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37. armi

SELIK, DEMIR - 28 APRILE 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Lilja spense lo schermo del tablet con un rapido tap e sospirò, affondando il viso tra le mani. Da ore visionava disegni e progetti tecnici e, quando le prime luci del mattino filtrarono dalle finestre, si rese conto che era l'alba. Se ne stupì: non pensava di averci messo così tanto, anche se questo spiegava la sua stanchezza.

Quelle che aveva studiato per tutta la notte erano informazioni riservate che il capo della NETRON - ora membro del loro piccolo consorzio tecnologico - aveva spedito a lei e Virgil all'ultimo momento, chiedendo un loro parere. Li aveva trattati come se fossero esperti e, sebbene da un lato la cosa la inorgoglisse, dall'altro la terrorizzava.

In un primo momento aveva creduto che per le sue competenze fosse semplicemente troppo, nonostante avesse ricevuto una formazione tecnica molto specifica che si era appena conclusa con ottimi voti. Quella era una tradizione del suo casato che, in origine, doveva il suo lustro proprio alle abilità ingegneristiche. Nel programma del suo ElectroSheep c'erano tantissimi corsi sulle proprietà dei materiali - non da ultima una breve lezione sulla speciale lega Vogelweyde, inventata proprio dal loro antenato fondatore -, sull'analisi meccanica di componenti e sullo sviluppo di progetti complessi. Però, trovarsi di fronte dei disegni veri era tutta un'altra storia.

Quando aveva aperto il primo documento aveva impiegato più di un'ora solo per capire cosa significassero i simboli appuntati accanto alle quote dei vari pezzi. Un'altra per raccapezzarsi sui dettagli, sulle viste assonometriche e sulle varie sezioni di alcuni componenti critici, aiutandosi per come poteva con la sua abilità. Aveva plasmato modellini di metallo man mano che procedeva con lo studio dei progetti e, quando proprio non le era chiaro qualcosa, si era appuntata delle note a margine in ordinata calligrafia colorata.

Ci aveva messo tutta la notte. Alla fine, si era fatta un'idea molto più chiara di ciò che i ricercatori del consorzio avevano proposto come progetto pilota.

E, secondo lei, era davvero fenomenale.

L'allegato tecnico del business plan era molto più incomprensibile, perciò aveva lasciato al suo promesso sposo l'onere di capirci qualcosa in quella marea di numeri, interessi e valutazioni rischi-benefici. Quanto a lei, aveva scoperto che le interessava molto di più comprendere come erano fatte le cose, tanto che le variazioni proposte dal team di sviluppo per migliorare il prototipo la elettrizzavano. Presa dall'entusiasmo aveva persino aperto numerose pagine internet per approfondire dettagli tecnici sull'utilizzo e le proprietà dei cristalli Exo. Quelli erano il fulcro del nuovo prototipo di armatura che, secondo gli ingegneri, avrebbe potuto sostituire in fretta quelle ormai obsolete in dotazione all'esercito dell'Alleanza.

Si lasciò cadere all'indietro, rimbalzando morbidamente sul materasso sul quale era seduta a gambe incrociate. Anche se non aveva chiuso occhio si sentiva piena di energia: non vedeva l'ora di vedere la sua piccola creaturina prendere vita. Lei stessa aveva proposto una serie di aggiunte e modifiche al progetto, che si era premurata di documentare per non passare per una ragazzina incompetente.

L'e-mail era già scritta, piena zeppa di allegati. Ma ancora non aveva premuto invio.

Il suo cellulare vibrò una singola volta, segno che le era appena arrivato un messaggio. Allungò la mano sul pavimento, tastandolo alla cieca ricerca del dispositivo prima di portarselo vicino al viso e leggere chi era il mittente.

Virgil, ovviamente. Sei ancora sveglia?

Un angolo delle sue labbra si piegò all'insù. Non ho chiuso occhio. Spero che anche tu abbia fatto i compiti...

Osservò trepidante lo schermo mentre i consueti pallini apparivano e scomparivano nel campo di testo della chat, segno che l'helisiano stava digitando una specie di papiro o riscrivendone alcune parti.

È solido. Hanno fatto davvero un gran lavoro, non me l'aspettavo... per metterlo in atto gli servirà ancora qualche mese e parecchi cervelli, però è fattibile. Almeno, per quanto ne abbiamo capito io e mio padre.

Quell'ultima frase la stupì. Pensava che quello fosse il loro piano, il loro segreto. Invece Virgil aveva messo al corrente i suoi genitori che, a quanto pareva, lo supportavano. Per un momento, Lilja si sentì tradita e si diede dell'ingenua. I Vogelweyde erano abituati a combattere le loro battaglie in solitudine, guardandosi le spalle persino dagli amici, e così era cresciuta lei. Ma per Virgil era diverso e forse non avrebbero mai potuto comprendersi davvero. La loro era una famiglia unita, perlomeno in apparenza. Era stata sciocca a pensare che per il Rayon valessero le sue stesse regole.

Tuo padre sa del consorzio?

Sì, è stato il primo a cui l'ho detto.

Di nuovo quella sensazione sgradevole. Lilja contrasse le labbra e attese, incapace di replicare.

Sono cresciuto con l'idea di diventare il suo successore. Mi istruisce da quando avevo quattro anni... possiamo fidarci, Lilja.

Se lo dici tu... è pur sempre stato lui ad accettare di farci sposare, però.

In realtà, sono stato io.

La rivelazione la sorprese al punto che si mise dritta a sedere di scatto, il cellulare in mano e le sopracciglia schizzate verso l'alto. Virgil si era sempre comportato come se fosse stato costretto a quel destino, proprio come lei, ma la verità era un'altra: lui aveva scelto.

La cosa non le fece piacere. Anzi, sentì montarle dentro la consueta furia che di solito esternava creando armi letali da puntargli contro, un tratto che di certo aveva ereditato dal genitore.

Lui avrebbe preferito un approccio più aggressivo, ma io non ero d'accordo. La via del matrimonio era quella più sicura.

Aggressivo? Christopher Rayon?

Lilja conosceva poco il governatore di Helias, ma non le sembrava affatto un guerrafondaio. Semmai era un bravo diplomatico, proprio come il figlio. Non le era venuto in mente nemmeno per un secondo che l'idea di accettare la proposta di Friedrich non fosse sua.

Siete abituati a indossare maschere, a Helias...

Virgil le rispose con l'emoticon di una risata.

Voleva attaccarci? lo incalzò Lilja, incuriosita dal discorso.

No, voleva che usassi il mio potere per far cambiare idea a tuo padre. Ma mi sono rifiutato.

Perché? Era la via più comoda.

L'helisiano ci mise parecchio a comporre il messaggio. Lilja osservò di nuovo i pallini della chat, esasperandosi sempre di più. Avrebbe preferito una risposta diretta e, forse, se avessero avuto quella discussione di persona avrebbe potuto interpretare meglio la reazione spontanea di Virgil. Invece, così gli aveva servito su un piatto d'argento l'opportunità di mentirle.

Si morse il labbro inferiore, scocciata: era stata avventata. Da tempo desiderava saperne di più sulla sua abilità, la stessa che gli aveva fruttato un soprannome assurdo e una certa fama anche al di fuori dei confini di Helias. Si era domandata spesso se l'avesse mai usata su di lei, anche se non era certa di quali fossero le sue caratteristiche esatte. Circolavano storie e pettegolezzi sul potere del Rayon: alcuni dicevano che bastava uno sguardo per finire assoggettati al suo volere, altri che la sua lingua magica assumeva un tono sibilante quando agiva sulla mente di una vittima. Aveva persino letto racconti su WireNet che lo vedevano protagonista di una serie di fantasiose avventure, che Lilja era certa fossero del tutto inventate.

Perciò, quale fosse la verità lei non lo sapeva. L'unico modo per scoprirlo era farselo dire da lui ma, ne era sicura, non gliel'avrebbe mai rivelato nemmeno se gliel'avesse chiesto con le buone.

Farlo ci avrebbe messi tutti in pericolo. Tuo padre sicuramente se lo sarebbe aspettato... in fondo, persino tu eri sulla difensiva quando ci siamo conosciuti. E poi, quella festa assurda era stata organizzata apposta per impedirci di fare passi falsi. Avrai notato anche tu come ci guardavano tutti, no?

Credevo fosse per via del fidanzamento!

Anche... ma di sicuro era per tenere d'occhio me.

Lilja storse la bocca, disgustata al ricordo di quel giorno. Non dubitava delle parole di Virgil: i suoi genitori erano abili nell'arte della manipolazione. Gli ultimi eventi ne erano l'ulteriore prova, sebbene l'helisiano fosse riuscito a guadagnare un po' di tempo grazie alla sua faccia tosta.

Comunque, è impossibile che mio padre non si accorga di cosa stiamo facendo. E, fidati, non sarà divertente affrontarlo quando succederà.

Sì, ci ho pensato anche io. Virgil rispose aggiungendo l'animazione di un viso pensieroso. Usava un sacco di emoticon, notò Lilja. Perciò mi è venuta un'idea: parlagliene tu prima che lo scopra da solo!

Vuoi che gli riveli il nostro piano!?

No, solo la faccenda del consorzio... e non devi nemmeno dirgli tutta la verità, solo quella che ti fa comodo.

Quando lo saprà, vorrà prenderne le redini. Ne sei consapevole?

Un buon governatore non gestisce ogni cosa di persona. Presentagli la cosa come se fosse una tua idea, o addirittura la tua vocazione... e chiedigli il permesso di gestirla tu, rendendolo partecipe. Guadagnati la sua fiducia. Se ho capito bene che tipo è, una volta chiaro cosa avrà da guadagnarci ti darà il suo benestare.

Lilja sbuffò, irritata. Adesso conosci mio padre meglio di me?

Ma no, non mi permetterei mai. Ti stavo solo dando un consiglio... sei tu a decidere.

La ragazza lanciò il cellulare sul cuscino con uno scatto di rabbia. Quel Rayon era così odioso! Si comportava sempre come se sapesse tutto, come se ogni cosa fosse semplice. Era un maledetto saputello e forse attraverso uno schermo era anche più insopportabile che di persona.

Si alzò stizzita e ricavò una porta dal metallo della parete con la sola forza del pensiero. A giudicare dalla luce dovevano essere le cinque o forse le sei del mattino, orario in cui solo i robot domestici si aggiravano per la casa. Camminò scalza per i corridoi, decisa a farsi un lungo bagno rigenerante prima di affrontare suo padre: se proprio doveva parlargli della faccenda del consorzio, l'avrebbe fatto a modo suo.

Quando la ragazza entrò in sala da pranzo erano ormai le nove e mezza. Se l'era presa comoda, finendo persino per appisolarsi nella vasca finché l'acqua non era diventata gelida. Nonostante questo, aveva dovuto comunque abbondare con il correttore per nascondere le occhiaie, pregando che Friedrich non si accorgesse del rossore dei suoi occhi.

Lo trovò sveglio, intento a gustarsi un cappuccino mentre scorreva con interesse le notizie del giorno sul suo tablet. Quella scena assurdamente normale sembrava uscita da una serie televisiva, non fosse per i due robot domestici che si affaccendavano ad apparecchiare il tavolo per la colazione facendo avanti e indietro dalla cucina.

Friedrich la ignorò. Lilja si sedette alla sua destra come al solito e chiese di farsi portare una tazza di tè. Nell'attesa si riempì il piatto con una fetta di torta profumata alla vaniglia e ricoperta di frutta colorata. Era ancora calda: dovevano averla sfornata da poco.

"Niente metallo, oggi?" le chiese il padre senza nemmeno alzare lo sguardo su di lei.

Lilja trattenne un sorrisetto a quella domanda. Era solita indossare abiti plasmati dalla potenza della sua mente, mentre quella mattina aveva optato per indumenti veri e propri, sebbene di lusso. Lo faceva di rado: quando era stanca, quando si sentiva al sicuro o quando desiderava proteggersi da altri Metallocineti.

"Sì, non credo di volermi allontanare dalla villa, oggi."

Tacque, scegliendo una bustina di tè dalla selezione posizionata al centro del tavolo e osservandola affondare nell'acqua calda che le avevano appena portato. Ci versò un goccio di latte freddo, gustandosi l'odore intenso della miscela speziata. Non era in grado di pronunciare i nomi originali di ogni ingrediente, perché quella varietà particolare veniva dalle isole Biji, poste a sud di Celios. Non c'era mai stata, ma le foto che aveva visto online erano spettacolari: il continente di Tetsu era l'unico - assieme al vicino Reedland - a rimanere intoccato dagli effetti nocivi del cambiamento climatico.

"In realtà, mi piacerebbe parlarti di una questione," accennò, portandosi la tazza alle labbra ed evitando lo sguardo di Friedrich. "Avresti tempo per me, oggi?"

L'uomo sospirò e spense il tablet scuotendo la testa. Gli si leggeva in volto che quella per lui era una scocciatura. "Non molto. Cosa c'è?"

"Che posizione ricopri di preciso all'interno dell'Alleanza?"

Friedrich inarcò un sopracciglio. "In che senso?"

"Beh, il governatore di Helias è molto attivo dal punto di vista delle riforme ambientali. Quelli di Siyah sono responsabili dell'esercito e gli Speraki gestiscono i generi alimentari. Immagino che i Lèclere si occupino dell'acqua, almeno da quando sono stati costruiti i depuratori..."

"Non solo. Anche dei servizi segreti... e più di recente dell'Ambasciata al confine con Kutsal."

Lilja annuì e finalmente lo guardò in faccia, fingendosi innocente. "E tu, padre?"

"Demir è una potenza industriale, dovresti saperlo," la rimproverò con tono duro. "La mia opinione nell'Alleanza è fondamentale, visto che siamo noi a produrre e rifornire i territori di tecnologia avanzata, maschere e filtri antigas."

"Li vendiamo anche all'esercito?"

"Non direttamente. Le principali aziende che producono armamenti sono demiresi, però."

La corvina annuì, prendendosi qualche attimo per gustarsi un boccone di torta. Era squisita e, soprattutto, non aveva assolutamente nulla di artificiale tra gli ingredienti. Ne prese un'altra forchettata e la osservò, sollevandola a mezz'aria davanti a sé. "Pensavo che non è molto corretto che gli altri stati abbiano il monopolio sul cibo o sull'acqua. Se a loro è permesso, perché a noi no?"

Friedrich unì le mani sotto al mento, pensieroso. Dopo qualche attimo di silenzio prese un sorso di cappuccino e si pulì le labbra dalla schiuma col pollice. "Noi non gestiamo una risorsa scarsa, ecco perché. Ma questo non ci rende meno potenti degli altri. Demir ha il tessuto industriale più produttivo e ricco di Celios, persino più di Zeka."

"Potremmo diventarlo, però," propose Lilja, scaltra. Non diede tempo al genitore di risponderle, mettendo invece mano al suo cellulare per aprire i documenti su cui aveva lavorato quella notte. Gli mostrò un disegno, quello più scenografico che le avevano mandato e sul quale aveva annotato il maggior numero di osservazioni.

Friedrich lo fissò senza capire, sorpreso.

"Di recente mi sono interrogata sulla questione. Mi sono detta che la nostra famiglia non è affatto da meno e certo non ci serve il nome di un poveraccio helisiano per assicurarci un posto d'onore accanto a un casato come quello degli Speraki. Ho pensato a come potrei esserti utile, padre, e ho scoperto che questo so farlo abbastanza bene," disse, indicando i prototipi con un cenno del mento proprio mentre lui zoommava sul logo della NETRON posto in bella vista in un angolo. "Dubito che la guerra finirà presto, perciò perché non trarne profitto? L'hai detto anche tu: Demir non ha niente da invidiare a Zeka. Con la giusta spintarella potremmo realizzare armi al pari delle loro... e quella tuta mi sembra un buon punto di partenza."

Osservò in silenzio il genitore analizzare il documento con attenzione, annuendo ogni tanto quando leggeva un'annotazione interessante. Ci mise qualche minuto e lei si domandò se l'avesse ascoltata o meno, finché non sollevò lo sguardo chiaro su di lei.

Per la prima volta non sembrava guardarla dall'alto in basso. Anzi, pareva addirittura compiaciuto. Lilja si sentì invasa da una strana sensazione che le scaldò il corpo come una cascata bollente. Suo padre la stava trattando da pari, non come una stupida ragazzina da usare come trofeo o suppellettile.

"Come ci sei riuscita?" le chiese in un soffio. "So che la NETRON è una tra le principali aziende che riforniscono l'esercito, ma perché dare a te questi progetti?"

"Perché non sono della NETRON. Sono del mio consorzio personale."

Di nuovo, la corvina si gustò il ventaglio di emozioni contrastanti che trasfigurò in un attimo il volto di Friedrich. Ci stava prendendo gusto, ma non per questo poteva permettersi di darglielo a vedere.

"Non voglio che sia un'azienda qualsiasi, sebbene demirese, a prendersi il merito di questa cosa. Voglio che ci sia il nostro nome sopra a questi prototipi, padre... perciò, ho pensato che fosse meglio riunire sotto la stessa bandiera una serie di potenze del settore, per dar vita ai progetti più ambiziosi finanziati dal casato Vogelweyde."

Friedrich scoprì i denti in quello che per Lilja sembrava più un ghigno da predatore che un sorriso benevolo. Dalla sua espressione trasparivano tutti i suoi pensieri, per lei così semplici da interpretare. Stava già figurandosi in testa a un impero, ne era certa. Quella era proprio l'immagine che aveva deciso di vendergli e sembrava esserci riuscita senza fatica.

"Potremo diventare i signori delle armi come gli Speraki lo sono delle foreste."

"Questa è veramente una bella idea, Lilja," disse, tamburellando con i polpastrelli sul ripiano e scandendo lentamente ogni parola. "Potrei gestire l'esercito dell'Alleanza in modo indiretto... e potenziare il nostro, nell'eventualità che Zeka decida di invaderci."

La ragazza sorrise e allungò la mano per riprendersi il cellulare. Un tempo avrebbe solo piegato il capo e acconsentito alle sue richieste, ma ora non più: non gli avrebbe ceduto il comando del consorzio che lei e Virgil avevano faticosamente messo in piedi.

"Ti terrò informato sugli sviluppi," tagliò corto, prendendo di nuovo un boccone di torta. "Per il momento, la tuta dovrebbe essere realizzata il prossimo mese e testata sul campo. Se andrà tutto bene, la metteremo in produzione a fine estate... devo solo convincere l'Alleanza ad acquistarla. Ma confido che in questo potrai darmi una mano tu, giusto?"

"Porterò senz'altro la questione all'attenzione del Consiglio durante la prossima riunione. Mandami i documenti per l'approvazione."

"Approvazione?" domandò Lilja con un sorrisetto furbo. "Padre, ma non serve. Il consorzio è mio, non tuo."

Come aveva previsto, a Friedrich non piacque la sua arroganza. Le pareti vibrarono e i robot domestici si congelarono sul posto, bloccati dal potere mentale del Metallocineta. "Ma non mi dire. E con quali soldi l'avresti finanziato, mia cara e dolce bambina?"

Lilja si aspettava una reazione forte da parte sua prima o dopo. Non si lasciò intimidire, però: sfruttando le sue stesse abilità rese la sedia dell'uomo una trappola di catene che lo abbracciò in modo non troppo gentile, sollevandolo a mezz'aria. Forse aveva esagerato e di certo ne avrebbe pagato le conseguenze più tardi, ma voleva dimostrargli che quel giochetto non funzionava più con lei. Le loro capacità sovrumane erano simili seppur diverse: Friedrich riusciva a spostare enormi masse di metallo come se fossero fatte d'aria, mentre lei riusciva a cambiarne la forma con semplicità disarmante. Se si fossero scontrati, non era affatto certo chi dei due l'avrebbe spuntata sull'altro.

"Come osi...!"

"A una mia parola questo consorzio svanirà," l'ammonì Lilja con fermezza. "Non sai chi sono gli altri partecipanti che ho radunato e non ho affatto intenzione di rivelartelo. Rispondono a me, non al governatore di Demir nè ai suoi soldi... perciò, se vuoi avere voce in capitolo, lasciami gestire la cosa da sola. Avrai i tuoi profitti, stanne pur certo."

Il tavolo si staccò dal pavimento. La ragazza fu rapida a scattare in piedi e schivarlo prima che le volasse in faccia, evitando di finire schiacciata contro la parete. La sedia che gli aveva arrotolato addosso si spezzò e Friedrich cadde con agilità, atterrando sulle punte come se fosse abituato a salti del genere. Lilja reagì sfruttando il caos del momento: mentre scappava per la stanza cercando di evitare la traiettoria dei mobili volanti, trasformò l'anello che il padre portava al dito in un ago, invisibile nel mezzo della lotta. Quando glielo puntò alla gola si assicurò di pungerlo leggermente in modo che se ne accorgesse e questo bastò a fermarlo.

Lilja ansimò mentre Friedrich le rivolgeva uno sguardo scocciato scoprendo i denti. Era pronta ad aprirsi un varco nel muro e fuggire all'occorrenza, ma raddrizzò comunque la schiena e acuì i sensi. Lui schioccò la lingua, per niente contento di essere costretto ad arrendersi alla minaccia della figlia.

"Ho imparato da te, padre."

Friedrich bruciava dal desiderio di rimettere al suo posto quella ragazzina insolente, però doveva ammettere che l'aveva sottovalutata. Lilja era molto più capace di quel che pensava e il suo piano l'aveva davvero sorpreso.

In fondo, aveva dato prova di essere una Vogelweyde e quello stiletto ne era solo l'ulteriore conferma. E, dopotutto, era sua figlia... chiunque a Demir avrebbe ipotizzato che agisse per conto del governatore. Forse pensava di riuscire a farsi un nome con quella faccenda del consorzio, però il loro legame sarebbe stato impossibile da spezzare. Lilja era una sua creatura, una sua pedina: poteva ribellarsi quanto voleva, ma questo non sarebbe cambiato.

Ricacciò indietro la rabbia e ghignò con disprezzo. "Sì... e molto bene, vedo. Faremo come desideri, ma sai cosa ti attende se dovessi fare un passo falso, Lilja. I Vogelweyde non perdonano e io ancor meno."

La ragazza si rilassò. Non aveva indossato metallo anche per non dare al genitore modo di usare i suoi abiti contro di lei e, probabilmente, a questo punto della discussione Friedrich se ne era reso conto. Non si sentiva completamente vincitrice di quello scontro, però: sapeva che la questione l'avrebbe tormentato a lungo, incapace di accettare la sua indipendenza. Ma era meglio di niente e, di certo, il consorzio sarebbe stata un'ottima distrazione per diluire ancora di più i tempi del suo matrimonio con l'helisiano.

"Siamo d'accordo, allora, padre?"

La sala da pranzo venne ricomposta in pochi istanti dal potere mentale di Friedrich, che tappò ogni buco e riattivò i domestici. Lilja fece il resto, ridando la forma originale a ogni mobile e suppellettile che si era rovinata nella colluttazione, persino all'anello del genitore. A parte il cibo volato dappertutto, non sembrava affatto che in quella stanza si fosse appena conclusa una lotta.

"Sì, siamo d'accordo."

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