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13. poteri

IN VIAGGIO VERSO HILEIM - 1 OTTOBRE 4573 DEL CALENDARIO TERRESTRE


"Ti piace davvero quella strega?"

Virgil distolse lo sguardo dal panorama di industrie e cave minerarie del territorio di Demir per posarlo sulla sorella. Era ancora imbronciata e se ne stava seduta diametralmente opposta a lui sui sedili posteriori della lussuosa auto a guida autonoma su cui viaggiavano. Al contrario di lui che teneva una postura rilassata e tranquilla, Vanessa era piegata su se stessa come un animale selvatico, schiacciata contro la portiera con l'aria di chi non vede l'ora di scappare. I due gemelli Rayon non andavano d'amore e d'accordo da diverso tempo, ma mai come in quel momento il comportamento della ragazza tradiva la sua repulsione per il fratello. Era come se condividere il sedile con lui le procurasse male fisico, realizzò Virgil con una punta di tristezza.

"È irrilevante se mi piace o meno, te l'ho detto..."

Non si era nemmeno girata a guardarlo, anche se gli aveva rivolto una domanda che sembrava più un'accusa. Con la testa poggiata contro il finestrino e la mano aperta a reggerle il capo, Vanessa osservava il triste panorama del territorio dei Vogelweyde proprio come il gemello un momento prima.

"Sì, quel discorso sui depuratori di cui nessuno si è degnato di spiegarmi i dettagli," grugnì lei. Si voltò a guardarlo lanciandogli un'occhiata da far gelare il sangue, tanto che persino Virgil, abituato alla sua irascibilità, si sentì a disagio. Si chiese se ce l'avesse con lui per qualche motivo, anche se non ricordava di averla infastidita al punto da provocare in lei quella reazione. "Però non capisco. Puoi davvero accettare questo matrimonio solo perché lo ritieni un tuo stupido dovere?"

Il giovane le rivolse un sorriso amaro, quasi esausto. Vanessa era un'ingenua e forse le piaceva rimanere nell'oblio, decisa a non farsi andare giù gli obblighi che la loro posizione di prestigio richiedeva. Allo stesso tempo, però, invidiava il suo temperamento: anche lui detestava piegare il capo a quelle imposizioni a volte assurde, ma non poteva permettersi di ribellarsi. Dentro di sé Virgil lo considerava un modo per proteggerla, perché se fosse stato lui a sobbarcarsi la parte più oscura del loro ruolo a lei non restava altro che godersi quella migliore.

Ma non gliel'avrebbe mai rivelato: non ci teneva a beccarsi un pugno in faccia.

"Ness..." sospirò, cercando le parole adatte per non peggiorare la situazione. "Nemmeno a me piace questa situazione, ma sono un Rayon e come tale mi devo comportare."

"E questo significa che devi farti andare bene qualunque stronzata ti viene imposta!?" Vanessa si voltò di scatto sopprimendo un ruggito, tornando a guardare fuori dal finestrino quasi con rabbia per evitare di perdere il controllo di se stessa. Virgil la fissò, sorpreso da quella reazione eccessiva. "Sei un idiota."

"Se non avessi accettato—"

"Se non avessi accettato avrebbero continuato a tagliarci l'acqua," lo interruppe lei con voce tagliente, girando appena il viso verso di lui per guardarlo di sbieco. "Lo so, ho capito la situazione. Ma davvero era l'unico modo? Insomma... non avremmo potuto chiedere aiuto al casato dei Leclère? Sono loro a fornircela, in fondo!"

Virgil si rese conto che Vanessa doveva aver fatto i compiti, magari cercando qualche informazione su WireNet. Il pensiero lo intenerì: sebbene dicesse di continuo che non le importava niente delle faccende politiche, la gemella era tanto curiosa quanto orgogliosa. Non avrebbe mandato giù tanto facilmente l'idea di non essere a conoscenza dei fatti e lasciarsi trattare da stupida.

"E come, portandocela a mano?" scherzò Virgil con uno sbuffo. "L'impianto ci serve e i Vogelweyde lo sanno. Non siamo nella posizione di poter avanzare pretese, purtroppo..."

"Sì, beh, come sempre."

Vanessa sbuffò, incrociando le braccia al petto con fare seccato. Ora che la discussione si era animata si era orientata con l'intero corpo verso il fratello, irrequieta: era come se non riuscisse a stare ferma in una sola posizione. Tutto il contrario di lui che quasi non si era mosso da quando erano saliti in auto.

"Perché non costruirne uno nuovo, allora? Così smetteremmo di dipendere da loro."

"La fai facile," replicò subito lui, abbassando lo sguardo con aria rassegnata. "Demir ha il monopolio industriale sull'isola, lo sai, no? E non perché da noi non ci siano bravi ingegneri o aziende specializzate. Hai visto anche tu che razza di casa hanno..."

Vanessa rabbrividì al ricordo, non riuscendo a togliersi dalla mente l'inquietante vestito di metallo liquido indossato dalla primogenita Vogelweyde.

"Non possiamo permetterci di restare senz'acqua," continuò il ragazzo. "Costruire un nuovo impianto significa mettere in pericolo la nostra gente per tutto il tempo necessario a completarlo, che oltretutto non è poco. Quanto pensi potrebbero resistere se gli razionassimo le provviste, con la Sindrome che dilaga senza sosta? E quanto credi che ci costerebbe procurarci tutte le risorse necessarie per realizzarlo? Ferro e acciaio li importiamo proprio da Demir, Ness, non crescono sugli alberi..." Virgil sospirò, mal celando un moto di rabbia chiaramente distinguibile dalla sua voce. "E se pure lo facessero, a noi mancano anche quelli."

Senza accorgersene si ritrovò a stringere i pugni sulle ginocchia, cosa che stupì Vanessa. Suo fratello era sempre impassibile, sembrava quasi che gli scivolasse tutto addosso e che fosse pronto in ogni occasione a tirare fuori il meglio di sé. Stavolta, invece, la maschera di perfezione non la indossava e il suo corpo tradiva i suoi veri sentimenti.

"A Helias... a Helias non c'è niente, solo deserto," concluse, amareggiato, voltandosi verso il proprio finestrino per cercare di ritrovare la calma. Non voleva agitarsi ma quel discorso lo irritava: odiava quel fazzoletto di terra in cui era cresciuto e che aveva il dovere di proteggere con ogni mezzo. Per lui, Helias era talmente inospitale da instillargli il desiderio di scappare da lì ogni volta che posava lo sguardo sulle distese aride del sempre più grande canyon roccioso della regione.

Rimasero in silenzio per diverse ore, soli con i loro pensieri mentre lo scenario al di fuori cambiava e il cielo si scuriva. Il grigio nebbioso di Demir si tramutò nelle distese verdi di Nìgea per un breve periodo e, dopo aver aggirato i monti Jikka, sbucarono infine a Helias: le familiari rocce arancioni e la terra crepata e secca gli diedero il benvenuto in tutto il loro desolante splendore.

Vanessa non era della stessa idea del fratello. A lei la loro regione piaceva, aveva un che di allegro ai suoi occhi che la rendeva viva e indimenticabile. I colori del panorama erano caldi e i profili delle città, illuminati dalle variopinte luci artificiali, erano come dei fuochi accesi in mezzo al nulla del deserto. Di contro, Demir era tutta uguale, un posto in cui ogni cosa era ordinata e finalizzata all'efficienza produttiva. Le aree industriali erano ben distinte da quelle abitate, suddivise in rettangoli regolari in cui ogni edificio sembrava identico all'altro. A casa loro invece era tutto diverso, tutto più caotico: le case erano costruite una sopra all'altra, con colori sempre nuovi macchiati da strisciate chimiche provocate dalle intemperie, segni che nessuno aveva voglia di nascondere sotto a uno strato di pittura. Le strade erano piene di vita, i locali perennemente aperti con le loro insegne divertenti e accattivanti e ogni vicoletto era unico. Persino gli odori erano tutti mischiati, conferendo alle città una nota piacevole in forte contrapposizione con la rigidità demirese che puzzava di pioggia, nebbia e rifiuti industriali.

Quando Hileim, la capitale, iniziò a stagliarsi all'orizzonte, Vanessa si lasciò sfuggire un piccolo sorriso allegro. Era ancora arrabbiata per la situazione, anche se un pochino meno di prima. Virgil lo notò e decise di sfruttare quel momento di calma per porle una domanda che lo assillava.

"Perché ti dà così fastidio?" le chiese senza voltarsi a guardarla. Ci aveva pensato per tutto il viaggio e proprio non sapeva darsi una risposta: che a sua sorella non piacesse l'idea di sentirsi obbligata a fare qualcosa non era una novità, ma non era a lei che era stato chiesto di farlo. Come mai si infervorava tanto? "Sono io a dovermi sposare, non tu."

"Perché non ti sei opposto," rivelò lei con la rabbia nella voce. "Mi fa... mi fa imbestialire il tuo atteggiamento, sempre pronto a fare quello che ti viene detto!"

"Avresti preferito che urlassi e facessi il matto?" la provocò Virgil con uno sbuffo divertito. "Quello è il tuo modo di fare, Ness."

Invece di ribattere, però, Vanessa sospirò e si abbandonò contro lo schienale, allungando le gambe il più possibile sotto al sedile di fronte. La piccola auto era pilotata in automatico, spaziosa a sufficienza per loro due e un paio di guardie del corpo che sedevano davanti. Il separé isolante tra le due zone dava al mezzo un'aria lussuosa e ai due abbastanza privacy per litigare in santa pace.

"Tu... tu accetti sempre ogni cosa che ti capita senza fare una piega. Lo so che non ti sta davvero bene tutto, però mi chiedo perché siamo così diversi. Sei troppo perfetto e non ti sopporto affatto per questo."

"Oh, dai, non è vero..."

"Certo che lo è! Dimmi una sola cosa, una sola, in cui fai schifo. Avanti, su."

Virgil rimase interdetto per un istante. Con gli altri si sforzava di comportarsi al meglio e sì, forse a volte era un po' sbruffone, ma non riteneva di essere così impeccabile come pensava lei. Il problema non era trovare qualcosa in cui lui non eccellesse, era il confronto a ferire Vanessa e questo il giovane l'aveva capito da tempo. Erano molte le cose per cui lui provava ammirazione nei suoi confronti, abilità che addirittura le invidiava, ma anche se gliele avesse elencate non ci avrebbe creduto.

"Braccio di ferro," rispose infine con un ghigno divertito.

"Non vale!" esclamò la gemella girandosi di scatto verso di lui con tutto il corpo, le braccia incrociate al petto e l'aria imbronciata di chi sa di essere stato preso in giro. "Sono più brava di te solo perché quello è il mio potere e lo sai che non posso disattivarlo!"

"Cos'è, preferiresti avere il mio?"

Non l'aveva detto con cattive intenzioni, però la reazione di Vanessa fu inaspettata: invece di arrabbiarsi sembrò intristirsi, tornando lentamente al suo posto con lo sguardo fisso sulle proprie mani callose.

"No, non sarei brava a gestirlo come te. Altro motivo per cui ti detesto," aggiunse lanciandogli un'occhiataccia. "Però a volte mi chiedo se sarebbe stato diverso... cosa sarebbe stato di noi se avessimo ereditato quelli di mamma e papà, dico."

Virgil non si aspettava che il discorso sarebbe virato su quegli argomenti e per questo esitò, indeciso su come risponderle. Aveva sempre sospettato che la sorella si sentisse a disagio con le proprie abilità, così diverse e fuori contesto rispetto a ciò che la loro linea genealogica suggeriva, ma non l'aveva mai sentita dirlo ad alta voce. Erano gemelli anche in quello: provavano le stesse cose nei confronti dei loro poteri.

"Perché ci pensi adesso? Cos'è che non va?"

Lei non rispose, intenta a stringere le mani a pugno con l'aria di chi è pronto a fare a botte con qualcuno. A guardarla meglio, però, Virgil si rese conto che sul suo viso non c'era solo rabbia ma anche frustrazione e un pizzico di paura. Non poteva biasimarla: partecipare a quella specie di festa era stata un'esperienza terribile anche per lui. Forse Vanessa ne era rimasta più colpita di quanto volesse dare a vedere.

"Ti hanno detto qualcosa, Ness? Ti hanno minacciata?"

"Non più di quanto abbiano minacciato te o mamma e papà," ammise lei, ricordando il discorso avvenuto tra lei e Iris Vogelweyde. La ragazzina forse era quella meno intimidatoria della famiglia, ma le sue parole l'avevano ugualmente scossa. "Quella gente è... è spaventosa."

"Anche io mi sentivo impotente—"

"Non ho detto che mi sentivo impotente," lo interruppe subito lei.

Virgil sorvolò su quella bugia alzando gli occhi al cielo. "Avrebbero potuto ucciderci con facilità. Hanno un potere terrificante, è vero. Non devi vergognarti per aver avuto paura, Ness."

"Se fossimo più forti non ci avrebbero trattati così."

"Dipende da cosa intendi per forza... Se mi hanno costretto a questo matrimonio è proprio perché i Vogelweyde ritengono il mio potere interessante, sai. Ma è quello politico che ci manca."

Tra i due scese di nuovo il silenzio mentre l'auto correva a tutta velocità verso Hileim, che ora si era fatta abbastanza grande da riempire per intero la loro visuale. Sarebbero arrivati in pochi minuti e Virgil non poté che ringraziare la tecnologia moderna per aver prodotto dei mezzi di trasporto così efficienti. I motori a base Exo, cristalli energetici tipici di Nepher, erano costosi ma talmente potenti da permettere di coprire lunghe distanze in poco tempo; non sarebbe stato possibile altrimenti raggiungere Selik, la capitale demirese, in sole tre ore.

"Non l'hai usato, alla fine."

Virgil si girò di nuovo verso la sorella e stavolta tirò le labbra in un piccolo sorriso. Lei si ostinava ancora una volta a dargli le spalle, ma la sua voce tradiva curiosità e preoccupazione. A suo modo, anche lei sapeva essere tenera a volte.

"Ho giurato di non farlo mai."

"Lo so," mugugnò lei, "me lo ricordo."

Non era stato facile per i gemelli Rayon accettare i loro poteri Übermensch. Sebbene fossero il frutto della combinazione imprevedibile di quelli dei genitori, nel loro caso la genetica aveva fatto davvero un disastro. Da un padre Elettrocineta e una madre Pirocineta chiunque si sarebbe aspettato di vedere almeno una parte di quei tratti tipici in loro, come era stato per il colore degli occhi o la forma del viso. Invece non era successo: mutati come era stata Jocelyn a sua volta, i due avevano ottenuto abilità che con la loro genealogia non c'entravano nulla.

Virgil ricordava bene quell'episodio della sua infanzia, impresso in modo indelebile nella sua memoria. All'epoca avevano sette anni e, fino a quel momento, nessuno dei due aveva ancora iniziato a sparare fulmini né a dar fuoco alle cose. Era un giorno d'estate e lui e Vanessa erano intenti a giocare insieme lanciandosi a vicenda una palla in giro per la casa. Ricordò l'allegria di quel pomeriggio, le risate nel correre per i corridoi un tiro dopo l'altro come se tutta la villa fosse il loro parco giochi. Purtroppo, erano gemelli e, come tali, i loro poteri avevano deciso di manifestarsi nello stesso momento.

Col senno di poi diedero la colpa al tiro sfortunato di Vanessa, una cannonata che aveva finito per spedire Virgil con violenza contro un tavolino, spaccandolo. Nonostante fossero passati dieci anni il dolore di quell'impatto gli era rimasto nelle ossa e ancora si meravigliava di non esserci rimasto secco.

Da quell'incontro ad alta velocità era rimasto tramortito e forse era stato proprio quello a rendere la situazione pericolosa: girava tutto, vedeva doppio e si sentiva la testa calda e pesante, in aggiunta alla strana pulsazione nelle orecchie che contribuiva a rendere il tutto alienante. Ovviamente Vanessa si era spaventata, un po' perché si era resa conto di aver fatto un casino e un po' perché temeva di averlo ferito. Lui, però, non capiva nulla e ancor meno comprendeva le grida di lei mentre lo scuoteva un po' troppo forte per i suoi gusti.

Il mondo aveva ballato di nuovo in una giravolta di colori offuscati e lui aveva desiderato solamente che tutto ciò finisse. Ricordava di aver cercato con lo sguardo sua sorella tentando di attirare la sua attenzione in ogni modo e di aver affondato i suoi occhi rossi in quelli identici di lei, implorandola di smetterla.

"Fermati!" le aveva detto, e lei l'aveva fatto davvero. Quello che non sapeva, all'epoca, era che erano state le sue parole a bloccare la gemella, congelata in una posa innaturale incapace di muovere un muscolo e persino di respirare. L'aveva scossa in preda al terrore, ma lei era di granito; non muoveva nemmeno gli occhi, immobilizzati a fissare chissà cosa.

A questo punto della storia la sua memoria si faceva confusa. Ricordava di aver gridato come un matto per chiamare aiuto, ricordava Vanessa svenuta a causa dell'apnea a cui l'aveva involontariamente costretta, ricordava i volti stravolti dei genitori e delle guardie accorsi a soccorrerli. Soprattutto ricordava il senso di colpa che l'aveva attanagliato il giorno dopo, quando aveva scoperto di essere stato la causa di quell'assurdo incidente.

Da quell'episodio Vanessa non l'aveva più guardato nello stesso modo. Per diverso tempo l'aveva evitato, spaventata da lui come se fosse una specie di mostro. Forse era stato proprio quel suo comportamento a spingerlo alla decisione drastica che ancora oggi lo caratterizzava: se il suo potere era in grado di fare cose tanto orribili con la testa delle persone, allora non l'avrebbe mai usato.

Ricordava di averlo giurato alla sua famiglia e a se stesso qualche tempo dopo, quando gli era stato spiegato di essere un Piegamente in grado di obbligare le persone a fare ciò che desiderava lui. Bastava dirlo, imprimere il suo volere in un ordine abbastanza deciso affinché il suo comando avesse effetto. All'inizio aveva creduto che fosse un'abilità niente male, che gli avrebbe permesso di ottenere tutto ciò che desiderava semplicemente con le parole. Subito dopo averlo pensato, però, si era sentito orribile al ricordo dell'incidente: Vanessa aveva smesso di funzionare semplicemente perché lui gliel'aveva ordinato per sbaglio. Se i soccorsi non fossero giunti subito lei sarebbe morta quel giorno e di fronte a quella consapevolezza Virgil aveva iniziato a pensare di essere sbagliato. Non sapeva perché era nato con quel potere, ma aveva capito nel modo peggiore che non era un gioco né qualcosa da usare alla leggera. No, peggio: era pericoloso.

Se c'era una cosa che aveva appreso dai genitori nella sua breve vita era che l'arma più potente da possedere era la conoscenza. Per questo, nonostante fosse terrorizzato da se stesso, Virgil aveva deciso di studiarsi per capire fino in fondo le sue capacità, perché solo così avrebbe potuto evitare altri eventi disastrosi come quello capitato alla gemella.

Aveva iniziato documentandosi: anche se i poteri Übermensch si generavano in modo casuale, non era improbabile che qualcuno nel tempo avesse manifestato abilità simili. Purtroppo, ciò che aveva scoperto non aveva fatto altro che rafforzare il disgusto che provava per la sua situazione. La storia raccontava di Piegamente simili a lui braccati e temuti per le loro abilità, al punto da spingere i governi a misure drastiche. Per diversi anni erano state proibite le unioni sospette in tutta Celios, in un tentativo di impedire che simili capacità vedessero di nuovo la luce. I racconti spaventosi di Übermensch uccisi sin da piccoli dagli stessi parenti, spaventati all'idea di crescere figli tanto pericolosi, avevano agitato i suoi incubi a lungo e a nulla era servito che sua madre gli spiegasse che quelle pratiche tremende erano state abolite.

Virgil non si stupiva che il suo potere fosse raro: avrebbe dovuto essersi estinto. Come mai era saltato fuori di nuovo? Nemmeno ora che era un giovane uomo aveva una risposta a quella domanda, tanto da fargli credere che un motivo in fondo non c'era. Quella maledizione, alla fine, gli era capitata per caso.

Vanessa si chiedeva se la loro vita sarebbe stata diversa se avessero ereditato i poteri dei genitori e lui avrebbe voluto gridarle di no, convincerla che ogni Übermensch avrebbe dovuto scendere a patti con il fatto di essere per metà una creatura non umana. E per quanto anche lui voleva credere a quelle parole non ci riusciva, né riusciva a dirle a sua sorella per rabbonirla con una bugia.

In fondo, lui era stato costretto a giocare il ruolo della merce di scambio proprio a causa di quel potere.

Non sapeva come lei vivesse il suo essere forte come una bestia, obbligata a tenersi a bada di continuo per evitare di uccidere con una carezza, ma poteva immaginarlo. Dopotutto, non erano poi così diversi: lui doveva prestare continuamente attenzione a ciò che diceva, a dove posava gli occhi, a ciò che provava mentre lo faceva. Vanessa l'aveva preso in giro per questo, ma Virgil si comportava in quel modo distaccato e fin troppo controllato per necessità.

Sin da piccolo aveva odiato il destino per averlo reso un mostro, convinto che avrebbe portato la sua famiglia alla rovina. Così, rabbia, paura e determinazione gli avevano dato l'idea di volersi separare dal suo potere, di affermarsi come individuo anche senza l'aiuto non richiesto del suo DNA alieno. Virgil Rayon non si sarebbe fatto definire dalla sua abilità spaventosa, così aveva deciso di non usarla mai più.

"Cosa sarebbe stato di noi... non ne ho idea, onestamente," rispose infine dopo diversi minuti di silenzio. "Forse sarebbe stato più facile... o forse no. Non possiamo saperlo e di certo rimuginarci sopra non aiuta."

"Lo so. Lo so, è solo che..." Vanessa sospirò, frustrata, passandosi una mano sul viso. Non amava stare troppo in compagnia del fratello né rivelargli quei pensieri così intimi, ma l'idea di vederlo piegarsi alle scelte degli altri senza battere ciglio la faceva ribollire di rabbia. "Pensi davvero che saresti stato obbligato lo stesso ad accettare questo matrimonio, se non fossi stato un Piegamente?"

"Magari non a un matrimonio, ma a qualcos'altro di spiacevole forse sì. Purtroppo... purtroppo ciò che ci incatena a questa situazione è il nostro nome, non i nostri poteri, Ness."

Questo Vanessa lo sapeva già. Cercava in ogni modo di fingere che non fosse così ma Iris, quel giorno, gliel'aveva ricordato piuttosto duramente: sarebbe stata chiamata a interpretare il suo ruolo, prima o poi, che le piacesse o meno.

"Cosa sarò costretta a fare, io, se tu accetti?" gli chiese con voce tremante di rabbia e paura assieme. "A che dovere mi dovrò piegare? Se tu non ti ribelli, nemmeno io potrò farlo. Se tu te ne vai..."

"Che egoista," sputò il ragazzo, incapace di trattenersi. Fino a quel momento non gli era chiaro perché Vanessa fosse così sconvolta all'idea del suo matrimonio. Avere a che fare con la famiglia Vogelweyde era stato complesso, ma non poteva certo aver improvvisamente risvegliato in lei il desiderio infantile di non separarsi da lui. Impossibile: si detestavano come solo due gemelli sanno fare.

No, Vanessa era spaventata dall'idea di dover prendere il suo posto e quella consapevolezza gli fece ribollire il sangue nelle vene.

"Allora scappa. Cambia nome, nasconditi dove nessuno potrà trovarti," sbottò, seccato, curandosi però di non incrociare lo sguardo della gemella per impedire al suo potere di sfuggire al suo controllo. "Nemmeno a me piace, cosa credi! Non ho certo chiesto io la responsabilità di guidare una nazione che muore di fame né ho desiderato di nascere Übermensch. Però è successo! È successo e l'unica cosa che possiamo fare è andare avanti, Ness!"

"Perché!? Io non lo voglio accettare, non è giusto!" ruggì lei sovrastando le urla del fratello. "Non dovremmo essere costretti a essere chi non siamo o fare ciò che non vogliamo, nemmeno dal nostro cazzo di nome!"

"Detto da te è quasi ridicolo," sibilò Virgil a denti stretti, gli occhi ridotti a due fessure ancora puntati sulle proprie mani. "Tu non sei mai stata obbligata a fare queste cose, perché c'ero io a farle al posto tuo! Sono sempre stato io! E adesso mi vieni a dire che non puoi accettare l'idea di prenderti tu la responsabilità, per una volta!?"

Incapace di ribattere, Vanessa digrignò i denti e soppresse l'istinto di urlare. Suo fratello aveva ragione e proprio per questo lo detestava: l'aveva sempre usato come uno scudo e ora non riusciva a ingoiare l'idea che le cose sarebbero cambiate.

"Vaffanculo, Virgil."

"Dopo di te."

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