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30. fratelli

MAKT, ZEKA – 3 FEBBRAIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Katrina posò gli occhiali tondi dalla sottile montatura marrone sul comodino. Stanca, si sfregò le dita pallide sugli occhi con un mormorio basso che attirò l'attenzione del fratello minore.

"Trina, tutto bene?"

L'ombra di un sorriso le incurvò le labbra all'insù e, anche se non vedeva un accidente, cercò il viso di Ian. Forse lei era la sola a notare le somiglianze tra lui e Dietrich, ma era davvero impressionante quanto fossero marcate: avevano gli stessi capelli castani perennemente in disordine, gli stessi tratti affilati, lo stesso naso, lo stesso colorito. Però, anche se tutti e tre possedevano le iridi verdi della madre, gli occhi di Ian erano grandi e buoni, unica differenza lampante rispetto al fratello maggiore. Si era chiesta molte volte da chi avesse preso i propri, sempre pieni di paura e rivolti verso il basso.

"S-sì, sto bene. Sono solo un po' stanca."

"Ti fa male la luce?"

Ian piegò il capo di lato, curioso, scrutando il viso smunto della sorella. Katrina sapeva che era genuinamente preoccupato per lei, ma senza occhiali si sentiva nuda. Si affrettò a indossarli nuovamente, celando dietro le lenti spesse il suo disagio. Nonostante Ian fosse il più piccolo, appena tredicenne, e vivesse rinchiuso in quella camera isolata per la maggior parte del tempo, era un ottimo osservatore. Forse un po' ingenuo, soprattutto da quando Dietrich era partito, ma di buon cuore.

Era l'unico a essersi accorto del suo vizio di stropicciarsi gli occhi quando entrava in ambienti illuminati da lampade dal colore molto freddo e intenso. Persino sua madre, con la quale passava gran parte del suo tempo aiutandola a fare ricerche ed esperimenti, non sembrava averci fatto troppo caso.

"Un pochino," ammise con un filo di voce, imbarazzata.

Rispetto a Dietrich, era sempre stata quella silenziosa della famiglia, quella timida, quella con l'ansia sociale. Non che vivere sotterrata in quel laboratorio tutta la vita l'aiutasse particolarmente a uscire dal guscio: non aveva nemmeno un amico che potesse definire tale, circondata solamente da ricercatori dell'equipe di sua madre o da guardie del corpo.

Con una punta di invidia ricordò la sua infanzia, quando Dietrich si divertiva a comportarsi da ribelle e a contestare il padre con ogni mezzo possibile. Aveva persino trovato il modo di sgattaiolare fuori da lì senza farsi seguire, agile come un ladro, per vivere avventure nei meandri della loro città natale.

Lei, invece, fuori c'era uscita così poche volte che poteva contarle sulle dita di una mano, sempre accompagnata da almeno tre agenti della sicurezza e solamente per poche ore, spesso per portare a termine commissioni di cui l'aveva incaricata la madre.

"Thomas, puoi spegnere la luce?"

Alla richiesta gentile del suo protetto, l'Harvel annuì silenzioso. Il suo completo bianco frusciò mentre si avvicinava all'interruttore, spegnendolo e facendo piombare la stanza in una piacevole penombra. Le luci del corridoio, visibili attraverso la parete d'ingresso fatta di vetri temperati, fornivano abbastanza illuminazione da permettere a tutti e tre di vederci perfettamente ma, per sicurezza, Ian accese la piccola lampada a forma di mappamondo sul suo comodino.

"Meglio, vero?"

Katrina arrossì, scatenando la risatina di Ian a quella vista, ma annuì. "G-grazie, Ian."

"Allora... che notizie hai di Dietrich?"

I grandi occhi da cerbiatto dell'adolescente erano colmi di curiosità e speranza: sua sorella era venuta apposta per aggiornarlo sullo stato del fratello, che non sentiva né vedeva da oltre due anni. Gli mancava enormemente, più di quanto riuscisse a spiegare a parole, però sapeva che la loro distanza era inevitabile. Sebbene fosse ancora un bambino, capiva che c'era in ballo qualcosa di importante a cui Dietrich doveva partecipare per forza. Ciononostante, gli mancava lo stesso.

"A quanto so, ha appena iniziato il suo ultimo anno," rispose calma Katrina, passandosi le dita tra i corti capelli tinti di indaco slavato che le solleticavano la nuca e le scoprivano le orecchie. "Dall'ultimo contatto sembra che dovrà partecipare a qualche missione importante e che vada tutto bene. Non dobbiamo preoccuparci per lui: sa come cavarsela."

"Mmh... ehi, Trina, ma secondo te Dietrich non si sentirà un po' solo?"

"Solo?"

Ian annuì vigorosamente e raccolse le gambe, fino a quel momento a penzoloni dal letto, incrociandole sotto di sé. "Beh, sì. È in mezzo ai nostri nemici da un sacco di anni, ormai. Secondo te... secondo te ci ha dimenticati? Si sarà fatto dei nuovi amici?"

Katrina sbuffò divertita, scuotendo la testa lentamente. La domanda del fratellino l'aveva intenerita e ingelosita insieme: sapeva del rapporto unico che i due condividevano, qualcosa che lei non sarebbe mai riuscita ad avere in vita sua, eppure non immaginava che Ian potesse soffrire così tanto la mancanza di Dietrich al punto da chiedersi una cosa del genere.

Allungò una mano verso di lui per accarezzargli la testolina castana, un tocco così leggero da essere a malapena percepito. Il contatto fisico la metteva a disagio, ma con Ian aveva fatto dei passi avanti: ora riusciva a sopportare di essere toccata da lui, anche se per brevissimi istanti, e viceversa. Quando andava a trovarlo si imponeva di sfiorarlo almeno una volta, tentando di resistere per qualche millisecondo in più rispetto all'ultima occasione.

"Ian, Dietrich non potrebbe mai dimenticarti."

"Dici?"

"Certo," rispose con la tenerezza nella voce e accennando un sorriso. "Sei suo fratello e ti adora, lo sai. Anche se sono passati già due anni, non significa che ti abbia cancellato dalla sua memoria..."

"E tu?"

"I-io?"

"Anche tu sei sua sorella. Se non ha dimenticato me, non può aver dimenticato te."

Il sorriso incoraggiante di Ian la sorprese. Di nuovo, suo fratello aveva colto un dettaglio tra le righe che nessun altro avrebbe notato al suo posto: si era volontariamente omessa dal discorso. Non perché credesse davvero che Dietrich potesse averla dimenticata; piuttosto, non era nemmeno sicura che gli importasse abbastanza di lei da riconoscere la sua esistenza. Forse da bambini avevano condiviso qualcosa di più di qualche sguardo scocciato e parole di circostanza, ma era da troppi anni che il suo rapporto col fratello maggiore era fatto di silenzi.

Lei non era mai stata brava a comunicare con le persone, soprattutto con quelle con un carattere ribelle come Dietrich. Anche se da bambini lo seguiva sempre con lo sguardo colmo di ammirazione, lui sembrava non vederla neanche. Era come se fosse invisibile ai suoi occhi, o forse la evitava di proposito perché non sopportava la sua compagnia. Persino quando aveva scoperto che sgattaiolava fuori di nascosto Katrina non aveva osato confrontarlo, limitandosi a osservarlo e a immaginarsi al suo fianco, pronta a vivere un'avventura con lui.

Era molto brava a fantasticare a occhi aperti, a inventarsi modi per ottenere ciò che il suo cuore desiderava di più. Ma, anche se avrebbe potuto rendersi minuscola grazie al suo potere e infilarsi in segreto tra i vestiti del fratello per seguirlo ovunque, non aveva mai trovato il coraggio di farlo.

Come non aveva mai trovato il coraggio di parlargli, di dirgli come si sentiva, di chiedergli aiuto, di spalleggiarlo quando ce n'era bisogno. Aveva lasciato che il silenzio tra di loro diventasse denso e impenetrabile per tutto quel tempo. Come poteva sperare di cambiare le cose, adesso?

Prima di andarsene, però, lui le aveva fatto capire che in fondo ci teneva a lei. Katrina ricordava con affetto quell'addio, l'ultima volta in cui aveva visto il suo volto: Dietrich le aveva detto che gli piacevano i suoi capelli, tinti di quel colore assurdo e tagliati cortissimi, e le aveva anche ricordato che in sua assenza avrebbe dovuto prendersi cura di Ian al suo posto. La giovane aveva fatto sua quella richiesta, cercando di onorarla giorno dopo giorno al meglio delle sue possibilità. Si chiese con una punta di malinconia se l'avrebbe più rivisto. Come era cambiato in quei due anni? Cosa aveva visto e vissuto in territorio nemico?

Con un colpetto di tosse, Katrina si affrettò a cambiare argomento e ad accantonare quei pensieri. Ancora una volta era in imbarazzo per essere stata scoperta così facilmente da Ian e, soprattutto, non voleva mostrare le sue debolezze a Thomas, che se ne stava seduto in un angolo della stanza a leggere un libro. La sua presenza era una costante nella vita del giovane Melnyk, costretto ad avere una specie di guardia personale sempre accanto in grado di annullare il suo ingestibile potere.

Ma presto le cose sarebbero cambiate.

"C-comunque, tu come stai? Sei emozionato?"

Ian si strinse nelle spalle magre, dondolandosi a destra e sinistra sovrappensiero. "Non saprei. Un po' sì, voglio vedere cosa c'è fuori, però..."

"Hai paura," disse Katrina, terminando la frase al posto suo. Lui annuì e mugugnò in segno di assenso, abbassando lo sguardo.

"Non devi preoccuparti. Il viaggio è sicuro e sono certa che starai benissimo. Lì c'è aria molto migliore di quella che respiriamo qui, sai?" continuò lei, allungando una mano verso la lampada a forma di mappamondo che sfiorò con le dita. "E poi, il panorama è spettacolare. Vedrai, sarà fantastico."

"Ma sarò lontano da te e da Dietrich e da papà e da..."

Entrambi si voltarono, puntano i loro occhi verde smeraldo su Thomas. Lui, sentendosi osservato così all'improvviso, alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e inarcò un sopracciglio. "Che c'è?" chiese, freddo e burbero come suo solito.

"N-niente!" risposero in coro i due Melnyk affrettandosi a girarsi, imbarazzati per essere stati colti sul fatto.

Quando Ian sarebbe partito, il contratto con Thomas Harvel sarebbe stato finalmente rescisso e lui avrebbe potuto tornare all'Organizzazione dopo anni di servizio presso di loro. Katrina non conosceva i dettagli di quell'accordo, ma sapeva che suo padre aveva organizzato quel viaggio un po' all'improvviso, forse perché spinto dalle incessanti richieste degli Harvel.

Anche Monika, solitamente molto controllata nelle sue reazioni, non era affatto contenta di quel cambio di programma che l'avrebbe costretta ad abbandonare il laboratorio per chissà quanto tempo. Dal canto suo, Katrina non era sicura se si sarebbe sentita più triste per l'assenza del fratellino o per quella della madre, che considerava come una guida e un riferimento.

Magari le sarebbero mancati entrambi allo stesso modo. Era una buona cosa, no? Significava che non era poi così gelida e socialmente difettosa come pensava.

"Trina... prometti che mi chiamerai tutti i giorni?"

"B-beh..." balbettò lei, colta alla sprovvista da quella richiesta. Non che l'idea la infastidisse, ma non sapeva se avrebbe potuto mantenere quella promessa: le comunicazioni verso la spedizione di Ian sarebbero state estremamente controllate per evitare di essere intercettate in qualsivoglia modo, considerando le paranoie del padre. Le avrebbe mai dato il permesso di contattarlo, se glielo avesse chiesto? O l'avrebbe trovato strano, o addirittura non necessario?

Katrina, in fondo, sapeva quanto Alexei fosse gelido nei confronti di chiunque, compresi i suoi stessi figli. Più di una volta avrebbe voluto urlare, lamentarsi, ribellarsi contro di lui al fianco di Dietrich, ma non aveva mai trovato il coraggio di farlo. No, aveva sempre preferito accettare la sua condizione di sottoposta, di numero, di pedina nel grande schema delle cose che il padre gestiva. Esattamente come l'aveva accettata sua madre chissà quanto tempo prima, o come faceva tutt'ora Ian.

Più di una volta si era domandata cosa ne pensasse il fratellino di quella vita, soprattutto da quando Dietrich non era più lì a fargli il lavaggio del cervello con la sua assurda telepatia sensoriale. A lui era andata peggio di tutti: se il maggiore era stato obbligato a diventare una spia e lei a consacrare se stessa alle ricerche di Monika, Ian era praticamente nato prigioniero.

Alexei l'aveva calcolato? Sapeva che avrebbe avuto un figlio dai poteri ingestibili, così potenti da doverli sopprimere per poter vivere una vita normale, o aveva fatto sì che accadesse solo per avere una splendida cavia per esperimenti al suo servizio?

"Ci proverò," disse infine la ragazza con un sospiro. "Dipende da cosa decide papà, lo sai, però... però farò del mio meglio per convincerlo."

Il faccino di Ian si illuminò a quelle parole, sciogliendosi in un sorriso che fece arrossire per l'ennesima volta la sorella maggiore. Si buttò verso di lei sbilanciandosi oltre il bordo del letto, cadendole addosso con il busto e facendola quasi ribaltare all'indietro sulla sedia con un gridolino sorpreso.

Lì per lì Katrina non seppe cosa fare e si congelò sul posto, rigida e a disagio per quel contatto improvviso. Sentiva il panico crescerle in petto come un'onda, però non voleva avere un attacco proprio in quel momento: avrebbe ferito suo fratello e non se lo sarebbe mai perdonato. Così, si concentrò sul suo odore. I capelli di Ian odoravano di sapone, una delicata fragranza di fiori a malapena percepibile, così come la sua maglietta. L'odore della sua pelle era inconfondibile, mischiato a disinfettante e sudore in modo assurdamente piacevole. Sapeva di Ian e di casa.

Si rese conto in quel frangente che le sarebbe mancato da morire.

Respirando lenta con estremo controllo, Katrina mosse le braccia per cingere il fratellino, esile come un uccello malato e al contempo pieno di vita come un fiume in piena. Sentiva il proprio cuore rimbombarle nelle orecchie, un suono che pian piano si normalizzò al ritmo di quello di Ian, che non aveva smesso di sfregare il naso contro il suo collo in modo un po' infantile.

"Grazie, Trina," le bisbigliò, gioioso, "ti voglio un mondo di bene, lo sai?"

"L-lo so," rispose lei, rendendosi conto di avere le labbra tirate in un sorriso ebete. "A-anche io ti voglio bene, Ian."

Fu in quel momento che Katrina si sentì davvero orribile per la prima volta in vita sua. Perché, se tutto fosse andato secondo i piani di suo padre, Ian sarebbe rimasto per sempre sulla COLLINS e lei non stava facendo nulla per evitarlo.

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