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XI: Libertà, lacrime e sudore

Pre-NDA: ringrazio tanto giuli_milani per aver scritto questo capitolo, sappiate che è tutto frutto della sua testolina, io mi sono limitata a fare da beta <3

***

Miguel



«Come ci si sente ad essere liberi?»

Il sorriso di Nathan Green è leggero, eppure non arriva agli occhi. Anzi, quegli abissi neri paiono risucchiare ogni parvenza umana che il suo volto solare e falsamente composto sembra avere. Forse quello da mandare in carcere sarebbe proprio dovuto essere quell'avvocato perfetto e diabolico che è riuscito a tirarmene fuori, lui che col suo sorriso affabile, avvolto da abiti firmati, era riuscito a convincere la giuria della mia innocenza.

Innocenza che non possedevo certo, eppure ci era riuscito, ha fatto ciò che pensavo impossibile, mi ha reso libero dopo anni di galera. Ma lo sono davvero? Per quanto tempo lo sarei rimasto?

Presto o tardi quel qualcuno che aveva inspiegabilmente ripreso da dove io avevo lasciato – sebbene non condividessi affatto quel modo di sottrarre vite innocenti al loro percorso – sarebbe stato catturato e quel giorno sarebbero tornati da me perché nessun pazzo ammetterebbe più omicidi di quel che già gli pendono al collo.

Lo sguardo scivola sulla caviglia, i miei occhi fissano quella lucina lampeggiante di verde che si intravede al di sotto dei pantaloni della tuta arancio che ancora mi porto addosso. «Liberi è un parolone.» rispondo, lasciandomi andare sulla sedia di legno chiaro mentre lo sguardo vaga nella saletta del penitenziario, ora vuota a parte noi.

«Ci vuole tempo lo sai. Domani potrai andare a casa e tra due settimane ti verrà tolta, allora potrai tornare a respirare.» Mi umetto le labbra per poi schioccare la lingua contro il palato tornando ad osservare quegli occhi spaventosamente magnetici.

«Perché lo stai facendo?» Avevo sempre avuto paura di chiederglielo. In fin dei conti, per quanto la mia vita un tempo fosse agiata, ora non possiedo quasi nulla, solo una vecchia casa, sede di quattro omicidi, una macchina vecchia ormai come me e un conto in banca esiguo lasciatomi dai genitori, soldi che di certo non basterebbero per pagare un avvocato rinomato come lui.

«Diciamo che mi piaci, ho sempre avuto un debole per quelli come te. E poi ora sei in debito, la cosa mi è più che sufficiente.» dice, semplicemente. Scrollo appena le spalle sviando il suo sguardo affilato mentre la pelle mi si riempie di brividi.

Quelli come me? Gli piacciono i carcerati o gli assassini? Poco importa. Lui non mi sarebbe  mai piaciuto, lo stesso terrore provato quando l'ho conosciuto, due anni prima, persiste tutt'ora sebbene eviti di darlo a vedere, troppo bisognoso del suo aiuto per permettermi di scappare.

«E così mi stai liberando solo per capriccio? Sono curioso, come salderò il debito se non in denaro?» chiedo, sciogliendomi nuovamente le spalle mentre osservo la finestra alla nostra destra, quella che dà sul mondo al di fuori, come per ricordare ai prigionieri cosa hanno perso mentre i familiari o gli amici lì vengono a trovare.

«Non ti preoccupare, non ti chiederò di venire a letto con me se è questo che ti agita.» Lo sento alzarsi e radunare i fogli sul tavolo mentre io mi sbilancio in avanti appoggiando il gomito sul tavolo.

«Ah no? Che peccato.» mormoro, nascondendo il terrore che mi scorre sotto la pelle e scrutandolo fra le ciglia scure mentre si sistema il lungo cappotto nero.

«Vedrai, sarà qualcosa di ancora più eccitante.»

E per un secondo, un solo istante, mi paralizzo nel vedere la pazzia nel suo sguardo, la ferocia nel suo volto, il sadismo nel suo sorriso appena accennato; un secondo che basta a lasciarmi attonito mentre mille brividi mi attraversano la colonna vertebrale. In un attimo sono in piedi, la sinistra cozza rumorosamente contro il ferro del tavolo mentre la destra stringe il colletto altrui in una morsa che pare spaventare solo me, come se quella presunzione fosse un'arma a doppio taglio e fossi io quello a soffocare nello sguardo altrui.

«Non so cosa tu abbia in mente ma stagli lontano.» ringhio, gli occhi ridotti a due fessure mentre i suoi, di catrame, restano sereni, impassibili, vuoti. La sua mano si posa sulla mia, ancora stretta intorno alla sua cravatta, la accarezza mentre mi viene incontro, sporgendosi a sua volta e sorridendo con finta innocenza.

«Se fossi in te, mi preoccuperei per te stesso.» soffia vicino al mi viso. «Vedrai, ti piacerà giocare con me.» si lecca le labbra, lentamente, in un modo sensuale e viscido e per la prima volta ho come la sensazione di trovarmi davanti a uno squalo, pronto a divorarmi come un tenero e gustoso cucciolo. La mia mano lo lascia, un passo indietro, un altro ancora mentre ogni muscolo si tende.

«Ci vediamo domani, Miguel.» sorride nuovamente in quel suo modo affabile mentre torna dritto e si sistema la camicia sgualcita, come se niente fosse. «Arriverò alle otto, vedi di essere puntuale.» Si smuove i capelli con una naturalezza infinita prima di recuperare la sua ventiquattr'ore e darmi le spalle lasciandomi impalato, con un nodo allo stomaco e il terrore dipinto in volto... Libero? «Tsk, non prendermi in giro stronzo.»





***



«Cosa farai una volta fuori?» Alzo appena le sopracciglia mentre una ruga mi si forma in mezzo alla fronte ed osservo il mio compagno di cella da ormai cinque anni. «Tornerai da Angel vero?» borbotta, mentre stringe le esili gambe al busto lasciando che i capelli lunghi e neri coprano quel viso da finto ragazzino.

«Che c'è, sei geloso principessina?» lo schernisco, distogliendo lo sguardo e tornando a mettere nella sacca nera quei pochi effetti personali che mi era stato permesso di portare fino in cella, per di più delle foto e qualche maglietta ormai usurata dal tempo.

«Figurati.» brontola, agitando la mano in aria per poi alzarsi, le sue braccia avvolgono la mia vita, il suo capo si appoggia sulla mia schiena e ci si sfrega appena come farebbe un gattino affettuoso. «Mi verrai a trovare vero? Sarà un inferno senza di te.»

Sospiro, le mani sciolgono il suo abbraccio solo per potermi girare e stringerlo a mia volta. «Non ti preoccupare, ieri ho parlato con la guardia, penso che ti lasceranno solo in cella, in ogni caso basta che resti vicino a Tomier.» Annuisce contro il mio petto ed io lo spettino leggermente.

In carcere fare amicizia è difficile, eppure non si può nemmeno rimanere soli, non ci avevo messo molto a capirlo, avevo imparato in fretta che lì i pugni erano più importanti delle parole, ma io ero stato fortunato al contrario di Enry, nessuno provava alcun interesse per me se non qualche stronzo che sperava in una sana scazzottata nel quale poter dire di aver "sistemato il novellino". Le minacce e le intimidazioni erano finite in fretta nei miei confronti, in fin dei conti ero considerato un pluriumicida, un rapitore e persino uno stupratore pedofilo ai tempi, i più mi temevano, i meno volevano segnare il territorio, io mi ero limitato a sedermi al tavolo con il più temuto e isolato, finendo con l'averci una pseudo amicizia.

Avevo scoperto che Tom era molto più intelligente di quel che si diceva, e molto più sanguinario di ciò che avessi immaginato, eppure non ci voleva molto per andarci d'accordo, bastava guardarlo negli occhi, trattarlo come un umano e non fissare troppo il suo viso tumefatto: erano le regole di base per non finire con la testa sfracassata nella doccia.

Sì, a me era andata fin troppo bene lì dentro, Enry invece... Lui era obiettivamente bellissimo, una di quelle bellezze androgine che fanno dubitare della propria sessualità. La condanna peggiore per un uomo era forse quella di finire in un penitenziario maschile col corpo di un giovane e splendido fanciullo. Come ci fosse finito lo seppi in fretta, aveva subito abusi su abusi, poi si era vendicato e non su chi gli aveva fatto del male, ma sulle famiglie o sugli amici di quelle persone. Scoprii che aveva ucciso in meno di un anno almeno quindici persone tra cui donne e bambini, ma intuii che la stima era molto più alta. Come nel mio caso, di certi delitti non c'erano prove.

Inizialmente non eravamo nella stessa cella, il suo precedente compagno aveva pensato bene di sfogare la sua frustrazione su quello che a prima vista era parso a tutti un ragazzino fragile e fuori posto. C'era stato un solo grido quella notte, poi il silenzio. Dopo, i passi veloci e le frasi concitate delle guardie. Solo i più vicini videro ciò che era successo, il giorno dopo si sparse la voce: un pompino finito decisamente male. Il molestatore andò all'ospedale e nessuno lo rivide perché aveva chiesto il trasferimento. Il ragazzino venne pestato a sangue nelle docce per diversi giorni, lì la politica è ferrea, ognuno si fa i cazzi propri, pensavo che prima o poi si sarebbero stancati, o che lui avrebbe capito quali posti evitare.

"Forse è il momento che se la vedano con qualcuno del loro livello."

Le parole borbottate da Tom me le ricordavo perfettamente, era stato come ricevere il permesso del capo di fare qualcosa. Il giorno seguente il nostro era un tavolo da tre anziché da due e, quando due mesi dopo l'uomo con cui dividevo la cella venne rilasciato, fu Enry ad occuparla. In un certo senso mi ricordava Angel, forse perché in quella gabbia di ladri, maniaci e pazzi era il più giovane, l'unico che nonostante tutto continuava a sorridere, nonostante gli incubi che affollavano le sue notti.

Non mi ero mai davvero fermato a pensare a quando sarei uscito, forse davo per scontato che sarei marcito lì dentro, là fuori non avevo più nulla. I nonni erano morti, mia madre era finita in depressione e nel giro di qualche anno si era suicidata. Mio padre, dopo aver perso i genitori, la figlia e la moglie, non era più riuscito a venirmi a trovare, ma sapevo che la sua azienda era fallita, e sapevo che aveva perso la vita in un incidente. Affezionarsi ad Enry era stato semplice, legarsi a qualcuno per non impazzire era inevitabile. Occuparsi di lui mi divenne presto automatico così come parlargli di Angel, del mio angelo che pensavo non avrei mai più rivisto.

«Passa la notte con me.» Le sue dita sottili mi sfiorano la pelle al di sopra della tuta arancio, il suo sguardo languido e triste cerca il mio, più confuso e incerto. «Ti prego, non ti farò del male.» Le labbra rosee e umide lasciano andare mormorii appena udibili, parole lussuriose e cariche di desiderio. «Voglio essere amato per una notte Miguel, solo una.»

Osservo i suoi occhi verdi farsi scuri, liquidi mentre le luci vengono spente e annunciato dagli autoportanti che è ora di dormire. Un no mi risale lungo la gola fino alla punta della lingua.

«Lo so che non mi ami, ma ti scongiuro, fingi di volermi come vorresti Angel, solo per oggi, solo per qualche ora.»

Quel no ritorna da dove è venuto: desideravo Angel? No, non avrei mai potuto desiderarlo in quel modo, era il mio bambino, un fratellino, la mia gioia. Ma mentre il mio corpo viene spinto delicatamente verso il letto fino a farmici sedere non riesco a non pensare a lui, alla felicità di averlo rivisto, anzi al fatto che sia stato lui a cercarmi. Una felicità che impallidisce al ricordo del suo sguardo d'odio, alle sue parole crudeli e affilate.

«Enry...» è l'unico sussurro che le mie labbra riescono ad emettere prima che lui se ne appropri, chiudo gli occhi avvolgo il suo corpo al mio mentre se ne sta a cavalcioni sopra di me. Si sbagliava, non avrei mai potuto desiderarlo come desideravo Angel. Sapevo da tempo di piacergli, da anni avevo scoperto la reazione del suo corpo al contatto col mio, più di una volta lo avevo sentito masturbarsi cantilenando il mio nome nel bel mezzo della notte convinto che io dormissi o forse nella speranza che saziassi il suo appetito.

Troppe notti si era intrufolato nel mio letto dopo un incubo, cercando riparo tra le mie braccia, con la durezza del suo membro e il tremare eccitato del suo corpo contro il mio. Lui doveva aver intuito che sapessi, sebbene non avessi mai dato segno di desiderarlo così come di non volerlo, semplicemente lo lasciavo fare. Forse perché anche io capivo quel bisogno nel sentire un corpo caldo stretto a sé e forse sto accettando i suoi baci, dapprima leggeri, soffici, e poi sempre più famelici, vogliosi, intensi, tanto da togliermi il fiato, perché ho la necessità di sentirmi voluto, desiderato e amato persino da un altro uomo, da un assassino, da chiunque.

Non oppongo alcuna resistenza, mi lascio manovrare dal suo corpo fragile e delicato, lascio che i suoi ansimi rieccheggino nelle mie orecchie, che le sue lacrime bagnino il mio viso, il collo e poi il petto, ora nudo. Lo aiuto a spogliarmi e poi spoglio lui con lentezza, con dolcezza, con amore come mi aveva chiesto, accarezzo il suo corpo studiandone per la prima volta le fattezze, stringendo e graffiando la carne liscia e soda mentre la sua passione e il suo desiderio diventano i miei.

Non abbiamo fatto sesso quella notte e nemmeno l'amore: non saprei descrivere quell'amplesso fatto di baci, morsi, lacrime e carezze. Entrambi siamo venuti, nelle mani, nelle bocche e sul corpo altrui, più e più volte fino a crollare nel sonno, stretti l'uno all'altro come amanti, con i propri odori misti in uno solo, tra le coperte sporche di sperma,di sudore e delle sue lacrime calde che la notte aveva asciugato al mio posto.




***



Non c'era stato bisogno di parlare, capivo, sapevo cosa volesse da me, come lui immagino sapesse quali sarebbero state le risposte. Non avrei potuto dargli nulla di più del mio corpo, non ci sarebbe mai stata più di una singola notte in una cella buia, nel silenzio di un vecchio penitenziario che ci aveva fatto da casa impedendoci di ricordare cosa fosse il mondo lì fuori.

Alle prime luci dell'alba, mentre salgo sulla macchina sportiva di lusso, interamente nera con gli interni di pelle vermiglio, non posso non domandarmi se anche Enry un giorno uscirà, se ci rivedremo in futuro. Non tornerò più qui, sono convinto che lui lo sapesse anche quando me lo aveva chiesto.

«Mi è stato riferito che saranno due agenti mandati dal comune e non dal penitenziario a venire a farti visita per accertarsi che non scappi. Potrebbero arrivare di notte come di giorno, in più la cavigliera ha un GPS quindi vedranno i tuoi spostamenti.»

Le parole di Nathan mi riportano con la mente al presente, annuisco impercettibilmente osservando i jeans chiari che avvolgono le mie gambe, da quanto non indossavo abiti normali? Mi ero quasi dimenticato la comodità di indossare pesanti felpe, l'arancione e il grigio, che prima vedevo talmente spesso da averne il voltastomaco, ora mi paiono ricordi lontani, così come la vita passata lì dentro sbiadisce dai miei pensieri mano a mano che ci allontaniamo.

«È già uscito un articolo su di te, sei in prima pagina, lì dietro dovrebbe esserci il giornale.»

Osservo per qualche istante la figura elegante di Nathan Green, le dita abbellite da anelli d'argento che mai prima avevo visto, la camicia nera con le maniche piegate fino al gomito lasciando intravedere sul braccio sinistro quello che pare un tatuaggio verde a forma di squame,  e poi dei jeans scuri stretti alle caviglie da un paio di anfibi. Osserva la strada distogliendo lo sguardo di tanto in tanto per restituirmi lo sguardo.

«Lo leggerò dopo, ora vorrei solo andare a casa e farmi una lunga doccia.» ammetto, lasciandomi andare contro il comodo sedile. Non sono ancora pronto per leggere quell'articolo, non ancora per affrontarare il mondo lì fuori. Forse il carcere mi ha reso molto più debole di ciò che avrei mai potuto immaginare.

«Capisco.» La macchina si ferma davanti a una villa, la mia casa, che attraverso il vetro del finestrino appare sfocata e molto più simile alla magione di un film horror che a una bella residenza estiva. «Per oggi ti lascerò in pace, ma domani avrò bisogno del tuo tempo per preparare la tua intervista. Non posso garantirti che qualcuno non provi a entrarti in casa o si apposti nella speranza di coglierti in fallo quindi stai attento. E se dovesse accadere mantieni la calma.»

Lascio andare un sospiro per poi fare un semplice cenno e voltarmi a recuperare il mio misero borsone e il giornale arrotolato, stretto in un elastico. «Grazie di tutto Nathan. A domani.»

«Quasi dimenticavo.» mi trattiene ancora sporgendosi verso il mio sedile, io invece preferisco bagnarmi tenendo la portiera aperta piuttosto che tornare in quel veicolo. «Ho saputo che lui non è più in città, forse se l'è data a gambe quando ha visto che sei stato scarcerato.»

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