo per l'Organizzazione."
A quel commento, Roiben si lasciò scappare uno sbuffo divertito. Ironico che lei parlasse proprio della successione, ignara di ciò che lui aveva appena udito.
"Sai che volevo diventarlo con la forza?" annunciò tornando a darle le spalle, lo sguardo fisso in un punto indefinito del panorama fuori dalla finestra.
Reina sgranò gli occhi e la sua espressione innocente si ruppe come vetro. "Come, scusa?"
"Valentine sta perdendo colpi. Ci ha trascinati in una guerra che nessuno di noi voleva, costringendoci a lavorare come i lacché di Melnyk per anni e tagliare i ponti con tutti gli altri potenziali clienti."
"So che sei arrabbiato perché abbiamo ottenuto meno profitti, ma—"
"Non è una questione di soldi, Reina," sibilò Roiben scoccandole un'occhiataccia, "ma di vite. Le file della Divisione Supporto non hanno fatto che ridursi in tutto questo tempo, ogni agente impegnato in missioni senza senso solo per compiacere quel maledetto zekiano. E non fare finta di niente: so benissimo che anche i tuoi Taumaturghi sono stati spediti nelle zone più remote di Zeka senza reale necessità. Melnyk ci sta decimando e Valentine glielo permette col sorriso sulle labbra!"
Reina abbassò lo sguardo, colpita sul vivo. Roiben aveva ragione: non era solo la sua Divisione a soffrire la collaborazione con Zeka. Anche la Divisione Medica era stata pian piano smembrata e lei era stata costretta a impegnare i suoi uomini in operazioni di salvataggio, cura e assistenza richieste proprio dal governatore zekiano. Ma i rapporti che aveva ricevuto parlavano chiaro: quelle che sulla carta erano missioni perfettamente in linea con gli obiettivi della sua Divisione, nella pratica si erano rivelate solo un modo per fargli perdere tempo. E ogni medico che lei perdeva era uno in meno da impegnare nella cura dei bisognosi veri, quelli che bussavano alle porte dell'Organizzazione perché affetti da gravi malattie.
"Ok, forse hai ragione. Ma spodestarlo con la forza, Ben... non è un po' troppo? Lui ti adora, lo sanno tutti! Ti avrebbe ascoltato, se gli avessi parlato con sincerità delle tue preoccupazioni..."
Roiben scosse la testa. "Ci ho già provato. Tante, tante volte, Reina... non mi ha mai dato retta. È inutile, sembra sordo a qualsiasi richiesta di interrompere i nostri rapporti con Zeka. È completamente assoggettato a Melnyk."
"Possiamo provarci assieme," propose lei facendoglisi vicina. Gli sfiorò un braccio per convincerlo a girarsi, ma lui la scosse per allontanarla, il viso voltato dalla parte opposta.
"In ogni caso è inutile, ora pare abbia un nuovo favorito. Un tizio della Divisione Amministrativa."
"Della Amministrativa?" rifletté lei picchiettandosi l'indice sulle labbra. "Quelli con le vesti nere?"
"Già," disse lui tornando a guardarla. Forse Reina, grazie alla sua fama e al suo lavoro come Taumaturga di punta, lo conosceva. Anche una voce di corridoio gli sarebbe stata sufficiente per capire meglio chi era l'uomo misterioso. "Si chiama Jakob, per caso ne hai mai sentito parlare?"
"Mmh. Mi suona familiare, ma non riesco a ricordare se l'ho mai incontrato... posso chiedere in giro, però."
"Mi sarebbe di grande aiuto. Ha un rapporto strano con Valentine, voglio vederci chiaro."
"Strano? Che intendi?"
Lui l'ammonì con lo sguardo, come per chiederle se volesse davvero saperlo, e si girò con tutto il corpo in modo da starle di fronte, la sua completa attenzione rivolta verso di lei. "Si comportava come se fossero intimi, più di quanto lo siamo io e Valentine in quanto Wali e alikar. Questo Jakob... gli parlava come un suo pari."
"Pensi che potrebbe aspirare al ruolo di Wali? Per questo vuoi saperne di più su di lui?"
"Possibile," ammise cauto piegando la testa di lato. "Anche se mi preoccupa di più ciò che si sono detti lui e Valentine. So che non vuoi saperlo, Reina, ma... credo che dovremmo indagare."
"Oh, finiscila. Magari hai frainteso qualcosa! Sei sempre così sospettoso degli altri..."
"Deformazione professionale," convenne il corvino, "stavolta, però, ti assicuro che le mie sono preoccupazioni fondate. Questo Jakob sembrava a conoscenza di caratteristiche speciali del potere di Valentine, dicevano... che avrebbe dovuto creare altri Harvel presto, per assicurarsi un successore."
Reina schioccò la lingua, infastidita. "Che assurdità. Valentine è un Taumaturgo. L'ho visto usare i suoi poteri io stessa più volte."
"Lo so. Per questo voglio capirci di più."
Le diede le spalle e fece per muoversi verso l'uscita, aggiungendo: "Tu, se vuoi, resta qui. Senza fare niente, come al solito."
"Ehi!" si alterò lei, raggiungendolo a grandi passi e impedendogli di uscire. "Che vorresti dire!?"
"Solo quello che ho detto: la verità. Non puoi certo rischiare di finire invischiata in qualcosa che possa danneggiare anche solo per sbaglio i nostri preziosi colleghi, non è vero? L'hai detto tu stessa che vuoi credere nel buono delle persone."
Reina alzò un braccio per tirargli uno schiaffo, ferita, ma Roiben glielo bloccò e la obbligò ad abbassarlo. L'espressione dipinta sul suo volto vampiresco faceva paura, a maggior ragione ora che il sole stava calando e la luce che filtrava dalla piccola finestra si era tinta di rosso e arancione. I due erano quasi opposti, sia nei colori che li caratterizzavano — lei chiara, lui scuro — sia nelle abilità aliene per le quali si erano fatti strada nell'Organizzazione. Eppure, anche se tutti non facevano altro che evidenziare queste loro differenze e contrapporli l'uno all'altra come fossero rivali, erano sempre stati amici affiatati sin da quando si erano conosciuti. Ora, per la prima volta Reina si rese conto di temerlo. Che le voci avessero ragione?
"Non puoi sempre chiudere gli occhi davanti alle cose brutte, Reina," le sibilò. "Non siamo più ragazzini."
La Taumaturga provò a divincolarsi e a quel punto Roiben lasciò la presa, rischiando di farla andare a sbattere contro la scrivania alle sue spalle a causa dell'impeto della lotta. Arruffata e ansimante, Reina indietreggiò e lo guardò storto. Sembrava un pulcino spaventato di fronte al lupo cattivo.
"Forse hai ragione, ma non voglio diventare come te, che non ti fidi di nessuno e sei sempre pronto a pugnalare chiunque ti si pari davanti, come quando hai preso il posto di capo Divisione!" sputò stizzita.
Le sopracciglia di Roiben schizzarono verso l'alto. "Oho... Belle parole, Reina! E sentiamo, come fai a sapere che l'ho preso con la forza?" la incalzò. "Dici di non voler vedere i lati negativi dell'Organizzazione, eppure sembri bene informata sui pettegolezzi che girano..."
Reina arrossì e distolse lo sguardo. "I-io... ne ho solo sentito qualcuno tra i membri della mia Divisione."
"E non hai voluto verificare che fossero veri?" Roiben sorrise, crudele e spietato. "Ci hai creduto subito, non è così? Come tutti... Voi della Divisione Medica pensate di essere i migliori qui dentro, di lavorare per un bene superiore, e chiudete gli occhi—"
"Non è vero!" protestò la bionda. Gli si lanciò contro e lo tempestò di pugnetti leggeri sul petto, niente più di una distrazione, un capriccio di una bambina per uno temprato dall'omicidio come Roiben. "So benissimo cosa fa la Divisione Supporto, a che tipo di missioni vi dedicate. Non prendermi per sciocca!"
"Questo dimostra solo quanto tu e i tuoi amichetti siate ipocriti!" ribattè lui ridendo con cattiveria e lasciandola fare. "Siete consapevoli che l'Organizzazione è stata fondata sui crediti e che è solo grazie a essi se ognuno di noi ha un nome e una casa. Nessuno fa niente per niente in questo mondo e chi paga di più è chi ha più cose da nascondere: questo è un fatto che farese meglio ad accettare al più presto. Eppure ci guardate dall'alto in basso lo stesso, anche se a conti fatti vi sta bene che per potervi garantire di svolgere il vostro lavoro siamo noi a sporcarci le mani!"
Le spinte di Reina costrinsero Roiben contro la parete. Non le aveva opposto resistenza: vederla fuori di sé era uno spettacolo talmente raro che aveva subito pensato di approfittarne per tirarsi fuori qualche sassolino dalle scarpe.
"Sarà pure come dici, ma le cose possono cambiare! Non devi essere per forza un criminale, una persona cattiva e spietata che non si pone alcun problema a usare la forza anche contro i propri compagni!"
"È questo che dicono di me?" ridacchiò. "Ora capisco perché tutti mi evitano..."
"Io ti conosco da prima... da prima che ci separassimo, da prima che diventassimo responsabili di una Divisione," ansimò lei tenendolo fermo contro il muro con le mani, come se potesse davvero imprigionarlo. La sua espressione era severa, l'aria di una mamma che rimprovera il figlio durante un litigio. Era sempre stata un pò una maestrina, sin da giovani: che si comportasse in quel modo con lui, amico di lunga data, non era sconvolgente, ma che si infervorasse così tanto era una novità. "Sei sempre stato un ragazzo cauto, attento, uno stratega. Forse eri una lama affilata già allora, chissà... in fondo, non so nulla del tuo passato, dei motivi che ti hanno condotto all'Organizzazione. E so anche che non me li diresti: sei uno che tiene ai propri segreti."
Roiben serrò la mascella, punto sul vivo, e rimase zitto. Gli occhi celesti di Reina erano velati di lacrime, il viso arrossato per lo sforzo così vicino al proprio da poterla quasi toccare con la fronte se si fosse abbassato abbastanza.
"Saresti un ottimo capo," continuò lei scandendo lentamente le parole. "Ma non sono disposta a seguire una persona meschina. Se fare il mercenario per tutti questi anni ti ha reso così, allora sta a me cercare di farti cambiare direzione."
"Sei ridicola," sbottò il giovane bloccandole le mani con le proprie e allontanandola. "Ti nascondi dietro a questi grandi ideali, soddisfatta della tua apparente virtù da santarellina, ma alla fine siamo uguali, sai? Entrambi vogliamo cambiare l'Organizzazione dall'interno per renderla un posto migliore."
"Con l'omicidio?" sibilò lei. "Con i tuoi segreti, le tue indagini, i tuoi sospetti? Tu vuoi solo mettere tutti l'uno contro l'altro, ammettilo! Ti diverte tirare le fila del gioco, ti ha sempre divertito, ma non posso lasciartelo fare a queste condizioni!"
Roiben rise di gusto e la prese per le spalle, scuotendola con aria allegra invece di arrabbiata. "Perfetto! Preferisco avere una rivale che mi mette i bastoni tra le ruote a una che si gira dall'altra parte. Ostacolami quanto ti pare, Reina: almeno prenderai una posizione, per una volta!"
"T-tu... non è vero!" protestò ancora una volta lei, rossa in viso.
"Sì, invece. Non vuoi sapere, non vuoi vedere... e alla fine ti va bene tutto proprio perché non dici nulla. Litighiamo, allora: questo è quello che fanno le persone che vogliono davvero cambiare le cose! Dimostrami che ho torto con i fatti, non con le ramanzine fini a se stesse!"
Reina tacque e fece un passo indietro, offesa. Le parole di Roiben bruciavano dove faceva più male e per la prima volta si chiese se l'amico avesse ragione. Era davvero quel tipo di persona, lei? Convinta di non immischiarsi per correttezza, aveva spesso chiuso occhi e orecchie davanti a tante, troppe cose storte. Se avesse parlato, se si fosse imposta come stava facendo ora con lui, avrebbe potuto raddrizzarle? Avrebbe potuto spingere l'Organizzazione che tanto amava verso un cambiamento più virtuoso, come desiderava da tempo?
I due si ritrovarono l'uno di fronte all'altra, ansimanti e con le vesti spiegazzate, ostinati a non darla vinta all'altro. Luce e ombra, due facce della stessa medaglia: li avevano spesso soprannominati in quel modo, ma solo ora Reina comprendeva quanto quella rappresentazione romanzata rispecchiasse la realtà. Roiben aveva assunto il suo ruolo alla perfezione, stava a lei adesso adempiere al proprio.
"D'accordo, allora. Ti dimostrerò che ho ragione io," disse infine raddrizzando la schiena e protendendosi verso la maniglia della porta.
"Ehi, dove credi di andare?"
"A indagare su questa faccenda di Valentine," disse lanciandogli un'occhiata determinata. "Non era quello che volevi sin dall'inizio?"
Roiben la affiancò, l'espressione ammorbidita che tradiva una punta di senso di colpa. "Sciocca... Io volevo che mi ascoltassi, non costringerti a infilarti in questa storia con la forza."
"Troppo tardi, Ben. Siamo complici, ormai."
Lui sbuffò, curvando le labbra in un mezzo sorriso. "Lo siamo sempre stati."
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