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39. alcool

TIRVAJ, SIYAH - 5 MAGGIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Il Dramatic Bat era uno dei suoi pub preferiti. Da fuori non era altro che un'insegna olografica viola e gialla mezza rotta, che invitava la gente a entrare in quella che aveva tutta l'aria di essere la casa privata di qualcuno. Adesivi colorati realizzati dai clienti affezionati tappezzavano il portone rosso ricoprendolo come una seconda pelle e scritte che parevano graffi in varia grafia decoravano le pareti bianco-azzurre del piccolo edificio stretto e lungo. Un vero pugno nell'occhio per la tranquilla Tirvaj.

Se di giorno pareva quasi un luogo abbandonato, di notte il locale dava il meglio di sé. Reniji immaginava che avessero speso una fortuna per permettersi quel trucchetto, ma ne valeva davvero la pena: le scritte sulle pareti al buio si accendevano di colori pop, ologrammi che serpeggiavano sui muri al ritmo della musica che proveniva dall'interno, invitando i clienti a entrare come fosse il canto di una ammaliante sirena.

Il pub, in realtà, era sotterraneo. Scendendo la scalinata multicolore, i cui gradini si accendevano in modo diverso a ogni pressione, si raggiungeva la grande sala a pianta rettangolare che era il cuore del locale. Il Dramatic Bat era un'accozzaglia di epoche formato bar: alcuni tavoli erano sospesi da meccanismi di levitazione ad aria, altri erano in legno invecchiato, altri addirittura erano stati scavati nella roccia probabilmente da qualche bravo artista Geomante. L'atmosfera 'terrestre' era palpabile ovunque ci si girasse, a partire dalle poltroncine in pelle blu e gialle piene di tagli, risalenti forse all'epoca dei coloni, fino ai più semplici sgabelli alti posti attorno al lungo bancone di brillante plastica bianca.

La musica dai toni graffianti e bassi rimbombava tanto nel locale quanto nella cassa toracica dei clienti, che potevano dotarsi di speciali dispositivi da inserire nelle orecchie per poter condurre una conversazione normale nonostante il volume. Reniji e Vanessa se ne erano procurati subito un paio a testa: piccoli ovuli bianchi che, una volta indossati, smorzavano il rumore di fondo rendendolo nient'altro che un piacevole suono per accompagnare la serata. A seconda del livello di riduzione deciso dall'utente era possibile sia lasciarsi trasportare dalla musica sia ridurla completamente a zero, senza disturbare in alcun modo gli altri.

Forse era perché si trovavano al chiuso, o forse grazie all'aria un po' marina che caratterizzava Siyah, fatto stava che pochissime delle persone lì presenti indossavano respiratori. Le poche che lo facevano avevano dei modelli molto sottili che Vanessa non aveva mai visto: gli alloggiamenti per i filtri erano poco sporgenti e i colori che ne caratterizzavano il design erano come pugni negli occhi, fluo e saturatissimi. Lei e Reniji ne avevano portati due piuttosto anonimi al solo scopo di amalgamarsi ai comuni umani e nascondere le loro identità. All'interno, però, si erano presto accorti che potevano farne a meno: nessuno prestava loro attenzione, troppo impegnati a bere, ballare e divertirsi per far caso a due superumani famosi seduti in un angolino buio.

"Senti un po', bionda, non è che dovresti fermarti?" la ammonì Reniji indicando con un cenno del capo il drink tra le sue mani.

"Eh? Perché dovrei?"

"Ah, non lo so," replicò lui roteando gli occhi al cielo con uno sbuffo divertito, "forse perché sei all'ottavo cocktail e ondeggi in modo strano?"

Per tutta risposta Vanessa rise sguaiatamente e per poco non ruppe il grande bicchiere squadrato nel posarlo sul tavolo con un po' troppa veemenza. Reniji tirò un sospiro di sollievo nel vederlo ancora intatto, sospiro che aveva riservato a tutti e sette i precedenti: considerando che pagava lui, voleva almeno assicurarsi che non gli toccasse saldare anche i danni al locale.

Erano lì da almeno due ore secondo i suoi calcoli e la serata stava filando abbastanza liscia. La ragazza era esuberante come al solito, forse anche troppo: guardava ogni dettaglio come se fosse una bambina in un parco giochi, gli occhi grandi e il sorriso sulla faccia. Anche sulla scelta delle bevande non si era trattenuta, all'inizio seguendo timidamente le raccomandazioni di Reniji per poi passare a puntare il dito a caso sul menù per decidere il prossimo giro.

Non che lui le fosse da meno, comunque, come indicava la pila di bicchieri dal suo lato del tavolo. Tuttavia, l'esperienza gli aveva insegnato ad accompagnare l'alcool col cibo: aveva da poco finito di mangiare un bel panino farcito e ora sgranocchiava delle chips verdognole e leggermente piccanti.

"Non è vero, sto benissimo," replicò lei, allungando esageratamente la 'e' e biascicando. "Guarda, so fare anche questo!"

Vanessa prese il cocktail mezzo pieno prima che Reniji potesse fermarla, piazzandoselo con attenzione in testa a mo' di cappello. Al soldato quasi venne un infarto a vedere quella scena: per quanto la ragazza stesse facendo appello a tutta la sua concentrazione per mantenerlo in equilibrio, era inevitabile che sarebbe caduto in un tripudio di vetro e alcool. Una scena alla quale il moro non aveva alcuna voglia di assistere.

"Sì, decisamente, sei ubriaca!"

Si slanciò verso di lei, rubandole la bevanda dalla testa un attimo prima che scivolasse per davvero. La Rayon non parve scontenta della cosa, esplodendo invece ancora una volta in una delle sue risate esageratamente rumorose. Reniji avrebbe voluto guardarla male, ma vederla così euforica, anche se era merito dell'alcool, gli faceva venire voglia di ridere con lei, senza pensieri ad affollargli la testa.

"Ti dico di no!"

L'uomo sbuffò divertito. Vanessa faceva sempre così: vestiva il ruolo della ragazza tosta per nascondere le sue insicurezze, finendo col cacciarsi nei guai solo perché voleva giocare a fare l'adulta quando non lo era affatto.

"Dovevi andarci piano, te l'avevo detto... ma non ascolti mai, eh, mocciosa?"

Il siyahno bevve un lungo sorso dal cocktail azzurro elettrico che le aveva appena rubato. Il sapore aspro degli agrumi lo colpì subito, seguito da una punta speziata che gli solleticò le papille gustative. La leggera patina di sale e zucchero che ricopriva la superficie del bicchiere conferiva alla bevanda un piacevole retrogusto e l'uomo si ritrovò a pensare che, in fondo, la ragazza aveva scelto bene.

"Invece di fare la dura potevi dirmi la verità, sai?"

In effetti, anche se non riusciva a evitare di sentirsi in colpa, il soldato non poteva immaginare che Vanessa fosse così inesperta con gli alcolici. Di fronte alla sua totale sicurezza quando l'aveva invitato si era convinto che avesse avuto quantomeno qualche altra esperienza ma, a quanto pareva, doveva essere la sua prima volta.

La Rayon, stranamente, non si lamentò subito per quel sorso rubato, gli occhi velati dal tipico intontimento da sbronza. Anche i suoi riflessi dovevano essersi addormentati, visto che sembrò reagire in ritardo sia alla sua battuta che al suo piccolo furto.

"Ehi! Rida-ridammelo! L'ho scelto io, quello... Tu beviti il tuo stupido..." Abbassò lo sguardo sul bicchiere di Reniji, quasi vuoto, nel quale un liquido giallo scuro con dei pezzi di frutta ghiacciata riposava ancora. Ghignò a quella vista, socchiudendo gli occhi per prenderlo in giro. "Cocktail alla frutta!"

"Questo cocktail alla frutta non solo è molto buono," la riprese lui scherzosamente con uno dei suoi soliti mezzi sorrisi, "ma è anche utile a non perdere del tutto la testa come te."

"Piantala, sto benissimo!" sbottò Vanessa, esagerando nel pronunciare l'ultima parola e costringendosi a distogliere lo sguardo da lui, che stava di nuovo bevendo il suo drink tra una risatina e l'altra. Mise il broncio, cercando di poggiare le braccia sul tavolo con evidente difficoltà: continuava sbagliare mira, scivolando col gomito e rischiando di sbattere la faccia sul ripiano. Dopo quattro tentativi falliti, decise di rinunciare come nulla fosse. Quello spettacolo ridicolo per poco non costrinse il siyahno a sputare tutta la bevanda dal naso.

"Pfft!"

"Che-che hai da ridere?!"

Per tutta risposta lui continuò a sghignazzare, irritando ancora di più la ragazza che lo scosse con un piede. A quella vista era arrossita, consapevole di aver appena fatto una figura ridicola per la seconda volta quella sera.

"Fi-finiscila, dai!"

La Rayon appallottolò un tovagliolino e glielo lanciò in faccia, decisa a farlo smettere di deriderla. Com'era prevedibile, lo mancò di parecchio: la pallottola bagnaticcia volò per pochi centimetri prima di cadere in modo patetico nel bicchiere di Vanessa. Stavolta, quella scena fece scoppiare a ridere anche lei.

Alla fine, forse avevano davvero esagerato. La serata era continuata tra uno scherzo e l'altro, culminando alle due di notte con l'esibizione dal vivo di un gruppo hyper-jazz sconosciuto a entrambi. Si erano goduti la musica per la successiva ora, sorseggiando con meno foga i loro ultimi cocktail e scambiandosi semplicemente pareri sui suoni artificiali che li avvolgevano.

Reniji sapeva bene che verso le quattro di mattina il Dramatic Bat si trasformava in un deserto, abitato solo dai clienti più bisognosi di affogare i loro problemi nei colorati drink del suo menù. Siccome non aveva la minima intenzione di mostrare quel lato della vita notturna alla Rayon, prese l'iniziativa e la costrinse a uscire dal locale allo scoccare delle due.

Solo grazie a una bella passeggiata per le vie della città avevano iniziato a riprendersi dalla sbronza che minacciava di farli stare male, sebbene camminassero un po' storti e la sensazione di alcolica leggerezza non aveva smesso di accompagnarli. Il tipico odore pungente che proveniva dal vicino Lago Arena era piacevole a quell'ora tarda, mentre il silenzio abbracciava il panorama della città dalle case bianche e blu.

Si lasciarono cadere sghignazzando come due sacchi di patate in una aiuola esagonale dalla quale emergeva un albero dal tronco sottile. Tirvaj era molto diversa da Kaha, dove era cresciuto Reniji: sorgeva nell'entroterra e profumava di lago e di bosco insieme, mentre nella capitale l'odore principale era di pesce misto a sale. Le strade dal ciottolato avorio erano punteggiate di spazi naturali come quello dove si erano seduti, piccole aree fresche che garantivano un po' di ristoro agli abitanti.

Un totem di roccia bianca alto circa un metro sorgeva appena fuori dal perimetro dell'isola verde, squadrato e senza particolari indizi che ne suggerissero la natura. Vanessa lo fissò intensamente come se potesse farlo esplodere con il pensiero. Quello spettacolo scatenò una nuova risata del siyahno accanto a lei, che si era subito tolto la maschera una volta certo che non c'era nessuno nei paraggi.

"Cosa mai ti avrà fatto quella povera fontanella?"

"Che?! È una fontanella!?"

L'uomo si alzò, ondeggiando sulle gambe malferme un paio di volte e maledicendosi sottovoce per essersi mosso così velocemente. Fece un passo verso la costruzione, per poi ricordarsi di voltarsi verso Vanessa e porgerle la mano. "Dai, vieni, ti faccio vedere."

Lei non si fece pregare, usando il suo braccio come una fune per tirarsi in piedi, con l'unico risultato che entrambi si ritrovarono a muoversi incerti l'una addosso all'altro come in un ballo un po' ridicolo. Quando infine ritrovarono stabilità, i due si avvicinarono al totem. Vanessa gli girò intorno esaminandolo con attenzione sotto lo sguardo divertito di Reniji.

"Ma come cavolo si attiva!?" sbraitò alla fine, stufa di cercare un congegno a lei invisibile. Il soldato si avvicinò e passò rapidamente la mano sulla superficie a base quadrata alla sua sommità, attivando un sensore di movimento nascosto. Quello che si scoprì essere una sorta di coperchio a scomparsa si aprì scivolando all'indietro, rivelando un piccolo rubinetto dal quale zampillò acqua fresca per qualche attimo.

Vanessa rimase a bocca aperta. Indicò il dispositivo con gli occhi grandi e colmi di meraviglia, come se avesse appena visto una cosa incredibile. "Que-questa roba non c'è, a Hileim!"

Tutta contenta, si tolse in fretta e furia il respiratore che le proteggeva naso e bocca e si avvicinò di nuovo per provare ad attivarla da sola. Passò la mano sulla cima del totem come aveva fatto lui e, quando il coperchio si scostò, si piegò per bere.

Reniji si scoprì affascinato dal profilo del suo collo sudaticcio, sul quale erano appiccicate diverse ciocche di capelli biondi. Si perse in quelle onde dorate e selvagge che le ricadevano addosso fino a metà schiena, ciuffi più corti e disordinati a incorniciarle il viso affilato. Notò solo in quel momento un paio di anellini argentati sulla sommità del suo orecchio sinistro e si accigliò: non ricordava di aver mai notato quei piercing prima del suo ingresso in Accademia. Quando li aveva fatti?

Infastidito da quella scoperta si costrinse a distogliere lo sguardo, finendo per concentrarsi sulle sue gambe. Gli vennero subito in mente i loro allenamenti quotidiani: Vanessa adorava menargli violenti calci di ogni tipo e lui stesso aveva affinato la sua abilità nel pararli. L'aveva afferrata per quelle stesse cosce tantissime volte, facendola volare via come se non avesse peso e ricevendo in cambio una miriade di improperi e insulti. Il pensiero lo fece sbuffare divertito, realizzando quanto quei momenti di normalità gli sarebbero mancati una volta al Comando.

L'addestrava da quando aveva solo quindici anni. Di fronte a lui non c'era più una ragazzina indisciplinata, bensì una giovane donna che aveva imboccato il suo stesso percorso distruttivo. Da un lato si sentiva orgoglioso per averla condotta fino a quel punto, dall'altro l'idea che potesse mettersi in pericolo lo tormentava.

Se un tempo l'avrebbe considerata solo una bambina, però, adesso non era più sicuro di pensarla allo stesso modo. Quelle spalle ossute gli facevano venire voglia di cingerle, quelle mani smaltate di nero di accarezzarle e quel sedere sodo gli faceva venire una gran voglia di—

"Tu non hai sete?"

Reniji si riscosse di colpo, benedicendo la sua carnagione abbronzata e l'ora tarda che nascondevano alla perfezione l'evidente rossore che doveva essergli fiorito in faccia.

Cazzo. Datti una svegliata...

Non era la prima volta che faceva quei pensieri sulla sua allieva negli ultimi mesi, ma non gli era mai successo con lei presente. Per fortuna erano da soli: era piuttosto sicuro che il suo sguardo piantato sul culo di Vanessa non sarebbe passato inosservato, altrimenti.

"Ren? Oi, stai dormendo?"

Vanessa gli si era avvicinata e lui nemmeno se n'era accorto. Si era mossa velocissima o era lui a essersi distratto? Sbatté le palpebre un paio di volte, passandosi una mano tra i capelli per tornare presente a se stesso.

"Quasi. Tutta colpa di qualcuno... quanto cavolo ci hai messo?"

Le rivolse un sorriso di scherno, affrettandosi a superarla per raggiungere la fontanella e bere a sua volta. Il fresco sapore dell'acqua fu un toccasana per la sua gola secca e per la sua pelle resa bollente dall'alcool e dall'imbarazzo insieme, così bevve avidamente finché il getto non finì e il coperchio non si richiuse.

Si pulì il viso con il dorso della mano, incrociando lo sguardo divertito di Vanessa che lo fissava a braccia incrociate. "Che c'è?" le chiese, ricambiando di riflesso il ghigno che lei gli stava rivolgendo.

"A parte che sei un dinosauro, niente. L'alcool ti ha reso lento?"

"Forse... ma di sicuro ha reso te più fastidiosa del solito!"

Sempre ondeggiando, la bionda si voltò con una risata e tornò sui suoi passi, sedendosi di nuovo con un tonfo sull'erba bagnaticcia dell'aiuola. Reniji tirò fuori dalla tasca dei jeans il suo telefono, accendendolo con un semplice tap. La sua impronta digitale risvegliò il pezzo di vetro, che si illuminò di scritte colorate di azzurro, nero e rosso. L'orologio elettronico segnava le tre e mezza di notte: non così tardi, in fondo, ma nemmeno prestissimo considerando che la sbornia doveva ancora passargli prima di potersi rimettere alla guida.

Grugnendo il suo disappunto, raggiunse Vanessa e si lasciò cadere accanto a lei, stendendosi con le braccia dietro la testa. Anche se aveva chiuso gli occhi per costringersi a non guardarla in modo ossessivo, il resto dei suoi sensi erano purtroppo esageratamente vigili e attenti a ogni singolo movimento della ragazza. La udì rovistare tra i vestiti, dai quali estrasse quello che riconobbe essere un accendino elettrico a giudicare dal lieve ronzio che fece quando lo accese. Il profumo del tabacco gli pizzicò le narici un istante dopo, le orecchie piene dei suoi respiri mentre aspirava avida la sua dose di nicotina quotidiana.

Quasi non credette a se stesso quando si ritrovò a desiderare di essere quella sigaretta.

Ma che cazzo c'ho stasera? Manco avessi sedici anni...

Per fortuna, i suoi pensieri decisamente poco casti vennero interrotti dalla Rayon, che si schiarì la gola dopo qualche attimo di piacevole silenzio. Reniji sospirò, aprendo gli occhi e puntandoli sulla luna alta nel cielo e mezza nascosta dalle fronde dell'albero. Quello doveva essere il momento serio della serata, la parte difficile. La parte delle spiegazioni e degli addii.

"Stai per chiedermi della partenza, vero?" disse prendendola in contropiede. Non la stava guardando. Non voleva farlo. Era certo che se si fosse soffermato su quelle iridi rosse non avrebbe trovato il coraggio di comportarsi da adulto.

"Già."

Vanessa sbuffò e gli porse la sigaretta fumata a metà. Era un gesto gentile da parte sua e Reniji non poté evitare di chiedersi se avesse preso anche quello da lui o stesse improvvisando.

"Sii sincero. Tuo fratello ha detto che potrebbe essere l'ultima volta che ti vedo, quindi... immagino si tratti di una missione pericolosa. Davvero non tornerai più?"

Il siyahno sorrise, accettando la sigaretta e infilandosela tra le labbra. "Beh, Ryukai è... particolare, diciamo così, perciò forse ha usato parole un po' forti."

Aspirò avidamente prima di soffiare in alto il fumo grigio e denso. Rimasero in silenzio così per un po', lui pensando bene a cosa dirle e lei a tormentarsi le mani una con l'altra, preoccupata per la risposta. Senza nemmeno accorgersene, Reniji finì la sigaretta. La spense contro la suola della scarpa prima di gettarla con un tiro preciso nella grata accanto alla fontanella davanti a loro.

"Quindi non è vero?"

"Non voglio mentirti, Ness, il rischio c'è," ammise con un sospiro. Quando si voltò verso di lei la trovò seria e attenta come non l'aveva mai vista, ennesimo segnale che la ragazzina irascibile e istintiva aveva lasciato il posto a una giovane donna capace anche di affrontare discorsi di quel calibro. "Ma io sono una roccia, lo sai. Tornerò prima che tu possa accorgerti che sono partito, vedrai."

Erano seduti uno accanto all'altra, entrambi con le ginocchia rannicchiate vicino al petto, così la Rayon sfruttò quella vicinanza per dargli un colpetto amichevole con la spalla. "Però stai attento a non crepare davvero, ok?"

"Che modo terribile per dirmi che ti mancherò..."

Reniji sbuffò, prendendola in giro e strappandole un sorriso che distrusse l'espressione tesa che aveva indossato fino a quel momento. La preferiva così: la spensieratezza le donava.

Quando si mosse verso di lei, piegandosi con il busto con l'intento di affondare nel suo viso, quasi non si riconobbe. Si fermò in tempo, prima che quel gesto impulsivo si spingesse troppo in là per poter essere fermato senza conseguenze imbarazzanti. La mano che avrebbe voluto accarezzarle una guancia venne dirottata sul suo capo, sul quale diede un paio di colpetti affettuosi. Era un gesto che era solito fare quando Vanessa era più piccola, un po' per lodarla e un po' per prenderla in giro. In quel frangente, però, gli sembrò diverso dal solito: in fondo, lei non era più né una bambina né la sua allieva.

Si costrinse a non soffermarsi sulle sue labbra, spostando lo sguardo verso il cielo mentre lei ridacchiava. Era più semplice così, senza guardarsi: potevano entrambi fingere che quello non era un addio, che non era nulla di definitivo. Che fosse tutto un sogno, magari.

"È ovvio che mi mancherai... Con chi altro potrò allenarmi mentre non ci sei, scusa!?"

"Beh, mio fratello è abbastanza coriaceo, puoi provare con lui."

Vanessa rabbrividì ricordando gli avvenimenti di quella mattina. "Ugh. Col direttore? Figurati, è stato già abbastanza strano l'incontro di oggi in corridoio... non credo proprio di volerci avere a che fare tanto presto!"

Il siyahno esplose in una risata fragorosa pensando a Ryukai: se l'avesse sentita ci sarebbe rimasto malissimo. Per anni aveva fatto di tutto per non diventare come lui, ma alla fine la mela non era caduta lontana dall'albero. Anche Ryukai e le sue frecciatine fin troppo azzeccate gli sarebbero mancati, realizzò, chiedendosi se non stesse facendo pensieri un po' troppo sentimentali. Gli stava venendo la sbornia triste?

Rimasero in silenzio qualche attimo, sufficiente a lei per immagazzinare la notizia della sua partenza e a lui per farsi prendere dal panico. L'aveva convinta? L'aveva calmata? Vanessa gli aveva detto che le sarebbe mancato, ma intendeva come amico, niente di più. Come poteva essere altrimenti? Era stato il suo maestro per anni, niente di più e niente di meno. Il solo fatto che lui la vedesse in un altro senso era di per sé strano e sperare che lei ricambiasse il sentimento era addirittura patetico.

"Comunque non è niente di preoccupante... non devo andare in prima linea," riprese lui. Non sapendo come comportarsi aveva deciso d'istinto di continuare a parlare, suonando però poco convincente. "L'Alleanza è in difficoltà ultimamente, lo sai, no? La linea del fronte non avanza né retrocede e nel frattempo l'esercito è scontento. Tutti si stanno chiedendo se gli zekiani non ci stiano tendendo una trappola... perciò serve qualcuno che dia manforte al Comando, che metta giù qualche strategia efficace e—"

"Certo, e io sono nata ieri," lo attaccò Vanessa lanciandogli un'occhiataccia che avrebbe potuto fulminarlo sul posto. "Sei un cazzo di Übermensch con la pelle indistruttibile, Ren. Se fosse come dici, non avrebbero bisogno proprio di te."

Stupito, il soldato rimase senza parole per un istante e il suo silenzio fu sufficiente a confermare i dubbi della Rayon.

"Sul serio, fai cagare a inventarti balle. Non pretendo che tu mi dica i dettagli, capisco che è una questione riservata... ma almeno questo voglio saperlo: stai andando a rischiare la vita, non è vero?"

"Cambierebbe qualcosa se ti dicessi di sì?" sospirò, sconfitto. "Ci andrò comunque, che tu lo sappia o meno."

Aveva detto quelle parole con gentilezza, ma a quella risposta Vanessa si alzò di colpo. Infuriata, si avviò a passi pesanti e ondeggianti lungo la stradina che rientrava verso il centro della città dove avevano parcheggiato la moto.

"Grazie tante per avermi ricordato il mio posto, Reniji," gli disse, facendo finta di non essersi appena mezza schiantata contro la fontanella. "Non vale davvero la pena informami di certe cose, dato che sono solo una cadetta, giusto?"

"Cosa... oh, e dai, Ness!"

Si alzò anche lui, correndole dietro e bloccandola per un braccio senza fatica. La bionda lo strattonò un paio di volte senza riuscire a liberarsene, per poi voltarsi a guardarlo in cagnesco. Lo squadrò per un attimo, studiandolo come le aveva insegnato: stava cercando di capire dove colpire per evadere dalla sua stretta.

"Non era quello che volevo dire, non fare la stupida," la sgridò, il tono basso e preoccupato ma deciso. "È solo... è solo che questa cosa è più grande di noi, di me e di te messi insieme. Ti sei iscritta in Accademia, dovresti capire cosa significa fare il nostro dovere meglio di chiunque altro!"

Il soldato sospirò, abbassando lo sguardo e rafforzando la sua presa. Anche se Vanessa gli dava la schiena, il suo tremore tradiva i sentimenti che non poteva leggerle in volto. "Sì, devo andare al fronte a rischiare la vita, è vero... per difendere anche te. È il compito di un militare, Ness!"

Quelle parole colpirono la bionda come un cazzotto. Come membro del casato Rayon era investita di responsabilità e doveri ai quali prima o poi avrebbe dovuto rispondere e proprio per questo aveva scelto di scappare. Consapevole dei rischi, aveva scelto di diventare un soldato pur di avere l'opportunità di decidere da sola del proprio destino, ma forse le cose non erano esattamente come pensava. Conosceva bene il significato di quella parola che odiava con ogni fibra del suo corpo, la stessa parola dalla quale voleva nascondersi e con cui il suo gemello giustificava le sue scelte assurde, come sposare quella strega del metallo o sprecare tutta la sua vita per un ruolo che gli era stato negato all'ultimo momento.

"Non osare parlarmi di dovere!" Si voltò di scatto, i capelli tutt'attorno come una criniera. "Ve ne riempite tutti la bocca come se fosse una cosa bella, una cosa di cui vantarsi. Invece è solo una cazzo di prigione nella quale siete ben contenti di rinchiudervi!"

Lo strattonò verso di sé, cercando di costringerlo a lasciarla andare. Lui, però, non cedette alla sua forza e continuò a serrarle il polso.

"Non mi devi scuse né bugie, ma almeno la verità da te me l'aspettavo. Credevi che ti avrei fermato? Pensi che sia così ingenua da non comprendere che siamo in guerra e che sei un fottuto generale, Reniji? Conosco il mio posto e conosco il tuo, cazzo!"

"Non era questo che—"

"Allora cosa?" sibilò minacciosa. "Il tuo fottuto dovere ti impediva di dirmi che stai per partire per una missione pericolosa? Di salutarmi? Se non fosse stato per tuo fratello non ne avrei saputo niente. Pensi che mi sarebbe stato bene così? Pensi davvero che sarei stata contenta di vederti sparire dalla mia vita, che non me ne sarebbe fregato nulla se fossi mo—"

Stavolta, Reniji non la fece finire e la tirò a sé, stringendola forte tra le braccia scure. Non gli importava che potessero vederli né delle sue proteste e persino l'idea che quel gesto stesse superando i limiti imposti dal loro rapporto era passata in secondo piano.

"Non morirò, Ness."

Sapeva che i capricci della Rayon erano un modo goffo per dirgli quanto ci teneva a lui. Le grida, i tentativi di sfuggire alla sua presa e persino la sua furia erano il riflesso della sua fragilità. Vanessa era sempre stata un groviglio di emozioni difficili da tirare fuori e interpretare e, se in un primo momento era stato difficile per lui comprenderla e abituarsi a quel modo di fare, dopo tutti quegli anni assieme aveva imparato a vedere oltre la superficie. Incapace di esprimersi in modo diverso, lei litigava con le persone a cui voleva bene. Forse aveva ragione a dargli del vecchio, perché l'esperienza era ciò che gli aveva dato modo di studiarla, capirla e infine innamorarsene. Ma questo era un altro discorso.

"Te lo prometto. Non ti lascerò da sola, ok? Fidati..." Ridacchiò, facendo rimbombare quel suono contro il corpicino della bionda che teneva stretta a sé. "Se non mi hai ammazzato tu con i tuoi pugni assassini non può farlo nessuno, non ti pare?"

Lei, però, non rise. "Tu sei... sei veramente un cretino!" Si agitò ancora tra le sue braccia come se scottassero, provando a strattonare, spingere e tirare pur di liberarsi. I suoi pugni batterono sul corpo del siyahno attivandone la corazza, ancora e ancora e ancora. Reniji non si mosse, sforzandosi di resistere alla sua forza dirompente. Era come essere tornati agli allenamenti di tutti i giorni: un modo perfetto per salutarsi.

Vanessa continuò a insultarlo in quella specie di lotta selvaggia per diversi minuti, ma a ogni grido la sua furia si placava un po' di più. Alla fine si arrese e affondò la faccia nella maglietta di lui, le braccia lungo i fianchi e il respiro affannato che le alzava e abbassava il petto ritmicamente facendola somigliare a un uccellino spaventato.

"Non morirò, Ness," glielo disse di nuovo, stavolta con voce più bassa, poco più di un sussurro. Vanessa rimase in silenzio e per un attimo Reniji si chiese a cosa pensasse. Decise di stringerla un po' di più e perdersi in quel momento, assaporando il dolce amaro dell'addio.

"Non morirò."

Forse, ripetendolo così tante volte anche lui ci avrebbe creduto.

Non è male come addio, pensò Reniji, continuando ad affondare il viso nei capelli biondi di Vanessa. Se anche non dovessi più vederla, ricordarla così non...

Ma l'altra parte di sé, quella con la fastidiosa voce saputella di suo fratello, non era affatto d'accordo con quel pensiero. L'altra parte di sé gli urlava che, se fosse morto, si sarebbe pentito di non averle detto la verità, di non averle rubato un bacio prima di uscire dalla sua vita. L'altra parte di sé non l'avrebbe mai perdonato per essersi lasciato scappare quell'unica occasione di far diventare realtà il suo desiderio proibito.

Non posso farle questo, non è giusto, si disse ancora, stringendola più forte e rubandole un sospiro leggermente sorpreso. Percepì le sue mani titubanti sulla schiena, leggere come se lei stessa temesse quel gesto. Ma il soldato sapeva che la sua non era paura, era imbarazzo: costretta dal suo status a vivere lontana dai coetanei, prima del suo ingresso in Accademia Vanessa non conosceva nessun altro, a parte Reniji, che potesse definire amico. A pensarci, era stata sfortunata: almeno a Virgil era toccato frequentare la giovane Vogelweyde invece di un rude soldato di ben sette anni più grande.

Nessuno avrebbe potuto prevedere che proprio il siyahno, dall'alto del suo ruolo e della maturità dovuta all'età, avrebbe finito per provare dei sentimenti per lei. Quando se ne era reso conto aveva cercato di soffocarli, relegandoli in secondo piano e sforzandosi di non pensarci. All'inizio, quella strategia gli sembrava la più adatta per superare la cotta. Ora che la stringeva tra le braccia, però, il suo piano minacciava di esplodergli in faccia con gli interessi.

Sospirò anche lui, inebriato dal profumo della ragazza e maledicendosi ancora una volta per essere caduto in quella trappola. Mai avrebbe creduto che, tra tutti i pericoli che correva a causa della sua carriera militare, avrebbe finito per soffrire così tanto proprio per amore.

Vanessa non era solo più piccola, era anche la sua allieva nonché la figlia del governatore di Helias, caro amico di famiglia per i Wakani. Per lui era inarrivabile e si era man mano convinto che anche se si fosse dichiarato sarebbe stato rifiutato. E cosa sarebbe successo, poi, al loro rapporto? Perciò aveva preferito cogliere al volo l'opportunità di scivolare via dalla sua vita non visto, lasciandole modo di viverla senza la sua presenza ingombrante a limitarla.

Non aveva nemmeno preso in considerazione l'idea che a lei questo non andasse bene.

Si era chiesto più volte cosa pensasse davvero Vanessa di lui né come lo guardasse quando le voltava la schiena. Lo considerava solo il suo maestro, una persona da cui imparare, da ammirare? O come qualcuno con cui passare del tempo e condividere segreti e paure?

Reniji sapeva che, di nascosto da tutti, la ragazza sfogava la sua frustrazione mangiandosi le unghie. Sapeva che detestava perdere, al punto da allenarsi di nascosto pur di perfezionare le sue mosse e stupirlo il giorno dopo. Sapeva che era testarda, ingenua e orgogliosa al punto da prendere con fin troppa facilità decisioni stupide e impulsive, sebbene nascondesse sotto a strati di irascibilità lo stesso acume del gemello. Sapeva che odiava i sapori dolci tanto quanto amava quelli amari e che andava pazza per la musica new new rock, piena di suoni graffianti e grida selvagge. Sapeva che si sentiva sola e inadeguata e che gli sguardi apparentemente d'odio che riservava a Virgil nascondevano l'invidia e l'affetto che provava per lui. Sapeva che detestava l'idea di diventare governatrice, al punto da decidere di fuggire a quel destino iscrivendosi in Accademia. Sapeva che amava la sua forza tanto quanto la detestava, che adorava sfrecciare in moto e persino che le sigarette non le piacevano poi così tanto, anche se ormai ne era assuefatta.

Sapeva tutto questo perché l'aveva osservata per anni allenandola e vivendo con lei, cogliendo dettagli insignificanti come il modo impercettibile in cui aggrottava le sopracciglia quando un certo alimento non le piaceva o la posizione delle sue ferite. Avevano un rapporto strano, che persino lui faticava a descrivere: era il suo insegnante e anche il suo confidente, pronto a difenderla e ad aiutarla a realizzare i suoi desideri. Questo, per lui, era forse il tesoro più grande di tutti a cui non voleva rinunciare, anche al costo di non rivelarle mai i suoi veri sentimenti.

Pur conoscendo tante cose di lei, allo stesso tempo Reniji non sapeva quale fosse la sua più grande paura. Non sapeva il titolo del suo film preferito né delle canzoni che amava canticchiare quando era allegra. Non sapeva nulla nemmeno dei suoi sogni o di cosa desiderava diventare da grande. Gli erano oscuri persino i suoi pensieri su Helias, dove era nata e cresciuta, e sulla sua gente: voleva proteggerli o li detestava? Non era certo delle sue intenzioni sulla guerra, sebbene gli aveva dimostrato più volte di essere convinta della sua scelta di diventare una ufficiale. Non sapeva quali erano le sue aspirazioni, i suoi desideri, perché si era fatta dei piercing né perché aveva iniziato a tingersi le unghie di nero. Non sapeva quale dei cocktail che aveva bevuto quella sera le era piaciuto di più, quale città desiderava visitare o quale lingua tra le tante di Nepher trovava più interessante. Se preferiva di più il mare o la montagna, il freddo o il caldo e, a dire il vero, nemmeno sapeva se le interessavano di più gli uomini o le donne.

Non lo sapeva perché non gliel'aveva mai chiesto. Il suo ruolo lo spingeva a tenere una certa distanza tra loro sebbene desiderasse ridurla a zero da tempo, abbastanza da farlo sentire un pervertito.

Sono un cretino.

Reniji si convinse che era colpa dell'alcool. Che era solo colpa della sua imminente partenza se ora si sentiva sentimentale e pieno di dubbi. Era attratto da lei come una mosca dal miele, ma forse stava fraintendendo tutto. Forse era solo un maiale a cui piacevano le ragazzine, proprio come Ryukai. O, forse, era solo molto solo e spaventato, esattamente come lei. Quella era una caratteristica che avevano in comune, anche se lui aveva imparato a non renderla evidente.

"Ren."

Le parole di Vanessa lo colsero di sorpresa in quel silenzio di assordanti pensieri. Il suo tono basso e catramoso riuscì a strappargli un mugolio e lui si riscosse con un tremito, realizzando quanto la stava stritolando. Non allentò la stretta, deciso a non farsi scappare l'opportunità di starle vicino. Se l'era negata per troppo tempo. Lei era alta, ma fin troppo magrolina rispetto a lui, che con quell'abbraccio la ricopriva quasi come una coperta umana. Eppure ricambiava quella morsa con vigore crescente: le sue mani tremanti si erano fatte decise, la sua rinomata forza all'azione per far sentire anche un omone come lui imprigionato in una gabbia fatta di carne e ossa.

"Ren, non ti credo."

La voce della ragazza vibrava e Reniji non sapeva dire se di odio, di frustrazione o di tristezza. Era certo che non stesse piangendo, almeno: Vanessa Rayon non piangeva mai. Forse per quello era sempre furiosa, si disse. Tutte le sue emozioni finivano imbottigliate dentro quel corpicino all'apparenza fragile, compresse una sopra l'altra fino a confondersi tra di loro in un pastrocchio indescrivibile. Le rimaneva solo la rabbia, l'unica valvola di sfogo che conosceva. Come tutti gli adolescenti, probabilmente, ma Reniji sospettava che non sarebbe cambiata molto crescendo se non avesse imparato a dare un nome a ciò che si teneva nel cuore.

"È un tuo problema, mocciosa."

Anche la sua voce era carica dello stesso groviglio di sentimenti. Per una volta non era giocoso e nemmeno allegro, anzi, si sentiva frustrato, spaventato e arrabbiato. Arrabbiato con la situazione, con Ryukai, con se stesso e con lei. Lei che non lo capiva, che era irraggiungibile, che era proibita... e perché forse non l'avrebbe più rivista. La sua risposta era un ruggito egoista che rispecchiava il suo stato d'animo e non gli importava di ferirla. Era stufo di essere il suo maestro. Voleva essere solo Reniji Wakani, una persona qualunque in grado di innamorarsi di un'altra persona qualunque.

Vanessa, però, prese quella risposta brusca come una dichiarazione di guerra. Le sue mani divennero artigli sulla schiena del moro, il suo respiro affannato nel tentativo di graffiarlo o forse di non lasciarlo andare mai più. Sembrava terrorizzata all'idea che potesse dissolversi davanti ai suoi occhi come fumo.

"No," gli sibilò Vanessa, il viso tuffato contro la sua clavicola, resa nera - come gran parte del suo corpo - dalla corazza che si era attivata già da un po' per resistere alla forza soverchiante di quell'abbraccio. "È anche un problema tuo."

Di colpo, la Rayon mollò la presa invertendo la direzione della sua furia. Se un momento prima non faceva altro che stringerlo a sé, ora le sue energie erano tutte impegnate per spingerlo lontano, per mettere distanza tra di loro come in uno dei loro allenamenti. Distrattamente, Reniji pensò volesse picchiarlo. Una vaga sensazione di pericolo accese i suoi sensi da soldato, ma lo stupore ebbe la meglio sulla razionalità e si ritrovò a un passo da lei.

Si rese conto di sentire freddo, ora, senza il calore esagerato della Rayon a scaldarlo. La guardò confuso, senza sapere bene cosa fare o come reagire. Si perse nel suo viso distorto dalla rabbia, nei suoi occhi color del sangue, nella linea dura della sua mascella contratta. Sembra un animaletto selvatico, si ritrovò a pensare, ricordando in quel frangente di aver già fatto un pensiero simile anni prima.

"Convincimi."

"Ti ho già detto tutto quello che potevo, Ness."

"Allora fallo meglio."

Reniji sospirò, abbassando lo sguardo sulle mani di Vanessa posate sul proprio petto, le braccia tese per tenerlo lontano da lei come se lo temesse o come se volesse punirlo. Le accarezzò la pelle nuda con tenerezza, con un affetto che mai le aveva mostrato così apertamente. Risalì l'avambraccio fino a stringerle le dita, concentrato su tutto fuorché il suo viso.

"Ti prometto che farò di tutto per non morire."

"Mi stai abbandonando."

"Non è vero," le rispose di scatto serrando la presa sulla sua mano. "Pensi che io sia contento di partire? Che a me vada bene allontanarmi da te?"

"E allora perché!? Perché volevi andartene senza dirmelo? Perché saresti partito comunque tu e non il direttore? Perché non qualcun altro?!" Le braccia di Vanessa tremarono, riflettendo chiaramente ciò che la sua voce rotta suggeriva, ma che i suoi occhi non accennavano a lasciar sgorgare. "Perché proprio tu...?"

Era troppo da sopportare. Reniji digrignò i denti, ingoiò il suo orgoglio e i suoi principi e con un mentale vaffanculo tirò a sé quella stupida ragazzina che non vedeva l'ora di baciare.

Quando si tuffò sulle sue labbra non fu gentile né delicato. Non aspettò il suo permesso né che lei fosse pronta. Non gliene importava niente, in quel momento: voleva solo prendersi ogni centimetro, ogni secondo di lei e farlo suo. Forzò la sua lingua nella sua bocca, rubandole il respiro e strappandole un mugolio sorpreso che si impegnò a zittire al volo con un morso. Affondò le mani nella sua chioma dorata solo per obbligare il suo viso contro il proprio, la nuca di lei imprigionata dalle sue dita lunghe.

Sperò che lei si divincolasse. Che lo picchiasse, che lo spingesse, che gli urlasse il suo disgusto: in fondo, le stava facendo una cosa tremenda e si sentì un violento per questo.

Ma Vanessa non lo fece. Non evitò i suoi baci e non si sottrasse ai suoi respiri. Troppo concentrato su di lei, Reniji nemmeno si era accorto di quanto la ragazza gli si fosse avvinghiata addosso, le braccia sulle sue spalle e le mani affondate in modo goffo nei suoi capelli scuri. E non se ne accorse finché non fu lei a morderlo di rimando, così forte da attivare la sua corazza persino sulle labbra.

Quell'intrusione lo confuse e quell'assurdo sogno di saliva e sospiri si interruppe di colpo, facendolo separare bruscamente da lei. Si fissarono entrambi con una strana espressione in viso, sconvolti e allo stesso tempo delusi. Forse era davvero tutto troppo strano, ma nessuno dei due accennò a sciogliere l'abbraccio.

Era sempre una guerra, tra loro, anche quella cosa assurda, proibita e terribilmente piacevole.

"Sei convinta, adesso?" sputò, furioso e senza fiato. Erano entrambi ancora arrabbiati l'uno con l'altra, era evidente, ma né lui né Vanessa volevano lasciar andare l'altro.

"Per niente."

Vanessa si soffermò per un singolo istante sulle labbra di lui prima di gettarsi di nuovo contro di esse, affamata. Come la furia che era, la ragazza non gli lasciò il tempo di replicare in alcun modo, soggiogandolo con morsi voraci, con quella bocca che sapeva di sale e con i suoi respiri caldi.

Reniji si ritrovò a indietreggiare, sopraffatto. Rispose a quei baci divorandola a sua volta e rubandole l'aria mentre, con la mente vuota da ogni pensiero e inibizione, si dedicò all'esplorazione febbrile del sua corpo bollente. Si infilò in fretta sotto il tessuto leggero della maglietta, accarezzandole la pelle nuda e beandosi del sospiro che quel contatto le provocò. Risalì la sua spina dorsale contandole le vertebre per restare sano di mente, lento come se il tempo non avesse più senso per loro. Quando arrivò alle sue scapole gemette contro di lei, realizzando di non aver sfiorato il consueto aggancio del reggiseno durante la sua salita, segno che non lo indossava affatto. Quella scoperta lo eccitò, al punto che dovette obbligarsi a staccarsi e a rimettere le mani a posto. Non poteva spogliarla in mezzo alla strada, nonostante desiderasse moltissimo farlo.

Quando toccò qualcosa di duro con la gamba, il siyahno per poco non cadde all'indietro. Si rese conto in ritardo che l'ostacolo alle sue spalle non era altro che la fontanella: Vanessa doveva averlo spinto parecchio, per averlo costretto lì.

"N-non possiamo," l'ammonì lanciandole un'occhiata affamata e colpevole prima di distogliere lo sguardo, le mani che fino a un momento prima esploravano il suo corpo sodo ora tuffate nei propri capelli. Pensò di strapparseli tutti in quell'istante: il dolore l'avrebbe sicuramente distratto abbastanza da sopprimere la lussuria che rischiava di dominarlo.

"Fare cosa?"

La guardò male, solo per scoprirla ghignare maliziosa. Quell'espressione non gliel'aveva mai vista fare. Lo stava provocando apposta? "Lo sai cosa."

"In realtà, no."

Vanessa allargò il suo sorrisetto avvicinandosi di nuovo a lui. Stavolta lo fece lentamente, gustandolo con lo sguardo invece che con la bocca: scivolò sul suo viso fino alle sue labbra arrossate dai baci, poi sulla mascella, sul collo, sul petto.

"Ma cominciava così, no?"

Si fermò alla cintura, che sfiorò con le dita prima di agguantargli la maglietta. La tirò su di qualche centimetro, facendogliela strusciare addosso come carta vetrata e scoprendo parte del suo addome, l'eco di una risata ad animare ogni suo gesto.

"La cosa che non possiamo fare... ma che stavi facendo prima."

Reniji serrò gli occhi per un istante, appellandosi a tutto il suo autocontrollo per calmarsi. Per un attimo si era sentito gelare il sangue quando aveva visto le mani della ragazza muoversi così decise verso i suoi fianchi, come se avesse voluto davvero togliergli i pantaloni in pubblico.

Sarebbe davvero riuscito a fermarla, in quel caso? Anzi, avrebbe voluto?

Perfetto. Ora sì che sono davvero fregato.

Le prese le mani, costringendola a mollare la presa anche se a malincuore. "Non possiamo. Non qui."

"Ma altrove sì?"

Il soldato boccheggiò. Quella dannata Rayon lo stava veramente mettendo in difficoltà. Non che non desiderasse farla sua seduta stante, ma nessuno dei due era abbastanza invisibile agli occhi della gente per passare inosservato. E se qualcuno li avesse riconosciuti, magari pubblicando qualche articolo di gossip su WireNet o, peggio, delle foto? Il solo pensiero della risata soddisfatta di Ryu o delle torture mortali che gli avrebbe inflitto Christopher se una cosa del genere fosse accaduta sul serio fu abbastanza a farlo rabbrividire. Avevano già rischiato abbastanza a limonare in mezzo alla strada.

"Non fare la stupida. Non sai cosa stai dicendo, ragazzina."

Vanessa ruggì sommessamente, infastidita, e schiacciò il proprio corpo contro quello di lui. Il contatto improvviso lo fece deglutire, a disagio: sentiva il suo calore, il suo bacino contro il proprio, il suo seno inesistente aderirgli al petto.

"Non sono più una ragazzina, Reniji."

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