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45. amicizia

ACCADEMIA, SIYAH - 22 MAGGIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


"Cavolo, siamo in ritardo," sbuffò Vanessa lanciando un'occhiata all'orologio digitale affisso in corridoio e accelerando il passo. In infermeria avevano perso più tempo del previsto: la lezione di tiro era finita già da un pezzo e, stando al loro orario del giorno, anche quella di combattimento era già cominciata.

Da quando Reniji era partito in missione, il suo posto lo aveva preso nientemeno che il direttore Wakani. In realtà, era sempre stato lui l'insegnante di quel corso finché il fratello abitava a Hileim, ma per i giovani cadetti del primo anno allenarsi con lui era una novità. Ryukai era un docente molto diverso da Reniji: si divertiva a prendersi gioco dei ragazzi e il suo modo di fare scanzonato lo faceva somigliare più a un giullare da prendere poco sul serio che a un generale dell'esercito. Questa però era anche la sua forza, perché così facendo i cadetti finivano per abbassare la guardia. Con un'arma in mano Ryukai era un avversario praticamente impossibile da sconfiggere e persino nelle arti marziali non era da meno a Reniji. La volta scorsa aveva mostrato loro come usare oggetti di uso comune a mo' di armi improvvisate e, anche se la Rayon preferiva risolvere le cose a suon di pugni, l'aveva trovato parecchio divertente.

"Devo ammettere che le lezioni del direttore non mi dispiacciono," disse Liam con tono sognante, ricordando quanto anche uno mingherlino come lui si era sentito coinvolto durante l'ultima lezione. "Non pensavo che lo avrei mai detto, ma... è bravo."

La Rayon annuì lentamente. "Non dirlo a me. Pensavo che fosse più un burocrate che un guerriero, e invece..."

"Per certi versi è anche meglio di suo fratello. Ah, senza offesa!" Lei scrollò le spalle con indifferenza, così Liam continuò: "Insomma, non si tratta più solo di arti marziali... con lui ho l'impressione che stiamo imparando a rispondere alle esigenze delle diverse situazioni, ecco. A cavarcela a prescindere dall'essere bravi a fare a botte come te o meno."

"Sì, capisco che intendi... penso che il suo punto di forza sia la versatilità. Per quello è così difficile da affrontare."

Vanessa ricordò i recenti addestramenti, in cui persino lei era finita magistralmente a gambe all'aria. Quando si allenava con Reniji lo scontro era tutto basato sulla tecnica, su chi tirava il pugno più forte o riusciva a bloccare l'altro. Anche se aveva vinto solo durante il suo esame di ammissione — e ancora aveva il dubbio che l'avesse lasciata vincere — i suoi attacchi non erano sempre andati a vuoto, come invece succedeva con Ryukai. Lui era quasi un ballerino: schivava qualsiasi mossa col sorriso sulle labbra, usava trucchetti mai visti prima e ogni oggetto in mano sua diventava un'arma letale per metterli al tappeto. Se nella testa della ragazza Reniji era paragonabile a un muro che non si crepava nonostante i colpi subiti, il direttore era come il vento: inafferrabile e allo stesso tempo inesorabile.

I due continuarono a camminare per i corridoi in silenzio, entrambi persi nei loro pensieri. Dopo qualche attimo, Vanessa decise di rompere finalmente il ghiaccio e tornare alla confidenza a cui Liam aveva accennato in infermeria.

"Quindi, riguardo alla tua offerta di insegnarmi a sparare..." Lanciò un'occhiata di sbieco e un sorrisetto complice all'amico, poi continuò: "Che dici, potrebbe essere un buon momento per riprendere il discorso?"

"Non molli l'osso, eh?" Imbarazzato, Liam si portò una mano alla nuca e infossò involontariamente il capo tra le spalle. Così facendo sembrò quasi nascondersi in se stesso, rendendosi ancora più mingherlino del solito. "È un discorso un po' complicato, Ness... e lungo."

"Beh, possiamo sempre marinare la lezione. Tanto ne abbiamo già persa metà e non credo che il generale Wakani ci andrebbe piano con noi se entrassimo ora," tentò lei.

Liam le lanciò un altro sguardo esasperato, a cui seguì un lamento sfinito. No, era chiaro che Vanessa non avrebbe lasciato perdere la faccenda: era dannatamente testarda e ormai la curiosità aveva messo radici troppo solide nel suo cervello affinché lui potesse convincerla a non indagare oltre.

Era arrivato il momento di dirle la verità. La prospettiva lo agitò più del previsto: quando aveva accennato alla cosa, in infermeria, non si era sentito così fragile, mentre ora che stava sul serio per vuotare il sacco e rivelarle del suo passato non si sentiva tanto sicuro di sé. Sarebbero stati amici come prima, dopo?

"Va bene, va bene, hai vinto. Però... non qui."

Il ragazzo si rimise il respiratore e deviò al volo il suo percorso in modo da uscire dall'edificio, diretto verso il campo di addestramento all'aperto. In pieno orario di lezione lo affollavano solamente i cadetti del terzo anno impegnati ad allenarsi al sole, perciò loro due poterono sfruttare la cosa per sgattaiolare tra loro e raggiungere la sala mensa. Nessuno li fermò, anche perché con le maschere addosso era difficile riconoscerli. Una volta lì, Liam cambiò di nuovo direzione all'improvviso guidando Vanessa non al suo interno, bensì sul retro. Dopo aver messo qualche metro tra loro e l'edificio, si sedette infine sulla corta erba giallastra con un sospiro.

Curiosamente, la bionda non aveva protestato neanche una volta. Anzi, lo aveva seguito docile docile ovunque andasse, come se sapesse benissimo dove volesse portarla prima ancora che glielo dicesse ad alta voce. Erano passati pochi mesi da quando si erano conosciuti, eppure vivere appiccicati in un'accademia militare aveva già dato i suoi frutti: lei e Liam erano talmente abituati l'uno all'altra che non avevano bisogno di parlare per capirsi.

Anche lei prese posto al suo fianco, agile e silenziosa come un felino, e si accese una sigaretta, che teneva nascosta assieme all'accendino all'interno dei suoi anfibi. Fumava da quando la conosceva, ma in Accademia era difficile per lei concedersi quel vizio spesso quanto avrebbe voluto. Il regolamento lo vietava e le telecamere della tenente Hicks erano un deterrente sufficiente a farla desistere nella maggior parte delle occasioni. Lì, però, erano al riparo dagli occhi vigili dei dispositivi e la loro assenza a lezione giustificata. Protetto dal respiratore, Liam non assaporò l'odore acre della sigaretta e ne fu grato: gli avrebbe ricordato il covo, la sua vita nell'H200 prima di entrare in Accademia, e non voleva rischiare di raccontare a Vanessa di quel periodo in modo troppo malinconico. La guardò per un istante godersi il sapore del fumo, quindi prese coraggio e si schiarì la voce.

"Tu... sai com'è fatta Hileim, no?"

"Circa," ammise lei. "Non troppo bene, in verità. Non mi lasciavano uscire tanto facilmente e... quando capitava ero sempre sotto scorta."

"Hai mai sentito parlare della zona grigia?"

Vanessa rabbrividì sentendo un alito freddo correrle lungo la spina dorsale al suono di quel nome. Hileim era una città enorme, che si era allargata in fretta finendo col costruire nuovi edifici tanto a ridosso dei vecchi da apparire claustrofobica nonostante l'estensione del suo perimetro. Un tempo sorgeva in una zona leggermente collinare e verdeggiante, ma il cambiamento climatico l'aveva resa un canyon roccioso e desolato dove regnava l'arancione malsano della terra nuda e avvelenata. La sua periferia più esterna era caratterizzata da una grande centrale elettrica che stonava col resto dell'architettura cittadina, mentre il centro brulicava di casette piccole e un po' ammaccate, monumenti che richiamavano il casato Rayon e i loro poteri e un numero spropositato di negozietti minuscoli che vendevano merce di ogni tipo. I quartieri attorno alla villa del governatore erano più lussuosi e curati, ma lo spazio rimaneva scarso e l'effetto finale trasmetteva disordine invece che benessere.

Dal lato opposto, quasi come se fosse fatto di proposito, sorgeva la zona malfamata e pericolosa della città. Veniva chiamata zona grigia, o ghetto dai meno romantici, e simboleggiava il fallimento più grande dell'ultimo governo. Quell'area della città era stata istituita da suo padre anni prima con l'intento di radunare in un unico punto tutti i malati di Sindrome e migliorare la qualità delle cure a loro offerte. Purtroppo, quella mossa era stata interpretata come un tentativo di recluderli e isolarli invece che aiutarli: le case asettiche di nuova costruzione erano state scambiate per celle di detenzione, le costanti visite mediche come un modo per controllare i pazienti invece che per salvarli. Gli abitanti del ghetto si erano ribellati dopo solo due anni, prendendone possesso e scacciando gli operatori sanitari una volta per tutte. Non più area protetta, bensì pericolosa, da evitare: la zona grigia era diventata la culla dei peggiori criminali della città, pronti a tutto pur di accaparrarsi qualche medicinale per assistere i propri cari.

Nel cervello della ragazza si accese una lampadina. Sgranò gli occhi e bisbigliò: "Frena frena frena, stai dicendo che... che hai la Sindrome?"

Liam scosse la testa, evitando il suo sguardo e puntando il proprio verso l'orizzonte. La maschera che indossava era un valido aiuto a nascondere le sue emozioni, anche se gli copriva solo la parte inferiore del viso.

"No, non io. Mia... mia sorella."

Vanessa era sicura di avere stampata in faccia un'espressione molto stupida. La gravità di quella rivelazione era tale da scombussolarle ancor più del solito la mente, rendendola incapace di formulare un pensiero completo. Rimase zitta, dimentica persino della sigaretta che le penzolava molle dalle dita ormai da qualche minuto, ed emise solo un lamento strozzato a testimoniare la sua sorpresa. Quella reazione però riuscì a strappare uno sbuffo divertito all'amico e l'atmosfera tesa si distese un po'.

"Lo sai, è da così tanto che viviamo lì che ormai non ricordo più com'era la vita di prima. Com'era la zona della città dove sono cresciuto, di cosa profumavano le vie, che rumori le affollavano di notte..." Scosse il capo, malinconico. "E com'era non sapere come si maneggia una pistola."

Vanessa prese un tiro affrettato e lo soffiò verso l'alto. "Tu... cioè, insomma... sei stato addestrato, prima di venire qui?"

A quella domanda, così ingenua e sincera, Liam scoppiò a ridere. "Addestrato? Ness, nella zona grigia non puoi non saperti difendere. E poi..."

Si interruppe, infossandosi ancora di più nelle spalle. Prima di continuare si prese il suo tempo per soppesare le parole, incerto sul dirle davvero tutto tutto o meno.

Decise di fidarsi. "Conosci l'H200?"

La bionda annuì piano: era impossibile non sapere chi fossero. "Parli dei tizi che assaltano i convogli di provviste e roba simile, no?"

"Puoi anche chiamarci terroristi, sarebbe il termine corretto."

Vanessa rimase per la seconda volta senza parole e la sigaretta minacciò di caderle per terra. "Co-cosa..." farfugliò, scuotendo la testa ancora incredula. Afferrò l'amico per un braccio nel tentativo di obbligarlo a guardarla negli occhi per confermare la veridicità delle sue parole.

"A-aspetta, Liam, non scherzare, dai... tu un terrorista? Mi prendi per il culo?"

"Diciamo che, beh, lo sono stato," ammise lui, cercando di nuovo di evitare di guardare l'amica e concentrandosi invece sull'erba o sulla forma spigolosa delle ginocchia ossute di lei. "Non che avessi altra scelta. La zona grigia è una specie di... di città stato, ecco. E con Ly malata, non... insomma, come potevamo fare con i filtri? Con le cure?"

Emise un piccolo sospiro stanco e colpevole, realizzando che raccontare queste cose nientemeno che alla figlia del governatore in carica forse non era una grande idea. Se ne vergognava, ora, anche perché stare in Accademia gli aveva dato l'opportunità di assaggiare una vita diversa. Non era affatto certo che tornare nella sua casetta malandata, dove il sottofondo dei macchinari per la respirazione di Lyria non cessava neanche per un secondo, avrebbe più avuto lo stesso sapore.

"Dovevo lavorare per aiutare la mia famiglia. Ma un ragazzino minorenne del ghetto non l'avrebbero mai assunto da nessuna parte, Ness... e a me servivano crediti. Una maledetta montagna di crediti, te l'assicuro." Sospirò. "L'H200 era la mia scommessa migliore."

"Porca puttana, Liam," sussurrò la bionda nel lasciare la presa su di lui. La rivelazione l'aveva sconvolta più del previsto. "Sul serio era l'unico modo? Insomma... ok, io non ho la più pallida idea di come sia abitare nel ghetto o avere la Sindrome, però fare il terrorista non è un po'... eccessivo?"

"Se entri nell'H200 è perché non hai scelta," continuò Liam fulminandola con lo sguardo. Temeva che lei avrebbe preso le distanze da lui sapendo la verità e quella reazione forte aveva solo confermato le sua paure.

Al contrario, la Rayon ipotizzava che sarebbe stato lui a recidere il loro rapporto. Sentiva di non avere più il diritto di stargli accanto come aveva fatto fino a quel momento: lei era una Übermensch immune alla malattia che gli stava uccidendo la sorella, nata nel casato reggente che aveva involontariamente reso povera la sua famiglia. Come poteva pensare di essergli amica? Era impossibile che lui non la odiasse, ne era convinta. In fondo, lei era tutto ciò che Liam avrebbe dovuto detestare!

Per un brevissimo istante, la ragazza si domandò se il loro legame non fosse solo una menzogna. Forse, quando si erano conosciuti l'aveva avvicinata proprio perché voleva colpirla per vendicarsi di chi l'aveva costretto a quella vita. Quel pensiero la spaventò più di tutto il resto: se avesse scoperto che la sua amicizia con Liam era falsa, si sarebbe spezzata a metà. E non era affatto sicura che da una cosa simile avrebbe mai potuto riprendersi.

Tuttavia, non lo biasimava. Molte persone avevano semplicemente smesso di credere che avrebbero potuto aspirare a una vita migliore, a un futuro dove l'inquinamento non le avrebbe uccise più in fretta della guerra. Quella sensazione era diffusa in tutta Celios, lo sapeva, ma la regione helisiana era quella dove il malcontento e la disperazione si erano trasformati in una fredda rivolta prima che altrove.

Ecco perché era nato l'H200. L'organizzazione terroristica era composta da piccole bande dislocate un po' ovunque a Helias, all'inizio con l'obiettivo di difendere le città troppo vicine al fronte da eventuali attacchi nemici prima che potesse farlo l'esercito. Se all'epoca si erano eletti paladini del popolo o addirittura eroi disposti a sporcarsi le mani, i loro metodi erano diventati presto violenti e atti a danneggiare infrastrutture e approvvigionamenti il più possibile, senza più fare distinzione tra amici e nemici. L'H200 si era trasformato nell'incognita caotica che impediva alla regione di emergere dalla recessione in cui era finita, impossibile da sradicare del tutto. Pur conoscendo la profondità del male che quell'organizzazione faceva alla sua terra natale, Vanessa riusciva solo a pensare che, in fondo, quelle persone non facevano altro che cercare un modo per sopravvivere con i mezzi a loro disposizione.

Al posto loro, lei cosa avrebbe fatto?

"È per questo che ti sei iscritto in Accademia? Vendetta?" gli domandò, cauta. Incapace di alzare lo sguardo su di lui per il timore della sua risposta, si concentrò invece sullo spegnere il mozzicone contro il tacco del proprio anfibio destro, per poi sotterrarlo lì vicino. In cuor suo era pronta a un sì, pronta a sentirgli dire che le aveva mentito dal primo istante. Per quanto stupido, quello le sembrava l'unico modo per pareggiare i conti con lui: sacrificarsi affinché le ingiustizie che la sua famiglia gli aveva causato venissero perdonate.

"Oh, no. Proprio per niente."

La rivelazione la rilassò. Si accorse in quel frangente di quanto avesse irrigidito la postura nel timore di una risposta affermativa.

"La verità è che l'ho fatto per soldi. Un giorno, durante un'operazione, mi sono imbattuto nel maggiore Locke e lui... invece di catturarmi e sbattermi in cella, ha deciso di farmi iscrivere in Accademia. Folle, no?" Sorrise. "Non ci crederai, ma mi paga per essere qui."

"Che?" sbottò lei, sorpresa. "Stiamo parlando della stessa persona? Sanjir-fottuto-Squalo-Locke ti paga per studiare!?"

"Ok, ora che lo dici così sembra più strano di quello che sembra."

"Ed è bastato così poco?" insistette la Rayon. "Ti ha convinto solo con i crediti a mollare tutto e tradirli?"

Liam le scoccò un'occhiata fiammeggiante che le mise quasi paura. Non lo aveva mai visto così deciso, prima. "Non li ho traditi. Questo mai," sbottò calcando in particolare l'ultima parola. "Ho accettato di cambiare vita perché quella faceva schifo, molto semplice. Mi ha dato l'opportunità di scappare da quel buco in cui mi ero cacciato e al contempo aiutare la mia famiglia con un mucchio di crediti extra, che non mi sarei potuto guadagnare tanto facilmente altrimenti. Solo un idiota avrebbe rifiutato..."

"Non ti ha mai chiesto di rivelargli informazioni segrete?"

Liam scosse il capo. "Nemmeno una volta. È un uomo di parola, ma ammetto che neanche io lo credevo, all'inizio. Mi ha sorpreso."

"Quindi cos'è, il tuo tutore o una cosa del genere?"

L'helisiano si buttò all'indietro con la schiena e si stese, piegando le braccia dietro la nuca a mo' di cuscino. "Non saprei. Il mio datore di lavoro, forse?"

"Assurdo!" rise lei raggiungendolo a terra e imitandone la posa. "Squalo che ti paga per studiare fa uno stranissimo effetto, davvero..."

"Non ho capito nemmeno io perché si è spinto a tanto. Insomma, è effettivamente un po' eccessivo," ammise. "L'accordo è che devo completare questi tre anni in Accademia e diventare un ufficiale. Secondo lui, ho del talento che vale la pena coltivare."

Dirlo a voce alta lo imbarazzò a sufficienza da farlo arrossire. Per fortuna, il respiratore gli nascondeva mezza faccia e Vanessa era troppo concentrata a guardare il cielo per notarlo.

"Se lo ha detto veramente, la tua offerta di insegnarmi a sparare sembra molto più allettante..."

"Cos'è successo, a proposito? Non è da te agitarti in quel modo. Ti ho vista... non stavi bene ancor prima di iniziare l'esercizio, Ness." Girò la testa per guardarla di sbieco e aggiunse con tono scherzoso: "E non mi rifilare il discorso di prima in infermeria. Lo so che c'è dell'altro."

Fu il turno della ragazza di tacere. Si mordicchiò l'interno della guancia destra nel tentativo di spiegare il nodo che sentiva nello stomaco con parole di senso compiuto. Non era facile, non per lei che era abituata a esprimersi distruggendo pareti o grugnendo versi incomprensibili.

"Non ho mai trovato divertenti le armi in generale. Quelle da fuoco ancora meno, anche se ne capisco il vantaggio strategico." Prese un respiro profondo prima di proseguire, incapace però di annullare il tremolio della propria voce: "E-e poi continuava a venirmi in mente Ren."

Del suo ex-maestro Vanessa gli aveva parlato spesso, ma solo recentemente gli aveva rivelato dei sentimenti che provava per lui. Gli aveva raccontato di quella notte a Tirvaj, anche se non era scesa nei dettagli lasciandogli spazio all'immaginazione. Liam si era bevuto ogni parola con occhi sognanti, sentendosi di nuovo a casa: da piccolo, le sue sorelle erano solite confidarsi con lui nello stesso modo, talvolta anche soffermandosi sui particolari più scabrosi. Era cresciuto con quelle storie nella testa, nascondendo il suo cuore romantico sotto alla facciata del ragazzo di strada. Ora che il rapporto tra Vanessa e il Wakani si era evoluto in quella che era evidentemente una relazione, lui si sentiva felice e appagato per l'amica come lo sarebbe stato per Meliara o Lyria.

"Ti manca?" disse con dolcezza.

Vanessa prese a gesticolare, visibilmente nel panico. "Sì, cioè, no, non è quello il punto..." Si fermò e prese una piccola pausa, mettendo in fila i pensieri. "Quella pistola era pesante. Sì, avrei già dovuto saperlo, ma quando l'ho presa in mano non ho potuto fare a meno di immaginarmelo sul campo di battaglia. Di fronte... di fronte agli zekiani."

Chiuse gli occhi e la sua mente riprodusse al volo quella scena che continuava a vedere nei suoi incubi: nemici ovunque, spari ed esplosioni, robot enormi e Reniji, lì in mezzo, ricoperto dalla sua corazza nera piena di crepe. Non era invincibile e quella missione l'aveva dimostrato. Anche se non era morto, la sua squadra era stata comunque rasa al suolo e lui era finito in coma. Il direttore non le aveva concesso la licenza per andarlo a trovare e questo la agitava: perché le remava contro, dopo aver insistito così tanto per ficcanasare nel loro rapporto? Che non volesse farle vedere lo stato pietoso in cui versava il fratello? O le nascondeva qualcosa di peggiore?

"La guerra è uno schifo. Questo non cambia a prescindere dallo schieramento, purtroppo..."

"Sembri un vecchio," sbuffò lei prendendolo in giro. "Beh, allora dimmi: com'è combattere davvero? Ok, magari non andavi proprio al fronte, ma sicuramente ne sai più di me sull'argomento."

Liam ci pensò un po' su prima di risponderle. Anche lui si mise a osservare il cielo terso, beandosi dell'ombra della mensa alle loro spalle, che gli garantiva un po' di riparo dal calore insopportabile dei raggi diretti del sole.

"Caotico. Non hai tempo per pensare a nulla, è il tuo corpo a reagire d'istinto a qualunque stimolo. Il che non sempre è un bene."

Rimasero in silenzio per due interminabili minuti, ascoltando i rumori prodotti dai compagni del terzo anno che si allenavano poco distante.

"Hai mai ucciso qualcuno?" chiese Vanessa in un soffio. Era consapevole di aver fatto una domanda fin troppo delicata, ma sentiva il bisogno di sapere cosa si provava a strappare una vita.

"Cambierebbe qualcosa? Se avessi ucciso solo zekiani, questo farebbe di me un eroe e non un assassino?"

"Non volevo dire—"

"Però è la verità, Ness. Ero un criminale e ho fatto cose orribili di cui, lo ammetto, oggi mi pento. Posso nascondermi dietro al fatto che lo facevo per un motivo nobile, ma questo non mi rende diverso dalla gente di Zeka." Sospirò. "Se mi stai chiedendo se ho mai puntato la pistola contro qualcuno e premuto il grilletto, la risposta è no. Ma sono piuttosto sicuro di avere già una buona quantità di cadaveri sulle spalle..." Liam lasciò in sospeso la frase e serrò gli occhi con forza, come per cacciare via un ricordo doloroso. "Io... io facevo esplosivi, Ness. Non... non voglio nemmeno pensare a come siano morte quelle persone."

Di fronte a quella confessione, Vanessa si rese conto di quanto doveva essergli sembrata ridicola per tutto quel tempo. I suoi problemi apparivano minuscoli se paragonati a quelli che aveva dovuto affrontare lui solo per sopravvivere e arrivare fino a lì. Lei era una privilegiata, l'aveva sempre saputo, eppure solo adesso capiva il vero significato del divario tra lei e le persone come Liam.

"Scusami," riuscì a dire dopo un po', vergognandosi come un verme. "Non volevo accusarti o... farti tornare in mente cose brutte. Sono un'idiota."

Ma Liam le lanciò un'occhiata che le fece intuire che al di sotto del respiratore stava sorridendo. "Lo sei. E ti voglio bene anche per questo."

"Come hai fatto a resistere? Insomma... da come ne parli non era esattamente una passeggiata fare quel mestiere."

"Ora ti rivelerò una scomoda verità, Ness. Si può vivere e morire solo per due cose: i propri ideali e le proprie necessità. E chi entra nell'H200 lo sa bene..." Fece una pausa, realizzando che fino a quel momento aveva stretto l'erba rinsecchita tra le mani con forza, come se potesse ancorarsi a essa per non scivolare via, trascinato da un'onda più grande di lui. "La gente come noi ha capito prima degli altri che non serve a nulla attendere che l'aiuto arrivi dal cielo, perché aspettando crepi. Bisogna agire. È l'unico modo per ottenere ciò che si vuole: soldi, cure, fama... qualsiasi cosa."

Vanessa annuì in silenzio. Il discorso di Liam le era chiaro, adesso, così come le ragioni dei terroristi. I loro attacchi esplosivi ai danni dei vari convogli esteri assumevano un senso diverso, ora: le maschere non arrivano? Allora prendiamole direttamente alla fonte. Niente acqua? Dirottiamo le tubature. Per non parlare del commercio illegale di filtri, una rete che si sospettava partisse direttamente dai territori di Demir, dove venivano prodotti. Suo padre non aveva mai capito perché lo facessero: gli parevano attacchi fatti apposta per disturbare gli impianti e danneggiare il governo, non delle azioni fondamentali alla vita dei cittadini meno abbienti.

"Il governatore... mio padre, ecco, lui credo ci abbia provato davvero, sai," tentò la Rayon. "Non era sua intenzione creare un ghetto in cui buttarvi. D'accordo, non abbiamo il rapporto migliore del mondo, io e lui, ma lo vedevo perdere il sonno in riunioni interminabili per far arrivare provviste e respiratori. Non è cattivo. Insomma, ha persino accettato di vendere mio fratello ai Vog—"

Vanessa si tappò la bocca con entrambe le mani all'improvviso, realizzando che quello forse era un segreto che non avrebbe dovuto rivelare tanto alla leggera. Purtroppo era già tardi: Liam aveva spalancato gli occhi e si era tirato su con la schiena, sorpreso.

"Il Maledetto di Helias è stato venduto ai Vogelweyde!?"

Vanessa si rannicchiò a palla ed emise un lungo verso lamentoso. "Oh, e dai, odio quel soprannome!"

Lui alzò gli occhi al cielo e la ignorò, tirandola per un braccio così da costringerla a rimettersi seduta. "Voglio sapere tutto. Che cavolo significa?"

"Ehi, com'è che ti interessa così tanto di lui?" borbottò, gelosa. "Non dovresti essere più un mio fan invece che suo!?"

Liam ridacchiò. "Te l'ho detto, le mie sorelle lo adorano, parlano spessissimo di lui... e non puoi negare che sia fantastico, dai!"

Vanessa sbuffò rumorosamente. Odiava parlare di Virgil, tantopiù se significava ricoprirlo di lodi — lodi che a lei non venivano riservate quasi mai. "Significa che si deve sposare con la loro primogenita, la tizia dei coltelli antipatica," sbuffò. "E sì, so cosa stai per dire, conosco quella faccia: la governatrice di Helias diventerei io, eccetera eccetera."

Liam aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma all'ultimo si trattenne: se l'amica aveva taciuto un dettaglio così importante, doveva esserci un motivo serio. La osservò contorcersi dal disagio e nascondere il viso tra le mani, reazione decisamente strana per una che aveva appena rivelato di essere l'erede designata al governo del paese.

"E non... non è una bella cosa?"

"No che non lo è!" mugolò lei senza alzare la testa. "Mi conosci, ormai, lo sai che sarei una pessima politica. Non fa proprio per me e... e essere costretta a prendere il posto di mio fratello mi fa venire voglia di urlare."

"Beh, questo è—"

"Da egoisti, lo so."

"Stavo per dire legittimo, in realtà," la corresse lui con voce gentile. Vanessa si sentì un pochino meglio, ma non lo diede a vedere.

"Ma, quindi... come mai sei in Accademia?"

Lei non gli rispose e a lui toccò interpretare il suo silenzio. Non gli ci volle molto per fare due più due: nessuno sano di mente avrebbe mandato alla scuola per ufficiali la futura reggente, non in tempo di guerra. Se fosse scappata di casa senza il loro permesso non si sarebbe mai arruolata col suo vero nome, l'avrebbero saputo tutti in tempo zero e notizie della sua sparizione sarebbero in qualche modo trapelate. No, dedusse: l'amica doveva essere riuscita a strappare un qualche tipo di accordo ai genitori. Il perché era evidente, conoscendola.

"Ah... volevi fuggire dalle responsabilità, eh?"

"Non proprio," confessò la Rayon agitandosi sul posto, a disagio. "Cioè, quello era evidentemente il mio piano e sono sicura che mio padre l'ha capito. Quello che io non ho capito, però, è perché me l'ha lasciato fare..."

"Forse è un modo per farti calmare," ipotizzò il giovane, "oppure vuole prendere tempo. Magari la sua idea è che tuo fratello diventi comunque governatore di Helias, non tu."

"Non ne ho idea, non ci capisco un tubo di queste cose. Per come me l'hanno spiegata, non credo sia possibile... l'unico modo è che non si sposi la Vogelweyde e tanti saluti. Ma se non lo facesse, quegli stronzi ci negherebbero il loro supporto militare ed economico e bloccherebbero l'impianto di depurazione dell'acqua che serve tutta la regione."

Liam sgranò gli occhi e fischiò, sorpreso. "Sposarsi e salvare Helias o fuggire e farsi schiacciare da Zeka... Chiunque avrebbe scelto la prima opzione."

"Già. Anche se lui sembrava quasi contento," aggiunse con stizza al ricordo di quel giorno presso i Vogelweide in cui le due famiglie avevano preso accordi per il matrimonio.

"Tuo fratello non può tipo... usare i suoi superpoteri mentali per fargli cambiare idea o una cosa del genere?"

"Non è così semplice... e comunque non vuole."

"Non vuole? In che senso?"

"Ricordi quando ti ho detto che se non dosassi bene il mio potere rischierei di uccidere la gente anche solo con una carezza?" Lui annuì: era il discorso che avevano affrontato in infermeria solo mezz'ora prima. "Beh, per Virgil vale lo stesso. Deve costantemente stare attento alle parole che usa, a come le dice, a dove guarda e a cosa prova mentre lo fa. Lo so che pensi che avere dei poteri sia una figata, ma ti assicuro che è molto più complesso di quello che sembra."

"Sai, per una che millanta di detestare suo fratello sei piuttosto protettiva nei suoi confronti," la prese in giro Liam.

Vanessa arrossì: i rapporti con Virgil non erano mai stati dei migliori, ma erano addirittura peggiorati poco dopo il suo fidanzamento con Lilja Vogelweyde. Da quel litigio i due non si erano più parlati e lei si era ripromessa di non cedere per prima. Sapeva di essere infantile, eppure non riusciva a smettere di provare un miscuglio di rancore, rabbia e invidia nei suoi confronti che faticava a spiegare con razionalità. Sotto sotto gli voleva bene, era evidente, però non sarebbe stata lei la prima ad ammetterlo.

"Se ci tieni al tuo naso, Iques, meglio se tutta questa storia rimanga un segreto..."

"Non preoccuparti, Rayon, non dirò a nessuno quanto adori il tuo caro geme—"

Non fece in tempo a finire la battuta, però, perché Vanessa lo spintonò così forte da farlo ruzzolare per qualche metro tra una risata e l'altra.

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