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46. tunnel

MONTI RIGEL - 28 MAGGIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Stavano camminando da un paio d'ore e tutto filava liscio. Lo zekiano in testa al gruppo, proprio accanto a Thomas Harvel, guidava la spedizione attraverso l'intrico di cunicoli nel cuore della montagna. Istrice - così si faceva chiamare l'agente secondo in comando - era in contatto diretto col governatore Melnyk sin dall'inizio della missione e Thomas era stato ben contento di lasciare a lui il compito di decidere il percorso: lì sotto era come se avesse perso la bussola e non voleva rischiare di mettere in pericolo i suoi uomini a causa di scelte poco azzeccate.

Alexei aveva ben istruito i suoi militari: Istrice sapeva sempre dove girare, se scendere o salire, se approcciare un certo tunnel o meno. Thomas supponeva fosse grazie all'intelligenza artificiale che abitava i caschi di tutti: MINSKY era onnipresente, sempre pronto a rispondere alle loro domande e a fornire utili informazioni quando necessario. Alexei era stato magnanimo a equipaggiare anche il gruppo di mercenari kutsalesi con le stesse tute marrone scuro, anche se Thomas era sicuro che nei loro caschi l'AI fosse in attesa di ascoltare conversazioni private.

A differenza degli uomini dell'Organizzazione, quelli inviati direttamente da Zeka avevano una sorta di bracciale a metà avambraccio sinistro indossato a contatto con la pelle, sotto la tuta. Si poteva scorgere il lieve rigonfiamento con un po' di attenzione, unico modo per distinguere i due gruppi: sebbene fossero sotto terra da settimane, anche lì portavano sempre i caschi integrali dotati di avanzati sistemi di filtraggio, costretti a comunicare tramite interfono. Melnyk aveva insistito particolarmente sulla questione: a detta sua, l'aria non era respirabile nemmeno nel cuore della montagna. A giudicare da come aveva evitato di fornire ulteriori dettagli, Thomas immaginava che il motivo non fosse l'inquinamento atmosferico che causava la Sindrome. Anzi, lui era convinto che l'insistenza del governatore era legata al suo bisogno di monitorare da molto vicino la missione, registrando ogni parola.

Zeka e l'Organizzazione Harvel erano alleati dall'inizio del conflitto, ma era evidente che nei confronti dei kutsalesi che indossavano la 'H' cremisi come lui c'era ancora parecchia diffidenza. Non li biasimava: essere un mercenario significava vendere i propri servigi al miglior offerente e su questo principio l'Organizzazione aveva fondato la sua ricchezza, facendo di conseguenza prosperare la regione. Non erano legati da un vincolo di fiducia alla causa di Zeka, tantomeno ad Alexei, e questo probabilmente il governatore lo sapeva benissimo, motivo per cui si era attrezzato con tutta una serie di sistemi di sicurezza per evitare tradimenti inaspettati. Non poteva sapere che Valentine Harvel, l'attuale capo dell'Organizzazione, aveva intimato a tutti i suoi mercenari di non cambiare bandiera senza prima consultarlo. Doveva esserci qualcosa di grosso dietro: il Wali di Kutsal non si sarebbe mai piegato così docilmente a uno straniero senza motivo.

Erano settimane che vivevano nei cunicoli nelle viscere della catena montuosa dei Rigel, che correva lungo il confine tra Nìgea ed Helias. Era strategica per diversi motivi, soprattutto durante la guerra: assieme alle alture Jikka creava una strettoia al confine est di Helias, rendendo angusto e pericoloso l'ingresso a Zeka. Il fronte era fermo in quel punto praticamente da sempre, con piccoli avanzamenti e ritirate da parte di entrambi gli eserciti. Melnyk sembrava soddisfatto di quella condizione di stallo e, anzi, pareva deciso a mantenerla ancora a lungo. I mercenari kutsalesi erano stati impiegati pochissimo dal governatore e mai al fronte, dove andavano perlopiù macchine autonome e qualche soldato bardato in tute all'avanguardia. Thomas non lo comprendeva: gli Harvel che Alexei aveva costretto ad allearsi a lui lavoravano alle sue dipendenze per svolgere compiti strani, come quello che l'aveva visto impegnato a proteggere il più giovane dei Melnyk, ma non per sbaragliare l'esercito nemico. Mettendo assieme quel dettaglio e considerando che da anni la linea del fronte non si muoveva di un millimetro, era evidente che Alexei avesse altri piani per vincere la guerra. Avrebbe potuto distruggere l'Alleanza in qualsiasi momento, le sue macchine ne erano la prova, eppure si ostinava a orchestrare strategie complicatissime in un gioco che solo lui sapeva giocare.

Thomas sospirò e si sforzò di rilassare la mascella: quei pensieri negativi lo avevano teso, peggiorando il suo già nero umore. Si concentrò sul panorama, che purtroppo non era particolarmente eccitante o stimolante. La cosa a molti aveva iniziato a causare qualche problema di stress: roccia e terra di varie gradazioni di grigio e marrone a ogni passo, leggera umidità nei cunicoli più profondi e solo di rado qualche sprazzo di colore dovuto ad agglomerati cristallini. Quelli li vedevano solo da lontano, perché il loro percorso tendeva sempre a deviare dagli anfratti dove quei gioielli nepheriani brulicavano di più. Non erano preziosi né tantomeno si trattava di giacimenti di Exo, come gli agenti zekiani avevano più volte sottolineato, bensì semplici pietre, interessanti dal punto di vista geologico perché permettevano di capire meglio il loro pianeta.

I sogni di Thomas ormai erano tutti color terriccio, tanto che aveva inziato a domandarsi se non stesse impazzendo. La fatica di vivere lì sotto si faceva sentire anche per i kutsalesi, dopotutto, nonostante fossero nettamente meglio addestrati rispetto ai colleghi zekiani. Era evidente che loro fossero perlopiù scienziati a cui era stata messa un'arma in mano, il che spiegava anche perché i loro movimenti parevano spesso impacciati. Solo Istrice e un altro agente sembravano a loro agio, segno che forse appartenevano a un organo militare.

Gli occhi si erano abituati alla costante oscurità rischiarata solo da lampade artificiali, ma il fisico di tutti era diventato sempre più rachitico con il passare dei giorni. Vitamine e integratori non erano abbastanza per sopperire alla mancanza di sole e dei nutrienti alimentari e, come se non bastasse, indossare costantemente la tuta peggiorava le cose, per quanto avanzata ed ergonomica fosse. Nel complesso, se già l'umore del gruppo non era dei migliori alla partenza, dopo qualche giorno era addirittura precipitato sotto zero e le due fazioni si erano divise riducendo al minimo indispensabile i contatti: zekiani con zekiani, kutsalesi con kutsalesi.

Passata un'ulteriore mezz'ora di monotono cammino sotterraneo, finalmente Thomas diede il segnale di fermarsi per una pausa. Gli agenti si tolsero i pesanti zaini in una cacofonia di sospiri di sollievo: dopo quasi tre ore di cammino ininterrotto, spalle e schiena urlavano pietà. Anche il mercenario si unì a loro e si accasciò contro una parete, scivolando lentamente a terra. Esausto, si tolse il respiratore e prese una boccata d'aria. Il puzzo di terra umida misto a qualcosa di marcio e vagamente speziato lo investì, costringendolo ad arricciare il naso per il fastidio. Non era abituato a quel genere di odori così pungenti: l'Organizzazione era un ambiente molto pulito, anche perché gran parte dei locali erano dedicati ai malati in cura presso la Divisione Medica. Lui, poi, aveva vissuto diversi anni in un luogo ancora più asettico: il laboratorio sotterraneo del governatore di Zeka, Alexei Melnyk.

Thomas Harvel non era un tipo schizzinoso, però, e presto quella espressione che tradiva il suo fastidio svanì lasciando il posto alla sua solita faccia anonima. Si era addestrato molto per dare quell'impressione da personaggio sullo sfondo, facilmente dimenticato già dopo un primo sguardo, un perfetto signor nessuno. Eppure, la sua peculiare chioma color carota era un tratto distintivo di cui anche sua cugina Diana, soprannominata la Überkiller tra i mercenari dell'Organizzazione, si faceva vanto. La sua capacità di mischiarsi alle persone e non farsi notare era sorprendente, tanto da renderlo ancora più utile agli occhi dei clienti della Divisione Supporto di cui faceva parte. Un agente come lui, in grado di passare inosservato e annullare gli eventuali poteri degli avversari Übermensch, era perfetto per tutta una serie di compiti delicati che spesso comprendevano l'omicidio o il furto.

Presso Melnyk, i suoi servigi erano stati impiegati per proteggere il più giovane dei figli del governatore, compito che aveva portato a termine in modo impeccabile sebbene lo trovasse estremamente noioso. Aveva sopportato senza lamentarsi per anni, pregustando il momento in cui sarebbe stato finalmente richiamato a casa per riprendere con le missioni più movimentate che gli facevano ribollire il sangue nelle vene. Roiben gliel'aveva promesso e lui aveva una fede cieca in lui, che aveva giurato di seguire già da quando erano solo ragazzini. Non aveva dimenticato le sue ultime parole prima di spedirlo a Helias, la proposta di diventare il suo braccio destro, il suo alikar, quando avrebbe preso il posto di Valentine. I tasselli dello schema di Roiben per lui erano un mistero, ma era felice di essere la sua pedina in quel gioco pericoloso: Thomas non era uno da simili finezze e strategie, era un uomo d'azione. Per questo, quell'assegnazione in parte soddisfava le sue aspettative: si prospettava pericolosa e adrenalinica, in linea con le sue inclinazioni e abilità. L'unica vera difficoltà era che non era una missione in solitaria.

"Capitano, è pericoloso."

Uno degli agenti della sua squadra gli si era avvicinato appena Thomas aveva rimosso il respiratore. L'uomo si indicò il viso coperto dal casco nel notare la sua espressione spaesata e disse: "L'aria. Non è consigliato respirarla, nemmeno per gli Übermensch. Ordini del governatore."

"Ah. Giusto."

Thomas si rimise controvoglia il casco, che aderì perfettamente alla sua testa con uno sbuffo, segno che si era depressurizzato correttamente. Non si era affatto dimenticato dei pericoli dell'aria, solo che indossarlo di continuo per lui era quasi claustrofobico. Lo schermo integrato nel visore si accese e il simbolo a forma di ottagono celeste con tre pallini al suo interno si illuminò nell'angolo in basso a sinistra: era l'indicatore dell'intelligenza artificiale di Melnyk che, tra le altre cose, si occupava anche di gestire le comunicazioni tra gli agenti.

Attese qualche minuto, prendendo lenti respiri controllati e cercando di non badare al sudore che veniva pian piano raccolto dalla tuta e distillato in acqua potabile dal sapore terribile. Le sacche all'interno del casco servivano a stoccarla e per bere bastava appoggiare le labbra al piccolo tubicino che scendeva di lato. Non potendo rimuovere il respiratore nemmeno per mangiare, sull'avambraccio era stato progettato un dispositivo nel quale poteva essere inserita una piccola fialetta. L'alimentazione lì sotto era ridotta a liquidi ad alto contenuto nutritivo, l'equivalente di un pasto ben bilanciato che veniva poi iniettato direttamente nelle vene una volta chiuso l'alloggiamento.

Il dispositivo all'avambraccio non serviva solo per mangiare, però. Quando l'agente zekiano si fu allontanato abbastanza, Thomas estrasse da uno scomparto della tuta una fiala un po' più piccola di quelle alimentari, il cui contenuto brillava di un acceso azzurro elettrico. La scosse per miscelarne meglio il contenuto, quindi la infilò nell'alloggiamento. Quando il liquido gli venne iniettato, Thomas si godette la sensazione. Lì sotto era rapidamente diventata la droga di tutti: un formicolio che partiva dal braccio e si diffondeva in tutto il corpo, risollevando l'umore e fornendo nuova energia. Notò in un angolo del visore olografico che gli erano rimaste solo sei fiale di quella misteriosa miscela chimica, studiata per tenere alto l'umore e lo spirito dei soldati proprio come una sorta di oppiaceo, soprannominata semplicemente "la Blu". Storse la bocca: aveva esagerato, visto che ognuno ne aveva in dotazione solo una trentina, ma ormai lì sotto il sostegno artificiale della Blu per lui era diventato fondamentale.

Seccato ma di nuovo in forze, Thomas si rimise in piedi e si stiracchiò. "Mi dispiace rovinarvi la festa, ma tra poco dovremo ripartire," avvisò tramite interfono. La sua voce digitalizzata era giunta alle orecchie degli agenti, anche quelli che il suo sguardo non raggiungeva. "Vediamoci al punto di raccolta tra due minuti: dobbiamo decidere il da farsi. Chiudo."

Senza aggiungere altro, il mercenario si voltò e si diresse con passo deciso verso il luogo del meeting, che per chiarezza fece evidenziare da MINSKY sulla mappa olografica e stilizzata sempre presente sullo schermo del casco. Una volta arrivato, tirò fuori da uno degli scomparti della sua tuta un holoring più grande del normale e lo posò in terra. Era un proiettore olografico connesso ai sistemi del suo casco, che usava spesso per fare il punto con il resto della squadra. Attese qualche minuto che lo raggiungessero tutti, dopodiché accese il dispositivo e una mappa in tre dimensioni della catena montuosa apparve al centro del cerchio di persone che avevano creato.

"Sarò breve. Siamo a metà del nostro viaggio, perfettamente in linea con le previsioni del governatore," disse indicando con un ampio gesto del braccio gli uomini che aveva riconosciuto come zekiani. Loro risposero con un piccolo cenno del capo, quindi continuò: "Ci aspetta ora la parte più delicata. Ho ipotizzato due punti di uscita, entrambi sul confine tra Nìgea e Siyah."

Due pallini si accesero sulla mappa al suo comando, uno in giallo e uno in azzurro. Il primo era più in alto, vicinissimo a Tirvaj, mentre il secondo era al limitare della foresta di Nìgea.

"Dobbiamo scegliere, ma immagino che il governatore Melnyk abbia già in mente da che parte andare. Giusto?"

Uno degli agenti inclinò leggermente il capo di lato e sollevò due dita in sua direzione, indicandogli di attendere. Thomas ipotizzò che quell'uomo fosse Istrice, il responsabile zekiano designato dal Melnyk. Doveva aver appena attivato un canale di comunicazione privato con lui o con MINSKY per porre il quesito ai superiori.

"Tirvaj," sentenziò Istrice dopo qualche attimo, la voce resa uguale a quella di tutti gli altri dall'interfono. Secondo Melnyk era un modo per anonimizzare le identità degli agenti e dare un senso di unità alla squadra, evitando così le discriminazioni tra zekiani e kutsalesi. Ipocrita da parte di uno che li aveva volutamente differenziati grazie al misterioso bracciale all'avambraccio.

Thomas annuì secco e il pallino celeste scomparve, lasciando spazio solo a quello giallo. Non chiese le motivazioni di quella scelta, non gli importava: per lui erano equivalenti, non avendo idea delle strategie dietro alle azioni dello zekiano. "Molto bene. Ripartiremo tra venti minuti, preparatevi."

Il cerchio che si era creato si sciolse e ognuno tornò alle proprie faccende. Con la scusa di spegnere l'holoring e metterlo via, Thomas si allontanò dal gruppetto e si sfilò ancora una volta il casco, che sostituì a un respiratore standard. Ogni mercenario Harvel della Divisione Supporto aveva un innesto cybernetico sottocutaneo che gli permetteva di comunicare direttamente con l'Organizzazione solo muovendo le labbra. Anche lì sotto e in territorio ostile il collegamento col loro satellite privato era garantito, per fortuna. Impostò il numero per contattare Roiben e avviò la chiamata, non monitorato da MINSKY che altrimenti avrebbe registrato ogni sua parola.

"Come procede?" esordì il capo della Divisione Supporto senza troppi convenevoli.

"Siamo a un bivio, quasi arrivati. Il governatore ha scelto il punto d'uscita più a ovest, vicino Tirvaj."

"Ah," replicò secco Roiben. "Perché? Sarebbe più sicuro il punto a sud, con la protezione della foresta."

Thomas rimase in silenzio per un lungo minuto, pensieroso. Poi, disse: "Non ho chiesto. Dovevo?"

"Ormai è tardi. Non credo te lo direbbero chiaramente, comunque... sempre ammesso che loro lo sappiano."

"Sì, non è semplice capire le strategie di Melnyk," convenne il mercenario. "Ti dice cosa fare, quasi mai il motivo."

Roiben si concesse un breve sbuffo divertito prima di replicare: "Mi ricorda qualcuno, ultimamente."

"Com'è la situazione, a proposito?"

"Come l'hai lasciata. Valentine è... distante. Sono sempre stato in grado di capirlo, se non appieno, almeno un po' di più degli altri, ma ora... sembra impazzito. Nessuna delle sue decisioni ha senso. È come se fosse diventato il lacchè di Melnyk."

La voce di Roiben era bassa e controllata, ma nel procedere col racconto si era tinta di risentimento. Thomas poteva percepirlo nel tono ruvido dell'amico e anche un idiota avrebbe capito i sentimenti dell'alikar di Kutsal nell'udire la crudezza con cui aveva pronunciato il nome del loro mandante zekiano.

"Potrebbe essere l'età," azzardò.

"Non scherzare. Non è mica un vecchio bacucco... purtroppo, aggiungerei: sarebbe più facile sostituirlo, se fosse così."

"Conoscendoti, la cosa non ti fermerà in ogni caso."

Roiben stavolta ridacchiò apertamente. Prima che Thomas partisse per Helias avevano parlato della questione, dei suoi dubbi su Valentine e del suo desiderio di prenderne il posto. Aspirava al ruolo di Wali da anni, ma non avrebbe potuto ottenerlo con lui ancora in vita. Eliminare un Taumaturgo potente come il capo dell'Organizzazione, però, non era semplice nemmeno per un Übermensch con le sue abilità. L'unica chance di riuscirci era usare la forza di tutta la Divisione Supporto. Il golpe che Roiben aveva in mente era rapido e indolore, ma non poteva metterlo in atto ora che i suoi sottoposti erano dispersi in giro per il continente a causa di quella stupida guerra. E, soprattutto, gli servivano Thomas e Diana, i suoi Assi più potenti e fidati.

"Di questo ne riparleremo quando tornerai. Perciò vedi di non finire nei guai, mi hai sentito? Mi servi qui il prima possibile."

"Nei guai?" Thomas sbuffò in modo quasi lamentoso. "Ma io li adoro."

"Avrai la tua dose di adrenalina, ci scommetto. Il governatore vi sta facendo uscire dai tunnel in campo aperto, è un rischio troppo grosso per i miei gusti. Vuole farvi catturare di proposito?"

"Uno dei suoi agenti può piegare la luce o una cosa del genere," rivelò Thomas dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno nei paraggi. Il dispositivo cybernetico sottocutaneo che usava per quelle telefonate segrete riusciva a convertire il suo labiale in parole anche senza bisogno della voce, ma lui lo trovava difficile da usare in quel modo. Per questo tendeva a bisbigliare o a usare un tono così basso da risultare a malapena udibile, come in quel momento. "L'idea è di usare una sorta di velo illusorio per nasconderci se dovessimo finire per incontrare i militari dell'Alleanza."

"Cosa che non dovrebbe succedere visto che monitorate le loro comunicazioni, giusto?" aggiunse Roiben con una punta di angoscia.

"Hanno una spia infiltrata," lo tranquillizzò Thomas. "Questo è tutto quello che so, ma è sufficiente."

All'altro capo del telefono, Roiben sospirò pesantemente. Thomas immaginò che avesse persino nascosto la faccia tra le mani per l'esasperazione. "Detesto il fatto che ti preoccupi sempre troppo poco."

"È perché ci sei tu a farlo per due."

"Aggiornami dopo che vi sarete accampati. Ti prego, ti prego non correre rischi inutili, mi hai capito, Thomas? La vita dei nostri uomini non vale la buona riuscita della stupida missione di Melnyk. Se dovesse succedere il peggio, scappate."

"Sono qui apposta. Avrai la tua unità tutta intera per i tuoi prossimi piani, te lo assicuro."

Ci fu un attimo di pausa prima della seguente risposta dell'alikar di Kutsal, che disse in un borbottio basso: "La cosa importante è che tu torni a casa tutto intero."

Thomas aprì la bocca per ribattere, ma Roiben aveva già terminato la comunicazione. Scosse la testa e sospirò: il suo capo era un tipo strano, difficile da decifrare e ancor di più da approcciare. Viveva costantemente sulla difensiva, però ogni tanto lasciava aperto uno spiraglio in quella muraglia impenetrabile, grande a sufficienza da vedere un pizzico del suo cuore. La loro relazione era ugualmente affetta da quelle difficoltà, in aggiunta a quelle che i loro rispettivi lavori implicavano. Quella che all'inizio era solo una cieca fiducia l'uno nell'altro si era lentamente trasformata in qualcosa di più di cui entrambi erano consapevoli, ma che non avevano mai discusso apertamente. A Thomas andava bene così: non aveva bisogno di parlarne per mettere in chiaro cosa provassero l'uno per l'altro, ma avrebbe voluto vederlo più tranquillo nell'approccio fisico. Quello, doveva ammettere, gli mancava. Forse era per questo che sentiva il bisogno di immergersi in missioni difficili che avrebbero messo alla prova le sue capacità: rischiare la vita era una distrazione tale da non fargli pensare al desiderio che provava per Roiben. Si erano scambiati solo carezze dai connotati un po' più teneri del consueto e lunghe occhiate ben poco fraintendibili, ma niente di più. Poi, lui era partito per Zeka ed erano rimasti lontani per anni e, quando finalmente il contratto con Alexei si era concluso, aveva dovuto andarsene subito per un altro lavoro.

"Idiota," mormorò, senza sapere se si stesse riferendo a se stesso o a Roiben.

Tornò sui suoi passi, si tolse il respiratore e indossò di nuovo il casco della tuta. Sebbene se lo fosse tolto non l'aveva spento, perciò il visore lo salutò con una serie di notifiche di chiamate perse dai suoi compagni di viaggio. Guardò l'orario e si rese conto di aver sforato di quasi cinque minuti rispetto a quanto aveva comunicato alla squadra: probabilmente lo stavano cercando per riprendere il cammino. Avvisò il suo secondo con una rapida comunicazione via interfono e si affrettò a raggiungere il punto di incontro concordato, sentendosi uno stupido.

"Ah, Capitano. La stavamo aspettando," lo accolse uno dei soldati zekiani. Erano tutti già equipaggiati con i loro zaini, pronti a ripartire.

"Scusate. Ero andato a fare due passi per sciogliere i nervi e mi sono perso."

"L'abbiamo chiamata diverse volte," insistette l'altro con voce velata di sospetto.

Prima che potesse rispondere, si intromise uno dei suoi mercenari a stemperare la tensione con una risata. "Come minimo aveva tolto il casco! Non ce la fa proprio a tenerlo addosso, è un disastro."

Thomas lo ringraziò mentalmente e si unì alle sue risa, facendo spallucce come per scusarsi. "Già. Sarà che sono abituato al laboratorio del governatore Melnyk... troppo tempo senza respiratore in faccia e questo è il risultato!"

Fortunatamente la menzogna convinse anche gli altri e ben presto il soldato zekiano decise di lasciar perdere. Thomas si caricò sulle spalle il proprio zaino e si mise a camminare in testa al gruppo, diretto verso l'uscita ovest del tunnel.

Dopo i primi venti minuti di fatica, Thomas aprì un canale privato con Istrice e domandò: "Non mi è chiaro come pensiamo di uscire da qui senza farci beccare dalle pattuglie dell'Alleanza. Saremo arrivati in meno di due ore e non abbiamo idea di cosa ci aspetti là fuori. Dimmi che il vostro piano non consiste solo in far esplodere la parete..."

Istrice ci mise parecchio a rispondergli. "Il nostro contatto ci farà sapere il momento più adatto per uscire. Nel frattempo, metteremo giù un campo e faremo tutti i preparativi necessari."

Thomas storse la bocca: allora avevano davvero intenzione di far saltare in aria la roccia per uscire dalla montagna! Aveva sperato che, essendoci così tanti cunicoli e così pochi ostacoli da rimuovere con la dinamite, per tornare in superficie sarebbe bastato arrivare al punto di uscita designato. A quanto pareva, però, la presenza dei tunnel risaliva a molti anni prima e alcuni erano di origine naturale, solo parzialmente mappati dai geologi zekiani. Un vero peccato che tra le loro fila non figurasse alcun geomante: sarebbe stato tutto molto più semplice.

"Il vostro contatto è anche in grado di non far notare all'Alleanza un'esplosione, quindi?"

Istrice sbuffò con una punta di arrogante divertimento. "Una cosa del genere, sì. E c'è anche Taz."

Thomas annuì lentamente: Taz era il nome in codice del superumano zekiano in grado di piegare la luce, il cui ruolo nell'operazione era già stato sottolineato all'inizio della missione. Tutte quelle domande avevano il solo scopo di confermare le sue ipotesi e verificare che il piano iniziale discusso in fase di briefing non fosse cambiato. Forse l'angoscia gliel'aveva attaccata Roiben con le sue paturnie: se non fosse stato per la telefonata di poche ore prima, Thomas non si sarebbe preoccupato molto di come sarebbero emersi in superficie.

"Incrociamo le dita e speriamo che nulla vada storto, allora."

"In quel caso, mercenario," disse Istrice voltandosi indietro per guardarlo in viso attraverso il casco, "spero che tu e il tuo gruppo vi guadagnerete finalmente la pagnotta."

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