Non si cambia ciò che è stato (XX-1)
Era sabato mattina.
Sergey era più stanco del solito, dopo quella nottataccia. Ma non più stanco di Moreno, che dormiva ancora profondamente.
Erano le otto.
Kiki era già sveglio e pregava il fratello di uscire di camera e andare a fare colazione.
Sergey si mise le pantofole e prese per mano il piccolino. Aprirono la porta.
Arrivati in cucina, prepararono insieme la colazione. Moreno li raggiunse poco dopo. Sergey non riusciva a sorridere, passandosi continuamente le mani sul viso, come per cercare di dimenticare qualcosa.
I tre si sedettero a tavola. Kiki iniziò a mangiare.
«Cosa, fai, Kiki? Non aspetti gli altri?» Lo rimproverò Moreno.
«Ho fame».
«Fai il bravo, aspettali».
Ma non scendeva nessuno.
«Sergey, sai dove sono Boban e Marika?»
Sergey scosse la testa, senza neanche guardarlo.
«Saranno in camera, li vado a chiamare». Esclamò Kiki, saltando giù dalla sedia.
Sergey annuì leggermente, senza pensare. Poi ragionò su quella frase e cambiò umore.
«No, Kiki, lasciali stare! Non entrare!»
Troppo tardi. Kiki era già risalito di corsa al piano di sopra e bussava, senza risposta, alla camera di Boban e Marika.
«Kiki! Lasciali dormire! Vieni qua!»
Kiki non lo ascoltò, spazientito. Entrò nella camera, per svegliare i fratelli.
Ma rimase immobile e attonito, di fronte a un triste spettacolo.
Era lì, disteso per terra, vicino al letto. Non si muoveva. Le pareti e il pavimento erano adornate da orribili macchie di sangue. Molti oggetti erano fuori posto, alcuni rotti, segno che Boban aveva cercato di difendersi in qualsiasi modo. Ma era stato tutto inutile, poiché era lì, disteso per terra, riempito di coltellate.
«No!» Strillò il piccolo Kiki: «No, Boban!» continuò a gridare, con le lacrime agli occhi.
Gli si avvicinò e si chinò a guardarlo meglio in viso. Era gelido e pallido.
«Ditemi che è solo un incubo!»
Sentendo le grida e i pianti del bambino, anche Sergey e Moreno entrarono in quella stanza. Sergey si accucciò in un angolino, osservando la scena con aria in parte pentita e in parte no. Moreno per poco non vomitò, sconvolto.
«Boban, Boban, rispondimi, ti prego!» Lo scuoteva Kiki.
«È inutile, Kiki, non ti risponderà». Disse Sergey con schiettezza.
Moreno si voltò verso di lui.
«Ser... sei stato tu?»
Sergey non disse niente, restando a guardare dall'angolo della stanza. Era vero: era stato lui, ma non riusciva a dirlo. Ma lo capirono comunque.
Moreno non trattenne le emozioni. Pesanti lacrime gli sgorgavano dai suoi occhi color nocciola. Aveva la faccia rossa. Non era mai stato così triste.
«Ditelo a qualcun0 e saranno guai anche per voi». Li minacciò Sergey, assumendo poi un tono più pacato: «Vi prego... non ditelo a nessuno». Aveva paura.
«Non... non puoi averlo fatto... non puoi!»
«Lo so... lo so...»
Kiki se ne stava abbracciato, incollato al fratello deceduto, senza smettere di piangere.
«Gli volevo bene... gli volevo bene...»
«E a me non vuoi bene, Kiki?» Domandò il maggiore, con una punta di tristezza.
Kiki non rispose, piangendo ancora di più. Moreno si avvicinò a lui, cercando di tranquillizzarlo, anche se non sapeva come, data la situazione. Pensò che sarebbe stato meglio stare zitto e stringerlo forte a sé.
Sergey, dall'angolino, chiese dove fosse Marika. «Sarà in bagno», rispose Moreno. Ma la porta del bagno era aperta e di lei non c'era traccia. «Allora sarà riuscita a fuggire. Ma non voglio rincorrerla... non voglio che succeda niente, fuori da qua». Gli traballava la voce. Non stava bene.
«Chissà dov'è andata, allora».
Kiki si stava calmando, piano piano, abituandosi a vedere il fratello in quelle condizioni. Si asciugò le lacrime, chiese a Moreno di lasciarlo andare e si sedette sul letto.
«Stamattina lo studio resterà chiuso, Moreno, e tu,» disse rivolgendosi al piccolo Kiki: «resterai a casa».
Kiki annuì, tristemente.
«Perché?» Chiese Moreno.
«Vai a prendere un badile. Abbiamo un lavoretto da fare».
«D'accordo». Rispose con una voce tremante, incamminandosi verso il ripostiglio. Kiki lo seguì.
Nel frattempo, Sergey tirò fuori dall'armadio il cappottino blu che Boban indossava sempre. Si avvicinò al cadavere, alzandogli le spalle e infilandogli quell'indumento, che poi abbottonò sul davanti. «Ecco fatto,» si disse: «così non ti si vedranno le piaghe. Non sei contento, Boban?» Ci fu un attimo di silenzio. Sergey si rattristò sempre di più. Aveva di proposito allontanato gli altri, per poter liberare le proprie emozioni senza vergognarsi. Lo abbracciò, stringendolo forte a sé, con le lacrime agli occhi. «Che cosa ho fatto... che cosa ho fatto... so che sembra impossibile e che ormai non si può fare niente... ma mi dispiace! Mi dispiace!» Non riusciva a capire come avesse potuto impazzire da un momento all'altro. Era nel panico. «Vorrei che la tua anima potesse ascoltare le mie parole... perdonami, Boban! Perdonami!» E scoppiò in un fragoroso pianto, tirandosi i capelli che gli ricoprivano la fronte, chinata verso il basso.
«Ecco il badile, Ser» disse Moreno, tornando davanti a quella scena raccapricciante e vedendo il fratello preso da un pesantissimo senso di colpa. Posò a terra la pala e si chinò verso di lui.
«Non ti avvicinare a me, Moreno... ti prego...»
Moreno, senza ascoltarlo, lo abbracciò.
«Come puoi abbracciare uno come me?»
«Mi racconti com'è andata?»
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