16. ambasciata
AMBASCIATA, AGIIR - 18 NOVEMBRE 4573 DEL CALENDARIO TERRESTRE
James Esteria osservò soddisfatto la grossa costruzione grigia e squadrata che si ergeva davanti a lui. Come da accordi, in soli otto mesi aveva completato l'ambasciata, un semplice edificio a pianta rettangolare al confine tra Agiir e Kutsal. All'apparenza, sembrava un capannone grigio tra le due regioni del nord ma, come ormai era abitudine nel suo territorio, si sviluppava principalmente sottoterra. Spoglio e freddo, l'interno era perlopiù fatto di muri bianco latte e porte automatiche di plastica dura, protette da un buon sistema di sicurezza. Era il meglio che poteva fare in così poco tempo, ma almeno c'era riuscito.
"Benvenuti," disse James, facendo un ampio gesto con la mano destra e curvando le labbra sottili e screpolate in un sorriso cortese. Fece un piccolo cenno col capo alle due guardie armate stanziate ai lati della grossa porta d'accesso, che annuirono e la sbloccarono al suo comando. Con un rumore elettronico, quella si aprì dividendosi in due metà che svanirono all'interno della parete.
James si voltò dando le spalle alle due delegazioni e varcò la soglia con passo tranquillo, incamminandosi all'interno di quello che sembrava più che altro un magazzino. Diversi grossi scatoloni in plastacciaio erano stipati in colonne ordinate su entrambi i lati della sala, ognuno dei quali recava la dicitura della fazione di appartenenza. L'esausto governatore sapeva che quei contenitori erano colmi di provviste: si era assicurato di persona che ci fosse tutto il necessario per condurre una vita agiata lì sotto, nonostante gli ospiti fossero sostanzialmente dei prigionieri.
Il moro guidò le due delegazioni verso la coppia di ascensori in fondo alla sala che li avrebbero condotti all'interno dell'ambasciata vera e propria. Oltre ai due rappresentanti delle rispettive fazioni, a occhio aveva contato circa sei persone per gruppo. Mentre le cabine scendevano come serpenti nel ventre del pianeta, il governatore le osservò e si chiese con una nota di preoccupazione quanti di loro fossero Übermensch e di chi potesse fidarsi.
Come previsto, l'Organizzazione aveva accettato la proposta del Consiglio e aveva inviato una piccola squadra con una certa Diana Harvel al suo comando. La ragazza, in piedi alla sua sinistra, era giovanissima e vestita in modo elegante e sofisticato, qualità inaspettate in una mercenaria come lei. I suoi grandi occhi verdi, però, sembravano lanciare lampi ogni volta che si posavano sull'uomo originario di Okyann, l'agente selezionato dai Leclère. Berke Kühn, al contrario di lei, era impassibile: sul volto pallido non traspariva alcuna emozione, ma lo sguardo tradiva un'arguzia interessante. Più vicino ai trenta che ai venti, l'uomo era così alto e asciutto da sembrare un ramoscello. L'agiirese, però, era certo che sotto a quegli abiti formali l'ambasciatore castano nascondesse la tipica muscolatura allenata da militare.
Né James né il resto del Consiglio erano a conoscenza delle particolari abilità dell'uomo, che erano protette da segreto di stato così come quelle della giovane Harvel. I dossier dei membri di entrambe le squadre erano stati corretti ad arte, celando le informazioni sensibili come i dettagli sui poteri dei loro Übermensch o sui loro impieghi precedenti. Che l'Organizzazione non si dilungasse sulle missioni dei suoi mercenari non era una sorpresa: i loro servizi venivano richiesti da tutta Celios prima della guerra, motivo per cui la riservatezza era per loro una necessità. Si era però stupito che Paula non gli avesse rivelato nulla su quel Kühn, pur sottolineando quanto secondo lei fosse l'uomo migliore per quel compito.
James, quindi, non aveva idea di chi fosse umano e chi no tra i vari membri dei due gruppi, ma poteva avanzare qualche ipotesi.
Era consapevole che i superumani non fossero poi così diffusi a Celios soprattutto in tempo di guerra. Le file dell'esercito ne contavano pochissimi; quindi, era probabile che i delegati dell'Alleanza fossero ottimi soldati senza abilità speciali. E, se Paula aveva insistito affinché il suo agente facesse parte della squadra, immaginare che fosse un Übermensch non era così assurdo. Sapeva inoltre per motivi personali che non tutti i membri dell'Organizzazione potevano fregiarsi del cognome Harvel; perciò, quella Diana doveva essere anch'essa una superumana dalle abilità molto potenti. Purtroppo, non poteva dire lo stesso per gli altri mercenari della sua squadra, anonimi e senza segni particolari.
A quel pensiero, James si concesse un piccolo sorriso ricordando la Harvel bionda che aveva incontrato quando aveva perso suo fratello Oscar, la donna che chiamava 'musa'.
Le porte metalliche degli ascensori si aprirono con un sonoro plin e il governatore sospirò, stringendosi nel soprabito e tirando rumorosamente su col naso. Anche se si trovavano sottoterra, a causa delle sue abilità di Aeromante sembrava sempre malato. Il suo colorito malsano e le profonde occhiaie che segnavano il suo volto lasciavano intendere il suo malessere ma, purtroppo, l'unica cura efficace per ridurre quei sintomi implicava l'annullamento dei suoi poteri tramite farmaci o chiedendo l'intervento degli Assi Harvel e nessuna delle due opzioni era fattibile per un uomo nella sua posizione.
"L'edificio è perfettamente simmetrico," disse, fermandosi proprio nell'androne e indicando i due ingressi a destra e sinistra del corridoio. Erano protetti da un sistema elettronico a riconoscimento biometrico, come evidenziava il display in vetro trasparente posto ai lati delle due porte. "Il blocco est è dedicato ai membri dell'Organizzazione mentre quello a ovest per quelli dell'Alleanza. I vostri dati dovrebbero già essere stati caricati nel sistema, fate una prova."
James invitò con lo sguardo gli ambasciatori ad approcciare i rispettivi dispositivi. Li aveva pagati una fortuna e, nell'osservare gli agenti trafficarci, sperò che fossero stati messi a punto senza intoppi. Si rilassò solo quando la porta del blocco est si spalancò con un lieve bip e qualche mormorio curioso, esalando un lieve sospiro che non si era reso conto di aver trattenuto.
"Vi lascerò presto liberi di esplorare, ma prima vorrei mostrarvi la sala riunioni," riprese James dirigendosi stavolta verso la vetrata in fondo al corridoio, proprio di fronte agli ascensori. Le ante scorrevoli erano trasparenti e su di esse era dipinto il simbolo di Agiir in elegante color vinaccia. Non c'era un sistema di sicurezza a bloccarle, infatti al governatore bastò avvicinarsi per far sì che quelle si aprissero di lato per farlo passare.
"L'idea è che questa funga da sala centrale, che entrambi avrete la possibilità di utilizzare senza problemi," disse, entrando nella stanza con apparente tranquillità. "Consideratela... come un territorio neutrale."
Pareti bianche a dare una parvenza di luminosità all'ambiente e un lieve ronzio dovuto all'impianto di aerazione, le cui prese d'aria erano poste in discreti bocchettoni sul soffitto, diedero il benvenuto agli ambasciatori. Al centro sorgeva un grande tavolo a forma di ellisse appuntita alle estremità, fatto di plastacciaio grigia e lucida che rifletteva la luce delle lampade a led. Un grande schermo piatto troneggiava sulla parete in fondo, ma James non si diede pena per accenderlo, sedendosi invece a capotavola e aspettando che tutti si accomodassero. Mentre gli agenti si guardavano attorno curiosi e prendevano posto, l'agiirese li osservò: ancora una volta non riusciva a scacciare la sensazione che c'era qualcosa di strano. I kutsalesi erano tranquilli, quasi allegri all'idea di venire ad abitare lì sotto in territorio ostile; di contro, i soldati dell'Alleanza parevano tesi come corde di violino e lanciavano ripetute occhiate colme di sospetto verso i loro colleghi della fazione opposta.
"Sarò chiaro e breve," disse James con voce ferma. Aveva raddrizzato la schiena e indurito l'espressione in un tentativo di apparire minaccioso a sufficienza da intimidire gli ambasciatori. "Da questo momento siete considerati prigionieri di Agiir."
Berke e Diana annuirono senza mostrare alcuna emozione mentre alcuni loro compagni si appuntarono qualcosa sui loro tablet trasparenti, in attesa che continuasse il discorso. La reazione stupì James, che si sforzò di non far trapelare il suo disappunto: sperava di suscitare in loro un minimo di preoccupazione.
"Sapete tutti che questo luogo esiste all'unico scopo di essere un'assicurazione. La vostra presenza qui è la prova che le vostre fazioni si impegnano a non attaccarsi; pertanto, mi aspetto una condotta impeccabile da ognuno di voi."
"Questo è fuor di dubbio, governatore," si intromise Diana accennando un piccolo sorrisetto irriverente. "D'altronde, siamo disarmati e monitorati ventiquattr'ore su ventiquattro."
La ragazza accennò alle videocamere posizionate agli angoli della sala, indicandole con gli occhi. Non erano solo lì ma ovunque in tutta l'ambasciata, un ulteriore sistema di sicurezza per controllare i prigionieri dalla sala di controllo posta in superficie.
"Le faccio presente che a me non serve un'arma per uccidere tutti voi in un istante se lo volessi, signorina," replicò James rivolgendole un ghigno spietato. "Come immagino non serva agli Übermensch che siedono in questa sala."
Diana non cambiò espressione ma nei suoi occhi il governatore vi lesse una scintilla di rabbia. James si meravigliò di quanto la rossa fosse in grado di contenersi, dominando alla perfezione le proprie emozioni nonostante la sua età. A lui erano serviti anni per imparare quella lezione e, in tutta onestà, ancora non gli sembrava di avere il totale controllo di se stesso.
"Questo luogo è stato costruito per trasformarsi in una tomba all'occorrenza," riprese l'uomo tornando a guardare i presenti uno a uno. "Non mi interessa chi voi siate né che poteri abbiate: se violerete i termini dell'accordo, i miei uomini non esiteranno un secondo a chiudere i condotti e farvi soffocare. Non sarà piacevole, ve l'assicuro."
I soldati dell'Alleanza non mossero un muscolo, le espressioni serie sui loro volti induriti dalla guerra. Erano addestrati alla perfezione per eseguire gli ordini e, ora che si trovavano lì, era James a impersonare il loro comandante. L'uomo si domandò se potesse riporre fiducia in loro: nonostante avesse solo sputato minacce fino a quel momento, sperava vivamente di non essere costretto a metterle in pratica sul serio.
"Vi prego, dunque, di comportarvi bene anche e soprattutto per tutelare voi stessi."
"Non mi aspettavo niente di meno, governatore," disse Berke alzandosi lentamente e rivolgendo a James un piccolo cenno col capo con fare rigido. Era la prima volta che apriva bocca e James si stupì di quanto la sua voce suonasse profonda e priva di accento. Impossibile dire se quell'uomo fosse originario di Okyann o meno: ne aveva qualche tratto, come la forma delicata e quasi femminile del viso, ma poteva appartenere a qualsiasi regione. Per quanto ne sapeva lui, il suo dossier poteva anche essere completamente falso: in fondo, si trattava di un agente dei servizi segreti Leclère.
"Come rappresentanti dell'Alleanza, ci impegniamo a mantenere una buona condotta nei confronti di Agiir e della delegazione di Kutsal," concluse Berke aggirando il tavolo e fermandosi dirimpetto a James. Allungò una mano avanti a sé in attesa che fosse Diana a stringerla, esortandola con lo sguardo. La ragazza non si fece attendere e lo raggiunse, squadrandolo per qualche secondo prima di sugellare l'accordo infilando la propria mano nella sua. Berke si sorprese dell'energia di quella stretta, ma non lasciò che i suoi pensieri trapelassero dalla sua espressione, sempre imperscrutabile.
"Sarà un onore lavorare con lei, signorina Harvel."
"Altrettanto, signor Kühn."
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