Un pomeriggio al parco (XV-1)
C'era di nuovo aria di festa. Dato che erano in tanti, ad abitare in una sola casa, sembrava che la tale festa interessasse tutta la città, o almeno a tutto il quartiere. Ma così non era: i compleanni sono importanti ricorrenze, sì, ma non per tutti. Il sedici di febbraio, un mercoledì, quell'anno, Sergey e Kiki festeggiarono il loro passaggio di età.
«Quanti anni compi?» Chiedevano altri bambini, conoscenti del piccolo Kiki, accompagnati dai loro genitori al parco, dove il fratello maggiore e il fratello minore erano andati a passeggiare.
E Kiki mostrava una mano aperta e una mano con sole tre dita alzate.
«In realtà sarebbe il diciassette, ma lo festeggio oggi, perché mio fratello è nato il quindici e vuole fare una festa sola».
«Davvero? E quanti anni compie, tuo fratello?»
Kiki guardò le sue mani, non capendo come poter mostrare un numero più alto di dieci.
Alla fine si rassegnò, limitandosi a parlare, senza divertirsi a mostrare le mani:
«Ventiquattro».
«Caspita! C'è una bella differenza, tra voi due!»
Kiki annuì con timidezza.
I bambini erano lì lì per chiedere perché, ma i genitori li fermarono per rispettare la privatezza di certe questioni.
La neve non si era ancora sciolta e la gente si cimentava nel costruire pupazzi. Sergey era poco distante, in piedi. Si stava fumando un'altra sigaretta, senza infastidire troppo il piccolino. Era pomeriggio, e quella sera, ci sarebbe stata la festicciola.
La famiglia a cui Kiki si era rivolto prima non se n'era ancora andata. Perciò, approfittò di quell'attimo, per far conoscere a loro suo fratello Sergey.
«Eccolo lì, lui è mio fratello!»
E puntò il dito contro una sagoma ombrosa che sorrideva sotto i rami spogli di un gelso.
«Ah!» Esclamò la madre: «un bel tipo!»
Il marito la guardò con gelosia. Lei se la rise e disse che era ormai troppo vecchia per un ragazzo del genere.
Kiki si rivolse al bambino, più piccolo di lui:
«Ora gli faccio uno scherzo, guarda!» Sussurrò.
Kiki prese della neve da terra, compattandola in una pallina, che tirò al fratello maggiore, centrandolo in faccia.
Sergey fece finta di nulla, non volendosi arrabbiare.
«L'ho preso in pieno! Hai visto? Vuoi provare anche tu?»
Il bambino annuì, seguendo l'esempio di Kiki.
«Bambini, ora basta!» Esclamò Sergey, con pacatezza: «Se volete giocare, giocheremo, ma solo quando avrò finito! Ce la fate, ad aspettare?»
«No!» Rispose Kiki, seccato, correndo fino all'albero sotto il quale si era messo Sergey, e arrampicandocisi.
I rami, ondeggiando, fecero cadere la neve che ci si era posata, e Sergey si ritrovò congelato, con la cicca spenta e spaventato per l'improvviso colpo alle spalle.
«Ma sei andato fuori di testa, Kiki!? Chi ti ha detto di montare lì sopra? Potresti cadere!»
«Sta' zitto, io non cado mai, dagli alberi!»
«Scendi immediatamente!»
«No, no e no!»
«E invece, scenderai!»
Kiki, da bravo mascalzone, gli sputò in faccia.
Sergey, a quel punto, allungò le braccia e lo tirò giù dall'albero, volendogli, d'istinto, fare la stessa cosa.
Poi si rese conto del loro squilibrio in età, e quel gesto sarebbe stato non solo la prova della sua perdita di controllo, ma anche un atto davvero irrispettoso e deplorevole. Almeno il buon senso, Sergey l'aveva.
«Non si sputa, Kiki!»
«Uffa».
«Andiamo a casa?»
«E va bene...»
Sergey e Kiki congedarono con gentilezza la famiglia a cui Kiki si era rivolto prima.
Sergey si domandava cosa non andasse nel fratellino, perché negli ultimi tempi fosse diventato così dispettoso. Gli voleva bene, senza ombra di dubbio.
Ma c'era sicuramente lo zampino di qualcuno, e Sergey sapeva benissimo chi.
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