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22. appuntamento

SELIK, DEMIR - 11 DICEMBRE 4573 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Era ormai la terza volta che Virgil Rayon veniva a villa Vogelweyde, eppure ancora non riusciva a immaginarsela come un luogo da poter chiamare casa. Il metallo che la componeva le conferiva un'aria gelida, sebbene fosse decorato e modellato in modo sempre diverso. Gli ambienti erano lussuosi, ispirati ogni volta a uno stile nuovo secondo ciò che andava più in voga al momento. Erano splendidi, ma sembravano usciti da una rivista, aumentando quel senso di vuoto e finzione che aleggiava nelle stanze.

Anche se per un po' era riuscito a dimenticarsi di quello spiacevole accordo che lo legava a doppio filo con la demirese, la riunione della settimana precedente era stata un brusco ritorno alla realtà. Era riuscito a salvare la situazione con una serie di eleganti bugie, ma sapeva fin troppo bene che, prima o poi, sarebbe stato costretto a sposare Lilja e avrebbe perso per sempre il suo cognome.

Risoluto, il giovane varcò la soglia della villa. Forse all'inizio era stato coinvolto come semplice pedina in quel gioco da adulti, ma ora che c'era dentro fino al collo non aveva alcuna intenzione di farsi usare in silenzio.

"Benvenuto, signor Rayon," lo accolse un robot domestico con deferenza. Virgil chinò il capo per salutarlo e si lasciò guidare da lui verso la sala grande. "Chiamo subito la signorina."

L'automa si dileguò in fretta, lasciandolo da solo. Il giovane fece qualche passo nella stanza, attirato da un insolito decoro che impreziosiva il muro sul fondo. Un bouquet di fiori rosa era stato inchiodato alla parete da numerosi coltelli argentei, componendo una specie di quadro dall'aspetto minaccioso. Il bigliettino, firmato di suo pugno il giorno prima, penzolava in alto sopra di esso come un avvertimento.

"Ah, vedo che l'hai notato. Ti piace?"

La voce tagliente di Lilja risuonò all'improvviso nel vuoto della sala. Virgil le dava le spalle, ma non si girò, continuando a osservare l'inquietante opera d'arte. Nell'udire le parole della ragazza, un angolo della sua bocca si inclinò all'insù con un pizzico di amarezza misto a divertimento: quei fiori glieli aveva fatti recapitare lui quella stessa mattina, con l'intento di placare il suo animo prima di incontrarla.

Anche se a nessuno dei due andava a genio l'idea di sposarsi, almeno erano d'accordo su una cosa: dovevano prendere tempo. La scusa di frequentarsi in pubblico come dei veri fidanzati era stata apprezzata dai rispettivi genitori, ma alle parole dovevano seguire i fatti. Osservando le povere piante martoriate, però, Virgil si chiese se così facendo non si fosse messo più in pericolo del previsto.

"Deliziosa. Vedo che fai buon uso dei miei regali."

I tacchi alti della giovane risuonarono sul pavimento mentre si avvicinava, spingendo il biondo a voltarsi verso di lei. Quel giorno, l'acciaio che non mancava di lasciarla era plasmato nella forma di un abitino che le copriva collo e braccia, pur rimanendo corto e morbido sulle cosce. Ammaliato dalla sua bellezza, Virgil aprì la bocca per rabbonirla con qualche complimento.

"La prossima volta mandameli gialli, Rayon," lo punzecchiò lei, interrompendolo prima che potesse dire alcunché. "È un po' che non vedo quel colore in questa stanza."

L'helisiano si portò una mano al cuore con fare melodrammatico. "Oh, mi ferisci così! Speravo che la prossima volta ci avresti decorato la tua camera, piuttosto."

Lei assottigliò lo sguardo e serrò la mascella, cogliendo la frecciatina. "Nulla di tuo potrà mai entrare nelle mie stanze, puoi starne certo."

"Preferisci l'aria aperta? Wow, non ti facevo esibizionis—"

Lilja non gli diede il tempo di finire la battuta. Staccò col pensiero delle lingue argentate dalla parete, che minacciarono di imprigionarlo in un abbraccio letale.

Sebbene fosse in pericolo, Virgil scoppiò a ridere per via di quella reazione esagerata. "Che permalosa che sei, Vogelweyde!"

L'arma si sciolse in un liquido denso e tornò alla sua forma originaria, tranne un piccolo globo che invece volò verso di lei. Assunse la forma di una piccola rosa e la ragazza se la appuntò col pensiero al colletto. L'aveva fatto apposta per provocarlo e Virgil lo sapeva: quel fiore era il simbolo del casato Rayon.

Fissò il decoro per un istante, ritrovandosi a sogghignare. "Dovrei considerarlo un invito?"

Lilja incrociò le braccia al petto con studiata lentezza e spostò il peso dalla gamba sinistra alla destra, obbligando l'abito a curvare dolcemente secondo le sue forme. I suoi occhi gelidi trasudavano disprezzo, sebbene le sue labbra suggerissero una punta di divertimento.

"Hai sempre la battuta pronta, Rayon?"

"Ovvio, altrimenti ti saresti già stancata di me."

"Hah! Cosa ti fa pensare che non lo sia già?"

Virgil si avvicinò a lei, con quel ghigno strafottente a mezza bocca ancora stampato in faccia. Giunto a un passo di distanza si piegò appena in avanti in sua direzione e bisbigliò: "Perché non mi hai ancora fatto fuori, tesoro."

Fece in tempo a schivare gli spuntoni solo perché immaginava che lei avrebbe reagito così. Dal suo abito incantato erano emerse in contemporanea una decina di punte di lancia, con il chiaro obiettivo di infilzarlo sul posto: se non fosse saltato prontamente all'indietro, Virgil si sarebbe ritrovato trasformato in uno spiedino.

Lilja era scura in volto, la sua rabbia quasi palpabile attorno a lei come un'aura, al punto da rendere torbido il metallo della sua gonna. Al contrario, l'helisiano era scoppiato in una fragorosa risata nonostante il pericolo appena corso.

"D'accordo, ho capito il messaggio," riuscì a dire prima che la Metallocineta cercasse davvero di ucciderlo pur di zittirlo. "Ora la smetto, promesso!"

"Già, sarebbe ora, idiota," sbuffò lei, impaziente. Si ricompose, tornando alla sua espressione altezzosa e gelida di sempre, e lo squadrò dall'alto in basso. "Allora, vuoi dirmi perché sei venuto qui oggi o no?"

"Beh, per chiederti un appuntamento. Sei stata tu a dirmi di invitarti in modo formale..."

Lilja lo fissò con aria stranita, aspettandosi da un momento all'altro che lui si mettesse di nuovo a ridere e le rivelasse che si trattava di una battuta. Quando questo non accadde, la ragazza sbuffò forte dal naso come per schernirlo. "Sei serio? Figuriamoci..."

"Cos'è, te lo sei scordato?"

Per un istante, Virgil si domandò se non avesse male interpretato le sue parole l'ultima volta. Eppure gli era sembrata piuttosto chiara, tanto da lasciarlo a bocca aperta per la sfrontatezza della proposta.

"Comunque, non ci sarebbe niente di strano a uscire assieme, anzi... o devo proprio ricordarti che siamo promessi sposi?"

"E io devo proprio ricordarti che non ho alcuna intenzione di accettarlo?"

Virgil alzò gli occhi al cielo, stufo dei suoi continui rifiuti. "Non fare la difficile, principessina," sbottò. Si avvicinò a lei e la prese per un braccio, in modo da affiancare le labbra al suo orecchio. "Qui non possiamo parlare, per questo è meglio uscire. Abbiamo un piano di cui discutere... E stai pure tranquilla, Vogelweyde: non ho intenzione di provarci con te."

Le guance di Lilja si infiammarono immediatamente, un po' per l'imbarazzo e un po' per la rabbia. Stavolta, però, non fece in tempo a sfogare la sua ira su di lui: dopo aver lasciato rapidamente la presa sul suo braccio, il biondo si era già incamminato verso l'uscita della villa sghignazzando.

Demir era una regione sulla quale regnava la nebbia o, nel migliore dei casi, un gran numero di nuvoloni a coprire il cielo. La cappa che si formava sulle loro città era spesso afosa e umida come un bagno turco, anche quello uno spiacevole effetto del cambiamento climatico in atto sul pianeta. Il sole, quindi, era qualcosa di cui il popolo poteva godere in rarissime occasioni, nonostante il calore soffocante fosse onnipresente anche durante gli acquazzoni.

Quel pomeriggio, per fortuna, Selik era sferzata da un vento tiepido che contribuiva a pulire un po' l'aria dalla foschia. Purtroppo, la cosa non rendeva più piacevole il già desolante panorama di fabbriche grigie, facciate rigate di nero e cantieri lasciati a metà. Il cemento era evidentemente corroso dagli agenti chimici piovuti dal cielo, mentre il metallo e la plastica di strutture e abbellimenti sembrava arrugginito e deforme.

Nessuno più del popolo di Demir conosceva i danni che l'inquinamento mescolato agli agenti atmosferici era in grado di provocare alle costruzioni dell'uomo: corrosione, cambiamenti delle proprietà dei materiali, indebolimento critico dei legami, deperimento. Imprese edili, ingegneri e superumani erano da anni impegnati in opere di ricostruzione e manutenzione delle strutture del paese, lavori che sembravano non avere mai fine. Per Lilja, quel triste panorama era la normalità e, complice le sue particolari abilità, sapeva trovarci del fascino nonostante l'apparente degrado.

Passeggiavano per la capitale da una buona mezz'ora senza parlare granché e tenendosi a distanza l'uno dall'altra, nonostante camminassero affiancati. Sembravano due estranei trovatisi per caso a condividere il marciapiede, non certo una coppia di fidanzati innamorati.

L'helisiano la guidava con maestria, camminando tra le strade affollate come se le conoscesse da anni. Lilja si era subito chiesta da dove spuntasse quella dimestichezza: Virgil aveva di recente affittato un appartamento nelle vicinanze, ma era impossibile che fosse diventato già così esperto nel giro di pochi giorni. Che stesse di nuovo improvvisando, riuscendoci così bene da sembrarle un vero cittadino di Selik?

"Ecco, io abito lì."

Virgil ruppe il silenzio e le indicò una palazzina di dieci piani mangiucchiata dagli agenti chimici come tutte le costruzioni di Demir. Lilja la osservò scettica, realizzando che doveva essere stata rinnovata di recente nonostante l'aspetto trascurato. Il celeste dell'intonaco era striato di grigio, rosso e blu, mentre in alcuni punti sembrava essersi addirittura scrostato in grosse zolle increspate che lasciavano intravedere la precedente colorazione rosata al di sotto. I balconi erano stretti e arrugginiti, tutti ugualmente desolanti e vuoti tranne uno: al quinto piano, nell'appartamento più a destra, Lilja notò uno sprazzo di verde. Era una pianta striminzita, alta e dal fusto spesso, con poche foglie dritte e lunghe probabilmente già butterate da macchie solari.

"Al quinto piano, scommetto."

"Come fai a saperlo?"

"Nessun demirese si sarebbe mai sognato di mettere fuori una pianta," rispose con una punta di divertimento nella voce.

La zona era periferica rispetto al centro città, che era molto più costoso e meglio servito da mezzi e servizi. Lilja si chiese come mai Virgil avesse scelto proprio un quartiere così fuori mano e poco adatto a uno importante come lui, che poteva permettersi di scegliere abitazioni più consone al suo rango. Come ogni cosa che faceva doveva esserci una motivazione sensata, anche se a lei appariva una scelta sciocca: al suo posto, lei avrebbe affittato un appartamento di lusso con ottima vista sulla piazza principale.

"Che te ne pare, comunque?"

"Patetico e dozzinale," sbuffò lei con aria schifata, distogliendo lo sguardo dall'edificio per concentrarsi su di lui. "Ti dona, direi."

Il commento fece ridacchiare il ragazzo di gusto. "Allora direi che è assolutamente perfetto."

Ripresero a camminare, diretti stavolta verso il cuore di Selik. Lilja lanciò un'occhiata di sottecchi al ragazzo, pensierosa. Era stato lui a insistere per quella stupida uscita, addirittura suggerendo che era necessaria per discutere del loro piano per evitare il matrimonio. Invece, ora che poteva parlare senza rischiare di essere ascoltato da orecchie indiscrete, se ne stava zitto.

Lo conosceva poco e certo non poteva dire che le stesse simpatico, però la incuriosiva: aveva capito che c'era dell'altro dietro alla facciata che mostrava al pubblico, ma non sembrava propenso a rivelarle il suo vero io. Non lo biasimava - in fondo, per lei era lo stesso - però faticava a spegnere il proprio interesse per la questione.

Erano soli, eppure la giovane sapeva che qualche guardia del corpo li stava silenziosamente pedinando per assicurarsi la loro incolumità. Gli sguardi dei cittadini le scivolavano addosso: invisibili dietro alle loro maschere antigas, Lilja non li vedeva ma li percepiva su di sé. Si rese conto che passeggiare in pubblico era parte della sceneggiata a cui aveva a malincuore dato il suo consenso. Nessuno osava fermarli, anche se era evidente che tutti li avevano riconosciuti visto che giravano a viso scoperto.

"Hai intenzione di parlarmi del tuo strabiliante piano per evitare di sposarci, prima o poi, o vuoi solo farmi vedere palazzi orrendi?" Era da tutto il pomeriggio che aspettava di discutere quel punto, ma l'helisiano sembrava non voler vuotare il sacco. "Non ho dimenticato cosa mi hai detto quando ci siamo conosciuti..."

"Che volevo appartarmi con te?"

Lilja alzò gli occhi al cielo, reprimendo il desiderio di picchiarlo. Sapeva che lo faceva apposta per provocare la sua reazione, ma proprio non riusciva a evitare di infastidirsi ogni volta che la punzecchiava con le sue battutine.

"No, cretino. Quella storia del 'dobbiamo diventare i più influenti di Celios e vincere la guerra' che mi hai rifilato tutto convinto."

"Mh, quello. Allora partiamo dal principio: sai perché siamo in guerra con Zeka?"

La ragazza incrociò le braccia al petto, indispettita. Odiava quando le veniva risposto con una domanda: le sembrava un modo fin troppo evidente per cambiare discorso. Non diede retta all'impulso di insultarlo, costringendosi a mordersi la lingua e stare al suo gioco.

"Tecnologia," rispose con voce velata di sdegno, "Zeka ha inventato un modo per coltivare piante nonostante l'inquinamento, ma non vuole condividere la cosa con nessuno. Quindi, la risposta dell'Alleanza è stata scatenare una guerra per andarsela a prendere con la forza."

Lui annuì. "Per quanto ne so, il conflitto è in stallo da tempo. Zeka non sembra voler avanzare, mentre l'Alleanza non riesce a superare le loro linee difensive."

"Detta così, sembriamo noi i cattivi della storia."

"Forse lo siamo, chissà," convenne lui facendo spallucce. "Il punto è che contro le macchine zekiane i nostri soldati sono come formiche da schiacciare. Anche se il nostro esercito possiede dei mezzi speciali e cose del genere, è nulla in confronto a loro." Fece una breve pausa, voltandosi in direzione della ragazza per guardarla negli occhi. "Ci serve la potenza di voi demiresi."

La Metallocineta rimase in silenzio per un breve istante, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte senza riuscire a dar voce ai suoi pensieri. Era quello il punto? Chiedere l'aiuto dei superumani di Demir per cambiare le sorti della guerra?

"L'ho già detto che hai qualche rotella fuori posto?" sibilò scuotendo la testa.

"Calma, non volevo proporti di arruolarti per andare a massacrare robot zekiani!" scherzò il ragazzo ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. "Anche se ti ci vedrei..."

"Rayon..." Lilja gli rifilò un'occhiataccia che pareva una stilettata ma, invece di intimidirlo, non fece altro che farlo ridacchiare con più gusto.

"Quello che voglio dire è che Demir è l'unica regione che può contrastare seriamente Zeka. Siete la seconda potenza di Celios dopo di loro, Lilja... Avete i soldi, le materie prime, le infrastrutture e persino la formazione adatta per farlo."

"Non credo che mio padre sia così visionario..." commentò lei poco convinta. "E di sicuro non ha alcuna intenzione di interrompere la produzione industriale per obbligare il nostro popolo ad arruolarsi. Onestamente, anche a me l'idea non piace."

Ma Virgil scosse la testa, risoluto, e le prese una mano fermandosi in mezzo al marciapiede. L'improvviso contatto stupì la ragazza, poco abituata a essere toccata fisicamente persino dalla sua famiglia, tanto che tentò invano di ritrarsi dalla sua presa. Qualche passante curioso li squadrò e lei si sentì avvampare per l'imbarazzo, già immaginando i commenti di molti e i flash delle fotocamere. Lui la tirò gentilmente verso di sé e Lilja si chiese se lo stava facendo apposta per alimentare i gossip o perché stava per rivelarle un segreto.

"No, non intendo dire che Demir deve scendere in guerra con un suo esercito di Metallocineti," le bisbigliò, "la mia idea è di vincere con l'intelligenza, con lo studio e la ricerca. Secondo te, per quale motivo l'Alleanza non ha ancora sviluppato dei dispositivi come le serre artificiali di Zeka?"

"Immagino che la nostra tecnologia non sia così avanzata come la loro..."

"Non lo è perché non viene finanziata. I soldi finiscono tutti nel buco nero dello sviluppo militare, mentre dell'emergenza climatica non importa a nessuno. Ma è tutto nato da lì! Se Demir per prima, con la sua influenza e la sua esperienza industriale, iniziasse a fare ricerca sul serio..."

"Non puoi saperlo," sbottò Lilja, finalmente liberando la mano da quelle grandi e sudaticce di Virgil e allontanandosi di un passo. "Se non ci sono riusciti fino a ora, magari il motivo è che senza le conoscenze degli zekiani per noi è impossibile. Ad esempio, i giacimenti di Exo nel territorio dell'Alleanza sono a secco da tempo, mentre loro pare ne abbiano un'infinità."

"E non pensi che valga la pena capirci di più!?" la incalzò lui, infervorato. "Chiamami stupido, ma secondo me vale la pena tentare. C'è qualcosa di strano nella tecnologia zekiana, qualcosa che potremmo capire e sfruttare anche noi se solo ne avessimo l'opportunità."

"Ammettiamo tu abbia ragione, che la scienza sia la carta vincente per mettere fine alla guerra," replicò Lilja riprendendo a camminare. "Come pensi di fare, di preciso? Non ricordo tu abbia un dottorato in ingegneria, però magari mi sbaglio..."

Virgil ghignò. "Non ce l'ho, ma non mi serve. Mi basta comprare chi ce l'ha."

"Oh, è così che intendi usare i soldi del paparino?"

"Beh, sì. Del mio e del tuo."

Lilja inarcò un sopracciglio, realizzando finalmente le vere intenzioni di Virgil. Il casato Vogelweyde l'aveva costretto a quel matrimonio allo scopo di sfruttarlo per generare eredi dalle capacità impressionanti, ma a quanto pareva l'helisiano aveva in mente di ricambiare il favore.

"Vediamo se ho capito... vuoi usarmi per arrivare a qualche pezzo grosso per convincerlo a finanziare il tuo progetto o una cosa del genere, giusto?"

"Sì, esat– no, aspetta, cosa?" chiese lui, rallentando il passo con aria stranita. Sembrava davvero sorpreso dalle sue parole, o forse lo era dal modo in cui le aveva dette. "No! Te l'ho già detto, in questa cosa ci siamo dentro in due, Vogelweyde. Se proprio ho in mente di usare qualcuno, quello è tuo padre... o, almeno, il suo nome e i suoi crediti."

Sorpresa, la corvina si ammutolì per qualche minuto. Non aveva mai immaginato che avrebbe potuto aspirare a un ruolo diverso da quello di delizioso soprammobile dal cognome importante. Anzi, era convinta che la sua esistenza si sarebbe limitata a essere semplicemente la moglie di qualcuno, proprio come era successo a sua madre. Virgil, però, la pensava in modo diverso: in lei vedeva un'alleata sua pari, una persona che poteva mettere sul piatto ben più di un bel faccino e un potere alieno spaventoso.

"O-ok, allora spiegati meglio," disse, ostinandosi a non ricambiare il suo sguardo per paura che lui potesse indovinare quanto le sue parole l'avessero resa felice. "Che accidenti vuoi da me, Rayon?"

"Voglio che mi reggi il gioco, innanzitutto. Siamo fidanzati e, anche se sappiamo entrambi che è una bugia, dobbiamo essere così bravi da convincere persino i sassi del nostro amore."

"A che scopo?" sbuffò lei, già schifata all'idea. "Tanto ci sposeremo comunque... a che serve far credere al mondo che ci sia del reale sentimento dietro?"

"Serve per questo."

Virgil rallentò il passo e fece scivolare un braccio attorno alla vita della ragazza, attirandola a sé. L'intimità di quel gesto la sorprese, tanto che arrossì e dovette concentrarsi sull'orlo dell'abito per evitare di perdere il controllo sulla sua forma. Evitò di trasformarlo in arma come suo solito perché erano in pubblico, ma lanciò ugualmente un'occhiataccia al biondo.

"Che diavo—"

Lui non le rispose, intento a sorridere alle fotocamere dei passanti felici. Sin da quando avevano stipulato l'accordo che li costringeva a sposarsi, la notizia del matrimonio tra il 'Maledetto di Helias' e la principessa Vogelweyde era circolata in rete e in tutti i principali canali di informazione locale per un paio di settimane. Lilja non credeva fosse stato sufficiente a giustificare tutte quelle attenzioni, ma dovette ricredersi: il loro status sociale era tanto importante quanto la particolarità dei loro poteri. Se fino a quel momento non erano circolati abbastanza pettegolezzi e articoli sull'argomento, era certa che da quel pomeriggio in poi la situazione sarebbe cambiata parecchio.

"Alla gente piace avere qualcosa di cui parlare," le sussurrò Virgil a denti stretti tra una foto e l'altra, "e a noi serve crearci una reputazione come coppia, l'hai detto tu stessa. Essere famosi ci aprirà tante porte, porte che persino tuo padre non sospetta."

Ingoiando il suo disgusto, Lilja realizzò di dover stare al gioco. Si mise in posa per gli scatti successivi gettandogli le braccia attorno al collo come una vera fidanzatina, così da avere il suo orecchio a portata di labbra. "E poi cosa? Pensi davvero che i miei genitori ci lascerebbero avvicinare gente importante per chiedergli di finanziare il nostro piccolo progettino? Sii realista, Rayon."

Non ce l'aveva con lui, ma non amava illudersi: sapeva quanto influente fosse Friedrich e quanto poco lo fosse lei, soprattutto in una società che sfavoriva le donne come quella demirese. Quel piano era un sogno che non sarebbe mai diventato realtà. Avrebbe preferito che Virgil le proponesse di fuggire e nascondersi per sempre pur di non piegarsi al destino che il governatore aveva deciso per loro.

"Ovviamente no," rispose lui facendole l'occhiolino. "Per questo lo faremo di nascosto."

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