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4. foresta

LOROD, NìGEA - 12 LUGLIO 4572 DEL CALENDARIO TERRESTRE

Le piacevoli note di 'Preludio no. 1' di Bach diedero il benvenuto al giovane Niel Speraki nell'entrare nella sala grande. Adorava ascoltare suo padre suonare l'antica musica terrestre, era un passatempo in cui gli piaceva indulgere sin da quando era bambino. Raggiunse in silenzio la sua poltroncina preferita, quella dalla gamba malandata: aveva cercato di sistemarla lui stesso anni prima con un po' di colla a presa rapida, sebbene con scarsi risultati. Affondò nella sua imbottitura e si lasciò coccolare dalla musica per qualche attimo, gli occhi socchiusi e la testa sgombera dai pensieri. Dalla porta a finestre di fronte proveniva un rettangolo di luce calda che gli illuminava metà del corpo, così Niel si lasciò baciare da quella carezza con un piccolo sorriso beato.

Finché non udì i passi affrettati di suo fratello che si precipitava dentro casa.

Leon Speraki si interruppe, stupito dall'improvviso ingresso del suo primogenito nella stanza, e con lui la melodia. Genitore e figlio si voltarono un po' stralunati a guardarlo: Theodore se ne stava tutto arruffato contro la porta, che teneva chiusa con la schiena come se dovesse nascondersi da qualcosa o qualcuno di molto pericoloso. Aveva i vestiti sbrindellati, i bottoni della camicia estiva in parte aperti e i capelli, che di solito portava acconciati all'indietro con impeccabile cura grazie a una mano di gel, erano sparati qua e là in modo disordinato. Sul volto, un'espressione di puro terrore.

"C-che succede, Theo?" chiese Niel affrettandosi a raggiungerlo. Notò con la coda dell'occhio il padre fare lo stesso chiuso nel suo solito silenzio.

"N-niente!" Il giovane cercò di darsi un contegno. Con un colpetto di tosse si mise ben dritto con la schiena e si lisciò la camicia, abbottonandosela come nulla fosse e sistemandola di nuovo nei pantaloni color sabbia che indossava. Solo quando sia il padre sia il fratello puntarono gli occhi sulla sua zazzera selvaggia arrossì, tuffandoci subito le mani per rimetterla in ordine il più possibile.

"Sei... sicuro?" continuò Niel, apprensivo. "Non eri andato in città?"

A quella domanda sul viso del ragazzo passò un'ombra. Lo stesso terrore di poco prima sembrò possederlo di nuovo per un breve istante, per poi svanire come neve al sole.

"Sì, oggi sono passato dal settore due. Avevano problemi con alcune coltivazioni di husen... mi hanno chiamato con urgenza," disse lanciando un'occhiata al padre, che sollevò un sopracciglio come per chiedergli di proseguire. "Non si capisce cosa sia successo. Gli ho chiesto di analizzare qualche campione per farci un'idea più chiara, però rischiamo di perdere il raccolto."

Leon corrugò le sopracciglia, preoccupato, ed estrasse il proprio cellulare per controllare rapidamente qualcosa. Niel sapeva il perché di quell'agitazione: Nìgea era l'unica a Celios, a parte Zeka, che ancora riusciva a produrre generi alimentari usando mezzi tradizionali, il che significava sopperire alle mancanze di tutto il continente. La regione si era arricchita in fretta da quando la desertificazione e l'inquinamento si erano fatti sempre più intensi, stabilendo contratti con tutti gli stati dell'Alleanza a cui fornivano regolarmente provviste.

Il loro asso nella manica erano gli Übermensch che avevano reso famosa Nìgea negli anni, in grado di prendersi cura di piante e coltivazioni e assicurarsi che queste non morissero prima del tempo. Peccato che i Forestali non bastassero mai, soprattutto ora che le richieste di cibo erano ben più di quelle che la regione riusciva a soddisfare.

Ecco perché spesso intervenivano direttamente loro, i superumani del casato Speraki: i loro poteri gli permettevano di sistemare anche i raccolti messi peggio o debellare con un tocco malattie che avrebbero portato alla morte piantagioni intere.

"Ma i dati..." mormorò Leon in direzione di Theodore.

"Lo so, è strano. Dobbiamo parlarne con la m—"

"Parlavate di me?"

La voce squillante di Esther salutò i tre dall'altro lato della porta. Non era minacciosa, eppure i due giovani indietreggiarono sotto allo sguardo divertito di Leon, l'unico dei tre rimasto al suo posto ancora con il cellulare in mano.

Poco dopo, la governatrice fece il suo ingresso in sala spalancando la porta con forza, tanto da far finire Theodore addosso a Niel. La tipica macchia color corteccia che le ricopriva la pelle quando utilizzava la sua abilità si ritrasse all'istante, lasciando al suo posto un colorito roseo. Esther Speraki era un vulcano fattosi donna, alta a malapena un metro e sessantacinque e con un casco di capelli scurissimi con le punte tutte sparate all'infuori. Indossava la sua esuberanza con classe, agghindandosi con collane e pendagli dai design eccentrici come i suoi lunghi abiti che richiamavano le foreste della regione.

"Cia-ciao, mamma..."

Gli occhi vispi e furbetti della governatrice si puntarono sul figlio ancora tra le braccia del fratello minore, agitandolo ancora di più. Theodore iniziò a sudare freddo: quando la madre lo guardava così significava guai.

"Mi hanno riferito che anche stavolta le tue fa—"

"Oh, si è fatto proprio tardi, avevo dimenticato di avere un appuntamento importantissimo!"

"Eh? E con chi?" domandò ingenuamente Niel lanciandogli uno sguardo incuriosito e bloccando così la sua fuga, il capo appena appena inclinato di lato come un gatto.

"C-con... ehm..." Theo si guardò freneticamente a destra e sinistra maledicendo il fratello, in cerca di una scusa sensata. Quella scenetta non fece che allargare il sorriso divertito del padre alle sue spalle e della madre accanto a lui, che lo fissava con le mani sui fianchi.

"Tesoro, non serve nascondercelo," continuò Esther imperterrita. "Sappiamo quanto ti adorino in città, non devi vergognartene."

"Ahah, ma di che parli? Non capisco proprio, sai..."

Lei ghignò, sadica, con gli occhi socchiusi e si avvicinò al figlio squadrandolo da capo a piedi. Nonostante fosse più bassina di lui di qualche centimetro, la donna incuteva comunque un certo timore. Era come se la sua sola presenza fosse sufficiente a riempire la stanza, se lo desiderava.

A quella vista Theodore tremò, ma si costrinse a reggere il suo sguardo.

"Ah, no? Quindi vuoi forse dirmi che questo segno di rossetto lo ha lasciato la tua fidanzata?"

"Eeh? Theo ha la ragazza!?"

"N-non ho nessuna ragazza, che diavolo dici! È stata una pazza per strada che—" si interruppe, tappandosi subito la bocca per evitare di aggiungere altro, ma ormai era troppo tardi. A quella reazione Esther ghignò soddisfatta: il colletto della camicia di Theo in realtà era intonso; eppure, lui si era fatto prendere dal panico e aveva creduto subito al suo bluff.

Cercando di non ridere troppo per non ferire i sentimenti del figlio, Leon si affiancò e posò con affetto una mano su una spalla della moglie. "Amore, sei stata un po' cattiva, però..."

"Dici? Ma non voleva proprio ammetterlo..."

"Oh, mamma, sei tremenda!"

"Scusate, non ho capito... ma, quindi, questa fidanzata esiste o no?"

"No!" dissero all'unisono Theodore ed Esther, il primo gridando e la seconda ridendo.

"Devi sapere, Niel, che tuo fratello è talmente apprezzato dalla gente..."

"Ti prego, non dirlo..." pigolò il ragazzo, rosso come un peperone, nascondendosi il viso con le mani.

"...Che ha addirittura un fan club pieno di ragazze che lo seguono dappertutto!" Il sorriso di Esther si allargò con orgoglio mentre i suoi occhi color smeraldo sembravano divorare il suo primogenito per intero, provocandogli un brivido. "Non tutte giovanissime, ora che ci penso..."

Theodore era così imbarazzato che in quel momento desiderò sparire, gli occhi che saettavano a destra e sinistra in cerca di una via di uscita da quella che gli sembrava essere più un'esecuzione che una innocua riunione di famiglia. Nel frattempo, i suoi genitori ridacchiavano, sempre più divertiti dalla sua reazione spropositata.

L'unico modo per scappare da lì, realizzò, si trovava proprio alle sue spalle. Girò i tacchi, incapace di replicare, e saettò fuori dalla sala grande per dirigersi di gran carriera nell'ampio giardino che la circondava.

Niel si sentì subito in colpa per aver involontariamente causato la fuga precipitosa del fratello. Si scambiò uno sguardo carico di apprensione con il padre, che gli fece un cenno di incoraggiamento col capo intuendo subito le sue intenzioni, e si affrettò a raggiungere Theodore.

"Dovremmo smetterla di prenderlo in giro, ci rimane proprio male tutte le volte..."

"Aah, hai ragione," ammise Esther asciugandosi una lacrimuccia per le troppe risate, "è più forte di me. Ma stasera mi farò perdonare, vedrai: di fronte a una bella fetta di torta alle fragole gli passerà tutto."

Quando Theodore non voleva farsi trovare, di solito si rifugiava nel suo posto speciale. Era forse un po' banale per un Forestale come lui cercare riparo in mezzo agli alberi, ma in pochi erano a conoscenza dell'esistenza di quel luogo tra le fronde: una sorta di guscio a forma di goccia fatto di tronchi intrecciati, cresciuti in modo tale da dar vita a quella che sembrava in tutto e per tutto una piccola casetta. Era stato lui stesso a crearla un poco alla volta sin da quando era bambino. Impratichirsi così era un modo divertente di acquisire dimestichezza con le sue abilità e, al contempo, violare un po' le regole che la sua posizione gli imponeva di rispettare.

Da piccolo gli piaceva raggiungere il suo covo arrampicandosi, ma con gli anni aveva perso l'agilità e l'incoscienza tipiche di quell'età. Temendo di cadere, ferirsi o sporcarsi i vestiti, Theo aveva inventato un nuovo metodo per salire lassù: gli bastava poggiare una mano su uno dei rami della pianta di fronte affinché questa si alzasse in modo spropositato, crescendo fino a raggiungere l'altezza giusta da permettergli di saltare dritto dritto nel cuore della sua casetta. Scendere era altrettanto facile scoperto il trucco, che ripeteva al contrario con lo stesso albero.

L'unico problema era che l'improvvisa crescita e la conseguente sparizione della pianta incriminata non passavano proprio inosservate all'occhio attento di suo fratello minore, che conosceva fin troppo bene le sue abilità e la sua abitudine a dileguarsi nel bosco attorno alla villa nei momenti no.

Niel raggiunse l'albero qualche minuto dopo Theodore, sicuro di trovarlo in cima rintanato nel suo forte. Posò la mano sul tronco con un sorriso rilassato, entrando in contatto con essa quasi all'istante: percepì la linfa vitale scorrerle dentro dalle radici alla punta delle fronde, il vento carezzarla, le foglie crescere, il sole scaldarla. Quella specie di trance era per lui un momento magico, che cancellava qualsiasi cosa al di fuori del piccolo mondo creato dai suoi poteri. In quel modo Niel diventava vita stessa, in un ciclo infinito di energia che fluiva senza sosta tra il suo corpo e l'albero.

"Lo so che sei là sotto, Niel..."

Le parole brusche di Theodore lo riscossero, facendolo riemergere dalla sua concentrazione come se fosse appena tornato a galla dopo un'immersione subacquea. "C-che... Oh, ciao, Theo!"

"Che vuoi?" sbuffò subito il maggiore, ancora nascosto tra i rami e invisibile agli occhi del giovane.

"È tutto ok? Sei scappato via..."

"Sì, tranquillo. È che non sopporto quando mamma fa così..."

"Così nel senso..."

"Nel senso che mi prende in giro! Lo sa benissimo c-che questa cosa delle r-ragazze, insomma, i-io..." si interruppe, consapevole di essere di nuovo diventato rosso al solo pensiero del nutrito gruppetto di fan che l'aveva assalito quella mattina a Lorod. "Argh! M-ma perché te ne sto parlando, poi!?"

Niel scoppiò a ridere, finendo però col peggiorare la situazione: Theodore si imbronciò ancora di più con uno sbuffo esasperato e l'albero tremò, scosso da un'ondata di energia proveniente proprio dall'Übermensch. Di colpo, i rami produssero gemme che sbocciarono in un battito di ciglia, ricoprendo la pianta di innumerevoli fiorellini gialli. Lo spettacolo fu così improvviso da stupire persino Niel, che fu costretto a fare un passo indietro per ammirare la fioritura in tutto il suo splendore. Sembrava quasi che, grazie al potere incontrollato di Theodore, l'albero avesse letteralmente fatto pop.

A quel pensiero Niel sghignazzò, cosa che non fece altro che innervosire il maggiore ancora abbarbicato nel suo covo ricoperto di fiori.

"C-cosa ridi!?"

Anche volendo, Niel non sarebbe riuscito a produrre parole di senso compiuto in mezzo alle risate che lo obbligavano a tenersi la pancia. Gli cedettero le gambe, costringendolo a piegarsi in due e a rotolare per terra in posizione fetale nel disperato tentativo di calmarsi. Non si accorse che Theodore era sceso usando i rami della pianta di fronte, ora ridotta a poco più di un arbusto, e lo fissava con aria truce.

Purtroppo, però, quella visione non fece che peggiorare la sua ridarella.

"La vuoi smettere!? Sei venuto qui solo per prendermi in giro!?"

Theodore si avvicinò furibondo al fratello minore, gettandosi su di lui come se volesse picchiarlo e i due finirono uno sopra l'altro a rotolarsi sull'erba. Nonostante fosse il più piccolo, Niel era più alto e ben piazzato di Theodore che, al confronto, sembrava uno scricciolo: mingherlino e ossuto, superava solo di pochi centimetri l'altezza della madre. Le somigliava molto come fisionomia, ma i colori che lo caratterizzavano li aveva presi dal padre; tutto il contrario di Niel che, con la crescita improvvisa dovuta alla pubertà, era il gigante buono della famiglia. A vederli uno accanto all'altro facevano sorridere per quella differenza così marcata che spesso faceva saltare i nervi di Theo, visto che la gente lo scambiava di continuo per il fratello minore a causa dell'altezza.

I due si rotolarono per un po' in quella specie di lotta, Theodore cercando di aggredire Niel e l'altro difendendosi come poteva. I suoi attacchi rabbiosi non riuscivano a penetrare le difese del minore, che si era circondato con le lunghe braccia e si dimenava a destra e a manca ridacchiando. La cosa non faceva che irritare ancora di più il ragazzo, che si sentiva preso in giro da quell'atteggiamento poco serio: che si stesse prendendo gioco di lui?

"Ba-basta, dai, Theo!" implorò Niel dopo un po' con le lacrime agli occhi, ritrovandosi senza volere al di sopra del maggiore. Non si era accorto che lo stava già bloccando col suo peso, le mani strette attorno ai polsi per impedirgli di tirargli un pugno. Nonostante Theodore continuasse a dimenarsi gli era impossibile sfuggire a quella prigione e questa consapevolezza lo fece arrabbiare ancora di più, le labbra premute e tirate in una smorfia di fastidio.

"Basta un corno! Sei tu che sei venuto a cercarmi per infastidirmi, che diavolo vuoi!?"

"Eh? Infastidirti?" Niel lo guardò senza capire, allentando per un istante la presa su di lui. Questo garantì a Theodore una via di fuga da quella morsa: si dimenò ancora, riuscendo a liberarsi i polsi che guizzarono via come anguille e con un colpo di reni buttò a terra il fratello. Non perse tempo con lui, sfruttando invece quell'apertura per sgattaiolare via e raggiungere di nuovo la protezione del suo albero. L'idea era di salirci sopra e tornare nel suo covo al sicuro ma, non appena sfiorò il tronco con i polpastrelli, l'ondata di energia causata dalle sue emozioni alterate fece cadere tutti i petali in un colpo solo come una doccia colorata. Niel scoppiò a ridere di nuovo mentre i fiori si tramutavano in succosi frutti color porpora che crescevano a vista d'occhio, raggiungendo la dimensione di una palla da tennis in pochi istanti.

"L-l'hai fatto di nuovo!" riuscì a dire Niel tenendosi la pancia. "Po-povero albero...!"

"Oh, e dai, smettila!" lo riprese Theodore venendogli in contro, stavolta più rilassato di prima. Non voleva ammettere che quell'ultima scena aveva strappato un sorrisetto anche a lui, soprattutto per via della reazione del fratellino. A volte si faceva prendere un po' troppo dalla rabbia e non ragionava più ma, conoscendo Niel, era ovvio che non fosse venuto lì per prenderlo in giro o dargli fastidio. Tutt'altro: tonto com'era, era più probabile che l'avesse raggiunto solo per scoprire se la questione della fidanzata era vera o no, anche se gli avevano già ribadito come stavano le cose.

Quando lo raggiunse, Theodore si mise le mani sui fianchi e squadrò Niel dall'alto in basso, nella tipica posa che caratterizzava anche sua madre. "Allora, la vuoi smettere di ridere e dirmi finalmente che accidenti vuoi? Guarda che se sei venuto a chiedermi ancora una volta se ho la ragazza..."

"N-no, no! Io..." Niel esitò, abbassando lo sguardo sul terreno morbido che profumava di rugiada. "Ero venuto per sapere come stavi. A parte tutto, mi sei sembrato... scosso, quando sei tornato a casa. Era tutto ok in città?"

Theodore tacque per un istante, indeciso su come affrontare l'argomento col fratello. La visita ai campi coltivati di quella mattina gli aveva lasciato l'amaro in bocca e, nonostante sapesse di dover coinvolgere Niel per salvare i raccolti, faticava a trovare le parole adatte per spiegargli la gravità della situazione.

I loro poteri erano perfetti per assicurarsi che le piantagioni non morissero e che la produzione alimentare procedesse come da programma ma, sebbene il loro intervento venisse richiesto sempre più spesso negli ultimi anni, Theodore e Niel sentivano di non fare abbastanza. I Forestali impiegati nella gestione dei settori agricoli di Lorod erano numerosi, eppure non era sufficiente. A quel pensiero l'immagine del desolante campo di husen afflitto da una piaga ignota gli tornò alla mente con prepotenza, costringendolo ad abbassare lo sguardo.

"Rischiamo di perdere il raccolto del settore due," rivelò infine. "Ancora non si sa cosa sia successo, ma... le piante erano in condizioni pessime."

Il volto dell'adolescente si scurì. "Portami con te, domani. Se è una malattia, la eliminerò."

Il maggiore annuì ma, prima che potesse girare i tacchi e concludere il discorso, Niel lo fermò tirandolo per un lembo del pantalone. Aveva l'aria preoccupata. "Non possiamo continuare così, Theo. Non dovrebbe ricadere tutto solo sulle nostre spalle..."

"So cosa vuoi dire," convenne l'altro con un sospiro, accucciandosi sui talloni per osservare il viso del fratello, ancora per terra, da un'altezza più comoda. Anche così si capiva la differenza nella loro fisionomia, ma Theodore emanava chiaramente un'aura più rassicurante che faceva intendere fosse lui il primogenito. "Però, che cosa potremmo fare se non questo, Niel? Sai bene anche tu che mamma non ci farebbe mai uscire da Nìgea."

"Non c'è un altro modo? Ho sentito... ho sentito che a Helias non cresce più nulla da anni, ormai. Se la desertificazione arrivasse anche qui—"

"Credo si tratti più di un quando che di un se," ammise Theodore a bassa voce. "Anche a Nìgea le coltivazioni hanno problemi... insomma, pensa al settore due. Ma sembra che a mamma importi solo di fare soldi."

Theodore amava rendersi utile mettendo i suoi poteri al servizio del popolo. Sebbene nessuno gliel'avesse chiesto né gli fosse necessario cercarsi un mestiere, il ragazzo aveva deciso di rendere quell'attività un lavoro vero e proprio. Era diventato in fretta l'idolo della città a causa di questa scelta: con il suo intervento, Lorod aveva aumentato la sua efficienza e i volumi di provviste esportati verso le altre regioni si erano duplicati, rendendola ancora più ricca di prima.

All'inizio si era dedicato a quella vocazione con orgoglio, pensando di poter essere l'ago della bilancia che avrebbe cambiato le cose. Sebbene fossero numerosi i Forestali impiegati nei campi di tutta la regione, indispensabili per contrastare l'effetto dei raggi ultravioletti che distruggevano i raccolti o bloccare sul nascere malattie e parassiti, erano i membri del casato Speraki a detenere i poteri più forti e utili. Con le sue abilità Theodore riusciva a velocizzare la crescita delle piante e Niel, che negli ultimi tempi veniva coinvolto sempre più spesso nei suoi sopralluoghi ai settori agricoli, riusciva a risanarle con un solo tocco.

Poi, però, aveva capito di essere un ingenuo.

Il casato Speraki era famoso in tutta Celios, fondando la sua importanza sui tradizionali poteri di Forestali tramandati per generazioni. Era solo grazie a essi se Nìgea era rimasta lussureggiante come un tempo, unico luogo dell'isola che ancora pareva immune agli effetti del cambiamento climatico. Ma, se le abilità dei Forestali erano così utili, perché non usarle per salvare l'isola invece di limitarsi a Nìgea?

La verità l'aveva compresa tempo dopo, quando aveva realizzato che il suo casato lucrava sulla fame della gente. Se i Forestali fossero rimasti all'interno della regione, gli altri stati avrebbero dovuto per forza di cose comprare il cibo da loro pur di sopravvivere, con il risultato di rendere Nìgea ancora più ricca e importante di quanto già non fosse.

"E l'aria non migliora," continuò Niel raccogliendosi le gambe contro il petto. Pur essendo alto, così raggomitolato era evidente la sua giovane età. "Non senza alberi..."

"Il fatto è che ognuno pensa per sé. Siamo uniti solo nel nome, ma non possiamo affrontare l'emergenza climatica così. Dobbiamo lavorare tutti assieme."

"Io... io credo che possiamo fare di più, Theo. Come Forestali e... come Speraki."

Il maggiore sospirò, esausto, e si alzò. Avevano già avuto quel discorso diverse volte: Niel era convinto che fosse una buona idea mettersi in viaggio per Celios a far crescere piante dappertutto, ma non aveva fatto i conti né con la politica né con la guerra. I due eredi del casato Speraki non avrebbero mai potuto lasciare la regione senza destare sospetti e i rischi che girovagare per l'isola in tempi turbolenti come quelli comportava non erano da sottovalutare. Senza contare la questione economica: perché perdere parte del profitto di Nìgea regalandolo agli altri stati? Nessuno sarebbe mai stato d'accordo con quella proposta.

"Lo sai che questo tuo sogno è un'assurdità."

Niel corrugò le sopracciglia, prima stupito e poi arrabbiato. Le sue emozioni gli mutarono ripetutamente l'espressione, facendo sbuffare Theodore con affetto: era facile capire cosa gli frullasse in testa semplicemente guardandolo.

"Solo perché non mi stai aiutando a trasformarlo in una strategia vincente," replicò il sedicenne, mettendo il broncio e incrociando le gambe con aria offesa. "Non ne abbiamo mai parlato con la mamma. Magari a lei invece l'idea piace!"

Theodore scosse il capo, scettico, ma decise di dargli un'opportunità. Anche lui detestava l'idea di essere impotente e, forse, dopo quel giorno aveva in mano più carte da giocare per convincere la madre di quanto pensasse.

"Va bene, va bene," cedette infine allungando una mano verso il fratello per aiutarlo ad alzarsi. "Gliene parleremo stasera. D'accordo?"

Niel, rincuorato, annuì con vigore prima di accettare il suo aiuto e tirarsi su.

"D'accordo."

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