20. vittoria
HILEIM, HELIAS - 25 NOVEMBRE 4573 DEL CALENDARIO TERRESTRE
Su consiglio di Reniji, Vanessa si era rintanata nel seminterrato adibito a sua palestra personale. Il siyahno la conosceva fin troppo bene: aveva capito che stava per esplodere e per questo l'aveva mandata lì sotto a sfogarsi, così da evitare di peggiorare le cose.
Negli anni la sala si era riempita di attrezzi utili all'allenamento della giovane Rayon: sacchi da boxe, macchine e pesi per rinforzare i muscoli, corde di vario diametro e persino qualche ostacolo erano disposti in modo disordinato lungo le pareti, mentre al centro torreggiava un grande materasso quadrato dall'aria consumata che faceva da ring. La luce artificiale illuminava in modo strategico la palestra facendola sembrare quasi un luogo professionale e i vari asciugamani lasciati a penzolare qua e là dagli attrezzi lasciavano intendere che il luogo era molto frequentato. In realtà solo Vanessa e Reniji erano soliti venirci, nonostante fosse una parte della casa aperta a tutti i membri della famiglia Rayon. Che quel luogo fosse un po' il rifugio della ragazza era evidente anche dai poster di band improbabili appesi qua e là e dalla grande lavagna magnetica sulla quale erano riportate le sue routine di allenamento. Era Reniji a occuparsene in modo sorprendentemente rigido, realizzando per lei circuiti sempre nuovi ed esercizi via via più difficili, così da aiutarla a spingere sempre più in là il suo corpo.
Da quando il siyahno era il suo insegnante, Vanessa aveva imparato come gestire i suoi poteri in modo più controllato e persino il suo caratteraccio era stato limato abbastanza da impedirle di compiere follie. La fiducia che li legava era forte, al punto che Vanessa aveva preso il giovane a esempio e modificato il proprio atteggiamento per somigliargli. Era stato solo grazie a quel rapporto se la Rayon era riuscita a trattenersi nello studio del padre pochi minuti prima, ma non era ancora così brava da riuscire a sopprimere la rabbia del tutto.
Imperlata di sudore e vestita solo con un pantaloncino sportivo e un top striminzito che le scopriva spalle e addome, Vanessa si stava sfogando senza sosta da quasi mezz'ora sul povero sacco da boxe che pendeva dal soffitto in un angolo della palestra. Ad accompagnare la sfuriata c'era una musica di sottofondo composta dal suo ritmico ansimare, dagli schiocchi dei suoi pugni sull'attrezzo e dai suoi ruggiti furibondi.
"Aah, quel brutto...!"
Vanessa lanciò un urlo all'improvviso che sembrava più un grido di battaglia che un modo per esternare la sua frustrazione. Il sacco da boxe era già malandato ma a lei non sembrava importare: si accanì su di esso sferrando un destro ben assestato che lo fece oscillare pericolosamente avanti e indietro.
"Pezzo di merda!" continuò, colpendo l'attrezzo con un pugno sinistro seguito subito dopo da un calcio laterale con la gamba destra. Il movimento l'aveva perfezionato da tempo con Reniji e le uscì naturale, una frustata talmente forte che i ganci metallici con cui era appeso il sacco scricchiolarono in modo preoccupante.
"Vecchio... stupido... idiota!" terminò alzando gradualmente la voce, facendo seguire ogni insulto da un attacco diverso. Non si rese conto della polvere bianca che aveva iniziato a caderle addosso a ogni colpo, almeno finché l'ultimo calcio non fece cedere l'aggancio del sacco. Quello rovinò a terra con un tonfo, portandosi dietro persino qualche calcinaccio e lasciando la giovane senza un bersaglio da massacrare.
Vanessa si ritrovò ansimante per la rabbia più che per lo sforzo. Diverse gocce di sudore le imperlavano la fronte appiccicandole i capelli sulla testa e sul collo, il viso ancora paonazzo. Aveva pensato che sfogarsi sugli attrezzi della palestra le avrebbe permesso di ritrovare un minimo di sangue freddo e lucidità per escogitare un piano e convincere il padre a farla iscrivere in Accademia, ma più tirava cazzotti più sentiva una furia incontenibile crescerle dentro. Non era una novità visto che in fondo era sempre arrabbiata, ma quel giorno lo era in modo particolare.
Il pensiero della litigata avuta col fratello non fece che alimentare la sua ira ancora di più. Era come se il rifiuto del padre fosse la prova che Virgil aveva ragione, che in fondo non poteva sottrarsi a un destino deciso per lei ancor prima di nascere e dovuto solamente al suo stupido cognome. Ancora una volta avrebbe dovuto chinare la testa per compiere un dovere che non sentiva suo e questo Vanessa proprio non riusciva ad accettarlo.
"Porca troia, bionda, ma quanto cavolo urli?"
Renji le si avvicinò, le mani sulle orecchie come se lei lo avesse appena stordito a furia di gridare. Di solito la ragazza non si rendeva mai conto del volume della sua voce, tant'è che nemmeno quella volta aveva realizzato quanto forte stesse gridando. Lo sguardo del siyahno volò sul disastro ai piedi di lei e di fronte a quella vista desolante non poté che passarsi una mano sul viso con aria stanca: spiegare il motivo della nuova voragine nel soffitto non sarebbe stato divertente. "Ti avevo detto di non spaccare niente..."
"Non è colpa mia se l'hanno attaccato male," ringhiò lei in malo modo lanciandogli solo un'occhiata e continuando a dargli le spalle. Colpevole ma decisa a non farglielo notare, spostò la sua attenzione sul sacco da boxe e lo raccolse senza alcuno sforzo, spostandolo in un angolo della stanza come se non avesse peso.
Il suo insegnante le indicò il punto dove una volta c'era l'ancoraggio dell'attrezzo e ghignò, prendendola in giro. "Hai ragione, è perfettamente normale che si crei un buco nel soffitto in questi casi."
"Oh, finiscila!" sbottò lei, tirandogli in faccia uno dei due guantoni che si era appena sfilata.
Reniji lo schivò e si fece avanti ridacchiando, calciando con calma i calcinacci rimasti sul materasso in modo da muoverli contro la parete. Teneva le mani in tasca come suo solito, l'espressione strafottente di uno che ha intenzione di litigare. "Dai, piantala di piangerti addosso. E poi gridi troppo forte, ti sentivo già dallo studio di tuo padre!"
"Meglio," replicò lei raggiungendo un asciugamano e raccogliendolo da terra, "così avrà sentito tutti gli insulti che gli ho dedicato."
A guardarla così arrabbiata gli faceva tenerezza, al punto da fargli venire voglia di prenderla in giro ancora e ancora solo per godersi la sua reazione. In realtà, Vanessa era piuttosto minacciosa in quel frangente: sudata, con i capelli raccolti a casaccio in cima alla testa e incazzata nera, la ragazza sembrava appena uscita da un incontro di boxe. Il profilo dei suoi muscoli, resi esplosivi dalla forza aliena che la rendeva una Fortificata, era evidente grazie al suo abbigliamento che la lasciava mezza nuda, eppure Reniji non riusciva a non considerarla una specie di animaletto buffo. Nessuno avrebbe mai sospettato che una ragazzina come lei nascondesse una potenza tale da aprire buchi nelle pareti.
"Sì, li avrà sentiti di sicuro," convenne l'uomo con un ghigno. "Comunque, sei stata brava a trattenerti. Per un momento ho pensato che l'avresti picchiato..."
"Ci ho pensato," ammise lei con uno sbuffo. "Se non ci fossi stato tu, probabilmente l'avrei fatto davvero."
Quelle parole non furono piacevoli per Reniji, che sperava di vedere l'autocontrollo della sua allieva migliorare. Più di una volta aveva pensato che sarebbe stato molto più semplice se lei avesse imparato dal fratello, sempre composto e posato. Non aveva mai osato dirglielo, però, per non rischiare di ferirla inutilmente.
"Male. Lo sai che devi imparare a non esplodere."
Vanessa alzò gli occhi al cielo e non rispose, dedicandosi invece a pulirsi via il sudore da collo e fronte. "Sì, sì... Che diavolo vuoi, Ren? Mi hai fatta venire qui solo per darmi l'opportunità di sbollire?"
"Anche... la mia idea iniziale era che ci fosse un altro motivo, però."
Lei inarcò un sopracciglio. "Da come lo dici sembra che non sia andata come speravi."
Il soldato ondeggiò il capo a destra e sinistra, indeciso sulle parole adatte da usare. "Eeh, più o meno. Dopo che te ne sei andata, io e tuo padre abbiamo discusso un po'..."
La ragazza non si aspettava notizie positive: conosceva il genitore e sapeva quanto fosse testardo. Sbuffò nell'avvicinarsi a Reniji, già pregustando l'amarezza di ciò che le avrebbe detto di lì a poco. "Arriva al punto, Ren."
"Si è convinto," annunciò il siyahno regalandole un occhiolino e un sorriso che avevano il retrogusto di uno dei suoi scherzi. "Potrai iscriverti, i corsi iniziano a gennaio."
"Da-davvero!?" gridò la ragazza, incredula. Non riusciva a capire se Reniji fosse serio o meno ma, quando lui annuì ridacchiando, Vanessa sciolse l'espressione corrucciata che la caratterizzava per lasciare spazio a una entusiasta. Gli corse in contro buttandoglisi addosso, con l'unico risultato di scatenare le risate del giovane prima di finire a gambe all'aria sul materasso. La dinamica della cosa le sfuggì ma era piuttosto certa che Reniji l'avesse lanciata come un sacco di patate di proposito.
"Che cavolo...?" domandò, rimettendosi in piedi dopo la botta. L'uomo sorrideva ma era un sorriso strano, uno di quelli che le rivolgeva quando si allenavano e stava per vincere l'ennesimo round.
"Per iscriverti in Accademia bisogna superare un esame," rivelò il soldato assumendo una posizione difensiva. Vanessa aveva già capito dove voleva andare a parare ancor prima che terminasse la frase e non poté evitarsi di liberare un sospiro lamentoso. "E si dà il caso che il tuo consista nel battermi."
"Cosa... ma non vale!"
"Perché no?" replicò lui con una scrollata di spalle, "Mio fratello è il preside dell'Accademia, sai. Gli ho fatto da esaminatore durante le ammissioni per anni."
"Sì, ma se non ti ho mai sconfitto fino a ora come posso riuscirci adesso?!" Vanessa lo raggiunse con un paio di grandi falcate, arrivandogli a un soffio e puntagli l'indice contro il petto muscoloso. Anche se lo stava solo spingendo con un dito, Reniji sentì chiaramente la pressione della sua forza costringerlo a resisterle per non indietreggiare. "Cos'è, te l'ha chiesto mio padre? È il suo modo assurdo per dirmi di no senza litigare?"
L'uomo si chinò in avanti per fronteggiarla, restando a pochi centimetri da lei. "Non ti facevo così cagasotto," le sussurrò prendendola in giro con lo sguardo.
La ragazza ringhiò ma lui fu più rapido della sua testata, schivandola saltando all'indietro prima che potesse colpirlo. Era facile prevedere le sue mosse quando perdeva le staffe, motivo per cui avrebbe dovuto imparare a tenere a bada le emozioni sul campo di battaglia se voleva sperare di sopravvivere.
"Vaffanculo, Ren!" gridò lei in risposta, per niente divertita dalla situazione. Sentiva la rabbia crescerle di nuovo in corpo, sicura che quel combattimento fosse solo un piano ben articolato da Christopher: lo sapevano tutti che non era mai riuscita nemmeno a scalfire la corazza di Reniji, figurarsi batterlo. Era diventata brava con le arti marziali, ma non così tanto da avere la meglio su un militare grosso il doppio di lei e con maggiore esperienza.
Ignorò le risa dell'uomo, chiudendo invece gli occhi per concentrarsi e cercare di riprendere il controllo di sé. Tenendo il capo chino, prese un lento respiro che le ingrossò il torace per un istante calmando la sua ira. Strinse i pugni, le nocche bianche per lo sforzo, e quando alzò di nuovo lo sguardo sul suo maestro aveva solo determinazione negli occhi. Se il padre ci teneva tanto a vederla fallire, allora gli avrebbe dimostrato che si sbagliava.
"Va bene, starò al gioco," disse infine mettendosi in posizione di combattimento a un paio di falcate di distanza da lui. "Devo solo batterti, giusto?"
"Hah, solo? Nanerot—"
Vanessa non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase. Con un salto, la ragazza aveva coperto la distanza che li separava in un lampo, sferrandogli un gancio al fegato. Se Reniji non avesse avuto la sua corazza a proteggerlo di continuo persino contro il proprio volere, probabilmente con quel colpo la bionda gliel'avrebbe spappolato. Da sotto gli abiti si allargò una macchia nero pece a ricoprire la pelle del soldato, segno che il suo potere era entrato in azione. Si sarebbe stancata prima lei di attaccare un muro incredibilmente coriaceo, o lui di resistere alla sua forza soverchiante?
Reniji girò il busto per colpirla con una bracciata, ma lei si era già piegata sulle ginocchia per schivare. Deciso a non andarci leggero, sfruttò la rotazione per sferrarle una ginocchiata improvvisa proprio al centro del petto. Lei incassò l'attacco e il respiro le morì in gola, costretta a indietreggiare di un paio di passi. Il fuoco che le ardeva negli occhi, però, non accennava a spegnersi e in nell'arco di un respiro i due tornarono vicinissimi. Si scambiarono diversi colpi per un minuto buono, riuscendo ogni volta a schivare o parare l'altro in quella che, vista da fuori, pareva una danza molto pericolosa.
Se fossero andati avanti così non avrebbero concluso nulla, così Vanessa decise di rischiare. Finse di attaccarlo di nuovo con un gancio destro, aprendosi di proposito sul fianco per attirarlo. L'uomo reagì d'istinto proprio come aveva previsto lei, ruotando leggermente per schivare il colpo e al contempo mirando al suo punto debole. Vanessa non si concesse nemmeno di ghignare di soddisfazione: trasformò l'attacco in una presa, bloccando il braccio di Reniji all'altezza del polso e spingendo con l'altra mano sotto la sua ascella. Sfruttando la rotazione impressa dal movimento di lui, la giovane fece perno sulle ginocchia per ribaltarlo e, una volta a terra, gli torse l'arto e lo bloccò al pavimento con una gamba, torreggiando su di lui.
"Heh," mugugnò Reniji con la faccia nel materasso, "niente male, bionda."
Ma Renji non era solo grande, grosso e impenetrabile. La macchia nera che lo ricopriva si espanse attorno al polso e, con grossa sorpresa di Vanessa, si tramutò in un puntaspilli acuminato che le ferì la mano. Aveva tenuto quell'asso nella manica per un momento come quello, non rivelando alla sua allieva che la sua corazza poteva deformarsi. Concentrandola abbastanza in un punto, Reniji poteva cambiarne la forma come fosse una cosa viva.
"Ah!" si lasciò scappare Vanessa, presa alla sprovvista. Quell'attimo di esitazione fu abbastanza per costringerla a mollare la presa e, una volta libero, il militare spazzò il pavimento con le gambe per farla rovinare a terra a sua volta.
Reniji non le concesse di imprecare. Si alzò rapido e l'acchiappò per un piede, sollevandola come se pesasse pochi grammi. Decise di prendersi gioco di lei ancora una volta, così le rivolse un ghigno sadico facendola oscillare a destra e sinistra. "Ciao, piccola, com'è il mondo sottosopra?"
"Brutto...! Stai di nuovo barando!"
"Prima regola per vincere: conosci il tuo nemico," replicò Reniji con una risata beffarda prima di lanciare la ragazza contro il sacco da boxe.
Vanessa si costrinse a non gemere di dolore, anche se le botte che aveva preso non erano per niente piacevoli. La mano destra era uno schifo sanguinolento, indolenzita e ormai inutilizzabile, e nonostante fosse piena di rabbia e adrenalina sentiva di non essere nel pieno delle forze. Si rialzò in modo goffo, pulendosi il sudore dal viso col dorso della mano sana e cercando di ragionare. Attaccare Reniji senza un piano non le avrebbe garantito la vittoria, perciò doveva spremersi le meningi.
A quel punto le venne un'idea. C'era una cosa che a Reniji non aveva mai mostrato, un trucchetto che aveva scoperto da tempo ma che solo di recente aveva imparato a usare. La forza che la caratterizzava era più come un fiume in piena, energia pura che le crepitava sotto la pelle e che, se si concentrava un pochino, riusciva addirittura a percepire. Il siyahno aveva cambiato la struttura della sua corazza come fosse liquida e lei pensò che forse poteva fare lo stesso.
O la va o la spacca, si disse, gettandosi alle spalle dubbi e preoccupazioni. Non aveva mai tentato di attingere a quell'energia in un modo diverso dal semplice tirare pugni, ma la situazione era abbastanza disperata da costringerla a tentare.
Vanessa puntellò i piedi e si diede lo slancio, calciandosi via dal pavimento diretta come un proiettile verso il suo insegnante. Era stato proprio lui a spiegarle come usare la sua forza in modo creativo e spingere il terreno per compiere salti a velocità improbabile era una di quelle mosse. Gli arrivò a un passo nel giro di un istante, ma Reniji se lo aspettava e si chiuse in guardia, pronto a subire senza sforzo il pugno che la ragazza stava per dargli. Quando quello impattò sui suoi avambracci rinforzati, però, Vanessa liberò l'energia che aveva trattenuto fino a quel momento tutta in una volta, immaginando di farla crepitare come esplosivo.
"Cos—"
Il piano funzionò. Fu come se l'aria attorno alla sua mano si fosse depressurizzata all'improvviso, scoppiando con forza senza lasciare traccia e spedendo Reniji a sua volta contro la parete. Vanessa si permise addirittura di ghignare soddisfatta, felice di essere riuscita a realizzare quella follia nonostante fosse la prima volta.
"Ahh... avevi anche tu qualche asso nella manica, quindi," ridacchiò Reniji rimettendosi in piedi. La ragazza notò in quell'istante che i capelli scuri del siyahno erano diventati leggermente elettrici ma si trattenne dal prenderlo in giro, percependo qualche ciocca ribelle dei propri sollevata allo stesso modo.
I due si studiarono per qualche istante riprendendo fiato, girandosi attorno come predatori e tenendo la guardia alta. Gli occhi rossi e concentrati della ragazza erano fissi sugli avambracci del militare: erano ricoperti dalla corazza e per un istante si chiese se fosse una scelta o se si fosse attivata perché glieli aveva rotti.
"Tutto bene?"
"Una favola. Quella malandata sei tu..." rispose Reniji con un ghigno, indicando con un cenno del capo la mano destra di Vanessa ancora ricoperta di sangue. "Non metterti a piangere, ok?"
A quella provocazione la ragazza reagì con uno sbuffo ed entrambi si rivolsero un sorriso fatto di zanne. "Senti chi parla."
Reniji ridusse la loro distanza in un soffio, arrivandole addosso impedendole di pensare a cosa fare. Per fortuna il suo corpo reagì senza aspettare un comando dal cervello, così la ragazza si accartocciò su se stessa per parare il montante del soldato prima che la stendesse e chiudesse lo scontro. L'energia che aveva usato per attaccarlo di sorpresa non accennava a smettere di crepitarle dentro e lei si rese conto di non riuscire a controllarla. Grugnendo per lo sforzo, Vanessa smorzò l'esplosione che la difese dall'attacco di Reniji in modo da non ferirlo e il pugno di lui impattò sull'aria prima che entrambi venissero sbalzati all'indietro.
Il colpo fu tale da mozzarle il respiro e spedirla quasi due metri più in là, i piedi nudi che le bruciavano e le ginocchia deboli per lo sforzo di mantenere la posizione. Per un attimo, tutto ciò che le sue orecchie sentirono fu solo un assordante silenzio dello stesso colore del sangue che si era ritrovata a sputacchiare.
Reniji ansimò, le sopracciglia aggrottate, ritrovandosi anch'egli a combattere con se stesso per rimanere in piedi. La corazza si era attivata su tutto il corpo pur di proteggerlo dalla forza scoppiettante della sua allieva, abilità di cui ancora non conosceva i dettagli. A giudicare da come era curva su se stessa e dal liquido rosso che le colava dalle labbra screpolate, Vanessa era decisamente a un passo dalla sconfitta. Eppure, eccola lì, uno scricciolo pieno di ferite che fumava di spirito combattivo.
Il suo sguardo incrociò quello di lei, che lesse la sua esitazione e decise di sfruttarla senza perdere altro tempo inutilmente. Con un ruggito, Vanessa si fece avanti: posò entrambe le mani aperte ad artiglio sul petto di Reniji e spinse, spinse così tanto da minacciare di farlo cadere, costringendolo a concentrarsi solo su quella ridicola sfida di potenze. Solo quando lo vide perdere terreno, pochi centimetri alla volta, si permise di allentare la presa per menargli un calcio sullo stinco destro con tutta la forza che le era rimasta, costringendolo a crollare all'indietro. Il siyahno la agguantò, portandosela dietro nella caduta e facendola rovinare addosso a lui. Il suo piano era quello di bloccarla in una morsa da quella posizione, ma Vanessa era di tutt'altra opinione: liberò la mancina dalla presa di Reniji con un piccolo scoppio sorprendentemente contenuto e la chiuse a pugno, mirando al volto dell'uomo.
Il suono dell'impatto fu assordante e il pavimento si crepò aprendosi in un nuovo buco al profumo di cemento e sangue. Era quello il bersaglio della Rayon, non il soldato: quella sfida non aveva lo scopo di ammazzarsi a vicenda, nonostante entrambi avessero esagerato. Per questo, all'ultimo istante la Rayon aveva deciso di colpire il terreno, penetrandolo a pochi centimetri dalla faccia scioccata di Reniji.
Il giovane uomo era rimasto di sasso. Da quella posizione avrebbe potuto contrattaccare, disarcionarla, ferirla; in fondo, conosceva mosse letali capaci di assicurargli la vittoria in pochi secondi se avesse combattuto con l'idea di uccidere, proprio come faceva sul campo di battaglia. In una sfida simile Vanessa non avrebbe mai potuto vincere e per un istante il soldato si dimenticò del suo ruolo di esaminatore, vagliando invece le sue opzioni per cambiare le sorti dello scontro.
Ma poi si ricordò che non era in guerra e che Vanessa non era uno dei suoi nemici.
"Ha-Hai vinto," le disse, sinceramente stupito dalla forza di volontà che la giovane era riuscita a tirare fuori pur di arrivare a quel risultato. La vide accasciarsi addosso a lui come una bambola rotta, il viso nascosto dalla sua massa di capelli biondi sporchi di sudore e sangue. "Cinquecentoventidue... a uno."
Un miscuglio di euforia e sollievo investì Vanessa in quel momento. La sensazione era indescrivibile, simile a una scarica elettrica che le diede nuova energia per rotolare di lato e abbandonarsi supina sul materasso, il cuore un martello pneumatico e il respiro che sapeva di ferro e intonaco. Nonostante fosse esausta e si sentisse la testa pesante, tanto che il mondo attorno a lei sembrava girare anche se era certa di essere immobile, la ragazza si sentiva così viva da ribollire.
"Non mi hai... lasciata vincere... vero?" chiese tra un affanno e l'altro, incapace di aprire gli occhi per la stanchezza.
"Se non ci credi... e desideri... un altro round..." rispose Reniji, stremato quanto lei ma divertito, "possiamo ripetere... in Accademia."
A quella risposta Vanessa poté solo tirare le labbra in un sorriso chele indolenzì le guance, il viso distorto nell'espressione più felice e stupidadi sempre.
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