14. allenamento
HILEIM, HELIAS - 2 OTTOBRE 4573 DEL CALENDARIO TERRESTRE
La manata di Vanessa sul suo sterno fece un suono sordo, forte, di qualcosa che avrebbe dovuto rompersi. Ovviamente non lo fece, ma Reniji percepì un leggero disagio, sufficiente a spingerlo ad afferrarle il polso e torcerglielo con un po' troppa forza.
Vanessa fece una smorfia di dolore e si lasciò scappare un mezzo ruggito, ma reagì prontamente: ruotò facendo perno sulla gamba a terra e sferrandogli un calcio che lo colpì di lato al viso. La sua speranza era di riuscire a sfuggire alla sua presa, ma Reniji invece non la mollò: incassò il colpo senza fare una piega e sfruttò la sua posizione poco stabile per ribaltarla, facendole fare un bel volo a mezz'aria.
La ragazza eseguì una meravigliosa piroetta in aria prima di crollare faccia a terra, ma non s'arrese. Rimanendo in quella posizione distesa, usò una gamba per attaccare quella di Reniji così da fargli perdere l'equilibrio e, vista l'irruenza che ci mise, nemmeno lui si stupì troppo di non riuscire a resistere a quel calcio portentoso. Il soldato cadde sulla schiena, ma con un colpo di reni si capovolse all'indietro per rimettersi in piedi senza perdere neanche un secondo. Anche Vanessa sfruttò quell'istante per fare lo stesso, prima di lanciarsi di nuovo contro di lui alla massima velocità di cui era capace.
Stavolta, lo colse di sorpresa. Sembrava stesse per menargli uno dei suoi soliti destri rabbiosi, violenti ma facili da contrastare visto che le lasciavano la guardia del tutto scoperta. Invece, all'ultimo momento cambiò direzione e Reniji si rese conto della finta troppo tardi. Vanessa aveva puntellato la gamba destra a terra e, usando l'intero corpo e la grinta della sua corsa, compì una mezza rotazione per sferrargli un calcio con la sinistra che pareva più una frustata, parecchio complicata da incassare.
Il moro reagì per difendersi dal colpo in arrivo, bloccandole la gamba in modo istintivo e lasciandosi sfuggire un grugnito, mentre la sua corazza nera si allungava sulla sua pelle come una macchia d'inchiostro. Vanessa, però, ghignò impercettibilmente: quella reazione era parte del suo piano. Non aveva alcuna intenzione di colpirlo con un calcio, perché sapeva che non avrebbe avuto successo; no, la sua idea era di sfruttare quella rotazione portentosa e la presa di Reniji per gettargli l'altra gamba attorno al collo e salirgli sulla schiena.
Il soldato non se l'aspettava e non reagì in tempo per impedirle di arrampicarsi su di lui in quel modo quasi comico. Vanessa gli serrò il collo in una presa articolare, assicurandosi sulla sua schiena prima di buttarsi con tutto il peso all'indietro. Com'era prevedibile, vista la spinta che aveva accumulato nel realizzare quella mossa folle riuscì a tirarsi appresso Reniji, sbilanciandolo e facendolo rovinare a terra.
Si sentì uno schiocco poco piacevole ed entrambi seppero che il pavimento sotto all'imbottitura del materasso aveva appena accumulato l'ennesima crepa. Tutti e due avevano subito il colpo della caduta, ma Vanessa non aveva smesso di stritolare il collo del suo maestro con quella morsa d'acciaio che l'aveva atterrato.
"O-ok, Rayon, puoi anche lasciarmi andare adesso," la voce gli uscì più smorzata del previsto. Sperava che grazie alla sua corazza non sarebbe suonato così in difficoltà, ma la forza di Vanessa era soverchiante persino per lui.
"Stavolta ho vinto io! Dillo, avanti!"
Reniji accarezzò l'idea di dargliela vinta per una volta ma, quando aprì di nuovo la bocca per concederle la vittoria, la richiuse, sciogliendosi invece in uno dei suoi soliti ghigni sadici.
Erano crollati l'uno sopra l'altra e Vanessa era ancora saldamente ancorata alla sua schiena. La posizione gli consentì di usare le gambe come leva per capovolgere la situazione: le gettò di lato all'improvviso, seguendo il movimento con tutto il corpo. Contemporaneamente, afferrò quelle di Vanessa con le mani, sfilandosi abilmente dalla sua presa articolare e al contempo bloccandola faccia a terra, le mani sulle sue cosce a immobilizzarla.
"Trecentosettantatré a zero. Dicevi, nanerottola?"
L'urlo colmo di frustrazione che liberò Vanessa l'attimo dopo gli perforò i timpani ma non rovinò il suo sorrisetto soddisfatto: gliel'aveva fatta un'altra volta.
La ragazza si allontanò con uno scatto appena Reniji la liberò, lanciandogli un'occhiata rabbiosa in cui lui ci lesse anche una punta di tristezza. Si chiese per un attimo se avesse le traveggole, decidendo di ripulirsi il viso dal sudore con un asciugamano. La palestra nel seminterrato era stata man mano riempita di attrezzi e oggetti utili all'allenamento di Vanessa e lei tendeva a tenerla nello stesso disordine della sua camera da letto. Indumenti sportivi, lacci per capelli e persino teli come quello che teneva lui in mano pendevano un po' ovunque dalle macchine per il potenziamento muscolare o erano gettati qua e là sul pavimento in mezzo ad altre cianfrusaglie. Anche la Rayon si era presa una pausa per sistemarsi la coda arruffata e detergersi fronte e petto, cosa che ricordò al soldato per l'ennesima volta di avere a che fare con una ragazzina acerba. Il reggiseno sportivo che indossava sembrava messo lì come decorazione più che per reale utilità e quel pensiero gli fece venire voglia di prenderla in giro, ma si trattenne.
"Allora, vuoi dirmi cos'hai o tiro a indovinare?"
"Non ho niente," tagliò corto lei dandogli le spalle e portandosi alle labbra una bottiglia d'acqua, che tracannò quasi per intero sotto allo sguardo divertito del siyahno.
"Sì, invece. Sei arrabbiata..." iniziò Reniji con uno sbuffo. "Beh, lo sei sempre, ma oggi in modo diverso," si corresse lui.
Vanessa per tutta risposta gli lanciò la bottiglia e si accucciò sui talloni, l'asciugamano ancora attorno al collo. Il soldato fu grato di quel po' d'acqua che gli aveva concesso e svuotò il contenitore, posandolo poi per terra e appuntandosi di andarlo a riempire più tardi. Rimase in silenzio, in attesa che la sua allieva decidesse di vuotare il sacco prima che la costringesse lui.
"Usciamo, stasera?" propose Vanessa dopo qualche istante. La domanda lo prese così in contropiede da fargli schizzare le sopracciglia verso l'alto per lo stupore.
"Mi stai chiedendo un appuntamento?"
Lei gli lanciò l'asciugamano in faccia con uno sbuffo divertito e il siyahno scoppiò a ridere, avvicinandosi a lei. Rimase in piedi, guardandola dall'alto con fare leggermente impacciato: che diavolo stava succedendo?
"C'è una festa in città, oggi. Ho visto i cartelli," rivelò la Rayon senza incrociare il suo sguardo. Non partecipava molto alla vita mondana di Hileim nonostante ci vivesse, ma il giorno prima le era scappato l'occhio sugli avvisi che tappezzavano la città mentre partivano per Selik. L'evento la incuriosiva ma il vero motivo per cui stava chiedendo al siyahno di uscire era un altro, che avrebbe preferito rivelargli in privato. "Se mi accompagni tu non credo ci saranno problemi, credo," aggiunse con una scrollata di spalle e simulando indifferenza.
Reniji ci pensò su per qualche istante. Conosceva a sufficienza la sua allieva da sapere che aveva in mente qualcosa, ma sapeva anche che era una tipa difficile: non avrebbe sputato il rospo tanto facilmente.
"Ah, vuoi usarmi come scusa per uscire di nascosto?" la provocò punzecchiandola con il piede nudo e facendole perdere l'equilibrio. "Sì, c'è un festival stasera. Non sapevo ti interessasse, come mai vuoi andarci?"
"Quante storie... Devo avere un motivo per chiederti di portarmi in giro?"
Per la seconda volta, il giovane si stupì di quella risposta e si chiese se le parole di lei celassero altro o fossero davvero ingenue e spontanee come sembravano. Forse era lui a leggerci qualcosa di più e si chiese se il motivo fosse l'influenza del fratello maggiore o una qualche sua speranza nascosta a cui fino a quel momento non aveva dato molto peso.
"Va bene, va bene. Fatti trovare in garage alle ventidue," cedette infine. "A quell'ora dubito ci sarà qualcuno che scoprirà la tua assenza."
Un numero spropositato di bancarelle riempiva le vie strette e affollate, serpeggiando fino al cuore della città. I numerosi banchetti galleggiavano a mezz'aria senza bisogno del sostegno di gambe, teli colorati a nascondere il sistema avanzato sotto al tavolo che permetteva quella magia. I commercianti più ricchi avevano persino dei piccoli tendoni per ripararsi dal sole del mattino e dal vento della notte, montati direttamente sui ripiani grazie a semplici telai di metallo.
Il chiacchiericcio dei passanti si mischiava perfettamente alle urla dei vari venditori che cercavano di attirare clienti, nonostante quasi tutti indossassero delle pesanti maschere antigas. I filtri circolari erano ben visibili su ognuna di esse e, a seconda dell'intensità del colore delle pastiglie, si poteva capire quanto veleno avevano già assorbito. Oltre ai numerosi banchi colmi di cibo, qualcuno vendeva proprio pasticche nuove di zecca per le maschere, riconoscibili dal numero di persone che vi si affollava intorno. Quella contromisura poco alla moda era stata voluta fortemente dal governatore Rayon in persona per contrastare gli effetti dell'inquinamento atmosferico, così intensi da provocare negli umani la malattia respiratoria conosciuta come Sindrome.
Reniji si slacciò il casco con mani esperte, passandosi poi una mano tra i capelli per ravvivarli. Né lui né Vanessa avevano bisogno di respiratori, essendo entrambi superumani abbastanza potenti da non risentire degli effetti dell'aria velenosa, ma se n'era portati comunque un paio abbastanza discreti per non dare nell'occhio. Erano lì di nascosto ed entrambi godevano di uno status importante, motivo per cui era meglio tenere un profilo basso e amalgamarsi alla folla.
Osservò soddisfatto il panorama del mercato prima di voltarsi verso la sua allieva, che però non sembrava molto interessata alla vista: Vanessa era impegnata a divorare con lo sguardo ogni centimetro della cavalcatura che li aveva condotti fin lì, tanto che la sua espressione trasognata lo intenerì. Nera come la notte, affusolata e un po' bombata come una specie di freccia metallica dal motore a base di cristalli Exo, quella moto era un'evoluzione dei modelli più classici usati dai loro antenati terrestri. Le grosse ruote scure sembravano perfette per qualsiasi tipo di strada e la lunga striscia di led che disegnava il suo profilo accattivante la rendeva un piccolo gioiello, soprattutto di sera. Il display touchscreen era un mare nero lucido sul quale numeri e indicatori brillavano precisi a prescindere dalle condizioni di illuminazione, informazioni che, a richiesta, potevano essere proiettate sul vetro digitale del suo casco.
Gli era costata parecchio, se non altro per via del motore, ma valeva ogni credito speso.
"Dai, piantala di fare gli occhi dolci alla mia moto," la provocò il soldato dandole una lieve pacca sulla schiena che fu sufficiente a farla piegare in avanti. "Se non ci muoviamo i tuoi si accorgeranno che non siamo alla villa."
La giovane annuì e si sfilò il casco con sorprendente facilità, mettendolo poi al suo posto nel sottosella accanto a quello di Reniji. Erano sgattaiolati via in gran segreto e quell'uscita proibita la elettrizzava, un po' perché non metteva spesso piede fuori di casa e un po' perché le piaceva l'idea di infrangere le regole imposte dal padre.
"Allora, che gelato vuoi?" le chiese, mettendosi il respiratore che gli copriva la metà inferiore del viso e porgendo l'altro uguale alla ragazza.
"Perché pensi che voglia un gelato?"
"Perché sei una mocciosa e fa caldo," replicò lui prendendola in giro mentre si incamminavano per le stradine di Hileim.
Per tutta risposta, Vanessa gli rifilò una gomitata che attivò la sua corazza scura, facendolo scoppiare a ridere subito dopo. Nonostante lei se ne stesse sulle sue, tutta corrucciata e con quell'aria da dura che cozzava con il suo fisico ossuto, Reniji notò che sotto alla maschera anche lei stava sorridendo.
Passeggiarono in silenzio per un po', godendosi i rumori della città e le sue luci variopinte. Hileim era un posto allegro, che celava le sue ombre dietro alle insegne dei locali dai nomi buffi e alle chiacchiere dei cittadini. Le stradine erano punteggiate da ghirlande tirate tra le case, dalle quali pendevano decori a forma di saette e gocce di pioggia. Erano fatti di plastica ricoperta di carta colorata e, al loro interno, si poteva notare una piccola lucina a renderli vivi. C'erano persino diversi musicisti sparsi qua e là a rendere vivace la serata di quel giorno di festa e le viuzze strette e caotiche erano piene zeppe di persone.
"Che te ne pare?" domandò Reniji sbirciando il volto della sua allieva. Vanessa aveva ben presto abbandonato l'aria da adolescente arrabbiata per sostituirla a un'espressione di pura estasi, posando con febbrile emozione gli occhi su ogni decoro e bancarella che incrociavano.
Anche se ormai viveva lì da un paio d'anni, per il siyahno c'era voluto del tempo per imparare ad apprezzare la caratteristica particolare di Hileim di rendere tutto caldo e avvolgente, persino un festival stagionale come quello. Anche se ugualmente allegra, a Kaha l'atmosfera era diversa in quelle occasioni: c'era una frenesia tipicamente giovane che serpeggiava tra le persone, fiumi di alcool e canzoni dal ritmo velocissimo a rendere le vie della capitale siyahna simili a una discoteca all'aperto.
"Non... non sapevo che il festival delle luci fosse così."
"Ti piace?"
Vanessa si accorse di avere un'espressione ebete dipinta in volto, così si affrettò a ricomporsi evitando lo sguardo divertito del suo insegnante. "Forse."
"Dì un po'... visto che mi hai invitato tu, sai perché si festeggia proprio questo giorno?"
"Mmh... credo fosse un modo per ringraziare il cielo," rispose lei, infilando le mani nelle tasche della giacca da moto che le aveva prestato Reniji. Era ovviamente enorme per lei e contribuiva a farla sembrare più giovane e buffa, ma almeno la proteggeva dal vento. "Vedi quelle decorazioni?" chiese, indicando una ghirlanda. "Hanno quella forma perché a Helias si abbattono spesso un sacco di temporali."
"Quindi ringraziate il cielo perché vi dona le tempeste?" rispose lui con uno sbuffo divertito accendendosi una sigaretta prima di ricordarsi di avere indosso un respiratore che fu costretto a rimuovere. "Siete strani, voi helisiani."
"Non è un caso se il casato Rayon ha avuto spesso reggenti Elettrocineti," continuò invece la ragazza senza smettere di tenere il naso all'insù, gli occhi puntati sugli addobbi sempre diversi che accompagnavano la loro passeggiata notturna. "La storia dice che gli Übermensch della mia famiglia erano soliti imbrigliare il potere dei fulmini con le loro abilità. In effetti, se c'è una cosa che a Helias non manca è l'elettricità."
Il soldato annuì, soffiando verso l'alto uno sbuffo di fumo grigio. "Figo."
Quella terra era sfortunata per molti aspetti, ma almeno un pregio l'aveva: era piena di centrali elettriche. La storia di Vanessa forse era romanzata, però era vero che la sua famiglia era diventata importante perché aveva ideato un modo nuovo di produrre energia sfruttando quella dei fulmini. Come risultato, più di metà Celios si riforniva dai loro stabilimenti e, grazie a questo, l'economia del paese non era crollata sotto al peso di tutte le altre risorse mancanti che dovevano acquistare dall'esterno.
"Non ho mai visto tuo padre lottare con una saetta, però. Gli chiederò di deliziarmi con questa performance."
Vanessa scoppiò a ridere immaginandosi il genitore ballare in mezzo alla tempesta. Non l'aveva mai visto fare una cosa del genere in tutta la sua vita; perciò, era probabile che quella leggenda fosse solo un modo simpatico di raccontare una storia altrimenti noiosa.
"Se lo convinci, fagli un video. Non vedo l'ora di prenderlo in giro."
Reniji le sorrise prendendo un'altra boccata di nicotina prima di rallentare, incuriosito da un banchetto ricolmo di dolciumi dalla forma strana. C'erano tortine di pasta fritta ripiene di crema, tronchetti di cioccolato e noci, caramelle di ogni forma e colore e persino dischetti soffici di pan di spagna grandi quanto biscotti sui quali erano disegnati gli stessi simboli degli addobbi. Nessuna di quelle leccornie era di origine naturale, ovviamente, e anche se si trattava di un festival il prezzo di ognuna era parecchio salato.
"Ehi, che te ne pare di uno di questi?" le chiese il soldato indicando la tavolata. Vanessa si avvicinò con aria scettica e per nulla colpita da quella distesa di zucchero artificiale, lanciandogli poi un'occhiata offesa.
"La vuoi piantare di trattarmi come una bambina!?"
"Perché? Sono dolci tipici di questa festa, non volevo prenderti in giro... stavolta," aggiunse poi soffiandole il fumo in faccia con un ghigno.
Lei sbatté le palpebre, infastidita dalla nuvola al sapore di tabacco. Il respiratore le impedì di intossicarsi, ma fu ugualmente poco piacevole per i suoi occhi. "Non amo le cose troppo zuccherate."
"In tal caso, signorina, le consiglio questi," intervenne il commerciante indicando un contenitore dal quale straripavano piccoli biscottini quadrati color azzurro cielo. Sembravano morbidi ed erano punteggiati da frutta secca di vario tipo. "Si chiamano 'botta di vita'."
"'Botta di vita'?" chiese Reniji soffocando una risata e spegnendo la sigaretta sul tacco del suo stivale. "A cosa devono il nome?"
"Sono molto calorici, due di questi sono l'equivalente di un pasto completo."
Il militare fischiò, stupito, e si rimise la maschera. "Beh, allora me ne dia quattro. Questa ragazzina ha bisogno di mangiare!"
"Ehi!"
Il commerciante passò con allegria il sacchetto di biscotti alla bionda ignorando le sue proteste, mentre Reniji pagava il conto posando il cellulare su un dispositivo circolare e lampeggiante che pareva un holoring di grosse dimensioni. Quando i crediti vennero trasferiti all'uomo, lui li salutò con un piccolo cenno del capo. "Buon festival delle luci a voi!"
Reniji ficcò la mano nella busta senza troppi complimenti dopo neanche due passi, tirando fuori un biscotto. Per la seconda volta si ricordò di non essere a viso scoperto e sbuffò tra sé e sé, rimuovendo il rigido respiratore. Soddisfatto, azzannò il dolce e ne divorò metà in un solo boccone, suscitando l'interesse di Vanessa. Era un po' scettica dell'acquisto, tanto che prima di assaggiarne uno si era presa il suo tempo per annusarlo, anche lei senza maschera.
"Non male," annunciò il moro prima di gettarsi in bocca l'altra metà del biscotto. "Allora, che ne dici di sputare il rospo, adesso?"
Non erano sgattaiolati in città solo per assistere di nascosto al festival, Reniji lo sapeva per certo anche se Vanessa non era stata affatto chiara. Che volesse parlargli di qualcosa era evidente, qualcosa che non poteva rivelare tra le mura di casa. L'argomento era sensibile ma il siyahno brancolava nel buio: non aveva la minima idea di cosa affliggesse l'allieva al punto da escogitare quell'appuntamento segreto solo per parlargliene. Si chiese per un istante se non stesse per dichiararsi a lui e l'idea gli fece sudare le mani. Non sapeva dire se quella reazione fosse sintomo di disagio o aspettativa, così decise di far finta di nulla e aspettare che iniziasse lei il discorso.
"Voglio iscrivermi in Accademia," rivelò la bionda prima di decidersi a mordicchiare uno spigolo del morbido biscotto.
Reniji si fermò, preso in contropiede. Tutto si era immaginato tranne quello, tanto che percepì un velo di disappunto nel realizzare che si era riempito la testa di elucubrazioni inutili. "E me lo stai dicendo perché...?"
"Perché i miei saranno di sicuro contrari, ma forse tu puoi convincerli."
"Non sono il tuo tutore, eh."
"Oh, quante storie!" sbottò Vanessa picchiando una mano sul petto del giovane. "Ti sto solo chiedendo di spiegargli che posso farcela! Insomma... ormai è un po' che mi alleni, no?"
"Se puoi farcela è tutto da vedere, piccola," rispose Reniji rubandole il biscotto di mano e mangiandoselo con tutta calma mentre lei lo guardava in cagnesco. "Comunque, perché vuoi iscriverti? L'Accademia è una scuola per ufficiali, non è un percorso semplice. Se il tuo obiettivo è solo scendere in campo a tirare due pugni a qualche robot..."
A quella domanda Vanessa abbassò lo sguardo, combattuta tra l'idea di dirgli la verità o rifilargli una bugia. Decise di seguire la prima opzione: verso di lui provava rispetto e ammirazione a sufficienza da fidarsi nel rivelargli i suoi pensieri.
"Mio fratello ha accettato di essere venduto ai Vogelweyde con uno stupido matrimonio combinato e io... io non ho alcuna intenzione di diventare governatrice al suo posto."
Reniji non rispose, dandole il tempo di mettere in fila i pensieri con calma. Prese un altro biscotto dal sacchetto, masticandolo tranquillo prima di realizzare che avrebbe dovuto fermarsi: li aveva comprati per Vanessa, ma aveva finito per mangiarseli quasi tutti.
"Non so ancora se quella del militare è una vita che fa per me, però... però forse potrei rendermi più utile così. Il mio potere si adatta meglio ai campi di combattimento, credo."
Lui la guardò negli occhi, per una volta serio come se avesse a che fare con un'adulta e non un'adolescente irascibile arrabbiata con il mondo. Temeva che un giorno Vanessa avrebbe desiderato seguire le sue orme, non solo nei modi di fare ma anche nella carriera militare. Sebbene da un lato ne fosse lusingato, dall'altro l'idea che anche lei calcasse i campi di battaglia non gli piaceva per niente.
"Guarda che non è una vita facile. Non combattiamo solo macchine ed è..." si interruppe per un istante, incerto. "Pericoloso. Disturbante, anche. Potresti morire da un momento all'altro o potrebbero farlo i tuoi compagni. Sei davvero sicura di voler imboccare questa strada?"
"Ti prego, Ren."
"Parlerò con tuo padre," cedette infine il soldato con un sospiro stanco. "Ma non sarà facile convincerlo, ti avvi—"
Non riuscì a finire la frase, perché Vanessa gli si era buttata contro stringendolo in un abbraccio: era il suo modo di dirgli grazie.
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